16. non mi chiedi cosa voglio?
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
- - -
Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade, e mi tormento.
Catullo.
"La principessa del terrore ed il Re in persona? Assenti ingiustificati all'evento di beneficenza della fondazione Diller Newman: medici senza frontiere. Avvistati all'entrata e fotografati vicini, vicinissimi. Sono spariti poco dopo l'inizio. C'è chi crede in una rappacificazione, ma noi abbiamo notato gli sguardi di fuoco e ghiaccio tra i due...
Nel frattempo voci di corridoio narrano che la festa privata organizzata da Noel Hastings, invece di svolgersi nell'ala est del country club, lo abbia fatto sulle facce di tre giovani rampolli di Beverly Hills. Parliamo di Emmet Gibson, Bentley Simmons e Jameson Crommel. Che il trio sfortunato abbia attirato le sinistre attenzioni della famiglia HB? E, se si, per quale motivo? Il mistero alleggia attorno alla vicenda, ma dove c'è del torbido ci siamo noi, pronti a scoprire anche la più oscura delle verità.
Che i segreti siano svelati!"
Beverly Hills News.
"Questa non ci voleva" borbottò Dorian sdraiato alla mia destra nel letto king size della camera da letto.
"Che casino, il giornale non deve assolutamente scoprire niente di questa storia." Aggiunse il gemello, Daniel, alla mia sinistra.
I miei fratelli erano rincasati all'incirca intorno alle cinque di mattina. Le mie orecchie avevano percepito il trambusto rumoroso al piano di sotto ed una ventina di minuti dopo, nei quali un'orchestra d'imprecazioni aveva viaggiato per le pareti perlacee della zona notte, avevano attraversato a passo felpato l'entrata delle mia camera da letto e si erano messi a riposare accanto a me.
Quella mattina, quando avevo aperto gli occhi, i miei sensi percepirono le due paia di braccia muscolose che mi cingevano le spalle su entrambi i lati. I miei fratellini, praticamente identici, occupavano tutto il grande letto e mi avevano schiacciata nella parte centrale come pesce in scatola.
Il cuore mi traboccava di gioia per quella pace ritrovata fra di noi, era solo il primo passo di tanti altri. Però era importante.
Mi accomodai meglio la schiena sulla spalliera del letto mettendo il cuscino in verticale.
"Se voi mi diceste di cosa si tratta potrei almeno rendermi utile" gli feci notare ormai per la millesima volta. Il silenzio catturò lo spazio circostante, non me lo avrebbero detto. Neanche quella volta.
Decisi di sorvolare sull'argomento e gli chiesi "come avete gestito la situazione una volta che siamo andati via?"
Daniel stiracchiò le braccia in vanti e piegò la schiena verso le punte dei piedi. "Con una frase molto basilare, a dire il vero: non sono cazzi vostri."
Strabuzzai gli occhi e sbattei le palpebre, l'obiettivo era quello di volare basso, non inimicarsi la restante porzione di Beverly Hills che ancora non ci considerava dei dissennati incoscienti.
"Brooks e Gabriel ve lo hanno permesso?" Domandai sconvolta.
Dorian ridacchiò con impertinenza. "Oh, dovevi vedere Gabe, quando il signor Tarton gli ha chiesto dove fossi" affermò sbellicando dalle risate. Daniel lo seguì a ruota e poi gli diede una grande pacca sulla schiena.
"Che ha fatto?" chiesi divertita trasportata del loro buonumore.
I gemelli si scambiarono un'occhiata obliqua e poi Dorian prese la parola "lo ha chiamato vecchio pervertito e lo ha minacciato di farlo arrestare se ti avesse messo gli occhi addosso un'altra volta."
"Come alla cena al country club..." mormorò sommessamente Daniel.
Il Signor Tarton era noto per le occhiate lascive lasciate alle giovani aitanti dell'alta società, la moglie per essere una sbadata cronica che sorvolava sulle gesta squallide del marito.
"L'after party è stato un successo, invece" aggiunse Daniel.
Daniel s'intromise "cazzo, Haynes non è riuscito ad uscire da lì sulle sue gambe, abbiamo dovuto portare a casa quel coglione."
"Perché, Oliver? Hai visto che si è portato a casa le sorelle Waters?" Aggiunse Daniel con ammirazione.
Lo sguardo del gemello s'illuminò. "Che cazzo dici, tutte e due?"
"Tutte e due, fratello." Puntualizzò.
"Che mito, tu ti sei fatto la maggiore l'anno scorso. I lavori di bocca li fa bene come si dice in giro?" Gli chiese Dorian.
Daniel sogghignò "anche meglio..." stava per continuare con la descrizione del pompino quando si ricordò della mia presenza. Avevo sentito di peggio, non mi sarei di certo scandalizzata.
Sghignazzarono insieme, Dorian mi lanciò un'occhiata curiosa "tu e Wolfe?"
La domanda aleggiò nel poco spazio fra di noi, rimase in sospeso per qualche secondo a torturare gli ingranaggi inceppati del mio cervello, forse del cuore. Non sapevo dare una risposta definita.
"Siamo andati dal padre di Skippy per una visita medica, poi siamo tornati a casa accompaganti da un meticoloso silenzio" spiegai con poco entusiasmo.
Daniel alzò un sopracciglio "niente sesso selvaggio della pace?"
Ridacchiai. "Niente pace, purtroppo niente sesso, di selvaggio solo la mia serata."
"Del lato selvaggio ne parleremo meglio, ci sono cose che non sai e che, fino a nuovo ordine, non possiamo dirti" borbottò Dorian incrociando nel braccia al petto.
Schioccai innervosita la lingua al palato. "Lo so, se non avverrà a breve sarò costretta a seguirvi."
"Blake, starne fuori è la cosa migliore" provò, sempre lui, a spiegarmi.
Io però non ero assolutamente dello stesso parere. Volevo bene alla mia famiglia, ma non sapeva gestire i problemi, io piano piano avevo imparato a farlo, ad affrontarli, scomporli, sviscerarli fin quando non avrei trovato una soluzione.
L'ennesimo trillo del telefono interruppe quella conversazione, attaccai e poi lo lanciai Dorian.
"Blocca anche questo contatto" gli comunicai esausta.
Lui fece come da direzioni e poi mi diede un suggerimento che avrei dovuto prendere in considerazione. "Dovresti cambiare numero, sembra che ormai questo lo abbiano tutti."
Annuii, aveva ragione, qualcuno si era divertito a distribuire in giro il mio numero di telefono come se fosse stato un pacchetto di caramelle, quello era il risultato. Giornalisti che chiamavano a tutte le ore, emittenti televisive che mi inondavano la casella dei messaggi, richiedevano la mia presenza agli show del mattino e, tra le altre cose, leoni da tastiera che senza alcun tatto mi mostravano il loro risentimento.
A quel punto fece la sua entrata anche Noel, vestito solamente da un sorrisetto strafottente e dai pantaloncini corti del pigiama. Si spaparanzò sul fondo del letto con uno slancio atletico, facendolo sprofondare sotto il suo peso.
"Il tuo materasso è il più comodo di tutti. Anche io voglio dormire con te, sorellina."
Dorian parlò al posto mio "mettiti in fila, Hastings."
Noel, senza degnarlo di uno sguardo si mise a sogghignare "fallo tu baby Broadhurst, conosco Blake da più tempo di te."
Ecco uno sprazzo di normalità che chiamavo casa. Bisticci scherzosi, infantili, amore fraterno, intimità assoluta. Mancavano solo le confessioni a cuore aperto.
Quella mattina fu uno spasso assoluto, poco dopo la porta della mia camera da letto si spalancò e rivelò un carrello straboccante di dolciumi per ogni tipologia di papilla gustativa. Torte ai lamponi con crema, cioccolatini, crêpes alla Nutella e gelato alla fragola, lingue di cioccolata, arance caramellate e liquidi luccicanti inseriti in ampolle di vetro che emanavano un profumo al limone che ricordava l'estate lontana.
"Un paradiso!" Esclamai con l'acquolina alla bocca al trio che spingeva il tavolino con le rotelle: Gabriel, Brooks e Nate. Il primo si voltò ed abbaiò qualcosa ad i gemelli Hastings che celermente si aggiunsero alla riunione di famiglia.
"Abbiamo pensato che potesse renderti felice. Li abbiamo presi stamattina presto dalla Lucilla's Bakery" disse Nate con un ampio sorriso stampato sulla faccia, uno vero che non gli vedevo da tempo.
Gabriel mi mise in mano una tartina alle pesche e un bicchiere di spremuta d'arancia. "Colazione al letto" disse ammiccando "la preferita del mio cucciolo."
Servì gli altri e poi se stesso e ci ingozzammo di leccornie senza alcun ritegno, mi godetti il ballo peccaminoso che faceva la crema chantilly sulle labbra.
Tra una pasta e l'altra non potei non considerare quella vocina nella testa che mi ricordava la mancanza di un ospite che sarebbe stato molto gradito.
"Wolfe?" Domandai a Carter seduto in fondo ai miei piedi.
Lui storse il naso e poi fece spallucce "ha detto che c'è la tregua questa settimana..." indugiò per qualche istante intento a capire capire cosa pensassi, ma la mia espressione non tradì nessuna emozione.
Quando capì non avrei detto nulla continuò la frase "presumo che la stia rispettando."
Il mio seviziatore personale aveva, per l'ennesima volta, rigirato la situazione a suo vantaggio. Sebbene gli avessi spiegato a chiare lettere cosa significasse la parola tregua era evidente che avesse fatto finta di non sentirmi.
Pensavo che essere odiata da Wolfe mi facesse stare male, ma che fossi dannata per quel pensiero perverso, essere ignorata era ancora peggio.
Allungai la mano sul cellulare e senza nemmeno pensarci gli scrissi un messaggio.
da Blake: ciao uomo delle caverne, dove sei?
Ingannai l'attesa ripulendo il piattino di primizie come un'aspirapolvere mentre il resto della famiglia chiacchierava beatamente. Sapevo che le questioni serie non erano state dimenticate, ma solamente rimandate. Mi stavano donando un po' calore familiare dopo un periodo orribile.
Quando lo schermo del telefono s'illuminò lo acciuffai subito e lessi la risposta.
da Wolfe: in una grotta, ad agitare la mia mazza.
da Blake: sto alzando gli occhi al cielo in questo momento.
da Wolfe: continua a farlo, magari prima o poi ci troverai il cervello dietro.
da Blake: lo sai perché tu lo hai trovato così? :)
La sua riposta fu solo una sua foto con gli occhiali da sole, il labbro piegato all'insù verso destra mentre mi mostrava un dito medio. Alla bella faccia della tregua.
Almeno la fotografia mi aveva concesso qualche informazione su dove si trovasse in quel momento. Era seduto sul sedile del passeggero della macchina di Oliver, riuscivo a vedere il mare alla sua destra quindi, con alte probabilità, si stavano dirigendo verso Malibù.
Avrei giurato che il vento tirasse abbastanza forte da dedicare la mattinata ad un selvaggio surf domenicale.
Il che mi diede da pensare.
"Perché non siete alla county line anche voi?" Chiesi di getto.
Noel mi dispensò un buffetto scherzoso sulla guancia.
"Anche ehehe, sorellina?" Sogghignò soddisfatto di avermi beccata e poi mi concesse una risposta "il surf può aspettare, la famiglia al completo non si vedeva da anni."
Non eravamo al completo, però non glielo dissi, non volevo sembrare ingrata nei confronti di tutti quelli che avevano messo da parte il rancore per starmi vicino.
Mi buttai in avanti e lo abbracciai con forza, un mugolio di fastidio mi sfuggì dalla bocca quando ricambiò il contato con troppo impeto, toccando il punto preciso dove avevo sbattuto la sera prima. Affievolì la presa, ma ebbe l'accortezza di tacere per non rovinare quel momento.
Gli altri si unirono a noi in un abbraccio collettivo. Eravamo tutti stretti su un letto grande, ma troppo piccolo per tutti quei ragazzoni, ma comunque eravamo lì: insieme, a dimostrare al mondo interno che nulla ci avrebbe mai più tenuti separati. Nemmeno io avevo più quel superpotere.
Avevamo passato l'intero pomeriggio a vagabondare per la casa come dei bambini di dieci anni. Era come se il tempo fosse tornato indietro e poi si fosse fermato per qualche ora.
C'eravamo infilati i costumi da bagno ed in tutta fretta c'eravamo buttati nell'acqua riscaldata della piscina. Dorian e Daniel avevano provato ad affogarmi, Gabe era venuto in mio soccorso e li aveva mandati sott'acqua senza nessuno sforzo, solamente piantando le sue mani grandi sulle due teste bionde.
Dopo avevamo fatto la lotta, io sulle spalle di Brooks, Cole su quelle di Noel, inutile dire che io ed il maggiore degli Hastings avevamo perso miseramente. Cole era davvero un guerriero formidabile.
Poco più tardi, avevamo bisticciato per chi dovesse andare a recuperare gli asciugamani. Non ci sembrava giusto scomodare le tate per così poco, non eravamo davvero così viziati come dicevano i giornali.
Il compito era toccato a Nathaniel che, stanco di vederci discutere, si era alzato ed era tornato con nove teli da mare color sabbia, ciascuno era stato richiamato con le nostre iniziali con del filo intrecciato che ricordava la carta da zucchero.
"Che culi pigri" aveva borbottato prima di lanciarcene uno a testa.
Noel, per vendetta, lo aveva spinto in acqua con tutto l asciugamano.
"Dovresti baciare questo culo pigro" aveva risposto dandosi una pacca giocosa sul fondoschiena, ahimè, nudo. Eravamo scoppiati tutti a ridere.
Dopo cena decisi di rimanere per un po' di tempo fuori per conto mio. Indossavo un pigiamo leggero di seta comprato da una celebre sarta parigina di lingerie e muovevo i piedi nudi tra gli alti steli d'erba del parto appena annaffiato, quando notai la macchina di Wolfe parcheggiare fuori dal garage.
Non dovevo andare da lui, non dovevo andare da lui, non dovevo...
Andai da lui.
Lo presi alle spalle mentre scaricava la tavola da surf dal portabagagli. Wolfe, però, si accorse della mia presenza e, proprio mentre stavo balzando sulle sue spalle, mi acciuffò per i fianchi, arrestò il mio balzo felino incastrandomi a mezz'aria.
"Arrenditi, non funziona mai." Mi ricordò tutti i miei vani tentativi di coglierlo di sorpresa.
Rigirai gli occhi. "Prima o poi ci riuscirò" annunciai.
I palmi di Wolfe si spostarono dai fianchi al retro delle gambe che gli attorcigliai attorno alla vita. Formicolii fastidiosi mi pervasero tutto il corpo, ma li scacciai senza pensarci troppo. Gli incastrai le braccia attorno al collo per stare su comoda, lui mi sostenne dalle cosce.
"Ti illudi da sola, lo fai troppo spesso." Sentenziò come se si riferisse soprattutto ad altro.
Sconsolata emisi un sospiro solitario prima di puntare i miei occhi nelle sue pozze blu notte. "Tu non lo fai?" Chiesi stuzzicandolo.
Wolfe prese a camminare in direzione dell'entrata e con una mano mi sorreggeva la schiena. Una lieve brezza ci colpì portandomi alle narici il suo profumo di salsedine e note legnose, nel frattempo mi diede una risposta chiara e tonda "no."
"Wolfe..." iniziai a dire, ma fui fermata sul nascere.
"No, bambina. Comunque ti avevo detto di non farlo più." Sbottò riferendosi al fatto che mi fossi arrampicata addosso a lui, ma le abitudini erano dure a morire. Mollò la presa e un improvviso freddo si fece strada sulle mie braccia.
Alzai un sopracciglio e decisi si avvicinarmi a passi lenti "hai promesso una tregua."
Lui iniziò a camminare velocemente, mi trascinava tenendomi per il polso. La porta ci sbatté alle spalle con un sonoro schiocco "appunto."
"Aspetta!" Urali seguendolo attraverso l'ingresso, sperai solamente di non inciampare. Le sue gambe erano più lunghe ed allenate delle mie.
Lui non rallentò e nemmeno voltò il viso all'indietro, dove si trovava la mia figura affaticata, a furia di mantenere il suo ritmo rischiavo una tachicardia.
"No" decretò brusco.
"Wolfe, dannazione" borbottai una volta che fummo al piano di sopra, proprio quando spalancò la porta che affacciava sul regno proibito della sua camera.
Ci fermammo sulla soglia e buttai il peso all'indietro. Non lo avrei seguito, quello sguardo non prometteva nulla di buono se non un'ennesima ramanzina a cui non avevo le forze, fisiche e mentali, di sottopormi.
"Entra." Mi ordinò tirandomi verso di lui.
Scossi la testa ed indietreggiai bruscamente. "No."
"Entra!" Ripeté con più enfasi, alzò la voce.
Cercai di sembrare più autoritaria. "No."
"Ora." Sentenziò cingendomi il fianco con un braccio robusto.
Lo incenerii con lo sguardo, intenta a sfidarlo.
"Dovrai costringe..." costringermi. Avrei voluto dire, ma lui mi coprì la bocca con la mano libera.
"Fidati di me, bambina. Non vuoi finire la frase" minacciò.
"Altrimenti?"
Wolfe si mi avvicinò al suo corpo solido con uno strattone, incarcerò il viso tra le mani "ti tappo la bocca. A modo mio."
Un peso mi cadde dalla testa e si dissolse nello stomaco, come un'improvvisa e provvisoria sensazione di vuoto. Caduta libera. Immaginai le innumerevoli opzioni che aveva per tapparmi la bocca, alcune mi facevano contorcere lo stomaco e formicolare le gambe.
Dio, avrei dovuto davvero darmi una calmata. Placare gli ormoni che, in sua presenza, sembravano scatenarsi in una festa all'ultimo grido.
"Con un pungo, presumo" avanzai cercando di sdrammatizzare i pensieri indecenti che mi avevano invaso la mente, senza permesso.
"Ho un altro paio d'idee. Ora, entra. Prima che le metta in atto" decretò.
Feci un passo in avanti e lui indietreggiò, non avevo intenzione, per quella giornata, di scoprire come avrebbe voluto chiudermi la bocca.
Assolutamente no.
Forse.
"Prepotente, villano, cavernicolo..." borbottai gli insulti sebbene stessi facendo proprio quello che mi aveva imposto. Entrai nella tana del lupo, sperando di uscirne indenne.
Wolfe evitò di rispondere, ma gli occhi blu saettarono sul mio zigomo bluastro e viaggiarono lungo il collo arrossato prima che le sue dita sapienti mi voltassero il viso con delicatezza per analizzarne la guarigione.
"Ammazzarli è troppo poco." Sentenziò a denti stretti indurendo la linea decisa della mascella spigolosa.
Gli scacciai la mano "ti ho detto di lasciar perdere."
"Desolato, ma non prendo ordini" rispose bruscamente appoggiandosi su di un fianco allo stipite della porta.
Infilai velocemente le dita nei capelli e massaggiai i fili color grano per scaricare la tensione. Ero quasi certa, a quel punto, che la sua strategia di gioco fosse cambiata. Distruggermi non era più l'obiettivo, ma scombussolarmi al punto tale da farmi perdere, in via definitiva, la ragione.
Ci stava riuscendo, non ero più padrona del mio corpo, dei miei sentimenti. Ogni suo tocco mi arroventava il ventre piatto, mi scioglieva le gambe che si liquefacevano al pavimento formando una pozza di desiderio incontrollato. Avrei dovuto implorare pietà, chiedere aiuto.
Al tempo stesso, però, lo detestavo per quella confusione che mi annebbiava il raziocinio. Non sapevo come fosse stato possibile provare entrambe quelle sensazioni, in ugual misura.
Odi et amo, avrebbe detto Catullo. Il tormento.
"Wolfe, hai la scritta guai marchiata a fuoco sulla fronte" pronunciai a voce bassa credendo ad ogni singola parola.
Un sorriso storto gli spuntò su quella boccaccia spara sentenze quando disse "no, quella è sull'avambraccio."
"E idiota, invece?"
Il lupo del Beau Solei raddrizzò la schiena muscolosa e tese le spalle come moto di sfida. Mi chiesi se dalla sua prospettiva fossi sembrata buffa ed irritante.
"Pensavo ce l'avessi tu."
Sospirai mantenendo lo sguardo fisso su di lui "forse dovremmo averla entrambi."
Lui si allungò svelto per catturarmi il polso gracile in una presa stretta, poi mi tirò dentro la camera buia sbattendoci la porta alle spalle. Rimase fermo e statutario nella penombra di astio e risentimento, una coltre di nebbia acida ci aleggiava sulle teste mentre il suo corpo di marmo si appoggiava alla mia schiena tesa come le corde di un violino, pronto per suonare una melodia di guerra.
"Ho cercato il trio disperato, oggi pomeriggio" disse soffiando sul lobo dell'orecchio, il respirò calò giù per il collo solleticandomi la pelle.
Deglutii "non li hai trovati, suppongo."
Wolfe si attorcigliò tra le dita una ciocca di capelli che mi ricadevano lunghi fino all'ombelico e la strattonò giocosamente. La mia testa si piegò su un lato, lasciando la gola senza protezione, totalmente alla mercé del suo respiro. Avrebbe potuto affondarci i denti e non avrei protestato.
"Che bambina perspicace" mi sfottè con voce roca che mi graffiò le viscere.
Prima che potessi girarmi lui mi bloccò ancorando le braccia granitiche intorno ai fianchi, mi attirò a se senza fare nessuno sforzo. Dannate gambe molli.
"Dove pensi di scappare?"
"Non voglio scappare" decretai con sicurezza.
Il suo viso si abbassò sul mio "fatico a crederlo."
"Non sgobbi abbastanza, allora" lo punzecchiai.
Wolfe mi spinse in avanti tra il buio e l'ordine meticoloso e crudo della sua camera da letto fin quando le mie ginocchia non incontrarono l'invitante bordo rimboccato del letto. Solo allora riuscii ad abbattere di nuovo la barriera trasparente tra di noi ed ad ammirare il suo viso scuro.
Lo conoscevo troppo bene.
"Cosa vuoi?" Chiesi, avevo riconosciuto la domanda nel suo sguardo.
"Volevo giocare un altro po' prima di arrivarci. Uccidi il divertimento." Confessò lentamente torturandomi i sensi con i suoi tocchi voraci e furenti.
"Io non mi sto divertendo" provai a dire.
Lui inarcò un sopracciglio e assottigliò la bocca piegandola su di un lato.
"Ah, no?" Disse soffiandomi sul viso, il naso a pochi millimetri dal mio. Avrebbe percepito persino l'uragano scatenato da un mio battito di ciglia, simile a quello che si faceva strada nel mio petto in quel momento.
"Cosa ti fa credere che io possa rallegrarmi con te che fai lo stronzo?"
Lui sogghignò e strofinò la punta del naso sul mio. Oh Dio.
"Ti sono sempre piaciuto stronzo" mi fece notare.
"Si, con gli altri. E sta sicuro che a loro non piace" borbottai.
Wolfe sogghignò e schiacciò delicatamente i polpastrelli sui bordi morbidi e arrossati delle mie guance, una carezza di delizia miscelata con perfidia.
"A me non interessa se le persone credono che io sia il ragazzo cattivo, perché qualcuno deve rivestire questo ruolo e fare in modo che le cose girino per il verso giusto." Disse ancora il viso troppo vicino al mio per concentrasi unicamente sulle parole.
"É contestabile" risposi con sicurezza, ma lui continuò per la sua strada.
"No, non lo è. Se devi essere cattiva fallo con uno scopo, almeno. Altrimenti non ti meriti il perdono" concluse e aumentò la pressione sul viso.
Assottigliai gli occhi e scossi, per quanto fosse stato possibile, la testa.
"Io non sono cattiva" asserii alla fine, o almeno non mi ero mai reputata tale.
Wolfe sorrise "è contestabile."
"Ovviamente" rimarcai nervosa appuntando le sopracciglia curate.
Spalancò gli occhi come per fingersi sorpreso, poi l'incrociò in un'espressione stranamente buffa che non gli vedevo da anni.
"Se più simpatica quando dormi, sleeping beauty" rimarcò prendendomi in giro.
Mi accigliai. "Mi spii, per caso?"
"No. Non per caso, di proposito" disse con nonchalance, come se fosse stata un'attività extracurricolare assolutamente nella norma.
Scostai i capelli lunghi sul retro delle spalle e abbozzai un mezzo sorriso "poi sarei io quella che pensa alla tua mazza."
"Oh, bambina. Ci pensi, eccome. Di notte non fai altro che sognarmi e dire: Woooolfe..." quella volta fui io a tapparli la bocca.
"Ti piacerebbe" mi vantai.
Lui mi diede un pizzicotto sulla guancia "mi piace già."
"Infastidirmi" chiarii a voce bassa.
"Sentirti urlare il mio nome" decretò, la voce tagliente come una lama, fredda come l'Antartide.
Alzai gli occhi al cielo "a quanto pare non ci senti bene."
"Menomale che le tue orecchie funzionano, allora. Perché dovrai ascoltare bene quello che sto per dirti." Divenne serio in uno schiocco di dita.
Wolfe tese la mascella e sentii irrigidirsi la moltitudine di muscoli iper sviluppati che costellavano il suo corpo, come le stelle solitarie facevano nel cielo notturno. Illuminavano la notte, risvegliavano i miei sensi assopiti.
"Voglio che denunci Jameson" pronunciò cristallino, con smodata sicurezza.
Scossi la testa, ne avevamo già parlato. Nemmeno volendo avrei potuto denunciarlo senza subirne delle conseguenze drastiche. Mi avrebbero infangata ancora una volta, tirata giù nelle viscere del mondo dove albergavano gli astri caduti, le vecchie glorie rovinate.
"Wolfe, non è possibile. Te l'ho già spiegato" gli riferii, impossibile che si fosse dimenticato della conversazione della sera precedente. Aveva una memoria di ferro, si ricordava i particolari più insignificanti degli animi contorti di ognuno di noi. Figurarsi un battibecco recente.
Lui assottigliò gli occhi, saggiando la mia affermazione, mettendo alla prova la certezza della stessa insita nel tono di voce. Lo capì subito che ero irremovibile. Così tentò l'impensabile, invece di sfondare la porta come un Ariete, indietreggiò di un mezzo passo. Tese una mano, un metaforico mignolino.
"Facciamo un patto, un accordo" provò ad avanzare la proposta.
Sorrisi di sbieco. "Non si vende l'anima al diavolo."
"Tu gliel'hai regalata da un pezzo, bambina" disse e mi alzò il mento con il pollice per tuffarsi nella giungla selvaggia che aveva messo le radici nei miei occhi. Un velo di tristezza, come una nuvola nera portatrice di pioggia, spense il sole di quell'habitat tropicale.
"Me l'ha tirata indietro senza fare troppe cerimonie. Con una sola riga su un foglio di carta in filigrana dai bordi azzurri" gli ricordai.
Le parole che mi aveva dedicato ritornarono prepotenti a farmi visita, così vere. Eppure sembravano anche lontane. Io esistevo, anche per lui, sebbene non avesse voluto ammetterlo.
Un voce fuori campo si sentì al di la delle pareti spesse
"Wolfe?" Disse in un primo momento.
"Sorellina?" Subito dopo.
Wolfe sembrò infastidito, la porta si spalancò senza preavviso.
Noel apparve controluce sulla soglia, indossava la tuta leggera con cui l'avevo lasciato dopo cena ed un cipiglio interrogativo sul viso angelico, ma perverso.
"Interrompo una riunione? oppure una liaison? Ohhh, sarebbe anche meglio. Una scopata servirebbe ad entrambi." Disse divertito mentre il suo sguardo rimbalzava dalla mano di Wolfe sono il mio mento, alla mia sul suo pettorale. Al braccio che mi aveva stretto attorno alla vita e al retro delle mie ginocchia battute sul bordo del letto.
Il lupo del Beau Solei lo ignorò bellamente e gli diede le spalle, riportando le sue cupe attenzioni su di me. Tutte per me.
Per poco non sobbalzai per l'intensità contenuta nel maremoto azzurro.
"Denuncialo." Ordinò perentorio.
Innervosita lo spintonai per la spalla "Dio, Wolfe! Allora sei sordo sul serio. Non ci pensare nemmeno" trillai.
Noel emise un sospiro sconsolato e si appoggiò per un breve attimo allo stipite della porta.
"A meno che questi non siano i vostri preliminari, presuppongo che stiate litigando. Di nuovo." Poi incrociò gli occhi e aggiunse "chiamatemi quando diventerete meno noiosi."
Sparì con la stessa velocità con cui era arrivato.
Wolfe mi guardò torva ed io ruotai la spalle "se volevi parlarmi di questo, la conversazione può finire qui."
"Blake" mi chiamò a voce roca, graffiandomi le pareti del torace, una volta che fui sulla porta. "Lo devi fare" disse. Mi concesse uno sguardo abbastanza eloquente da farmi capire che, nel grande calderone di caos in cui si erano andati a cacciare, la denuncia era solo un tramite per arrivare un fine.
Ci ero arrivata. Per qualche secondo avevo persino immaginato che potesse importargli ancora qualcosa di me.
"Dillo. Dì che ti serve per mettere a posto il casino in cui vi siete cacciati, spiegami perché dovrei sacrificare il briciolo di dignità che mi rimane e lo farò. Ti tirerò fuori dai guai. Questo è il mio prezzo. Sempre che tu voglia fare ancora un patto" proposi.
Nel frattempo cercai anche di trattenere la delusione, c'era da aspettarselo, non avrei dovuto spronare la mia mente verso inutili e ridicole fantasie bonarie.
Wolfe calciò il piede della sedia scrivania che si capovolse sul pavimento lucido, un fragoroso suono acuto imbrattò lo spazio. Problemi comportamentali, per l'appunto.
"Hai finito?" Lo ripresi procedendo verso l'innocente poltroncina per rialzarla da terra.
Wolfe tirò giù anche il porta penne, le biro colorate si riversarono sul ripiano di vetro.
"Ora, si" disse intento a torcersi il collo.
Mi guardò per un breve istante e strinse i denti "non c'è niente, io lo dico per te, per la famiglia."
"Ed io sono la fata madrina" dissi e schioccai la lingua sul palato. Ma chi voleva prendere in giro?
Wolfe si appoggiò con la schiena al muro e mi rifilò un sorriso saccente.
"Non direi proprio" disse perlustrando il mio corpo dalla alto al basso con sguardo fumoso.
"Ah" riuscii a dire. Non capivo se fosse un complimento, un'allusione oppure, se di lì a poco, sarebbe arrivato l'insulto.
"Aah?" Disse lui staccatosi dalla parte e muovendosi con passo predatorio verso di me.
Indietreggiai di riflesso tenendo gli occhi fissi sul lupo nero che avevo davanti. Non avevamo ancora finito.
Nemmeno mi accorsi della velocità con cui le sua mani afferrarono la parte posteriore della schiena e la schiacciarono contro il divano di pelle bianca sull'altro lato della camera.
"Che cosa fai?" Chiesi quando un dito mi tracciò il contorno del profilo.
Sogghignò. "Controllo la mia teoria" e così i suoi polpastrelli tracciarono tutto il resto di me. Prima il collo poi le spalle nude, la clavicola, lo sterno, l'ombelico, i fianchi, l'interno delle cosce
"Quale sarebbe questa teoria?" Borbottai nel momento in cui la sua mano si fermò sulla schiena.
Si avvicinò e parlò al lobo del mio orecchio "che tu sia ossessionata da me."
Sgranai gli occhi e lo spinsi "quando vuoi qualcosa sei veramente insopportabile."
Si avvicinò, di nuovo, senza permesso.
"Non mi chiedi cosa voglio?" Domandò con voce roca mordicchiandomi l'orecchio.
"Non m'interessa, non è nulla che sia disposta a darti" affermai con convinzione.
Lui piegò la testa su un lato e mi fissò per qualche istante prima di dire "lo vedremo."
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