13. paure profonde, in superficie. W

(guardate la foto in copertina)

Non ero mai stato bravo con la robaccia emotiva. Eccetto per la rabbia, ero straordinariamente bravo con quella.
Apparentemente avevo una cosa che si chiamava: «problemi comportamentali» o almeno era quello che piaceva dire a tutti quelli che incontravo: lo zio, il preside, i giornali e perfino i dottori che avevano provato ad intrufolare le loro dita affusolate nel mio cervello.

Sebbene avessi una miriade di casini da risolvere, le ultime settimane non avevo fatto altro che focalizzarmi sulla testa biondo miele che dormiva a pochi metri dalla mia stanza.

Ero sconvolto da come se ne fosse andata e poi fosse ripiombata nella mia vita come se non fosse successo niente, da come io avessi permesso ad una persona di avere tutta quell'influenza su di me. Assurdo, mi ero fatto davvero incasinare.

Non mi aspettavo che un angelo potesse bruciarmi il cuore, ma lo aveva fatto.
Stavo appena cominciando a riprendermi quando zio Killian mi aveva preso da parte per dirmi che sarebbe tornata a casa. Avevo creduto che non mi avrebbe fatto più nessun effetto dopo due anni, ma poi era arrivato il momento in cui i suoi occhi verde bosco avevano incontrato i miei scatenandomi un esplosione di portata nucleare nel petto e... Boom.

Ero scoppiato.

Pensavo di aver chiuso con i sentimenti come quello, invece mi aveva stordito un'altra volta.

Eravamo sempre stati solo amici, speciali, del cuore. Un rapporto simbiotico e intenso, un po' morboso forse, ma io non sarei riuscito mai a staccarmi da lei nemmeno per dieci minuti. Avevo sperato in qualcosa di più ad un certo punto, ma non sembrava mai il momento giusto, mai il sentimento giusto. Perché la verità era quella, il motivo per cui la odiavo così tanto era che lei non era pronta ad amare, io non ero pronto ad essere ferito.

C'era anche da considerare che avevo certi appetiti, come tutti i ragazzi della mia età e se mi fossi preso da lei quello che volevo e poi le cose fossero andate male: l'avrei persa. Ed io non potevo permettermelo.
Quindi ero andato alla ricerca di ragazze ben disposte venirmi incontro e che non nutrivano pretese. Loro per il sesso, la bambina per la vita.

Tranne che alla fine l'avevo persa comunque.

"Che casino." Riflettei ad alta voce mentre lanciavo la palla da football a Noel. Stavamo provando dei lanci al campo assieme al resto della squadra.

Un'accenno di rabbia mi sfrigolò la punta delle dita quando mio fratello fece cadere la palla per terra invece di acchiapparla.
"Hai problemi di vista adesso?" Sbottai irritato, la sua distrazione non mi era d'aiuto.

"Stavo pensando alla scopata che mi aspetta all'ora di pranzo." Mi confessò con lo sguardo eccitato. Noel era mio fratello, ma non faceva mai quello che gli dicevo.

"Hai da fare a pranzo e non è una scopata." Gli ricordai mentre gli rispedivo indietro l'ovale.

Noel lo bloccò nelle mani e si avvicinò a passi svelti calcando il prato verde che aveva attuato le nostre cadute più di una volta.
"Senti fratello, non sono l'uomo giusto per questo lavoro."

"Non me ne frega un cazzo. Tu vai li e le stai appicciato al culo. Poi vieni da me e mi riferisci tutto." Mi servivano occhi e orecchie a mensa. Odiavo Blake, ma rimaneva un mio affare ed ero troppo egoista per lasciarla negli artigli rosso sangue di qualche barbie con problemi di egocentrismo.

Noel alzò gli occhi al cielo dandomi il segnale che avrebbe ceduto.
"Sappi che non lo faccio per te, ma per lei. Io voglio bene a mia sorella. A differenza tua."

"A me basta che lo fai." Sentenziai mettendo da parte quella preoccupazione.

In mensa, l'altra mattina, avevo dovuto impiegare tutto l'autocontrollo di cui ero a disposizione per non trasformarmi in una bestia degna del mio nome e della reputazione che mi portavo appresso. Cose del genere nella mia scuola non dovevano succedere.
Alla bambina poi... Penelope Baliol aveva firmato la sua condanna a morte.

Mi dispiaceva un po' per la sorella, Amelia era gentile, dolce come nessun'altra e quell'aria perennemente indifesa mi aveva fatto credere che fosse semplicemente diversa da tutte le persone false da cui ero circondato. Alla fine mi ero dovuto ricredere. Potevo contare solamente sulla mia famiglia e sui pochi amici che avevo da sempre.
Avrei dovuto tenere a mente, però, che anche loro prima o poi avrebbero potuto tradirmi. Era già successo.

Sarebbe stato meglio dormire con un occhio aperto, sicuramente dovevano farlo le Baliol.

La vendetta non spettava a me e sinceramente non m'interessava nemmeno ottenerla, ma conoscevo Blake fin troppo bene. Nelle ultime due settimane era stata troppo mansueta, perfino condiscendete alle volte. Aveva preferito volare basso a modo suo, ponendo un freno alla lingua biforcuta incorniciata da quelle belle labbra carnose e rossicce. Però non sarebbe durato ancora molto quel periodo di punizione auto-inflitta e a breve sarebbe scoppiata. Solo allora mi sarei dato da fare. Non era divertente combattere qualcuno che non avrebbe risposto al fuoco con il fuoco.

Era furba, almeno glielo dovevo concedere, quel suo atteggiamento sommesso e fintamente addolorato mi impediva di fare qualsiasi cosa. Ne avrei fatto una martire e non lo era affatto.

Incontrai il mio cruccio personale mentre tornavo dal campo da football, ancora vestito della divisa sportiva. Lei ancheggiava con la gonna fin troppo corta nel corridoio luminoso che portava agli spogliatoi, sfoggiando una bellezza letale. Unica cosa su cui concordavamo tutti.

Non mi aveva né visto né sentito quindi mi mossi deciso e a passo felpato in direzione delle sue spalle, spinto da non so quale idea incontrollata di tenderle un agguato.

"Perché sei qui?" Domandai a voce bassa proprio accanto al suo orecchio destro. Lei sobbalzò, emettendo un sospiro, colta dalla sorpresa.

"Accidenti a te Wolfe!" Esclamò, sgranando gli occhi grandi ed arrossati. Aveva le labbra gonfie come se le avesse torturate fino a quel momento.

Senza pensare, come sempre quando me la trovavo davanti, le agguantai il viso piccolo tra due dita per studiare quell'espressione sofferente.

"Hai pianto." Constatai bruscamente senza lasciare la presa, ma lei mi schiaffeggiò la mano che mi bruciò per il contatto.

Scosse la testa e si voltò di scatto nella direzione opposta, ma che diavolo era successo?

Mossi i piedi, pestando il pavimento e, quando la raggiunsi sulla breve distanza, le arpionai la spalla mandandola a sbattere contro la parete. Non volevo farle male, ma quel continuo girarmi le spalle mi ricordava quando lo aveva fatto due anni prima; come una specie di ticchettio nel cervello che mandava in ripetizione la stessa scena: io che la cercavo, lei che se ne andava.

Blake abbassò gli occhi, come se si vergognasse di qualcosa. Allora capii.
"Hai saputo quello che ha scritto il Beverly Hills News" constatai brusco.

Blake annuì debolente e parlò con la voce spezzata "già."

Perché diamine dovevo beccarla proprio io in quel momento? Sarebbe stato molto più opportuno che a consolarla fosse stato qualcun altro. Mi mossi a disagio e la lasciai andare. Non si meritava nulla da parte mia, soprattutto non quello.

Quella fottuta redattrice aveva spiattellato tutto ciò che era riuscita a racimolare sui terrori notturni. Qualcuno aveva cantato, lo zio non era ancora riuscito a capire chi. Anche se poco importava a quel punto perché tutta Los Angeles era stata messa al corrente della sua paura più grande. Era come se la città si fosse spaccata in due fazioni alimentate da odio o riverenza pura. I più accaniti, come le sorelle Baliol, la ridicolizzavano di continuo, gli altri invece avevano formato uno scudo protettivo, come se quella storia avesse umanizzato una figura di cui sentivano solamente parlare. L'aveva resa vera e non un'immagine patinata che erano abituati a vedere nelle pagine del gossip.

Blake tirò su col naso.

No, no, no. Non piangere, non davanti a me.

"Non fare la stupida." La rammonii prima che potesse iniziare a singhiozzare. Le mancava solamente che qualcuno la vedesse in quelle condizioni e ci si sarebbero buttati su a capofitto.

Lei tirò su gli occhi e ricacciò indietro le lacrime, il contatto visivo mi fece solamente incazzare di più.

"Brava, bambina." La schernii piazzandomi in faccia un sorriso storto.

Storto perché se lo meritava davvero, ma non ero stato io. E nemmeno mi sarei abbassato a tanto. La vendetta era un piatto che le avrei servito io, ma ad una cena prenotata per due, a lume di candela sotto la fiamma bruciante della vittoria.

I panni sporchi andavano lavati in famiglia.

"Tu non capisci..." bisbigliò alle prese con le goccioline salate che le scivolavano sulle guance. Ne raccolsi una e feci per mettermela in tasca, l'avrei conservata.

"Non voglio farlo" le risposi sicuro.

"Wolfe" pronunciò il mio nome affannata, alzai un sopracciglio quando mi disse "non respiro."

Mi chiesi per la seconda volta per quale malsano scherzo del destino dovessi trovarmi io in quella posizione. Accidenti a me quando avevo deciso di avvicinarmi con l'intento di provocarla, di farla arrabbiare. Non pensavo mi sarei trovato davanti ad un attacco d'ansia.

Blake si appoggiò alla parete e portò una mano al petto, gli occhi verdi spalancati ed il torace che si muoveva su e giù alla velocità della luce. Tesi la mascella consapevole che avrei dovuto adoperarmi, per l'ennesima volta, a darle una mano nel momento in cui dischiuse le labbra alla ricerca di aria fresca.

La presi con facilità per il fianco, senza dire una parola, trascinandomela appresso mentre la sorreggevo per avvicinarci alla finestra in fondo al corridoio. La spalancai e ce la misi vicino, mentre lei afferrava con entrambe le mani la balaustra e sporgeva il viso di fuori. Le spalle continuavano a muoversi incerte e ci appoggiai sopra un palmo per cercare di fermale Non volendo l'accarezzai per una buona decina di minuti fin quando non mi sembrò più calma.

"Tutto ok?" Mi sforzai di chiederle mentre si girava verso di me, dandomi la possibilità di accertare che era molto lontana dall'essere solamente ok.

"Chi te lo ha detto?" Ringhiai più incazzato di quanto mi costasse ammettere. La sentivo arrivare, la furia. Scavava sotto la pelle, urlava nei timpani, invadeva la vista.
Noel le aveva detto di non leggere e poi l'altra sera le aveva persino bloccato l'indirizzo del giornale. Impossibile che lo avesse cercato dal telefono di Cheryl e Ronnie, avevano ricevuto un chiaro ordine che gli vietava di parlarne.

Blake tirò fuori dalla tasca un foglietto stropicciato e me lo porse fra le mani. Sopra, con un pennarello rosso, era stato scritto frettolosamente un titolo abbozzato: "principessa del terrore." Quando lo aprii mi resi conto che non era altro che l'articolo che avevano scritto su di lei.

"Ce ne sono a migliaia, appesi per tutto il corridoio del terzo piano." Mormorò a bassa voce con lo sguardo perso al di la delle mie spalle.

"Ho capito." Lo strinsi tra le mani e me lo misi in tasca assieme alla lacrima che le avevo rubato pur rimanendo in un silenzio stoico che non lasciava trapelare nessuna emozione, non volevo che capisse che quella situazione infastidiva anche me perché non avrebbe dovuto farlo.

Decisi di andarmene, ma non feci nemmeno due passi perché la giacca era rimasta impigliata in qualcosa. Voltai di poco la testa per capire che erano le sue dita a stringere il tessuto blu notte tra le dita.

Che cazzo.

Acciuffai la stessa mano che mi impediva di proseguire e me la trascinai dietro senza fermarmi a riflettere. Rimanemmo in silenzio fin quando non fummo sull'androne di scale semi vuoto che portava al piano incriminato.

"Che hai fatto quando lo hai visto?" La interrogai, ma lei scosse la testa come se non volesse ricordare quel momento particolare. "Svegliati Blake, oppure ti lascio qui e te la vedi da sola." Sbottai.

"Ne ho preso uno e sono scesa di sotto." Si mordicchiò il labbro prima di continuare "non mi ha visto nessuno... se è quello che vuoi sapere."

Era esattamente quello che mi interessava, sanguinare nella vasca degli squali non era una mossa saggia e fortunatamente lei lo sapeva. Anche a mensa era rimasta composta e combattiva senza mostrare nessun punto di rottura, quando aveva colpito Penelope Bailol poi mi ricordò incredibilmente il fratello maggiore.

"Bene." Ammisi studiando l'entrata del corridoio "ora vai li e li stacchi. Tutti."

"L'ho gia fatto ripulire." Confessò a fior di labbra lasciandomi interdetto per qualche secondo.

Trattenni un sorriso. La bambina era sempre stata la mia allieva più brava.

Incuriosito alzai un sopracciglio "e da chi?" Escludevo Noel perché era con me, i gemelli non l'avrebbero aiutata, quindi rimanevano...

"Cole e Carter." Confermò quello che pensavo. Per quanto Nate fosse il suo gemello non era mai stato nella lista delle chiamate in caso di emergenza. Erano facce opposte della stessa medaglia, uno una leve brezza primaverile, l'altra vento di burrasca.

Puntai gli occhi su di lei e studiai l'espressione vuota a cui dava sfoggio, le tracce d'ansia perlomeno erano completamente sparite. Aveva indossato la maschera appena aveva messo piede nel posto dove la sua vulnerabilità sarebbe stata usata contro di lei.

"Allora vattene in classe" le dissi la cosa più sensata.

Sbigottita e sconsolata sospirò prima di allontanarsi di qualche passo per poi volare la testa di due quarti "grazie." Pronunciò come se le fosse costato un occhio della testa o un battito del cuore.

Privo di ogni buona logica la seguii in lontananza fino a che non la vidi sorpassare la classe di letteratura avanzata per dirigersi oltre la porta che dava sulla scalala antincendio.

Le avevo detto di andare in classe. Quindi perché diavolo non lo faceva?

A quel punto era troppo tardi, la stavo già seguendo e non potevo tornare indietro. Nemmeno quando sentii i singhiozzi pesanti dall'altra parte della parete.

Merda. Probabilmente mio fratello sarebbe stata la persona giusta per dirle qualcosa, una delle sue solite battutine irriverenti che ti irritavano a tal punto da farti scappare un sorriso.
Si, Noel era decisamente la persona da chiamare. E quello era davvero l'ultimo favore che le avrei fatto.

Cercai il numero e attesi che rispondesse, dopo due squilli sentii la sua voce sfottermi dall'altro lato della linea "già ti manco signorina?"

"Abbiamo un problema." Tagliai corto senza starci troppo a pensare.

Noel sbuffò e sentii dei suoni ovattati "strano, di che si tratta?"

"Blake ha scoperto dell'articolo, ora siamo al terzo piano, alle scale antincendio. Porta il culo qui, quando arrivi ti spiego meglio." Pronunciai in modo diretto sperando che si sbrigasse. Dalla porta i singhiozzi diventarono delle grida soffocate, poi dei tonfi.

"Cazzo... te la devi sbrigare da solo. Ho un test adesso. Se salto anche questo addio campionato." Mi maledissi per non essermi fatto gli affari miei e gli attaccai.

All'ennesimo tonfo spalancai la porta e mi trovai faccia a faccia con un tornado impazzito, ora capivo cosa fossero quei rumori acuti. La bambina aveva ammaccato l'estintore sbattendolo contro le grate delle scale. Si fermò non appena si rese conto di non essere da sola. Gli occhi vispi erano di nuovo arrossati e i capelli avevano acquistato vita propria tante erano le volte che ci aveva infilato le mani dentro per scaricare la tensione. Lo aveva sempre fatto e dubitavo che prima o poi avrebbe smesso.

Prima che le potessi dire qualcosa lasciò la presa sull'estintore che andò a sbattere sulle grate del pavimento producendo l'ennesimo suono metallico che riverbrò per tutta la scalinata.

"Ti avevo detto di andare in classe." Riuscii a dire mentre lei si ripuliva le guance con le dita piccoline.

La voce le usci debole ma tutta intera, alzò le spalle in un gesto innocente, prima di accasciarsi al pavimento ed appoggiare la schiena alla ringhiera. "Non ho detto che lo avrei fatto."

Almeno quello era vero. Mi chinai verso il basso poggiando un ginocchio per terra in modo tale da far scontare i nostri occhi, la guardai qualche secondo di troppo prima di parlarle. "Senti, quello che è successo fa schifo. Però non puoi farci niente adesso. Smettila di piangerti addosso e trova il modo di girarlo a tuo vantaggio."

"A mio vantaggio? Come può una cosa del genere giocarmi a favore!" Sbottò incredula con la voce al crocevia tra un'altra crisi di pianto e la rabbia pura.

"Confido che lo scoprirai da sola." Proclamai spostandomi accanto a lei nella stessa posizione. Appena il mio braccio sfiorò il suo mi trovai coinvolto in un'altra crisi di pianto.

C'era solo un dannatissimo modo per farla smettere e lo feci più per mettere fine alle mie sofferenze che alle sue. Le girai un braccio attorno al collo e la spinsi verso di me con delicatezza, fin quando non l'abbracciai del tutto, inghiottita completamente tra le mia braccia e il petto.

Il pianto prima crebbe, poi diminuì poco a poco. Fino a cessare del tutto. Quando appoggiai il mento sulla sua testa ebbi la conferma che il momento peggiore era stato sventato.

"Wolfe..."

"Non dire una parola, bambina. Questo non è successo."

Lei strofinò il naso delicato sul mio braccio, per poco non mi scansai come se fossi stato toccato da un oggetto velenoso. Al contrario me ne rimasi fermo immobile, pietrificato come la sera delle festa a casa di Jackson quando era stata lei ad abbracciarmi senza darmi nessun preavviso.

"Mi vergogno." Mi confidò a voce bassa un segreto di Pulcinella.

"Di un disturbo Post Traumatico?" Avanzai conoscendo già la risposta.

Lei annuì mentendo la testa infilata sotto il mio braccio, come faceva uno struzzo con la testa sotto la sabbia. Ecco la bambina era uno struzzo bellissimo, si riparava sotto la sabbia quando nessuno la vedeva, per diventare subito dopo un tempesta che avrebbe abbattuto chiunque sul suo cammino.

"Non devi. Hai cose di cui non andare fiera. Questa non dipende da te." Le dissi con estrema sincerità, non le avrei indorato la pillola. Nemmeno le avrei offerto protezione.

Lei sospirò mandando le mie certezze a farsi fottere una volta di troppo. "Io non so' cosa fare...a me servi tu Wolfe, non mi lasciare da sola. Non fare l'errore che ho fatto io."

"Succederà esattamente questo. Appena toglierai la testa dalla sabbia io andrò via." Sentenziai freddamente, avevo gia perso la mia decisione "proprio come hai fatto tu, quando ne avevo più bisogno."

Blake si staccò si scatto e scosse la testa verso l'alto, raddrizzando i lineamenti delicati, padroneggiando una ritrovata fierezza. Poi spostò gli occhi affilati su di me "hai commesso un tradimento anche tu."

"Il Fire non è argomento di tua competenza." Decretai sapendo dove voleva andare a parare.

"Eccome se lo è."

Sbattei la testa all'indietro contro la ringhiera di metallo. Sapevo perché fosse preoccupata, Tom e Dom non ci avevano fatto passare mesi tranquilli. La gente che veniva a vedere i combattimenti era diventata sempre più assetata di sangue, alcuni lottatori per incassare i soldi delle scommesse avevano iniziato a prendere droghe pesanti prima di salire sul quadrato, gli scommettitori sedavano i ragazzi contro cui avevano puntato.

Era un bel casino e per una ragazza della sua età non era stato facile da affrontare. Conviveva con la paura di perdere uno di noi.

Poi però le cose si erano sistemate.

Ed eravamo noi che avevamo perso lei.

Quindi vide che non rispondevo continuò per la sua strada "ci hai buttato dentro i gemelli."

"Blake ti ho detto che è sicuro adesso." La voce uscì fuori come un ringhio, odiavo il fatto che dovesse essere sempre così insistente "non li avrei mai messi in pericolo."

"Non dirmi di nuovo che sei tranquillo per via di Skippy perché non sono stupida e so benissimo che non è per questo."

Aveva ragione, le avrei dovuto confessare un altro segreto. L'ultimo, perché altrimenti ci avrebbe ficcato il naso e lo avrebbe scoperto da sola. La conoscevo abbastanza bene da sapere che in quel caso ci avrebbe infilati tutti in qualche guaio. "Lo gestisco io, per ora. Contenta?"

"Assolutamente no!" Sbottò, impastandosi le dita nei capelli "è illegale."

"Non lo è, nessuno viene obbligato o pestato troppo forte."

"Ci si guadagna sopra, Wolfe. Quindi è illegale." Mi corresse.

Si lo sapevo, ma io non ci guadagnavo assolutamente niente. Anche i soldi delle vincite li passavo tutti a Skippy, non lo facevo per quello. Però gestendo le cose avrei potuto prevenire situazioni come quelle che erano accadute in passato. Non mi misi a spiegarglielo, immaginavo che lo sapesse.

"Illegale o meno, non è un tradimento."

"Nulla di più e nulla di meno del mio." Borbottò accavallando le braccia fra loro.

Con quello avevamo toccato il fondo. Le due cose non si potevano nemmeno paragonare. Mi alzai da terra con un balzo e mi battei i palmi sui pantaloni.

"Dove te ne vai adesso? Stavamo parlando." Punteggiò lei infastidita, ma ancora seduta per terra.

"Io parlavo, tu vaneggiavi." Ci tenni a correggere il punto prima che potesse pensare di avere effettivamente ragione, poi continuai "datti una ripulita ed evita il cambio dell'ora. É l'unico consiglio che riceverai da parte mia."

Le scoccai un'occhiata da sopra la spalla prima di attraversare la porta "e alza le chiappe da terra, nessun verrà a darti una mano."

⭐️❤️‍🔥Angolo autrice: ⭐️❤️‍🔥

Grazie a tutti quelli che hanno letto fino ad ora, spero che con il punto di vista di Wolfe si capisca un po' meglio cosa ha provato quando Blake è andata via. Soprattutto perché fa fatica a perdonarla.

Voi cosa avreste fatto al posto loro?

⭐️❤️Se vi piace la storia supportatela con un commento oppure una stellina ⭐️❤️

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