XIII. Mystery Of Love
La sensazione dei granelli di sabbia e delle alghe che viscosamente aderiscono ai suoi polpastrelli sul bagnasciuga contro i larghi palmi di Daniel, la sua pelle che ha il sapore della salsedine sotto le sue labbra.
Il Sole di cui profuma la sua pelle che si estingue all'orizzonte sciogliendo come acquerelli contro le onde cullate dal vento i suoi colori caldi, dalle sfumature rosse ed arancioni, per lasciare spazio al buio che li avvolge ancora tenue e carezza la spina dorsale dell'ex pilota e cautamente si adagia sul viso della ragazza.
«Dici che tua sorella si arrabbierà?» Ride piano, malizioso, contro il suo orecchio issandosi sui gomiti per bearsi dello sciabordio dell'acqua contro gli scogli che poi si riversa sulla riva.
«Persino lei se avesse potuto sarebbe scappata». Squadra il suo profilo spigoloso dal basso che se ne sta lì a tagliare il cielo in due mentre con la mano tira sulle sue gambe il vestito da cerimonia per evitare che si inzuppi.
«Eppure ha detto di sì» constata provocando un sospiro scocciato poco oltre le sue spalle. «Me lo dirai mai perché odi così tanto quel ragazzo? Sembra un tipo tranquillo».
Si china di poco su di lei per scostare una ciocca di capelli ribelli dal suo viso corrucciato.
«Victor è un bravo ragazzo oltre ad essere bellissimo, ma non fa per Tecla. Inizialmente credevo che gli mancasse qualcosa, che la sua assenza di carisma appiattisse la sua personalità tanto da farlo sembrare frivolo, noioso. Poi semplicemente ho capito che quel qualcosa è l'amore negli occhi quando guarda mia sorella, inesistente».
«Bellissimo eh?» Le pizzica il fianco ridendo sotto i baffi lasciando sfociare quel gesto nell'asfissiante tortura che prende il nome di solletico per mano delle sue dita attorno alla sua vita.
«Sembra un principe» non si arrende lei nel tentativo di riprendere fiato pur allacciando le braccia attorno alle sue spalle imponenti. «Se adesso ti aspetti che io dica che sei tu il più bello parli con la persona sbagliata» la voce ridotta ad un sussurro smaliziato e le labbra che stentano a non abbandonarsi ad un ampio sorriso.
Naso contro naso mentre l'Universo attorno a loro si fa infinitamente piccolo.
«Tranquilla regina di ghiaccio, so bene che la tua dose giornaliera di complimenti è già esaurita da un pezzo» le ruberebbe un bacio se non significasse interrompere i loro sguardi incrociati.
La felicità, in fondo, è un sentimento che rimane catalizzato nel tempo, anche sotto il copioso scrosciare di tutta la sofferenza del mondo, il suo ricordo rimarrà sempre vivido, nitido, nel tempo.
La felicità è un momento come quello, che potrà finire, dovrà finire prima o poi, ma non sarà mai in grado di spezzarsi, di essere cancellato come non fosse mai esistito.
Sono loro, in fondo, la felicità. O per lo meno, così la pensa Daniel.
Quest'ultimo, in uno di quei suoi tanto improvvisi quanto caratteristici istanti di follia, si alza incespicando nei propri piedi aprendo istintivamente le braccia per non perdere l'equilibrio per via della gamba difettosa.
Al suo cospetto, vestita da uno sguardo indagatore, Althea lo osserva rapita mentre si sfila la giacca del completo ed in seguito anche la camicia abbandonando entrambe sulla sabbia insieme ai pantaloni eleganti.
«Che fai lì impalata? Spogliati, dai» si abbassa per cingerle la schiena così da aiutarla a mettersi seduta ma lei posa decisa le mani sul suo petto.
«No, Daniel, non qui» schiaffeggia la sua mano che si posa sulla cerniera del suo abito per poi voltarsi regalandogli unicamente la vista del suo profilo paonazzo.
Non appena si rende conto del fraintendimento l'australiano scoppia in una fragorosa risata cadendo sulle proprie ginocchia di fianco a lei, «Non mi riferivo a quello, ma se proprio ci tieni...» ghigna strusciando il polpastrello poco sotto la sua scapola.
Althea alza gli occhi al cielo roteandoli fingendosi scocciata dal comportamento di Daniel per poi chiudere le mani a coppa attorno alle sue guance e lasciare un veloce bacio a stampo sulle sue labbra.
Non appena si stacca lui sta per catturarle di nuovo, come si deve questa volta, però poi ricorda il suo intento iniziale, «Dai, facciamo il bagno» l'afferra per le mani per poi tirarla a sé.
«Sei pazzo?! A quest'ora l'acqua sarà gelata» Gli occhi per poco non le fuoriescono dalle orbite e il suo intero corpo si irrigidisce mentre le dita esperte di Daniel armeggiano con il suo vestito.
«Con questo intendi dirmi che non hai mai fatto il bagno di sera?» Aggrotta giocosamente le sopracciglia mentre la libera dalla stretta del corsetto scoprendo la pelle nuda del suo busto fasciato solo dal tessuto del reggiseno.
«Mai» mima con le labbra ad un millimetro dalle sue che vorrebbero averle, possederne ogni centimetro, e ora che sono pelle contro pelle Althea non ha idea di quanto Daniel desideri mischiare i loro respiri ansimanti alla brezza marina, di sentirsi una parte di lei in mezzo a milioni di granelli di sabbia e tra le onde, per sempre.
Si costringe a trattenersi perché ha sempre avuto il brutto vizio di anteporre gli altri a se stesso, perché quello è il momento di Althea, sono mesi che è il momento di Althea, sarà sempre il momento di Althea.
È sfinito, negarlo sarebbe da incosciente, perché lei gli toglie tutto, persino il respiro, senza neppure accorgersene, e il peggio è che il centro del malessere di Daniel non è la sua sedia a rotelle, ma la costante paura di mollare la presa anche per un secondo.
Sono lì, sull'orlo di un precipizio. Lei attorno alla vita porta una corda legata stretta come un cappio e a lui tocca l'altra estremità, e non importa che dopo mesi la fune gli abbia tagliato le mani fin a far sgorgare il sangue, non importa che le sue gambe siano continuamente scosse da un tremolio che minaccia tutto il suo corpo di cedere, non importa che i suoi occhi si siano seccati dopo tutte le lacrime versate nel vederla ancora lì, così lontana, costantemente in bilico tra lui e il vuoto.
Perché deve resistere, fin quando quella data passerà e lui l'avrà ancora lì davanti a sé non potrà mai permettersi di riposare. Perché se per un istante chiudesse gli occhi Althea starebbe già precipitando.
Perché lei potrà essere il centro della Terra, ma è lui a dettare il senso di rotazione. Senza di lui tutto andrebbe perso, tutto rimarrebbe immobile fino a gelare, senza di lui a tenere Althea in vita persino il Sole a lungo andare cesserebbe la sua luce.
Se solo lei desiderasse davvero rimanere, forse tutti quegli sforzi non sarebbero necessari.
Ma Daniel lo sapeva già, quando si era gettato a capofitto in quell'enorme grattacapo attorcigliato fino all'asfissia che è Althea, che ci sarebbe stato da lottare, che avrebbe potuto anche perdere qualche battaglia, ma è la loro guerra e se perdesse contro la morte non se lo perdonerebbe mai.
Perché è facile dire di amare la vita fin quando non ti ritrovi ad avere la costante paura di perdere la persona che ami. Perché lì non vivi più, non sei più vita, sei solo amore, più amore di qualsiasi altra cosa.
Dissimula facendosi coraggio attraverso un respiro profondo. «Cosa ne abbia fatto tu della tua vita fuori dalla palestra per tutto questo tempo per me rimarrà sempre un mistero, Althea Taviani» pronuncia il suo nome alla sua maniera, quella in cui Althea ha imparato ad amarlo un po' di più.
Alfea. Non prova più neanche a correggerlo, non ci ha mai provato in realtà. Le piace, in fondo, essere qualcuno che solo lui è in grado di vedere. Althea può vederla chiunque, Alfea esiste solo nella loro bolla.
«Aiutami a recuperare allora». In quell'istante anche la gonna scivola via mentre ai suoi piedi sembra accumularsi nient'altro che un'informe macchia rossa.
«Ai vostri ordini» si inchina lasciando andare però le mani di Althea che per poco non cade con il sedere per terra sulla spiaggia. Per fortuna i riflessi da pilota di Daniel agiscono più in fretta ed entrambi possono ridere di quanto sia imbranato.
Se una cosa del genere accadesse con la loro corda a quest'ora Althea sarebbe già sul fondo di quel precipizio.
Daniel la prende a mo di sposa mettendo un braccio sotto le sue ginocchia e un altro poco più in basso delle spalle. È uno sforzo non indifferente, ma ne vale la pena, per lei vale sempre la pena.
A contatto con l'acqua sente la pelle di Althea rabbrividire contro la sua mentre la sensazione delle onde gelide solletica la peluria sopra il suo ombelico.
«Daniel, è gelata!» Batte il palmo aperto sul suo petto stringendosi più forte a lui quasi tentando di fuggire al contatto con la schiuma marina.
«Ti assomiglia sai» abbandona la presa sulle sue gambe immergendole pian piano fino a farle toccare il fondale.
«Smettila con questa storia, non sono fredda» mugugna imbronciata strusciando il naso lungo il perimetro della sua mascella cesellata.
«No dai, attualmente sei al livello di Elsa di Frozen, prossimamente salirai ad abominevole donna delle nevi» ridono insieme mentre lui prende a lasciare piccoli baci al sapore di salsedine sulla sua fronte.
«Ti odio» gli pizzica il fianco giocosamente non riuscendo a reprimere nemmeno uno dei mille sorrisi che lui è in grado di regalarle.
«Come no» la prende in giro ironico.
Ad un respiro di distanza, obnubilati l'una dal profumo dell'altro, mentre lei con le dita traccia i confini dei suoi tatuaggi lui approfitta per sormontare la sua figura e trascinarla sott'acqua con sé.
Al di sotto di quello strato che li divide dal mondo reale non sono più nulla, esistono per amarsi e vivono in funzione di questo, quando riemergono però dopo la ripresa di fiato di Althea nel più totale panico Daniel si becca una scarica di pugni dritta sul petto.
«Sei il solito cretino» finisce poi per ridere affannata accostando la fronte perfettamente in direzione del suo cuore.
Poco dopo sono conchiglie riportate a riva dalla marea, distesi sulla sabbia, bagnati fradici, con i capelli zuppi attaccati al collo e alla fronte a fissare il cielo come fosse esso stesso spettatore di quanto accade all'interno della loro bolla.
«Ho un regalo per te» Daniel si rimette a sedere di colpo.
«Un regalo?» Si acciglia lei curiosa.
«Sì, aspettami qui, è nella tasca dei pantaloni» si alza in piedi con qualche difficoltà per raggiungere i suoi indumenti abbandonati sulla spiaggia.
«Già, infatti stavo proprio per scappare» alza ironicamente la voce lei di rimando per far sì che possa sentirla.
«Volevo testare la tua attenzione» le punta un dito contro nel tentativo di insabbiare la brutta figura. Cadere sempre in piedi dopo una gaffe è sul podio tra i suoi più grandi talenti.
La raggiunge poco dopo con un foglio tra le mani arrotolato come una pergamena, sigillato da un nastrino rosso.
Glielo porge divertito dalla sua espressione di stupore, con le sopracciglia inarcate e la bocca semi-dischiusa, «Mi hai scritto una lettera?» Chiede tirando un estremità del nastro per sciogliere il fiocco.
«Non sono in grado» Scuote la testa, «Si tratta di una cosa un po' più grande di una lettera» suggerisce poi mentre si stende nuovamente di fianco a lei.
Non appena le sue dita si posano agli angoli del foglio per srotolarlo e si ritrova di fronte all'acronimo della National Aeronautics and Space Administration, meglio conosciuta come NASA, capisce immediatamente di cosa si tratta.
«Daniel, mi hai regalato una stella...» sospira, con gli occhi che pian piano le si fanno lucidi come il riflesso dell'ormai deceduto tramonto sulle onde.
«Le stelle non si comprano, le ho dato il tuo nome». È così vicino che le sue labbra sfiorano il lobo dell'orecchio di lei, facendosi largo tra le ciocche di capelli bagnati. «Guarda le coordinate» indica un serie di numeri riportati su quel foglio di pergamena.
Acciuffa poi il cellulare che ha portato con sé insieme al regalo, digita quelle cifre su di esso e non appena la pagina completa il caricamento lo passa ad Althea, a cui tutto improvvisamente appare più chiaro.
«Appartiene alla costellazione di Orione, la storia della bambina...».
Il loro primo vero appuntamento e il telescopio posto lì ad ignorare la vista mozzafiato della notturna Monte Carlo, a puntare la propria lente verso il cielo. Era un po' come Althea, quel telescopio, mira all'impossibile ma non si accorge di quanto già possiede.
«Esattamente» mormora in risposta, stringendole il mento tra pollice e indice, portando finalmente le loro labbra ad incontrarsi.
«Sei incredibile» mugola lei tra un bacio e l'altro mentre la sensazione di freschezza dei loro denti che per un istante si incontrano in due sorrisi congruenti la pervade.
«È in questo che devi credere» gli rimette tra le mani quel certificato e le stringe forte, premendo sulle nocche. «In fondo, fino alla fine dei nostri giorni saremo sotto lo stesso cielo, non importa quando arriverà» un sorriso debole le solca le labbra mentre tenta di riavvicinarsi alla sue ma lui pare pietrificato.
«Che cosa stai cercando di dire?» Indietreggia creando un'intercapedine a dividerli nonostante la loro distanza sia fatta di pochi centimetri.
«Daniel...» un tremolio le scuote le labbra, vorrebbe urlarlo quel nome, a squarciagola, perché è come se lui stesse fuggendo via veloce e nonostante non abbia fatto altro che spingerlo verso quella strada, più lo sente lontano e più muore dalla voglia di stringerlo a se fino a soffocare.
«Non ci voglio credere» si spalma una mano sul viso abbassando le palpebre, forse perché il dolore attraverso le sue iridi è talmente travolgente da essere in grado di disintegrare entrambi. «Pensa che stupido!» Ride amaramente tirandosi in piedi a forza nonostante la sua gamba chieda pietà per colpa di quel via vai.
«Daniel, ti prego non fare così». Tenta di afferrare la sua mano ma lui la scansa, brusco, come se il suo tocco scottasse. È il fuoco del Sole che sciolse la cera della ali di Icaro lasciandolo precipitare in mare.
«Dopo tutto questo tempo, dopo tutto ciò che abbiamo fatto insieme ci pensi ancora» la sabbia si alza ad ogni suo passo mentre traccia freneticamente una retta sotto le piante dei piedi facendo avanti e indietro. «Dimmi la verità, non hai mai cambiato idea, neanche per un secondo» non ha il coraggio di incontrare i suoi occhi, il buco nel petto che ha provocato è troppo profondo, troppo vuoto per essere colmato.
All'altezza dell'addome, è una fitta lancinante che si protende in tutto il corpo, come un braccio spietato che gli strappa gli organi interni, lasciandolo inerme, impotente. Solo per dignità non cade in ginocchio, solo perché se si trovasse ancora una volta vicino a lei non sarebbe più in grado di scappare.
«Ci ho pensato, ci ho provato, ma non ci riesco» È costretta ad infilare le mani nello spazio tra le cosce inerti per smettere di scorticarle a carne viva. «Arrampicarsi sugli specchi è efficace solo se il tuo riflesso è disposto a farti da appiglio, e ti assicuro che ogni giorno che passa il mio si fa sempre più schifo» vorrebbe essere in grado di arrabbiarsi, di dargli la colpa di tutto per non essere stato più attento a non innamorarsi di lei, ma dentro di lei non è rimasto altro che gelo.
«Questo non è arrampicarsi sugli specchi, Althea». Getta la testa all'indietro insofferente e Althea si rende finalmente conto di quanto difficile sia avere a che fare con lei.
Ha ripudiato se stessa dal primo momento, per quello che è diventata, per i suoi desideri, per le sue paure, e vedere quanto tutto questo gravi sul cuore di Daniel non fa altro che farle desiderare di non aver mai fatto parte della sua vita, di avere una chance di resettare tutto per evitare in ogni maniera possibile e impossibile di fargli del male.
«È arrampicarsi sulla vita, Daniel, e io non ce la faccio più».
Se tra i suoi rovi un bocciolo aveva trovato la vita, in quel momento i suoi petali cominciano a scorrere copiosi trasformandosi in polvere a contatto con il suolo, come fiocchi di neve, congelati come qualsiasi altra cosa lei tocchi.
A quel punto lui sembra non rispondere più di se stesso, è troppo, troppo tutto. Lei è troppo, troppo complicata, troppo maledettamente triste e irrecuperabile. È un vuoto a perdere, Althea è un vuoto a perdere, e lui è stato così ingenuo da credere di riuscire a riempirlo. «Perché? Perché non riesci ad essere felice insieme a me?!» Le sue mani si posano sulle sue guance, la scuote di poco come a volerla risvegliare da un sonno ingannatore.
È una stanza vuota che sente le sue pareti crollare, il soffitto collassare e le finestre infrangersi cospargendo di schegge di vetro il pavimento di sabbie mobili.
«Nasciamo tutti con una missione nella vita e cioè trovarle un senso, la mia ce l'aveva, poi l'ha perso e un giorno magari sarebbe capace di trovarne un altro, ma sarebbe comunque un altro, non il mio. Ho smesso di cercare la felicità, Daniel, perché non sarò mai veramente felice così, potrei mirare alla serenità, ma non mi basta».
«Non ti basta? Sai che ti dico? Che non basta neppure a me. Non ho più niente, Althea, non ho più un lavoro, non ho speranze di ricostruirmi una carriera, non vedo la mia famiglia da mesi e ho fatto i salti mortali su una gamba sola per convincerti a rimanere e non ho ottenuto comunque nulla» il tono della sua voce fa un salto e rimbomba come un incessante eco nella sua testa.
Non le ha mai neppure accennato di aver perso il lavoro, e Althea sa perché. Era talmente concentrato su di lei, a convincerla, a costringerla a legarsi a lui, a rimanere al mondo, che ha messo da parte se stesso. Si è chiuso in un cassetto e lei involontariamente ha buttato via la chiave, e adesso dovrà farsi largo in mezzo alle macerie per ritrovarla.
«Credi che questo sia sufficiente per decidere di porre fine alla mia vita? Credi che sarei tanto egoista da fare così tanto male alle persone che mi stanno a fianco, che tengono a me, che mi amano? Perché io ti amo Althea, ti amo da morire, e non mi spiego come tu riesca a rimanere così lucida su una cosa del genere». La presa sul suo viso si fa ancora più salda e se lui in quel momento decidesse di stringerla a tal punto da spaccarle il cranio lei glielo lascerebbe fare, per nulla al mondo deciderebbe di ribellarsi, perché dopo tutto il dolore che gli ha inflitto crede di meritarlo.
Perché lo ama anche lei, ma se glielo dicesse probabilmente lui morirebbe lì, accasciato su di lei. Darebbe il colpo di grazia, e sarebbero finiti insieme, al capo linea.
«Tu non hai idea di che cosa voglia dire vivere quando dentro di te tutto è morto e non desideri altro che essere tale». Tocca a lei, essere fatta di pietra, impossibile da scalfire, perché adesso lui è grafite lacerata e si infrange su quel foglio di carta depositato sulla sabbia. «Mi dispiace, mi dispiace di tutto, di averti fatto del male, di averti fatto soffrire, ma ci ho provato sul serio».
«Non ci hai mai provato, Althea» le parla come se fosse una sconosciuta, qualcuno per cui non valga più la pena sprecare il proprio fiato, ma sulle sue guance le lacrime scorrono copiose. «Mai» ribadisce a denti stretti recuperando i suoi vestiti e incamminandosi verso la balaustra che separa la strada dalle affollate strade di Monaco.
«Dove vai? Daniel, non puoi lasciarmi qui!» Urla alle sue spalle, ma lui la ignora, come se tra di loro si fosse creata una barriera e la sua voce fossero frecce scagliate contro di essa che però non lo scalfiscono minimamente.
È sola, quando lo vede sparire oltre l'orizzonte, quando perde di vista le linee scolpite della sua schiena, il suo passo dal ritmo cadenzato.
Avvolta dal buio, il suo non è più un posto fisico, materiale nel mondo. È una spirale che patisce il rimbombo della sua sofferenza contro le sue pareti riflettenti, creando un rumore assordante fatto di nient'altro che silenzio, e singhiozzi.
È un racconto finito il suo, nel punto di partenza, in quello di rinascita che Daniel le aveva offerto.
È l'ennesimo segno, si dice, stretta tra le sue stesse braccia a tremare per il freddo, glielo sussurra l'umiliazione, all'orecchio, il senso di colpa, allo stomaco.
È l'ennesimo segno che il suo momento è arrivato. Che la sua vita al mondo è poco più di un fardello, in grado di fare nient'altro che distruggere qualsiasi cosa tocchi.
Sente la pelle venire via dalle sue mani mentre strappa compulsivamente le cuticole dagli angoli delle sue unghie corte.
Sente il sangue sgorgare lungo i polpastrelli, riaprire ferite chiuse, tracciarne di nuove.
Sente le gocce di pioggia battere sul suo seno, sul suo ventre, ma si accorge che si tratta solo delle sue lacrime che fatalmente bagnano ogni punto su cui Daniel ha posato le sue labbra.
Ne percepisce il gusto salato, amaro, lo manda giù insieme a quello metallico del sangue, che portandosi un dito alla bocca ha incontrato la sua lingua.
Non trova la forza di strisciare, di protendersi in avanti per afferrare il suo vestito, per coprirsi, per non morire congelata quella notte.
Non se lo merita, si dice, non merita di salvarsi dopo tutto il male che gli ha fatto, e piange più forte per non sentire dopo ore ed ore il suo nome, alle sue spalle, da una voce che non è quella di Daniel.
Si morde le nocche tremanti, sperando che non sentendola fiatare sua sorella vada via, ma in cuor suo sa bene che a Tecla non occorre udire il suo respiro per sapere che si trova lì.
Perché lei la sente, scorrere lungo le vene, fracassarle la cassa toracica, la sente dentro mentre divora la sua felicità, mentre rovina il giorno più bello della sua vita.
Ma non la lascerà sola, potrà fuggire in capo al mondo ma sarà per sempre dentro di lei.
E teme, nella maniera più corrosiva al mondo, che sia lo stesso per Daniel.
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