IX. Where's My Love
Quando i suoi occhi hanno rivisto la luce il primo impeto è stato quello di scoppiare a piangere. L'unica volta che aveva trovato davvero il coraggio quel mondo sembrava non avere per nulla voglia di lasciarla andare, anzi, intendeva tenerla inchiodata a forza in ciò che rimane del suo corpo.
Le aveva ricacciate via però, quelle lacrime, anche se ci era voluto un po' per distinguere i contorni di quella figura traballante. I suoi ricci scuri, la sua pelle ambrata, non poteva mostrarsi disperata all'idea di essere ancora in vita, non di fronte a lui.
A irrompere in quello scenario pietoso era stata sua sorella che le si era gettata al collo, sussurrandole all'orecchio quanto fosse una stronza egoista e soprattutto quanta paura avesse di perderla.
La ucciderebbe. Ne è certa, se un giorno quel suo maledetto destino la lasciasse andare trascinerebbe Tecla con sé, perché sarebbe come arrendersi a rinunciare alla porzione più grande del suo cuore, interamente riempita da Althea.
Aveva sorriso e le aveva baciato la tempia, come per rassicurarla. Tanto a quanto pare, scomparire non sarà un'impresa poi così semplice. Ci vorrà del tempo per lasciarli abituare all'idea che quella vita non fa più per lei, e solo allora forse, si renderanno conto che soffrire è inutile.
Nel frattempo Daniel sembra aver preso piuttosto sul serio l'incarico assegnatogli da Tecla, ragion per cui tutti i giorni, dopo la terapia, lui e Althea pranzano insieme fingendo poi di scegliere casualmente una meta in cui recarsi, quando Daniel invece, butta via il sonno per pensare a come impiegare al meglio ogni giornata con lei.
A volte il suo cuore perde un battito al calar del sole, perché non sa mai se l'indomani la troverà lì, sulla sua solita sedia, ad aspettare il suo turno con un ora di anticipo.
Anche lui, con un notevole compiacimento da parte di Max, ha imparato ad essere puntuale, a volte persino in anticipo, solo ed un unicamente per avere quei dieci minuti a disposizione per condividere le loro playlist una cuffietta ciascuno, prima che Raul esca sorridente dalle porte del reparto per chiamare l'australiano.
Da quel giorno però, anche se con il caldo afoso dei primi mesi estivi sembra di stare nella fornace di una vetreria, Althea tiene sempre le braccia coperte. Le ferite sono ancora fresche, e guardarle ogni volta significherebbe ricordare quanto quel dolore in realtà si sia trasformato in un tentativo vano.
Ormai si è persino abituata al modo che ha Daniel di storpiare il suo nome, ed essere Alfea solo per lui non le dispiace poi più di tanto. Non si tratta solo di un semplice errore, quando lui la chiama in quel modo si sente una persona diversa, una che solo quegli occhi scuri e turbolenti sono in grado di vedere.
Quel giorno a Daniel è venuta la splendida idea di portare Althea al luna park, e se non fosse per il problema di dover continuamente depositare la sedia a rotelle da qualche parte per riuscire a salire sulle giostre allora potrebbe aggiungerla alla sua lista di giornate memorabili passate con lei.
Esatto, il giorno in cui Althea è stata dimessa dall'ospedale Daniel ha acquistato un quaderno ad anelli dalla copertina color lavanda, lo stesso del vestito che indossava Althea al loro primo vero appuntamento.
Ci appunta su idee, schemi confusionari e brevi racconti dei momenti più significativi che passano insieme. Sulla prima pagina, con una scrittura forzatamente elegante è intriso - e un po' sbavato - di un inchiostro blu il nome della ragazza. Perché anche se lei non lo sa, quello è il loro quaderno, e Daniel ogni notte lo nasconde sotto il cuscino di fianco al suo, per paura che possa essere l'unica cosa che gli rimarrà di lei.
Sicuramente, una volta tornato a casa, ci scarabocchierà sopra la presa di Althea sul suo braccio non appena la ruota panoramica comincia a girare.
Il brivido, la vertigine, le mancavano da troppo tempo, e anche se non nel modo in cui vorrebbe, lui è riuscito, per quei pochi istanti, a restituirglieli.
Non lo ringrazierà mai abbastanza semplicemente per essere la persona migliore che avrebbe mai potuto incrociare la sua strada.
Perché Daniel, lui soltanto, è capace di soffiarle dentro il respiro che le manca, di dare calore al suo cuore gelido, di alleviare il dolore dalle sue ferite. E si sente tremendamente in colpa quando affoga le urla nel suo cuscino in piena notte pensando che comunque, tutto questo non basta.
Vorrebbe poterglielo confessare, metterlo in guardia da ciò che gli farà passare, che se continua così non sarà facile superarla, ma non ci riesce. Forse si tratta di egoismo, o forse più semplicemente si sta innamorando di lui, anche se non lo ammetterà mai.
«Non dirmi che hai paura» la punzecchia avvolgendole le spalle col suo braccio quando il suo sguardo non riesce a spingersi troppo oltre l'orlo del suo abitino floreale, non esattamente adatto per un giro ad alta quota.
«Dici a me? Ma se ti tremano le mani» canzona lei battendo il piccolo pugno chiuso contro il suo petto, non sa che il tremolio dell'ormai ex pilota non è dovuto all'altezza ma alla sua esagerata vicinanza.
È passato ormai più di un mese e mezzo dal loro primo incontro, Daniel conta una stampella di meno e un tutore più piccolo, Althea qualche ferita di troppo e una sfilza di sorrisi tenuti chiusi in un cassetto per troppo tempo.
Ha ritrovato il gusto di ridere, perché con lui è tutta un'altra storia, perché quegli otto anni che si spartiscono in realtà sembrano la sua età complessiva.
A volte è un vero bambino, come quando qualche minuto prima di salire su quella giostra aveva sfidato un marmocchio ad una di quelle bancarelle nelle quali la posta in palio è un peluche impolverato e pieno di germi di ogni tipo. Inutile precisare che aveva perso e anche in maniera imbarazzante, buttando giù neanche la metà delle lattine che aveva trafitto il ragazzino con i piombini della sua pistola finta.
In sostanza, niente tigre bianca gigante per Althea, ma il premio migliore che avesse mai ricevuto di certo era il broncio di un uomo di trentadue anni per essere stato appena stracciato da un bambino di sette.
Il ragazzo ignora volutamente la vibrazione del suo cellulare a indicare che gli è appena stato recapitato un messaggio, sa già che si tratta di Max, e sa già che gli starà chiedendo se si è finalmente deciso a parlare con lei della scadenza anticipata del suo contratto con la McLaren.
La verità è che non vuole che si scoraggi, non vuole che creda di star pesando sulle sue delusioni, e non vuole neppure che scoprendolo senta di stare a fianco ad un fallito.
Stanno bene insieme. Sono loro due e quella loro scarabocchiata breve felicità, circondati da menzogne e angosce che per quanto forti, in quei momenti, non sono in grado di infrangere la loro bolla, quella che li tiene al sicuro da ciò che il futuro prospetta.
Ci sono loro, e diversi metri più in basso tutta Monte Carlo. Da lassù sono un po' il re e la regina degli sconfitti ad osservare assorti il loro reame che crolla sotto il loro naso, ma di certo, da quelle strade nessuno se ne accorge. Nessuno fa caso a quei due, perché a quell'altitudine non esistono più la sedia a rotelle di Althea e le stampelle di Daniel. Sono due ragazzi che si godono la loro gita al luna park, niente di più, niente di meno.
Nessuno conosce i tetri retroscena che li hanno portati fino a lì, a nessuno importa.
Daniel ha sempre sostenuto dentro di sé che il modo migliore di amare sia fuori dagli schemi, e non sarebbe stato in grado di immaginarlo in un altro modo che non sia la nuca di Althea che combacia perfettamente nell'incavo fra il suo collo e la sua spalla.
Hanno l'amore negli occhi quei due, nelle ossa, nei polmoni, ma ogni qual volta che l'audacia di Daniel viene fuori nel tentare di avvicinare le sue labbra a quelle di Althea lei gli sfugge, come sabbia che il vento soffia via dal palmo della sua mano.
La ruota termina il suo giro e prima che possa ripartire Daniel si appresta anche se un po' goffamente a recuperare la sedia di Althea.
La aiuta a mettersi in piedi stringendola dai fianchi mentre lei allaccia le braccia attorno al suo collo tenendosi salda al corpo del moro, mentre quest'ultimo è costretto a sollevarla di qualche centimetro da terra per tirarla fuori dalla cabina mobile.
Rischiano di cadere entrambi quando lui, per colpa dell'eccessivo dolore alla gamba manca uno scalino ma fortunatamente riesce ad accostarsi alla ringhiera alle sue spalle.
Sono talmente vicini che resistere alla tentazione per l'australiano è uno sforzo immane ma teme di rovinare quel momento, non vuole che tra di loro piombi nuovamente il gelo, per cui, traballante, la adagia sul sedile della carrozzina.
Althea vorrebbe sprofondare, venire risucchiata dalla terra e sparire da lì. Si sente una bambola di pezza che ha bisogno di essere sballottata di qua e di là, non dice nulla di tutto ciò, si tiene quelle sensazioni dentro, accumulate in mezzo alla catasta di brutti pensieri che le frullano per la testa.
Sa che Daniel si sta impegnando, lo sa da quando veniva a trovarla tutti i giorni in ospedale quando era ancora ricoverata, da quando chiedeva di nascosto a Tecla di farle una lista dei suoi dolci preferiti e compariva lì sull'uscio della porta con una guantiera di leccornie che mangiava solo lui poiché in quel letto le era passata persino la voglia di nutrirsi.
Lo sa da quando le faceva annusare quella crema zuccherata e le sporcava le labbra per poi passarci un dito sopra e infilarselo in bocca come un bambino. A lei bastava quello, sentire il sapore di quelli che in realtà erano i pasticcini preferiti di Tecla, perché ad Althea i dolci non sono mai piaciuti, ma sua sorella credeva che avrebbero potuto tirarla un po' su.
L'ultima cosa che vorrebbe è far credere a Daniel che tutti i suoi sforzi per renderla felice siano inutili.
«Prendiamo qualcosa al chiosco?» Chiede quest'ultimo senza far troppo caso alle riluttanze di Althea. Vederla sorridere, anche se debolmente, è una soddisfazione tanto grande da riuscire ad ostruire la sua vista, la sua capacità di andare oltre le maschere di lei.
Sono momenti che durano un attimo, sono quelli in cui Daniel vorrebbe fidarsi delle apparenze ed essere fiero di sé stesso per i risultati ottenuti, ma quelle frazioni di secondo vengono sempre interrotte nel momento in cui subentra la consapevolezza di dover fare sempre di più, che tutti i suoi gesti non saranno mai sufficienti.
Althea in poco tempo si è trasformata nell'epicentro della sua esistenza, il punto di bilancio di tutte le sue emozioni, tutte concentrate e adoperate per lei, perché perderla non è un'opzione. È diventata tutto ciò che prima era Max.
Daniel si sente destinato ad offrire tutto sé stesso, ogni lacrima, ogni goccia di sudore, ogni sforzo possibile e impossibile alle persone che ama, e gli piace, gli è sempre piaciuto, essere la fonte primaria di luce nelle loro vite. Essere il Sole, quello di cui Althea sente il profumo quando è troppo vicina alla sua pelle ambrata.
Perché Daniel è la vita in ogni sua forma, e in lui sono racchiusi tutti i modi di viverla. Le risate, le nottate di confessioni fra lui e Max divisi da due birre e le sue pessime battute, le corse contro il tempo, contro il vento, contro il mondo intero. Daniel ha sulla pelle il sapore della libertà, il profumo del Sole.
Althea vorrebbe poterlo assaggiare, forse sarebbe l'unico modo di trovare anche l'ultimo grammo di amore che le è stato strappato dal destino, ma ha paura di appropriarsene, di portarglielo via. Ha paura che un giorno, per Daniel, il Sole possa diventare soltanto un ricordo, come lei.
Sono otto mesi che vive nella tempesta, con la pioggia che le entra in bocca e scorre lungo le pareti del suo stomaco, con i tuoni che le rimbombano nella mente sotto forma di pensieri suicidi, con i fulmini che quarciano in due ogni breve momento di serenità.
Il terrore di Althea è non lasciare nient'altro che questo a Daniel, quando lei non ci sarà più.
«A forza di mangiare ogni giorno bombe caloriche in giro per Monaco mi stai facendo venire la gastrite. Nari, la mia domestica, è un'ottima cuoca, potresti venire da me, sempre se ti va» azzarda sorpresa dall'aver riacquistato la capacità di prendere un'iniziativa.
Potrà sentirsi egoista, incoerente, contraddittoria, ma non manca molto e non vuole passare quest'arco di tempo con nessuno che non sia lui, e quando non tenta di dissuaderla anche Tecla.
«Ho la faccia da uno capace di dirti di no?». Piega un angolo della bocca all'insù in un sorriso insolito, uno che aveva visto comparire sul suo volto solo la sera in cui avevano guardato le stelle dal terrazzo di quel locale a Monte Carlo.
Un brivido le percorre la schiena - la parte sensibile quanto meno -, avvampa sino alle punte dei capelli ma di certo non si risparmia una risposta, non sarebbe nel suo stile.
«Nessuno sa dirmi di no, Daniel». Gli lancia un'occhiata di traverso e basta quel singolo gesto per ritrovarselo a un palmo dal naso, piegato sulle sue gambe, una delle quali insopportabilmente dolorante.
Non le aveva mai parlato in quella posizione, più in basso rispetto all'altezza che riesce a raggiungere la carrozzina, da sotto le sopracciglia, come a volerle dire che scavando a fondo potrebbero trovare infiniti modi per sentirsi uguali, ognuno con i propri handicap.
«Mi stai mettendo alla prova?»
«Non si dice di no agli invalidi, sono troppo fragili per accettarlo». Lui sembra scombussolato di fronte a quelle parole che ci mettono così poco per volare dalla bocca di Althea e mischiarsi all'aria che respira. «Ti prendo in giro, cretino» ride lei.
Lui la segue, ma solo dopo qualche istante. Si chiede se sia capace di non tirare fuori quell'argomento per più di due minuti, ma la risposta è no, perché Althea non si sente normale come vuole farla sentire lui, non potrà mai, non lo vuole.
Perché per Althea è sempre stato o tutto o niente, ha sempre odiato le mezze misure, ed essere una mezza donna, una mezza ginnasta, una mezza persona non sarà mai sufficiente, non tanto da decidere di mandare all'aria i suoi piani.
C'è gente nelle sue stesse condizioni che ancora oggi lotta, dice di aver trovato un tenore di vita soddisfacente, di sentirsi più forte grazie a ciò che ha malauguratamente interrotto il rumore dei suoi passi. Lei no, perché la verità è che non lo ha mai affrontato, ha sempre fatto lo stretto necessario per non essere un peso su chi gli sta attorno, ma non ha mai veramente lottato, semplicemente perché dal giorno in cui le è stata tolta la possibilità di fare ciò che più ama al mondo non pensa ad altro che al momento in cui finirà tutto.
«Che dolce, hai sempre una buona parola per me» le fa una boccaccia infantile, poi compone il numero del servizio Taxi chiedendone uno che li porterà nella sua dimora.
Non ci vuole molto perché, ancora con la mano adagiata su quella di Althea, lo sguardo di Daniel si posi sulle siepi alte che nascondono in parte la visione di una villetta su un piano molto graziosa.
Scende per primo dal taxi insieme all'autista che tira fuori con poca delicatezza la sedia di Althea dal portabagagli, «Stia attento, è delicata» si sporge a mo' di rimprovero velato come al solito da quel suo fare cordiale proprio nel momento in cui l'uomo sulla cinquantina stava per scaricarla per terra come una comune valigia.
Il taxista gli lancia un'occhiata truce ma Daniel non se ne preoccupa più di tanto, paga la corsa e poi si dirige verso lo sportello dietro il quale lo attende Althea. Ha sentito tutto e se ne sta con le palpebre leggermente abbassate a pensare che mai nessuno, forse neppure sua sorella, aveva mai avuto tanta cura di lei.
Sta tutto lì, nel modo in cui una volta aperto il portellone lei allaccia le braccia attorno al suo collo e lui, nonostante le fitte all'arto inferiore la solleva per poi adagiarla sulla sedia a rotelle. È nel modo che ha di stringerla, di accertarsi sempre che sia a suo agio, che niente possa intaccare negativamente il tempo che passano assieme. È nella capacità di Daniel di mettere un freno all'afflizione che come una metastasi si espande un centimetro di pelle alla volta.
Percorrono il breve tragitto sul selciato fianco a fianco, poi i loro percorsi vengono divisi dalla rampa su cui scorrono le ruote della sedia di Althea e gli scalini sui quali si posano i piedi di Daniel.
Neanche il tempo di cercare le chiavi in borsa che Nari è già sull'uscio, con le mani strette in grembo, battendo compulsivamente le ciglia per celare di fronte ai due ragazzi la maniera in cui i suoi occhi si siano fatti lucidi.
«Daniel, ti presento Nari, l'unica persona capace di sopportarmi per il doppio del tempo che passo con te e Tecla. Nari, lui è Daniel» non servono parole aggiuntive, forse perché semplicemente non è in grado di descrivere ciò che Daniel rappresenta.
Daniel è Daniel, e se lei non è più ferma dietro ad una finestra, inerme, a guardate il mondo che gira e il tempo che passa, è solo grazie a lui.
Lui si piega leggermente per fare in bacia mano alla domestica e lei si mostra piacevolmente imbarazzata. È fatto così, non si sforza di piacere a tutti, sono i suoi modi di fare, di sorridere, di parlare alla gente, che lo rendono inevitabile.
La donna fa loro strada ed entrambi, in attesa che la cena sia pronta si sistemano in salotto. Per non dar vita a situazioni imbarazzanti Althea decide di rimanere sulla propria sedia, ma come sempre Daniel non ci sta, dunque si ritrovano entrambi stravaccati sul divano come due nullafacenti, cosa che attualmente sono entrambi.
La schiena di Althea aderisce al suo petto e le sue gambe impotenti se ne stanno in mezzo a quelle di Daniel. L'australiano le cinge il bacino con le sue braccia forti ricoperte in parte da tatuaggi allacciando le mani poco più in basso della sua pancia. La nuca dell'ex ginnasta si appropria della sua solita posizione, nell'incavo fra la spalla e il collo.
Non può vederla in viso in quel momento, ma dal modo in cui il suo corpo è totalmente abbandonato alla sua stretta ne percepisce la calma.
Tecla li osserva, a loro insaputa, con la spalla poggiata alla rientranza dell'arco che separa quell'area dalle altre stanze della casa. Ha un sorriso sulle labbra che è un misto di mille sensazioni.
È infinitamente felice per sua sorella, è fiera di Daniel per quello che è capace di darle, è speranzosa di poter riuscire a salvarla, ma allo stesso tempo quella piega sul suo volto è mossa da un moto di malinconia. Non potrà averlo mai lei, un amore così, una persona capace di regalarle tutta sé stessa.
Forse è destinata a prendersi solo le briciole, a dover chiamare suo marito avvocato di fronte ai colleghi per non metterlo in imbarazzo, ad un uomo che da quando stanno insieme l'avrà sfiorata come Daniel fa con Althea si e no tre volte, ad amare e non essere mai ricambiata in tutto e per tutto, solo per non restare da sola.
Mai con chiunque, glielo ripeteva sempre sua sorella quando erano due adolescenti, ma Victor ai tempi era stato la sua ancora di salvezza da cui non è più riuscita a staccarsi, fino a forgiare quel legame precario e sugellarlo in matrimonio.
Non chiede molto e non lo riceverà comunque. Perché quando la sua gemella dice di non sentirsi più donna per colpa della sedia a rotelle Tecla ammutolisce, perché neppure lei ci si sente più nonostante sia munita di gambe sane, forti e funzionanti. Sarebbe troppo umiliante dire che è il suo uomo a non averla mai fatta sentire tale.
Non è il momento però di riempirsi la testa di pensieri tristi, si dice. Saluta Nari con un gesto della mano portandosi poi un dito sulle labbra intimandole di rimanere in silenzio, in seguito, evitando più rumore possibile, prende la sua borsa abbandonata all'entrata ed esce di casa, lasciandoli più o meno soli.
A Nari sembra un peccato interromperli per avvisarli che la cena è pronta mentre Daniel sembra intento a sussurrare qualcosa di particolarmente divertente all'orecchio di Althea.
Entrambe le loro teste di voltano all'unisono nella sua direzione e la figura minuta della donna sorride dolce mettendo in risalto il bagliore dei suoi occhi a mandorla.
«Arriviamo» annuisce Althea rispondendo con un altro sorriso visibilmente contaminato dal profondo imbarazzo di farsi vedere in quel modo da quella che ormai è quasi una seconda madre che però insiste per chiamarla ancora signorina.
Prima di sedersi a tavola però, Daniel sente l'esigenza di recarsi alla toilette e Althea gli indica la strada dicendo di oltrepassare l'arco e recarsi in fondo al corridoio.
Dopo aver abbandonato la stanza, l'australiano sembra perdere la cognizione del tempo nel guardarsi intorno. Non ci sono foto appese alle pareti, solo qualche quadro ottocentesco sicuramente riesumato da una casa molto più antica di quella.
A dare particolarmente nell'occhio sono i lenzuoli bianchi che coprono quelli che crede siano specchi, a partire da quello a figura intera subito dopo l'arco per finire con quelli che si intravedono dalle porte lasciate aperte.
Raggiunge il bagno ma un'ultima porta socchiusa richiama la sua attenzione.
Gli basta quel profumo di pulito, le sfumature perfettamente coordinate dei colori dei mobili che appena si intravedono, lo stile minimalista per capire che si tratta della camera di Althea.
Mosso dalla curiosità posa il palmo aperto sulla superficie in legno scuro e la spinge addentrandosi fra le quattro pareti che delineano le notti di Althea.
Il copriletto bianco sembra talmente soffice da far invidia alle nuvole ed entra perfettamente in sintonia con il legno scuro del mobilio e della tastiera del letto. Anche lì gli specchi sono coperti e l'armadio è incassato al muro così da lasciare molto più spazio per passare.
Apperentemente sembra poco caratteristica ma un buon osservatore sa cogliere nei dettagli come persino quella camera abbia dovuto adattarsi alla sua nuova vita.
Sul mobile della toeletta fra boccette eleganti di profumo e portatrucchi nei quali si distinguono tubetti apparentemente mai aperti nota una chiave dorata nascosta fra i cosmetici.
Se la rigira tra le mani osservandola come se non ne avesse mai vista una prima d'ora. Si sente un ladro ma non riesce a freno l'interesse, perché mai Althea avrebbe dovuto nascondere una semplice chiave? Di certo per tenere segreto il contenuto di ciò che può aprire.
Non dovrebbe immischiarsi, alcuni segreti sono fatti per rimanere tali, ma è travolto dall'ansia di scoprire qualcosa di grave che si cela dentro al cassetto in cui gira la chiave. Quando essa fa uno scatto all'interno della serratura Daniel si ritrova davanti all'ultima cose che credeva Althea avrebbe potuto nascondere: coperte.
Tasta il tessuto morbido e colorato stringendone un lembo per portarselo al naso. Il profumo di Althea è sempre stato capace di ammaliarlo, di infondergli calma da quando la conosce e magari sarà capace di attenuare anche la sua trepidazione.
Il movimento della stoffa però provoca un fruscio insolito che lo porta a frugare nel cassetto ritrovandosi presto tra le mani dei fogli per cui bastano poche righe per avere la sensazione del mondo intero che collassa sotto ai suoi piedi.
«Che stai facendo?» Una voce che riconoscerebbe tra mille lo risveglia dallo stato di trance in cui lo aveva condotto leggere quel documento che in cima porta il nome della DIGNITAS, centro per il suicidio assistito in Svizzera.
«Althea...» non riesce a dire altro se non il suo nome che vorrebbe ripetere all'infinito, vorrebbe urlarlo ai quattro venti per paura che possa svanire all'improvviso, sbiadirsi nel tempo come l'alone di una macchia. Vorrebbe urlarlo perché possa rimanere come un marchio nell'aria che respira, per poterlo avere tutto nei polmoni, per sempre.
Lei però ha uno sguardo quasi assassino, sbuffa furiosa dalle narici leggermente dilatate, «Vattene» scandisce siderale ogni lettera di quella parola che sembra mirare a frantumare tutte le ossa del corpo di Daniel.
«Non puoi-» suona come un imploro ma lei lo interrompe, non riesce a sopportare oltre.
«Ho detto che te ne devi andare, ora». Volta il capo nella direzione opposta alla sua, non vuole neanche guardarlo in faccia, un po' per la vergogna, un po' per i sensi di colpa, un po' perché si era creata troppe aspettative e invece si è rivelato come tutti gli altri.
Non gli importa davvero di lei, gli importa solo che la sua vita non si perda, che non sia costretto a lasciarsi ferire tra pochi mesi, a rinunciare alla sua presenza, non a lei.
Daniel sente le sue parole vorticate e raggrumarsi nell'aria. La ragazza non lo guarda ma lui china il capo e mortificato sfila goffamente di fianco a lei accompagnato dal ticchettio delle stampelle.
Sono distanti adesso, ma il filo invisibile che li lega si fa ancora più stretto attorno al cuore di Daniel, alla gola di Althea.
C'è stato un momento in cui sono morti l'uno negli occhi dell'altra al solo pensiero che quello sia il punto di rottura di tutto ciò che sono riusciti a costruire.
Se è riuscito a riacciuffare la vita per tirarsi a forza fuori da quella casa allora se la terrà stretta fino alla fine, per regalarla a lei, per averne abbastanza per tutti e due.
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