XII. Be Alright

«Almeno con questo mi farai mettere piede fuori dalla porta?» Le chiede ad alta voce così che possa sentirlo anche oltre la porta della camera da letto mentre finisce di chiudersi la giacca.

«Se è come i precedenti scordatelo» risponde lei a tono, anche piuttosto scocciata.

Tecla probabilmente li starà già aspettando in chiesa, agghindata nel suo abito bianco a contemplare il passo enorme che sta per compiere verso una nuova vita che aveva immaginato totalmente diversa. E' il giorno del suo matrimonio e come se non bastasse, i suoi testimoni sono tremendamente in ritardo, esclusivamente per colpa di Daniel.

E' già il terzo completo elegante che prova, entrando e uscendo dalla stanza di Althea, uno più improponibile dell'altro, a partire dal leopardato al velluto color melenzana con rifiniture di pizzo nero, per arrivare alle fantasie pop art. 

Crede che se verrà fuori da quella porta con un altro obbrobrio simile ci andrà da sola a quel matrimonio, è già sufficiente l'angoscia di dover assistere al rito che unirà per il resto della vita sua sorella e quell'insipido broccolo ingessato.

«Credo che ti sorprenderò» proclama prima di sgusciare fuori dalla camera, e in un certo senso lo fa per davvero.

Non è sobrio, per Daniel quella parola è quanto di più simile ad un'imprecazione, e Althea ha imparato ad accettarlo, ad amare anche le sue bizzarrie, quelle più decorose quantomeno. Deve ammettere che, fasciato da quel completo nero che vanta una distesa di rose dai toni del blu elettrico come fossero state dipinte a mano sul tessuto, è di un'atipica bellezza mozzafiato.

Perché Daniel è un po' una tavolozza di colori, si presenta come un'immagine armoniosa e ordinata per i primi due secondi per poi precipitare in un disastro d'arte astratta. E ad Althea piace così, perché sull'ordine, o meglio, sull'equilibrio, ha costruito mattone dopo mattone tutta la sua vita, e il modo in cui Daniel è riuscito a scombussolare tutto le fa provare sulla pelle la piacevole sensazione di essere imprigionata in un sogno da cui non desidera svegliarsi.

Perché Daniel è in grado di farle dimenticare delle sue gambe punte dal fuso del sonno eterno, di farle sfiorare le nuvole come in un salto di diecimila metri dalla terra al cielo. E nonostante desideri scoppiare a ridere della maniera in cui l'australiano si pavoneggia lisciando il tessuto del suo completo con le mani, non riesce a non immaginare il momento in cui sarà da solo e toccherà il fondo su cui lei giace da tempo.

Un'espressione attonita però cade come come un velo sul volto di Daniel che il ragazzo lascia sciogliere sotto le sue palpebre in un battito di ciglia. Finalmente può vedere Althea con il suo vestito indosso. 

Le parole gli muoiono in bocca, non appena si trova di fronte alla visione del rosso fuoco che accende la sua pelle. Il corsetto sembra essere stato cucito su misura da fili d'oro sul suo busto, mettendo di poco in evidenza il seno grazie allo scollo a cuore, e le maniche che fungono anche da una sorta di stola ricadono morbide sulle sue braccia lasciando le spalle scoperte.  La fibbia del cinturino che le segna la vita è la rappresentazione dorata di una gardenia, che lascia poi spazio alla gonna ampia che si mozza sulla caviglia. 

E' estremamente semplice, ma neanche il più sfarzoso e vistoso abito al mondo le avrebbe donato più di quello. Perché Althea è un mare di fili intrecciati, aggrovigliati fino a formare un ricamo caotico, uno di quelli che nessuno comprende ma da cui sono inevitabilmente attratti, per questo motivo, pur indossando un'abito liscio, ornato dal nulla se non da se stessa, non passerebbe inosservata neppure se andasse a nascondersi.

E ancor più affascinanti appaiono le cicatrici lungo i suoi polsi, lasciate scoperte anche se ormai rosate dal tempo come fossero graffi che il suo corpo sfoggerà per sempre come quello di Daniel fa con i suoi tatuaggi.

Manca qualcosa però, qualcosa che completi il tutto, e allora, si dice Daniel, forse è il momento di darle il suo regalo, quello che negli ultimi giorni ha conservato gelosamente in attesa del momento giusto.

Anche se in realtà Daniel non ci ha mai creduto ai momenti giusti, forse è quello uno dei motivi principali dei suoi costanti ritardi. Non ha mai creduto che esistesse un momento giusto per fare le cose, per scoprirle, per amarle, e il fatto che abbia dovuto raggiungere l'età dei trentadue anni per scoprire cosa sia l'amore vero ne è la conferma.

Dopo Tokyo, ogni cosa le ricorda lei, i profumi che investono i suoi sensi per strada, i rumori che per le strade di Monaco si alternano in un costante crescendo e diminuendo. Un po' come loro due quando tutto sembra andare a gonfie vele e poi, come sempre, insorge l'ennesima catastrofe.

Pochi giorni prima, i suoi occhi avevano incontrato il bagliore di una pietra rossa che non aveva potuto evitare di immaginare ad impreziosire il suo collo.

Fruga nella tasca sul retro dei pantaloni, per poi tirare fuori una graziosa scatolina alla visione della quale Althea sgrana gli occhi a tal punto da suscitare una fragorosa risata da parte di Daniel.

«Non ci sposiamo, tranquilla. Non ancora almeno» vorrebbe mordersi la lingua quando si rende conto di aver pronunciato quelle parole ad alta voce. Le guance di lei però, che si colorano scarlatte in tinta con il suo abito fanno sì che il battito esagerato del suo cuore si plachi.

E Althea desidera davvero riuscire a chiudere in quella scatolina la volontà di lasciar precipitare la sua vita come bufere di neve che si abbattono sull'asfalto, provare anche solo ad ammirare attraverso gli occhi di Daniel un futuro diverso da quello che progetta da mesi, eppure, con l'amaro in bocca, non ne è in grado.

Le dita possenti e callose di Daniel sfilano il coperchio dalla confezione mostrando alla vista di Althea una catenina a tre giri, il primo semplice che lascia padroneggiare il luccichio dell'oro, mentre gli altri due vantano l'uno l'elegante fulgidezza di un diamante e l'altro, quello centrale, il gemmeo rosso di un rubino.

Fino ad allora a prendere il posto al centro del suo petto c'è sempre stata l'ametista di Tecla e quella mattina sfilarla dal suo collo le è parso un peccato vero e proprio. Ricorda ancora come non fosse passato un solo secondo il momento in cui si sono fatte quel regalo.

Era il giorno prima di una gara, erano sempre state l'una il portafortuna dell'altra, e quando lo zaffiro blu e l'ametista viola avevano sfiorato i loro polpastrelli era stato come toccarsi per la prima volta. Per questo motivo il fatto che Tecla avesse dimenticato la sua collana a casa sua l'aveva ferita tanto, rimasta però all'oscuro del fatto che la gemella lo avesse fatto di proposito, e che quella di Althea brilli in realtà sopra al suo petto, ben coperta dalle pudiche scollature dei suoi completi da lavoro.

Scambiarsi, trovarsi l'una a pochi centimetri dal cuore dell'altra anche lontane centinaia di kilometri, era quello lo scopo di Tecla, far sapere ad Althea che sarebbe bastato indossare quel ciondolo per averla lì con se. E in fondo, il significato del gesto di Daniel è quello, lasciarle un pezzo di se che le ricordi eternamente loro due, fino al suo ultimo giorno, quello che l'australiano non crede essere così vicino.

Estrae la catenina dal piccolo cuscino rettangolare sui toni del blu indigo e si posiziona dietro di lei. Sospira ringraziando l'ampiezza del corridoio per avergli fatto evitare una delle sue figuracce, tipo rimanere incagliato ai freni di Althea e strappare i pantaloni.

Con delicatezza sposta le soffici onde di lei - quel giorno notevolmente più vivaci - sulla spalla sinitra, per poi lasciar scorrere il gioiello di fronte ai suoi occhi e adagiarlo sulla sua pelle che al tocco freddo di esso rabbrividisce piacevolmente.

Con maestria chiude il gancetto dietro la sua nuca mentre lentamente si china per baciare i suoi brividi al sapore di perle di fiume. E quando il calore delle sue labbra incontra il ghiaccio di Althea, entrambi si bruciano, l'una con la consapevolezza che finirà presto, l'altro stretto alla speranza che possa durare per sempre.

Ad Althea trema il cuore come se qualcuno dentro di lei lo stringesse tra le mani e cominciasse a scuoterlo forte, quasi fosse una salvadanaio. E quando Daniel afferra due lembi del lenzuolo che copre lo specchio a figura intera di fianco a loro teme che quelle mani diano l'ultimo slancio al salvadanaio perché vada una volta per tutte in mille pezzi.

Ingoia un pugno di schegge di vetro non appena abbassa lo sguardo ed intravede uno spicchio di riflesso in cui fa capolino un suo piede adagiato sul pedale della sedia mentre lei si tiene a distanza di sicurezza. È in quel momento che la vecchia sè comincia a scomparire, ad essere risucchiata dall'ingombrante presenza di quella nuova.

Nel panico che le da lo slancio per tirarsi indietro, farsi ancora più lontana, viene bloccata dalle braccia di Daniel che la avvolgono come bende a cicatrizzare le ferite.

La tira a sé, in piedi, anche se le suole dei suoi eleganti sandali non toccano propriamente a terra visti i centimetri non indifferenti che lei e Daniel si spartiscono.

Solamente il suo tocco è in grado di tranquillizzarla, perché la destabilizza, la trascina di peso in una dimensione in cui non esiste nient'altro che loro, in cui niente sembra poter interferire tra quanto si donano e quanto si tolgono a vicenda.

Tra quanto Daniel aggiunge e Althea sottrae.

Galleggiano nella loro bolla, e seppur basti il più sottile degli spilli a farla scoppiare in quel momento li protegge meglio delle mura di una torre costruita attorno ai loro corpi.

La fa girare delicatamente su se stessa lasciando che la sua schiena scoperta aderisca al suo petto mentre il desiderio che il tessuto della camicia scompaia si fa un po' più intenso. E Althea incontra se stessa, per la prima volta dopo quasi un anno, la forma della sua vita, dei suoi fianchi, sempre lasciati andare fiacchi sulla sedia a rotelle, adesso avranno una circonferenza che misura la metà rispetto a quando faceva la ginnasta. 

Incontra i suoi occhi, mai li aveva visti tanto spenti, incontra il suo volto, scarno, pallido, ricorda quello di un cadavere. Incontra la se stessa che fino ad allora aveva tenuto chiusa a chiave in quella trappola mortale che è la sua mente.

E nonostante provi la sensazione di sprofondare nel più buio degli abissi non appena rivolge lo sguardo alle sue gambe coperte dal vestito, c'è qualcosa in tutta quell'accozzaglia di dettagli che tracciano la soglia del tempo che passa e del dolore che resta, che la fa sentire bella. Vorrebbe poter ringraziare il vestito o l'acconciatura, il trucco o i gioielli, ma la verità che ciò che la rende stupenda di fronte quello specchio sono le braccia di Daniel che la sorreggono.

Quella lastra di vetro apparentemente innocua è un'arma a doppio taglio, sulla quale alla velocità della luce scorrono tutti i ricordi, i loro ricordi. Il primo incontro, il primo caffè insieme, la prima litigata tra Althea e Max, il primo ritardo di Daniel con lei e il loro primo vero appuntamento, il loro primo litigio, la prima volta che Daniel ha toccato con mano i desideri suicidi di Althea, il loro primo viaggio insieme, il primo bacio, la prima volta.

Sta tutta lì, la sua bellezza, nella cura di Daniel, nel fare in modo che la loro bolla possa indebolirsi ma mai scoppiare, almeno fino a quando lo spillo non sarà tra le dita di Althea.

I suoi demoni bussano alla porta, li sente fare irruzione dentro di se come una caotica processione, una rivolta con tanto di fiaccole e forconi. Quella scena la sta uccidendo, il modo in cui lui sorride premuroso e si sforza di mantenere l'equilibrio di entrambi, però non dovrebbe far altro che voltarsi - se solo ci riuscisse da sola - e ringraziarlo perché senza di lui non avrebbe mai trovato il coraggio di guardare in faccia la nuova se stessa, e rendersi conto che quella vecchia era ormai sparita da tempo, scivolata via dallo specchio, come se le ferite del tempo l'avessero disciolta in un mare di sangue che adesso è in tempesta alla bocca del suo stomaco.

Sommergerà anche lui prima o poi, per quanto lei abbia tentato di allontanarlo, di proteggerlo, ormai non ha più scampo.

Perché se Max è resilienza circondato dalla sua corazza di cemento armato, Daniel è fragilità che si cela dietro al più raggiante dei sorrisi. E non è necessario neanche un attimo perché un onda anomala lo spazzi via, perché è quella la sua vera forza, prendersi la libertà di essere vulnerabile, anche senza darlo a vedere.

Ha avuto la tenacia e il coraggio di starle accanto per tutto quel tempo, ma Althea lo sa, è umano anche lui, e prima o poi verrà giù come frane su di lei e nessuno mai potrà dargli torto.

Althea non è una persona facile con cui stare, e ciò non si limita alla sua disabilità: è lunatica, recidiva, puntigliosa e precisa ai limiti dell'insopportabile. Non si risparmia mai, ha sempre una battuta pungente custodita sotto quella lingua biforcuta, e tante volte Daniel teme che non sia in grado di apprezzare tutti i suoi gesti.

La verità è che Althea in quei mesi ha dato il peggio di se, ha fatto in modo che Daniel sentisse il desiderio di allontanarsi, di mandarla a quel paese e fuggire via lontano. Era l'unico modo per proteggerlo, ma lui, come sempre, non si è arreso. E allora lo ha fatto lei, perché a volte per amore si può essere egoisti, perché più tentava di respingerlo più lo desiderava stretto a se.

«Siamo in ritardo, è ora di andare» sussurra dolce al suo orecchio per poi aiutarla a rimettersi seduta.

Dopo aver discusso circa una decina di volte in macchina per colpa della guida troppo spericolata di Daniel con Nari sui sedili posteriori che li pregava di trovare un compromesso prima di andarsi a schiantare contro un muro, finalmente la McLaren dai toni cobalto accosta di fronte alla cappella nella quale si terrà il matrimonio.

In quel momento non importa quanto magico appaia quel posto, quanto meravigliosi siano i colori che in cascate di fiori abbelliscono l'esterno della cappella, il tappeto rosso o le vetrate gotiche che danno al tutto un effetto sfiziosamente retrò. In quel momento ad Althea importa di Tecla, seduta su una panchina poco lontana da lì, vestita da sposa e con la testa tra le mani a singhiozzare.

Ciò che la sorprende quando Daniel la aiuta a scendere dall'auto è l'imperturbabilità degli invitati, fasciati da vestiti eleganti, che sembrano trovarsi ad un raffinato brunch, non ad un matrimonio con la sposa in lacrime.

La raggiunge il più velocemente possibile con in serbo i peggiori insulti verso quello che in teoria sarebbe dovuto diventare il suo futuro marito.

Si piazza di fronte a lei e poggia una mano sulla sua spalla, come a volerle dire "sono qui, adesso sei completa". In fondo però, immagina che ormai da anni, Tecla non senta più il bisogno di averla a fianco per sentire tutti i pezzi al loro posto.

Non ha idea di quanto si sbaglia.

Perché quando il suo doppione alza lo sguardo arrossato dalle lacrime, sente di non essere mai stata sola in vita sua, perché in un modo o nell'altro nei momenti peggiori, anche a centinaia di chilometri di distanza, Althea trova sempre il modo di starle accanto, anche se non fisicamente.

«Mi spieghi che è successo, non si è presentato?» Le chiede, e solo allora la gemella si accorge di quanto sia bella, avvolta in quell'abito rosso. Bella quasi quanto lo era prima di una gara, raggiante e determinata.

«Chi, Victor? No, lui è sull'altare dalle sette di stamattina» chiarisce mettendo a tacere gli istinti omicidi e anche un po' il sollievo dell'altra. «Mamma e papà, non hanno mandato neanche un bigliettino per avvisare. Ti rendi conto? Mi sposo e non ho neppure qualcuno che mi accompagni all'altare». Si asciuga distrattamente una lacrima che le riga il volto.

Il rapporto con i genitori è sempre stato complicato per entrambe, ma Tecla non si sarebbe mai aspettata che non si sarebbero presentati al suo matrimonio. Althea però si, perché sa fin dove sono in grado di spingersi.

«Ce l'hai. Certo, potrei spiegazzare un po' il tappeto rosso ma sempre meglio di niente, no?» Fa spallucce forzandosi di sorriderle per restituirle la forza e la gioia che merita di avere nel giorno più importante della sua vita.

«Lo faresti davvero?» Si drizza sulla schiena dando piena vista del corpetto che le fascia il busto, interamente ricamato con un motivo tanto delicato da dare l'impressione che glielo abbiano dipinto addosso, prima di dar vita alla gonna ampia che sembra plasmarla a immagine e somiglianza di una principessa.

Se non da bambine, Althea non ha mai visto indossare a Tecla altri colori diversi dal nero, persino i body, anche quelli erano neri, al massimo blu scuro o qualche accessorio scarlatto nelle occasioni speciali. Adesso è così strano vederla vestita interamente di bianco, senza quel matitone scuro sotto gli occhi o il suo amato rossetto color prugna.

Sembra un'altra persona, sembra Althea, più di quanto non abbia mai fatto nonostante siano in tutto e per tutto identiche. E a Daniel da lontano basta uno sguardo per doversi sforzare di trattenere le lacrime insieme a Nari che si tiene stretta a lui a braccetto per via dell'erba sulla quale le risulta difficoltoso camminare con le sue scarpine dal tacco modesto.

«Sono o non sono la più piccola parte di te?» Althea avvolge le mani di Tecla con le sue e si stringono forte, come solo il loro profondo e viscerale amore sa essere.

La seconda, fregandosene di scompigliarsi l'acconciatura o di spostare la coroncina che mantiene in velo saldo sulla sua testa poggia la fronte contro la sua.

«Sei la più grande, per sempre» sussurra. Rimangono ferme in quella posizione per qualche istante che però sembra prolungarsi per un tempo interminabile. Nel momento in cui si staccano nessuna delle due sarebbe in grado di quantificarlo, tutto ciò che sanno è che sarà eterno.

«Adesso andiamo, che riesci ad essere tanto smielata da sballarmi la glicemia».

Ridono entrambe, insieme come sono sempre state, insieme come sono nate, e anche se mano nella mano accompagnano l'altra verso l'ultimo destino che avrebbero mai immaginato, sono felici, perché dopo tutti quegli anni sono ancora Althea e Tecla, Zaffiro e Ametista, due parti separate di uno stesso intero che non si sono mai veramente staccate.

Percorrono fianco a fianco la navata abbellita dai colori e i profumi delle composizioni di fiori freschi, dai toni del rosa pallido, del lilla e in particolar modo del bianco, con la marcia nuziale di sottofondo.

Althea sa che se avesse potuto Tecla avrebbe fatto tutto nero, rose nere, vestito nero, persino il dress code degli invitati avrebbe dovuto includere qualcosa di nero, non perché quel giorno per lei sia triste, ma semplicemente perché avrebbe voluto che la rappresentasse. 

Tecla non veste di nero, Tecla è il nero, talmente satura di colori - emozioni - da sembrare vuota, frivola, banale e invece mai nessuno si accorge delle valanghe che spazzano via tutto dentro di lei, nessuno fa caso ai suoi terremoti, alle sue tempeste. Nessuno, neppure il suo futuro marito, si prende cura della sua gioia, nessuno comprende la bellezza mozzafiato dei suoi occhi lucidi che si commuovono per il puro gusto di farlo, di prendere tutto di pancia e viverlo come fosse distesa su un prato a bagnarsi la lingua con la pioggia mentre tutto attorno crescono i fiori.

Nessuno tranne Althea, perché è quanto di più simile a lei esista sulla Terra eppure è il suo opposto. Sono un po' come lo Yin e lo Yang, forze opposte ma complementari. Sono Max e Daniel ma con lo stesso volto, la stessa voce, gli stessi occhi, e si amano allo stesso modo.

Quando all'ultimo passo di Tecla si vede costretta a consegnarla a Victor è come se qualcuno avesse preso il suo cuore a colpi di accetta e ne avesse tagliato via un pezzo, come se la mano di Tecla che si scioglie lentamente dalla sua presa tirasse via anche una parte di se. E' come un muro che cade in mezzo a loro, a separarle, tanto alto da non riuscire a scavalcarlo e tanto esteso da non trovarne la fine per poterlo oltrepassare.

E mentre prende posto sfilando sulla carrozzina di fronte ai presenti si sente in mare aperto, di star attraversando a nuoto una tratta di cui non conosce la meta, in una maniera tale che se avesse sensibilità sotto la pianta dei piedi sentirebbe lo strusciare della pelle degli squali che si muovono in cerchio sotto di lei. Sono in due, la vita e la morte, dovrà affrontare l'uno o l'altro, perché di restare in bilico non vuole più saperne. 

Si sistema di fianco a Daniel senza scendere dalla sedia a rotelle, non le importa di ostruire il passaggio, di stare fra i piedi ai componenti più snob della famiglia di Victor che se ne stanno indispettiti e dritti come bastoni avvolti nei loro frac e nei loro tubini caratterizzati da colori non più audaci del panna.

In quel momento ci sono lei, il suo dolore e sua sorella, sembrano in tre ma in realtà sono in quattro, perché il secondo è di entrambe anche se quello avrebbe dovuto essere un giorno felice.

A disturbare l'atmosfera cupa, decisamente inadatta ad un matrimonio, è la vibrazione del telefono di Daniel che si becca parecchie occhiatacce dai presenti.

Non appena sblocca lo schermo per mettere il silenzioso si accorge che si tratta di un messaggio di Max.

Max:
Se per caso hai un bicchiere
a portata di mano mi faresti il favore di dare un tocco di colore al vestito
della versione sana di Will Traynor?
Sai, per pareggiare i costi della lavanderia

Tu:
Non so se mi colpisce di più
la fantasia che ci metti o il
fatto che tu abbia visto
Io Prima Di Te.

Ride tra se e se per poi riporre il cellulare una volta silenziato nel taschino della giacca.

E quando dopo la funzione più lunga ed estenuante a cui abbia mai assistito Tecla pronuncia quel Althea è costretta a stringere forte la sua mano.

Sua sorella le ha detto addio per sempre, anche se lei per prima lo aveva fatto il giorno in cui le aveva confessato di volersi recare in un centro per il suicidio assistito. Tecla non le aveva risposto, le aveva buttato le braccia al collo e per la prima volta in vita sua era stata in grado di trattenere le lacrime.

Il giorno dopo aveva fatto le valige ed era tornata da Victor, non avrebbe mai permesso che Althea si sentisse in colpa per la sofferenza che aveva provocato in lei, non dopo quanto quest'ultima le aveva fatto pesare come un macigno insopportabile il suo ritiro dalle scene.

Althea lo ha sempre detto che Tecla è troppo buona per questo mondo, che nessuno merita di averla al suo fianco e forse è per questo che anche nel giorno del suo matrimonio è convinta che non abbia mai trovato l'uomo giusto.

Però è giunta l'ora di mettersi nei suoi panni, di fare da supporto per una volta e non da palla demolitrice, perché se Tecla è stata in grado di non colpevolizzare Althea dell'egoismo di voler scappare dal proprio destino perché non intende accettarlo, allora Althea non può che fare lo stesso.

«Ti senti bene?» Le chiede Daniel una volta raggiunto il tavolo del rinfresco dal quale lei ha già trangugiato il terzo bicchiere di vino bianco.

Respira pesante, di pancia, mentre con lo sguardo punta feroce un orizzonte che l'australiano non riesce a focalizzare. Ha male ovunque, il suo unico desiderio è che il Sole cali sulla Terra e su di lei, scappare via lontano a costo di strisciare.

«So che è difficile, ma devi lasciarle fare i suoi sbagli». Le dita di Daniel sfiorano le sue per toglierle il calice di mano e mandare giù un sorso del liquido al suo interno.

Althea inarca un sopracciglio e volta leggermente il capo nella sua direzione mostrandogli il perimetro del suo profilo levigato. «Non credi che questo sia uno sbaglio anche troppo consistente?» Il tono sarcastico che la contraddistingue punge le labbra di Daniel intento a frenare l'istinto di chinarsi e posarle su quelle della giovane ex ginnasta.

Sa bene che l'unico luogo in cui riuscirebbe a trovarsi a suo agio è la loro bolla, lontana dagli occhi maligni e i pettegolezzi degli invitati che quando le passano di fianco le lanciano sguardi carichi di una compassione più finta delle borse Louis Vuitton che tutte quelle signore con la puzza sotto il naso sfoggiano solo per soddisfare le aspettative della madre dello sposo.

Quest'ultima, tra l'altro, rappresenta l'ennesimo fattore di intralcio per questo matrimonio poiché ha sempre considerato Tecla una sempliciotta non all'altezza di suo figlio.

«Come si impara cos'è l'amore senza prendere una cantonata in faccia?» Fa spallucce depositando il bicchiere in un punto casuale del tavolino, per poi lasciar ricadere la mano in una carezza sulla spalla spigolosa di Althea.

«Questo è un matrimonio, non una semplice cantonata».

«Dalle un anno, sono due avvocati, quanto pensi ci metteranno a firmare le carte del divorzio?» Si lascia sfuggire un risolino che come grafite disegna sul suo volto un mezzo sorriso accentato da una fossetta che solca la sua guancia.

«Tecla è ancora uno pseudo-avvocato» specifica.

«Non ti annoi mai ad essere così puntigliosa?» China il capo emettendo un sospiro leggero mentre un ricciolo ribelle ostruisce la sua vista ricadendo sul suo occhio.

«Mi diverto, in realtà». Inconsapevolmente incastra un lembo di pelle tra i denti mordendosi il labbro inferiore e protende il braccio verso l'altro per sistemargli i capelli. «O magari mi piace quando sospiri così, e ti si crea questo piccolo solco in mezzo alle sopracciglia» carezza quel punto con il pollice mentre lui la guarda da sotto le sopracciglia, talmente intensamente da sfondarle la cassa toracica.

«Questo è forse il primo pseudo-complimento che mi fai» il suo tono di voce è più basso, quasi roco, intimo, come se le stesse facendo chissà quale confessione.

«Non ti ci abituare» ghigna stampando un piccolo bacio sul punto in cui poco prima aveva sfregato il polpastrello.

Anche in una giornata del genere è stato in grado di risvegliare anche solo l'accenno di un sorriso in Althea e quel petalo in bilico, indeciso se rimanere attaccato o precipitare nella sua lenta danza verso il suolo, anche se scosso da un soffio di vento si aggrappa forte a quello che fino a poco tempo prima era nient'altro che l'ombra di un bocciolo in mezzo ad un bosco di rovi.

Raggiungono il loro tavolo attraversando la sala sotto le cascate di lavanda che penzolano sulle loro teste creando un'atmosfera magica come il tetto incantato di un regno mistico, fatato, congelato però dall'atteggiamento estremamente contenuto delle facce di marmo che li circondano. 

Sono gli unici punti luminosi in movimento in mezzo a quei colori scialbi, dispersi nel brusio generato dalle questioni di affari di cui personaggi illustri conoscenti di Victor discutono mandando giù stuzzichini su stuzzichini mentre quest'ultimo tiene fiaccamente un braccio attorno alla vita di Tecla mentre danno il benvenuto a tutti e si accertano che le cose vadano come previsto.

Sorride amara al pensiero di quanto poco lui la conosca in realtà. Probabilmente non ha idea dell'insofferenza che sua sorella prova verso l'organizzazione, Tecla è impulsiva ai limiti dell'allucinante e detesta fare le cose secondo schemi precisi.

L'esatta metà di sé, nonché il suo esatto contrario, sarebbe capace di salire su un treno senza alcuna ragione e decidere la propria meta facendo ambarabà ciccì coccò tra le fermate tracciate su una mappa sbagliata, magari anche girata al contrario e in un'altra lingua, per poi cambiare idea l'istante dopo aver messo piede in stazione.

O per lo meno, era così prima di conoscere Victor e lasciarsi imprigionare nel suo universo fatto di grigiore, lavoro, lavoro e ancora lavoro. 

Come se non bastasse, non appena le sue gambe inermi sfiorano il tessuto dell'elegante tovaglia da tavolo alza lo sguardo incontrandone un altro tremendamente simile al suo, e il fatto che non sia quello di Tecla è un tuffo al cuore, perché nonostante non li veda da anni non potrà mai non riconoscerli, nonostante tutto, sono sempre loro.

Sono arrivati alla fine.

Daniel, del tutto inconsapevole, siede allegro al suo fianco, rallegrando i restanti convitati accomodati in cerchio di fronte ai loro piatti ancora vuoti pur non lasciando mai la sua mano da sotto il tavolo.

Perché l'uomo di fantasie strampalate ne ha date alla luce tante, ma una in particolare trova la sua genesi in un essere doppio, nato all'alba dei tempi, con due cuori, due pensieri che però funzionavano come se fosse uno. 

Quell'essere dell'amore che non sa nulla, perché è esso stesso l'amore. Amante e amato, in se stesso e di se stesso. Una creatura talmente forte da scatenare l'invidia degli dei, far desiderare loro di sterminarla e allo stesso tempo generare la consapevolezza di non poterne fare a meno, perché altrimenti nessuno potrà adorarli. 

L'amore, nella sua forma originale, diviso in due per mano dei fulmini di Zeus, e condannato a vita a cercare la sua parte mancante per trovare la felicità. 

E le loro mani che si stringono non sono altro che il frutto del bisogno di tornare una cosa sola, riunirsi, riamarsi ancora più forti, essere l'amore. E' la prova che l'anima gemella esiste davvero, e che a volte la si trova nei momenti più sbagliati, quelli più difficili, impossibili, che magari sono destinati ad estinguersi come una fiamma succube di una tempesta ma che se arrivano significa che vanno vissuti.

E allora Althea impara a fregarsene dell'uomo e la donna che dritti di fronte a lei la guardano come se non avessero mai commesso sbaglio più grande che mettere al mondo lei e Tecla, perché ne ha abbastanza di sentirsi un errore e non esiste altra persona al mondo in grado di farla sentire giusta quanto Daniel.

Nel frattempo, tra una portata e l'altra sono gli sposi ad aprire le danza ballando un lento, seguiti poi dalle coppie più giovani formando una corposa spirale di teste per lo più bionde simili a quella di Victor che finalmente riescono a donare un po' di brio ai festeggiamenti.

«Balliamo?» Sussurra al suo orecchio inalando il profumo delicato che emana il suo collo. E' sufficiente che il suo naso sfiori la pelle appena sotto il lobo per sciogliere il fascio di nervi in cui era aggrovigliata stretta.

Si acciglia subito dopo ripiombando nella realtà come se si fosse tuffata da uno scoglio alto centro metri su una lastra di cemento. «Forse dimentichi qualcosa...» gongola melancolica alludendo alle sue gambe ormai in grado di fare nient'altro che dormire avvolte nel loro profondo sonno eterno.

Senza darsi per vinto però, lui abbandona la stampella accostandola alla spalliera della sedia per poi alzarsi in piedi e cercando di limitare il più possibile l'andatura sincopata dei suoi passi per poi porgerle una mano. Seppur titubante sul da farsi, alla fine lei la afferra e grazie all'altro braccio di lui che la avvolge riesce a mettersi in piedi.

Per quanto la stecca di ferro che dimora all'interno della sua gamba lo permetta, solleva di poco il peso di Althea, il giusto perché i piedi della giovane possano posarsi sui suoi, e in quella maniera tragicamente buffa la conduce al centro della sala ormai trasformatasi in una pista da ballo.

«Non dimentico mai niente» imprime un bacio sulla sua tempia, tiene le labbra premute su di essa per istanti interminabili, perché non esiste altro luogo in cui vorrebbe trovarsi se non lì a stringerla forte.

E Althea vorrebbe dirgli che dovrebbe imparare a farlo, a partire da lei, ma allo stesso tempo nel suo petto si raggruma il senso di colpa del sentirsi egoista nel desiderare di rimanere per sempre tatuata sulla sua anima come lui ormai è impresso a fuoco sulla sua.

Cullati dalla melodia neppure si accorgono che attorno a loro la pista si svuota ma Althea sente mille occhi ustionarle la spina dorsale, probabilmente intenti a pensare che solo due poveri disgraziati come loro avrebbero potuto trovarsi e andare avanti in quella maniera, l'uno in grado di rigirarsi il mondo tra le dita e l'altra con l'intento di mandarlo giù come fosse l'ultima pasticca della sua vita, il suo corpo in costante precipitazione verso un  fondo che prima di lui appariva ogni giorno più buio.

«Daniel, ci stanno guardando tutti» bisbiglia ma si rende conto che in fondo non gliene importa affatto, perché niente è equiparabile alla maniera in cui lui la vede. Perché con tutti quegli sguardi addosso le sarebbe mancata l'aria se fosse stata da sola, ma la verità è che se respira ancora è per tenere in vita anche Daniel.

«Perché questo vestito parla chiaro» Sogghigna lasciando che la sensazione di freschezza dei suoi denti a contatto con la sua pelle nuda inondi il suo corpo di brividi.

«Ah si? E cosa dice?». Affonda una mano tra i suoi ricci mentre con l'altra si tiene salda alle sue spalle large. Talmente vicini da non essere più in grado di distinguere dove cominci l'uno e finisca l'altra, talmente vicini da desiderare di sciogliersi nella stessa sostanza.

«Non voglio restare troppo a lungo addosso ad Althea». Morde piano un lembo di pelle che ricopre la mandibola e Althea comincia sentire troppo caldo per ricordarsi di essere in pubblico.

«Cretino». Gli darebbe una spintarella sul petto se non fosse che se facesse una cosa del genere probabilmente perderebbero l'equilibrio per poi cadere rovinosamente a terra.

«Ti va di scappare?» Le chiede poi, issando il capo e riprendendo il contatto con la luce del Sole che in confronto a tutto il buio di Althea appare così frivola da non essergli indifferente solo perché per poco non lo acceca.

«Dove?» Sgrana gli occhi lei abbagliata dal suo sorriso sbilenco, quasi si fosse appena risveglio da un sogno, uno di quelli belli di cui a lungo andare non ci si ricorda mai nulla.

«Che importa? Basta che sia lontano da qui, non avevo mai visto tanto beige dall'ultima volta che ho visitato un allevamento di lama» Sbuffa una risata, non la prima di quel giorno ma sicuramente la più vera, la meno tesa, perché per una volta c'è solo lei ad ascoltare la sua ennesima cazzata. «Allora, che mi dici?» Domanda speranzoso.

«Che non aspettavo altro».

Perdonatemi innanzitutto per l'attesa e per la riuscita del capitolo che non soddisfa per niente le mie aspettative che, devo dire, forse si erano alzate un po' troppo.

Mi dispiace se apparirà come un capitolo piatto, scialbo, o più semplicemente banale ma sono giorni pienissimi e per una questione di principio non intendo rinunciare all'aggiornamento settimanale.
L'unica eccezione la farò probabilmente settimana entrante perché voglio dedicarmi alla OS del contest di Natale, da cui a proposito vi invito a passare!
(l'ho condiviso in bacheca)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto ugualmente.

💙

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