XX. Restart

7 mesi dopo

Dom. 20 Marzo 2022

📍Gran Premio del Bahrain 

Ottantasette giri alle spalle, come fiamme che lo rincorrono fameliche. Non esiste niente di meno del massimo, deve dare tutto, ogni singolo grammo di se stesso, ogni goccia di sudore che sgorga all'interno del casco impregnando il tessuto del balaclava, inumidendo le ciglia madide come rugiada.

Oramai respira a fatica, come se orbitasse da due ore in una nuvola di anidride carbonica, e mentre inala l'aria rarefatta che sbatte contro la visiera si costringe a restare lucido.

Se tutti gli altri mettono in gioco cento, lui dovrà dare mille, perché dopo un anno di fermo è un vero e proprio miracolo che possa trovarsi ancora con le mani strette al volate di una monoposto.

E' cominciato tutto una mattina in cui la sveglia come sempre aveva deciso di lasciarlo dormire beatamente, o meglio, in cui Althea insofferente aveva preferito spegnerla anziché aspettare che trillasse più e più volte prima che lui si svegliasse.

Il suo cellulare aveva preso a squillare ripetutamente, e anche se lievemente disorientato si era tirato su dal loro letto per recuperarlo. Deve ancora abituarsi al fatto di essersi trasferito a casa di Althea, per cui adesso che il suo disordine e la snervante precisione della sua ragazza si scontrano ogni giorno si rivela sempre più difficile trovare gli oggetti laddove li ha lasciati.

Una volta trovato il telefono era rimasto tramortito dopo aver letto il nome che troneggiava sullo schermo, difatti si era autoinflitto diversi schiaffetti sul viso e pizzicotti sulle braccia prima di rispondere a Christian Horner.

«Posso reputarti una risorsa rinnovabile?» Aveva chiesto il team principal della RedBull Racing senza neppure dargli il buongiorno.

Daniel non aveva risposto per qualche istante, aveva bisogno di metabolizzare quella domanda. La sua gamba era guarita da un mese all'incirca, da quando Raul tutto soddisfatto per poco non lo aveva buttato fuori dalla clinica dicendogli che se avesse voluto un'altra scusa per vedere Althea tutti i giorni avrebbe dovuto sposarsela.

E ci era anche andato vicino, ma ogni volta sul punto chiederglielo finiva sempre per mordersi la lingua fermamente convinto di ricevere un no come risposta.

«Si!» Aveva sputato fuori di colpo, dopo interminabili secondi inzuppati nel silenzio più tombale.

«Hai un contratto provvisorio. Helmut ti da una gara di tempo, per me hai un mese, dimostrami di cosa sei capace» non una parola di più prima che mettesse definitivamente termine a quella chiamata.

Ed è così che Daniel Ricciardo si ritrova a percorrere in testa alle restanti diciannove monoposto la quindicesima curva del circuito di Sakhir, in Bahrain, ma non è ancora detta l'ultima, perché per quanto il traguardo possa sembrare vicino gli squali alle sue spalle riacquistano velocità più agguerriti che mai.

In fondo il campionato si combatte sin dalla prima gara, non c'è tempo per adagiarsi sugli allori, soprattutto per lui.

Il fatto è che correre significa vivere nella costante possibilità di non essere il migliore, d'altronde oltre che uno stile è una forma a sé stante di vita.

È per questo che ai piloti risuona ovattato il battito del loro cuore, sentirlo sarebbe un'ammissione di colpa, perché se riesce a superare la velocità della macchina allora si è spacciati.

Ma per Daniel e diverso, ai duecento all'ora subisce un vero e proprio mutamento, come un bruco che entra nel bozzolo e ne esce farfalla.

La persona docile e inoffensiva che tutti conoscono, quella su cui contano, assume una forma nuova, diversa, rimodellata a seconda delle curve del circuito.

È un processo inverso rispetto a quello che avviene nella mente di chiunque altro. Mentre chi gli sta intorno esplode, lui implode su sé stesso.

Quando Max è al volante perde totalmente i suoi margini, infrange ogni barriera, ogni grado di separazione, Daniel invece li recupera.

Il piede preme sull'acceleratore come se mirasse a sfondarlo, talmente affondo che quell'ultima scarica rimasta a disposizione schizza come una scheggia impazzita verso la bandiera a scacchi e nel giorno della redenzione, Daniel Ricciardo vince il gran premio del Bahrain, con Max Verstappen alle sue spalle a non lasciare mai neppure uno spiraglio agli avversari.

«Bentornato in casa RedBull, Honey Badger, ti stavamo aspettando» pronuncia la voce del suo ingegnere di pista che gli giunge lungo gli auricolari. Si abbandona ad un urlo liberatorio.

Ha finalmente ritrovato se stesso, e ora che il puzzle è completo, senza alcun tassello mancante, sente il cuore talmente pieno che non si sorprenderebbe di sentirlo esplodere nel petto.

Ha fatto ritorno in un regno di cui non è mai stato Re, ma che lo ha sempre considerato il suo più prode e fidato cavaliere.

Ha rimesso piede sull'asfalto che tante volte lo ha rifiutato, rigettato come fosse un organo non compatibile al suo organismo.

Non è tornato per dimostrare a chi l'ha cacciato che si sbagliava, non gli importa del team McLaren che in lontananza lo guarda come il suo più grande rimpianto. Lo ha fatto per ricordare a sé stesso e ad Althea che quando si cade per amore c'è sempre un modo di rialzarsi, non necessariamente fisicamente.

Viene giù dalla macchina con un balzo prima di arrampicarsi sull'halo e guardare il suo mondo dall'alto di chi può dire di aver vinto in tutto, ma di aver combattuto sporcandosi le mani della più atroce sofferenza prima di essere arrivato in cima.

Batte forte il pugno sul petto tre volte. 

Tre, come il suo numero, quello che lo accompagna dal giorno in cui ha messo piede in pista. 

Tre, come le cose su cui ha costruito mattone dopo mattone tutta la sua vita.

L'amore. La lealtà. La cura.

Le fondamenta che le impediranno di crollare, che hanno tenuto Althea legata a se, che anche nei momenti più bui, quelli più strazianti in cui entrambi non avrebbero voluto altro che scomparire, hanno impedito loro di lasciarsi andare, di continuare a stringersi le mani e tirarsi su prima di toccare il fondo.

Perché il fatto che Althea abbia scelto la vita per lui non comporta automaticamente la scomparsa delle sue angosce. E' un percorso lento e frastagliato, pieno di intemperie e peripezie, ma stanno imparando a percorrerlo insieme, fiano a fianco, con la consapevolezza che quado uno dei due sentirà le proprie pareti franare ci sarà l'altro lì a fianco, pronto a raccogliere i cocci.

Tre, come le parti in cui ha diviso il suo cuore.

Althea. Max. E solo in fine se stesso. 

Anche quello, in qualche modo, è uno dei suoi ostacoli. Non essere in grado di mettersi al primo posto, pensare sempre prima agli altri, anche a costo di rimetterci tutto. Perché Daniel non ha mai conosciuto l'egoismo.

E soprattutto, non è mai stato in grado di mettersi al di sopra dei suoi sentimenti, di regnare sul suo istinto. E' una parte di se che desidera rimodellare, non cambiare né eliminare, ed insieme ad Althea sta cominciando a riuscirci.

A piccoli passi, a partire dalle cose più basilari, come versarsi per primo il latte nella tazza a colazione. Singoli gesti mai fini a se stessi, nati con lo scopo di insegnargli che senza il suo benessere personale nessuno intorno a lui potrà mai essere felice.

Non si tratta solamente di condividere un tetto sopra la testa, di avere gli spazzolini nello stesso bicchiere o di dormire sotto le stesse lenzuola. Il loro è un modo di reinventare la vita, e il fatto che lui veda solo lei applaudire la sua vittoria mentre il mondo lo acclama non può che fargli pensare di aver vinto molto più che una semplice gara.

Non esita più neanche un momento, si precipita da lei e con l'irruenza di un uragano implacabile si tira via il casco lanciandolo al suolo per poi abbattersi contro le sue labbra. Le circonda il viso con le mani mischiando l'odore acre del sudore con il profumo delicato di Althea.

«Sei il mio campione» sussurra lei, mentre la folla si accalca tutta attorno circondandoli.

Loro però, è come se fossero soli, perché non conta nient'altro che potersi stringere ancora, senza pensare al tempo che corre via.

«Mi aspettavo che mi dicessi che avrei potuto fare di meglio» scherza Daniel, ridendo dell'espressione improvvisamente corrucciata di Althea.

«Magari di questo ne parliamo a casa, eh» finge un tono di rimprovero senza però riuscire a reprimere un sorriso enorme che le solca il viso.

«Io ho un'idea migliore» proferisce l'australiano, afferrandola per i fianchi e caricandola sulle proprie spalle mentre lei cerca vanamente di ribellarsi.

«Daniel, mettimi giù!» Strilla assestando una scarica di schiaffi sulle sue spalle massicce, ma lui sta già percorrendo la strada che porta al gradino più alto del podio.

Invertendo totalmente il rituale, Max Verstappen al secondo posto e Charles Leclerc al terzo li accolgono inondandoli di una pioggia di spumante Ferrari che impregna della sua schiuma la stoffa del vestito delicato di Althea.

Ormai ha smesso di dimenarsi e finalmente ride spensierata tra le braccia di Daniel che per darle una visuale migliore, e soprattutto per strappare alle telecamere quella del suo fondoschiena, la prende a mo' di sposa facendole fare un salto come se fosse una bambina dal peso di una piuma.

Tutto intorno a loro, i festeggiamenti, le congratulazioni, le pacche sulle spalle e persino i cori provenienti dalle tribune cominciano a dissolversi, a colare imperterriti lungo le pareti lisce costruite attorno alla loro realtà.

L'evoluzione della bolla, dove tutto intorno il mondo è in delirio ma entrambi percepiscono solo le parole dell'altro, il contatto tra le loro pelli, talmente amplificato da sovrastare ogni cosa.

E insieme a tutto il baccano che li circonda ma non li sfiora, anche Daniel e Althea sono parte di quella dissoluzione, in grado di creare uno scudo d'amore scalfibile solo dall'interno.

«Tu sei completamente pazzo» urla sovrastando ogni rumore.

Lui straborda in una fragorosa risata, «e tu mi ami per questo».

Al momento della premiazione Daniel non permette che il trofeo venga adagiato per terra, anzi fa cenno che lo consegnino direttamente ad Althea.

La ragazza, che fortunatamente mettendosi d'impegno ha riacquistato un po' di massa muscolare nelle braccia, lo solleva per lui, coniando quel gesto come un sigillo inespugnabile, quello che lega le vittorie di entrambi, guadagnate dopo montagne di sforzi e sacrifici.

La guarda con così tanta fierezza che non si sorprenderebbe di tossire improvvisamente il cuore e sputarlo al suolo. Tanto, si dice, ne avrebbe comunque un altro di riserva dato il modo in cui Althea vi si è sostituita.

È come se non fosse cambiato assolutamente nulla dal primo giorno in cui si sono incontrati, eppure niente è rimasto uguale.

Perché ora Althea è in grado di sorridere di pancia, sincera, e i suoi occhi di caleidoscopio brillano come tutte le stelle del firmamento, e sarebbe un eufemismo paragonarli a quella che incastonata nel cielo porta il suo nome.

E' in grado di ridere come le è sempre piaciuto fare, in quella maniera di cui per troppo tempo si era privata. 

E seppur Daniel abbia ripreso a correre in pista, non sente più il bisogno di accelerare nella vita, perché finalmente possiede una certezza: che fin quando entrambi avranno cura dei frammenti di cristallo che giorno dopo giorno si prodigano nuovamente ad assemblare non sarà più costretto a tirare quella corda che un tempo la teneva in bilico.

Ogni volta che ci pensa sente le tempie leggere, come se venisse di colpo sollevato da una nuvola, ne assumesse il peso, le sembianze, e una volta assorbiti tutti i temporali di Althea fosse in grado di scaricarli senza problemi, strappandoli a lei e a se stesso.

È la felicità, quella sudata, quella meritata, che si dirama lungo ramificazioni di vene e arterie che si intrecciano da corpi distinti, ma mescolati come un unico composto inscindibile.

E Althea, sommersa dagli schizzi di spumante che le giungono dagli altri due piloti sul podio, sente di non averne mai provata così tanta dal suo ultimo volteggio.

Ed è tutto merito di Daniel.

La sua assenza è come una sincope tra la vita e la morte, ed è proprio questo a rendere l'amore che li lega un'arma a doppio taglio, che forse un giorno le insegnerà a bastare di nuovo a se stessa, ma fino ad allora Daniel sarà capace di insidiarsi anche nell'aria che respira pur di fargliene riscoprire il piacere. 

Daniel è in grado di accartocciare il dolore e renderlo poltiglia. È l'antidoto di Althea, l'unico abile a districare i nodi fitti che intralciano il sentiero che porta al suo cuore.

È tutto ciò di cui ha sempre sentito la mancanza, anche prima che lo conoscesse.

Il tassello mancante, il vuoto da riempire all'interno di quel buco nero che è la sua anima, in grado di risucchiare qualunque cosa non si riveli abbastanza forte da resistere ai suoi tormenti.

Daniel è quella parte di sé che non era riuscita a scovare neppure in Tecla, perché una sorella, nel bene o nel male che sia, non le avrebbe mai voltato le spalle per aprirle gli occhi su cosa la sua scelta avrebbe comportato.

Una sorella, nonostante lo strazio e l'afflizione, avrebbe pianto sulla sua spalla proprio come ha fatto Tecla, ma non l'avrebbe mai messa di fronte ad una scelta.

L'amore sì però, perché l'amore è un'altra cosa, e a volte per amore è necessario fare delle scelte, non importa che siano giuste o sbagliate. E Daniel, pur ferendo sia lei che se stesso, è stato capace di lasciarla libera di decidere di passare ogni istante della vita che le rimane insieme a lui.

Perché sotto molti punti di vista, un qualsiasi spettatore avrebbe potuto dipingere il comportamento dell'australiano come un modo per chiuderla nuovamente nella sua prigione di agonia, ma la giovane donna che quel pomeriggio di fine agosto si è recata alla DIGNITAS non vive più nel corpo di colei che issa il trofeo del Gran Premio del Bahrain.

È nuova. Fatta a pezzi, distrutta, disintegrata. Ricostruita.

È Althea che ha imparato a non provare ribrezzo verso il suo riflesso nello specchio.

È Althea dalle mani soffici, candide, prive di graffi e lontane dal ricordo del sangue che brucia sulla pelle.

È Althea a cui non dispiace un abbraccio, un bacio improvviso o anche solo una carezza.

È Althea che si sente donna, bella e quasi sopportabile. - Colui che la tiene in braccio ribadirebbe il quasi -.

È sempre puntigliosa, estremamente precisa, superba e bacchettona, ma ha imparato che a volte è bene distendere i nervi e lasciarsi andare.

È la versione migliore di sé, forse non quella che avrebbe più successo, ma sicuramente quella più felice, riflessa negli occhi color nocciola di colui che le ha ridato la vita.

Non appena Daniel si appresta a metterla giù, adagiandola sul podio, Althea crede che sia semplicemente per una questione di stanchezza, difatti inizialmente non presta particolare attenzione alla permanenza decisamente troppo lunga delle ginocchia di Daniel sul pavimento sotto al podio.

Si rende conto troppo tardi che quella posizione brama il suo sguardo, la sua attenzione. La sta aspettando.

«Forse è un po' presto, lo so, in fondo non ci conosciamo da neanche un anno, ma questa non è un proposta imminente, non si tratta di uno dei nostri il prima possibile, non corre, non va di fretta perché sa già in partenza che non perderà» ed è un azzardo bello e buono quello che sta compiendo, ma se davvero i momenti giusti non esistono allora il suo è il modo perfetto per far sì che quello divenga il migliore. «E' fatta per rimanere catalizzata nel tempo, per essere ciò a cui potremo aggrapparci quando sentiremo la fune cedere, un appiglio a cui reggerci quando la terra sembrerà collassare sotto di noi».

E Althea non può che ripensare alle sue parole quel pomeriggio di fronte alla porta che avrebbe dovuto attraversare per abbandonare la vita, quando lui le disse che forse il suo non era amore, perché l'amore lascia liberi e lui avrebbe fatto di tutto per tenerla incatenata a sé. 

Ora però, di fronte a quel bambinone inginocchiato ai suoi piedi mentre lei si regge a stento lì seduta, riesce solo a pensare che non esista forma di amore e libertà tanto immensa come quella che lui le sta mettendo tra le mani.

Inossidabile.

«E' un promessa, alla quale potremo stringerci quando ci sentiremo lontani, che ci terrà uniti senza spingere, senza intimarci di far presto come se qualcuno stesse dando fuoco alla strada dietro i nostri talloni» è quello il modo in cui Daniel ha imparato a prendersi cura di Althea, a sfrecciare a duecento all'ora dandole sempre l'impressione di star passeggiando lentamente.

Adesso tutti i riflettori sono ancor più puntati su di loro, il silenzio cade come il tonfo di un albero caduto in mezzo a una foresta, e Althea si sente unica con Daniel fossilizzato dentro le sue ossa, perché nessuno mai sarebbe in grado di comprendere quanto possa significare ogni sillaba fuoriuscita dalla sua bocca.

«Mio padre una volta mi disse che l'amore fatto di fretta non porta mai a niente di buono. Quando hai vent'anni pensando ad una frase del genere non puoi che ricordarti di mettere il preservativo, quando ne hai trenta ti rendi conto che non ha niente a che fare col corpo». Una risata generale provoca un brusio per un frangente.

E' una delle tante e innate capacità di Daniel, generare spensieratezza anche nei momenti meno opportuni, in quelli più importanti o che richiedono un minimo di serietà. E' tra le cose che Althea preferisce di lui, compensa con la sua leggerezza il peso insormontabile della nuvola di pensieri che le offusca la mente. 

«E ogni volta che ci penso mi viene da ridere, perché potrei dire che io volevo correre e tu invece ci sei sempre andata con i piedi di piombo, ma viste le condizioni in cui ci siamo conosciuti sembrerebbe più che altro una barzelletta» a quel punto non resiste, scoppia a ridere anche lei perdendo per poco quell'equilibrio precario che le impedisce di scivolare per terra.

L'australiano sembra fare mente locale mentre tutti sono in attesa di un proseguimento del suo monologo. E' così ogni volta, fa Althea tra se e se, non riesce a concentrarsi sulla stessa cosa per più di due minuti. «Non pensare che non mi accorga di quanto ti innervosisci quando comincio a divagare come adesso, lo faccio proprio apposta» le rivolge un occhiolino, recuperando terreno, «ma il punto è che abbiamo vissuto ogni giorno di quei primi tre mesi come fosse l'ultimo, perché sapevamo che ogni secondo sprecato sarebbe stato risucchiato via dall'Universo, e che nessuno ce lo avrebbe più restituito».

Con più enfasi si protende verso di lei nonostante non possa prenderle le mani tra le sue. «Il punto è, Alfea, che adesso voglio vivere il nostro amore con calma, recuperare tutti quei piccoli gesti che fremendo per macinarne di enormi mi sono perso. Voglio strapparti un sorriso ogni giorno e riempirmi il cuore della consapevolezza che domani potrò farlo di nuovo, e dopodomani ancora».

Il cuore di Althea è un'intera orchestra composta solo da percussioni, rulla senza sosta, senza tregua, lo sente chiedere pietà ma Daniel non ha intenzione di concedergliela, e lei sente che finalmente è arrivata l'ora di mettere da parte la ragione, di smettere di tenere le emozioni chiuse sottochiave, e di godersi tutto a pieno. Sente di meritarlo.

«Ed è per questo, che di fronte ad un migliaio di persone che parlano una lingua incomprensibile e probabilmente non hanno capito una virgola di quanto ho detto, ti chiedo di sposarmi. Non oggi, neppure domani, quando sarai pronta, quando ti sentirai libera di svegliarti una mattina, scontrosa come sempre e dirmi: andiamo a sposarci nella prima chiesa che troviamo, imbecille».

Gli occhi di Daniel luccicano a tal punto che paiono ricoperti di una polvere d'oro, ma si allarmano udendo la risposta che giunge dall'altra parte.

«Ti sbagli» proferisce soltanto, lasciando tutti di stucco, con il fiato sospeso. «Ti chiamerei cretino, non imbecille» ride, e Daniel si sgonfia dalla tensione come una mongolfiera privata del gas proveniente dalla sua fiamma.

Il suo volto assume un'espressione di sollievo prima di stringerla d'impeto tra le sue braccia. La bacia e poi l'abbraccia forte, mentre lei tiene la testa ben incastrata nell'incavo tra la spalla e il collo. Il suo posto.

«Lo prendo come un sì» sfocia nel sorriso più grande che Althea abbia mai visto.

Daniel ha lo stesso sorriso di sua madre; quando un mese prima avevano fatto le valigie per l'Australia Althea era tesa come una corda di violino. Immaginava naturalmente che lui avesse parlato di lei alla sua famiglia, ma avrebbe sfidato chiunque a non mostrare quantomeno un minimo di sgomento venendo a conoscenza del fatto che il proprio primo genito sta insieme ad una ragazza in sedia a rotelle.

Prima di varcare la soglia della villetta di Perth che vantava il cognome Ricciardo sul campanello aveva cominciato a sudare freddo. La sua preoccupazione non era fare buona impressione, temeva che una brutta reazione di suoi genitori avrebbe messo di malumore Daniel, o peggio, lo avrebbe indotto a litigare con loro.

Vivere in una famiglia divisa comporta questo genere di conseguenze, pensare sempre di poter essere il motivo per cui quella di un altro potrebbe distruggersi.

Nel momento in cui, oltrepassato il portico si era trovata di fronte Grace, la madre di Daniel, e l'aveva osservata attentamente, si era resa conto che tutte le sue ansie erano state vane, e che non aveva alcun motivo per cui lasciarsi sobbarcare dai patemi.

Era la sua versione femminile. Più il suo sguardo vagava da lei a Daniel più ogni dettaglio le pareva somigliante in una maniera deliziosa, capace di stregarla. Gli occhi scuri e profondi, le arcate di denti grandi e stretti, la forma del naso prominente, la curva degli zigomi che in Grace era leggermente più addolcita.

L'aveva guardata come sua madre non aveva mai fatto. Come una persona, con un cuore, una mente, dei sentimenti, e non solo delle gambe per prendere la rincorsa e saltare. A Grace delle sue gambe non era importato proprio nulla, perché le si era gettata tra le braccia come se la conoscesse da una vita. 

«Benvenuta in famiglia» le aveva detto, e finalmente Althea si era sentita davvero parte di qualcosa al di fuori di Tecla. L'aveva pensata durante ogni istante di quell'abbraccio, avrebbe voluto avere lì la sua metà, per poterle offrire anche solo una briciola dell'amore che quelle persone erano in grado di dare, solo per rivedere i suoi occhi splendere come un tempo.

Di fianco a Grace, Joe Ricciardo osservava suo figlio con fierezza, come se avesse portato con sé il trofeo più bello che potesse mai vincere, chiunque avrebbe potuto percepire l'orgoglio nei suoi occhi mentre li scrutava. Poi, senza ulteriori indugi si era presentato stringendole calorosamente la mano per poi invitare entrambi a seguirlo vicino al barbecue allestito nel giardino sul retro.

Diversi minuti più tardi, un racconto sulle bizzarrie dell'infanzia di Daniel era stato interrotto dallo spalancarsi del cancelletto che aveva il compito di tenere chiusa la staccionata. Una giovane donna che dimostrava di certo meno dei suoi anni avanzava tenendo stretta la manina di un bambino biondo nella sua. La chioma folta e riccia le copriva in parte il viso, ma l'abbigliamento non dava spazio all'immaginazione.

Una gonna verde fluo le cingeva le cosce fin sopra il ginocchio e un agghiacciante poncio a righe fucsia ed arancioni le ricadeva informe sul busto, eppure persino quell'accozzaglia di colori stravaganti donava sulla sua pelle ambrata ornata da una quantità eccessiva di bracciali tentennanti.

Non poteva che essere Michelle. E la conferma di certo stava nel piccoletto che diversi centimetri più in basso di lei si divertiva a farla inciampare nelle sue stesse zeppe di sughero.

«Vi prego non ditemi che sono arrivata dopo di-» si era interrotta non appena aveva finalmente sollevato il capo, «Oh mio dio, Danny!» In un singolo scatto gli si era mollata addosso e una risata limpida come quella di Daniel aveva inondato ogni atomo di ossigeno quando lui l'aveva sollevata girando su se stesso.

Tentando di ricomporsi quella zazzera di capelli alla bell'e meglio un istante dopo aveva abbracciato anche Althea, «Sono Michelle, e lui e Isaac» si era presentata indicando poi il bimbo già arrampicato tra le braccia dello zio.

Daniel si era chinato su di lei, e il piccolo le aveva offerto il suo mignolo da stringere. Quando lo aveva fatto si era sentita a casa, così tanto che neanche tutti i mesi di gelo passati sarebbero potuti essere lontanamente paragonabili al calore di quel momento.

Perché Daniel è casa, tutto ciò che lo riguarda lo è, perché la fa sentire amata.

Perché non ha trasformato il suo inferno in paradiso, si è buttato a capofitto tra le fiamme disposto a convivere con i suoi demoni. Non l'ha tirata fuori di peso, per costrizione, le ha offerto la mano nonostante tutti i suoi rifiuti e gradino dopo gradino la sta aiutando in quella lenta e tortuosa salita verso l'uscita.

Perché il loro è un amore urlato sottovoce.

E' il frutto delle ceneri delle mille stelle infrante del cielo.

Così forte da far paura.

E' l'amore che le ha salvato la vita.

Che dire, siamo arrivati alla fine. Ancora non ci credo.

Ci vediamo nei ringraziamenti, faremo insieme chiarezza sui personaggi, parleremo di progetti futuri.

Voglio solo dirvi che siete stati fantastici.

Vi amo.

💙

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