Ventuno

Ci fissiamo in silenzio, Lex e io. Ci scrutiamo senza avere nemmeno il coraggio di respirare, di sputare le parole che dovrebbero riempire l'aria carica di tensione che ci separa tanto è densa. E intanto nella mia mente si ammassano i pensieri, mentre quella sensazione di ribrezzo che credevo di aver dimenticato, la stessa che non ha mancato di ricordarmi, negli ultimi tre anni, che razza di fallito io sia, si fa strada dal profondo del mio petto.

Guardo Alexandra negli occhi e mi sento morire di nuovo, come quando ho visto svanire la luce della speranza da quelli di Serena, come quando ho compreso che si era arresa. E stringo le mani nei pugni, tanto strette che sento i tendini tirare, mentre deglutisco la nausea che mi dà il riflesso della mia immagine nei suoi occhi scuri.

La osservo ancora, mentre si alza, le mani tremanti che tastano il bracciolo del divano, poi un passo, un altro, e un altro ancora, fin quando non si blocca. Volta la testa verso sinistra continuando a darmi le spalle, probabilmente indecisa se recuperare Horus o se evitare di tornare sui suoi passi. E io mi riempio gli occhi di lei, nonostante le sue parole, quelle che mi ha urlato addosso mentre sfogava la sua frustrazione per il mio comportamento, mi rimbombano nella testa alla stregua di una eco dalle mille sfaccettature. La sua voce, bassa e leggermente rauca per il pianto mi riporta alla realtà, mentre con un filo di voce dice: «Puoi tenerti tutto. Non voglio quello stupido visore, non voglio le tue attenzioni... ma soprattutto, non voglio te».

*

Sento i polmoni bruciare, gli occhi che lacrimano, l'aria che mi entra in gola e mi punge le mucose quasi si trattasse di vento atomico. Il cuore sbatte contro le costole, dolorosamente, senza tregua, potrebbe scoppiare. Ma non mi importa.

Il sangue mi pulsa nelle orecchie, ma non mi importa.

I piedi si accaniscono sull'asfalto, mentre i muscoli iniziano a irrigidirsi, ma, ancora una volta, non mi importa.

Sono trascorse otto ore da quando se ne è andata sbattendo la porta. Un dejà-vu. Quante altre volte si ripeterà? Per quanto ancora dovrò ascoltare la sua voce mentre mi rimprovera di averla ingannata? Per quanto ancora dovrò convivere con la consapevolezza di non essere all'altezza?

Accelero, mentre davanti agli occhi mi si materializza una miriade di puntini scuri. Ma non mi fermo, voglio arrivare al limite. Non mi fermo, non posso. Mi infilo nell'ascensore per salire al sessantesimo piano, accasciandomi contro la parete, mentre il mio corpo reclama l'aria quasi si fosse trovato in apnea per troppo tempo. Chiudo gli occhi, abbandonando il capo all'indietro, e intanto la sua voce celestiale torna a prendersi gioco di me, insistente. Sento il mio nome sussurrato piano, in un sospiro, poi le sue mani fresche sul viso.

Sto sognando, questo è certo. Galleggio nell'incoscienza mentre l'oscurità mi avvolge, e solo il profumo della sua pelle mi costringe a mantenere un lieve ma persistente legame con la realtà.

I suoi occhi, due laghi di cioccolato fuso, si fissano inconsapevolmente sulle mie labbra, e io riacquisto appena la lucidità, quel tanto da permettermi un solo pensiero razionale nel mezzo della nebbia densa e calda che mi avvolge le sinapsi. Vorrei che le stesse guardando davvero le mie labbra. Vorrei che torturasse le sue coi denti per trattenere l'istinto di avventarsi sulle mie, per poi cedere all'attrazione magnetica che ci tiene a debita distanza ma pur sempre l'uno accanto all'altra, alla stregua di un pianeta col proprio satellite.

Mi concedo di perdermi nell'incoscienza di questo sogno, fino a quando sento le forze venir meno e i sensi scivolare lontano.

*

La sento, finalmente. Il suo respiro all'orecchio, ansimante, le sue dita tra i capelli, la sua pelle contro la mia, vellutata, febbricitante, profumata.

Mi avvolge stretto, mentre mi perdo in lei, nel suo calore, mentre scivolo sul suo corpo perfetto senza pesare troppo sulla pancia, con il cuore che martella nel petto contro il suo seno, e quella sensazione di tensione mista all'aspettativa di piacere che mi avvolge in un'aura di magia.

Mi scosto e la osservo incantato, immobile dentro di lei mentre sento il sangue pulsare violento nelle vene. Glielo sussurro contro le labbra che voglio renderla felice, che voglio restituirglielo il coraggio di concedersi, il diritto di sentirsi al sicuro tra le braccia di un uomo, anche se addosso non ha altro che quella sua pelle dall'aroma celestiale.

«Ti voglio» mormoro, tanto piano che fatico io stesso a sentire la mia voce tremante.

E poi glielo ripeto, riprendendo il moto ondoso, simile a quello dei flutti che accarezzano il bagnasciuga, catturando un pezzetto del suo animo ad ogni affondo, rendendola mia gemito dopo gemito. Ed eccolo il momento, sento che la tensione è troppa, che è l'attimo perfetto per lasciarsi andare, quando sussulto nel sentire una porta che sbatte.

Mi sento come se mi avessero prelevato con la forza, infilato in una lavatrice modificata per fungere da portale spazio-temporale, utilizzato come cuscino prova in uno di quei grandi magazzini che vendono storpiature del fantastico design Bauhaus, e infine catapultato nuovamente nella cruda e accecante realtà.

Spalanco gli occhi per poi richiuderli all'istante, stringendo le palpebre per il dolore lancinante che sembra perforarmi i bulbi oculari, mentre va scemando il riflesso per quello che deduco essere un sogno, del tutto disinibito, nel quale ero immerso.

A dir la verità nemmeno mi capacito di aver sognato Lex, e me, e... dannazione, ma cosa diavolo ho che non va?! Non ero vittima di questo genere di visioni da... da quando... da quando Serena è morta. Scuoto la testa e mi stropiccio gli occhi con le dita, espirando l'aria trattenuta a stento nei polmoni, mentre con la gola riarsa mugugno qualche imprecazione al limite del comprensibile. E faccio per mettermi a sedere, quando sento delle voci provenire dal salotto.

«Come diavolo fai a dire che è innamorato di me?!» sbraita Alexandra.

Resto in ascolto, pietrificato dalla paura per quello che posso aver detto durante il sonno, poi il mio udito capta la voce bassa di Matt, mentre mormora: «Cristo, Lex, stava sognando!»

«Grazie tante! Sono cieca, non sorda, e ho sentito benissimo!» ringhia lei, per poi aggiungere in tono triste: «Sognava di fare con un'altra quello che io non potrò mai concedergli, Matt».

Il silenzio cala pesante nella stanza accanto, talmente opprimente che non sento altro che il rimbombo provocato dal battito del mio cuore, misto al ronzio insistente dei miei pensieri confusi che si attorcigliano senza via d'uscita nella mia mente.

Tento di alzarmi cautamente, nonostante la testa che gira vorticosamente e lo stomaco che potrebbe far concorrenza all'ultimo modello di aspirapolvere ciclonica in commercio. Mi avvicino alla porta della mia stanza, per sbirciare oltre lo spiraglio.

La vedo. È una visione eterea, i capelli sciolti a incorniciarle il volto e quel tubino blu che esalta le sue curve in quel modo che... Dannazione a me.

Spalanco la porta, immergendomi in quella quiete densa di tensione che li avvolge, poi, con la voce arrocchita e leggermente tremante, mormoro: «Lex... ti prego, devi ascoltare quello che ho da di-»

«Non ho intenzione di ascoltare proprio niente, Christopher. Sono qui solo per... per recuperare Horus. Di te non mi importa un accidenti.»

Mi blocco dove sono, lo sguardo fisso su di lei, su quegli occhi di cioccolato fuso che mi hanno incantato dal primo istante, poi mi costringo a muovere qualche passo nella sua direzione.

«Non puoi pensarlo davvero» replico in tono fermo mentre mi avvicino. E mi aspetto di vederla indietreggiare, ma lei resta immobile. «Lex, ascoltami, poi sarai libera di andartene se è davvero ciò che desideri, ma prima lasciami spiegare.»

«E cosa vorresti spiegare?! Avanti, sentiamo la scusa del secolo, Chris» sbraita a una ventina di centimetri dal mio viso. Poi le sfugge un sorriso amaro, le dita tremanti che sfiorano la fronte per poi imbrigliarsi in un pugno tra i capelli. Infine, dopo aver sospirato, sussurra: «Che stupida! Come potevo pensare che da me non volessi solamente del sesso?»

«Ma che cazzo stai dicendo?! Come puoi dire una cosa del genere dopo tutto quello che ho fatto per farti accettare quel bambino?» sbraito in preda al panico.

Alexandra indietreggia impercettibilmente, quasi le mie parole abbiano avuto il medesimo effetto di un pugno in faccia, poi, con le lacrime che le bagnano le labbra, chiede: «Dov'è tua moglie?»

Lancio un'occhiata a Matt, che scuotendo la testa si avvia verso la porta d'ingresso, poi torno a guardare Lex, le dita della mano destra che torturano il dorso della sinistra, gli occhi rivolti a terra, il respiro corto. Lo so che una risposta non la vuole davvero, lo so che è terrorizzata dal pensiero di perdermi, lo capisco da come ha incurvato impercettibilmente le spalle, da come si tortura il labbro inferiore coi denti.

Matt si chiude la porta alle spalle e io mi avvicino piano, afferrandole delicatamente i polsi per poi portare le sue mani sul mio petto, all'altezza del cuore. «Dimmi cosa vedi, Lex.»

La osservo mentre alza istintivamente il volto per affrontarmi, e sebbene nei suoi occhi sia difficile scorgere il disappunto, io glielo leggo in faccia che si sta trattenendo dal lasciarsi andare a una serie di insulti che nemmeno uno scaricatore di porto potrebbe recitare. Poi, con voce flebile mormora: «Dove vuoi arriva-»

«Voglio che tu mi dica che cosa diavolo vedi!» la apostrofo, stringendo le sue dita tra le mie.

Mi aspetto di ricevere un ceffone, invece tutto ciò che ottengo è vedere i suoi bellissimi occhi riempirsi di lacrime, prima che lei si volti verso destra per non lasciarsi guardare mentre piange.

Sospiro piano, poi le afferro delicatamente il mento e la invito a riportare l'attenzione su di me. «Tu non capisci, vero? Non riesci a capire che anche se non puoi osservare il mondo attorno a te, sei l'unica che riesce a guardare me? Tu vedi cose che chiunque altro dotato di una buona vista non è in grado di vedere. Tu... tu mi hai... Dimmi che cosa vedi, Lex...»

Lei si bagna le labbra perfette, portandomi ad avvicinarmi come se la sua bocca reclamasse la mia alla stregua di una stella in un sistema binario, poi, con un sospiro leggero, replica: «Vedo un uomo che non ha il coraggio di dire la verità. Io... Chris, davvero... non capisco...»

La osservo mentre indietreggia passandosi una mano tra i capelli. È la frustrazione fatta persona, ed è solo nel momento in cui incrocio il suo sguardo carico di dolore che capisco di essere nocivo per lei, che comprendo quanto le mie paure stiano sbranando il suo animo esattamente allo stesso modo in cui divorano il mio. Apro bocca per replicare che pretendo di sapere che cosa non capisce, ma dopo qualche sillaba la frase mi muore in gola, sovrastata dalle parole di Lex, che in un sibilo dice: «Tu davvero non sai di cosa sto parlando?»

«Voglio sentirtelo dire» ribadisco in tono piatto.

Un sorriso amaro si impossessa delle sue labbra, mentre con la voce che trema ringhia: «Parlo del fatto che mi hai mentito, dannazione! Parlo del fatto che mi sento una stupida, a essermi fidata del mio istinto quando mi suggeriva che...»

«Che cosa, Lex?» chiedo dolcemente avanzando di mezzo passo.

Lei espira l'aria trattenuta nei polmoni, poi con voce debole aggiunge: «Quando mi suggeriva che quello che hai detto e che hai fatto negli ultimi mesi non poteva essere tutta una menzogna... ci dev'essere una spiegazione, Chris... Non puoi aver fatto tutto questo per... solo per... per...»

«Per portarti a letto? Avanti, dillo di nuovo che credi sia stato solo per una delle tante notti di sesso!» esplodo stringendo i pugni lungo i fianchi e costringendola a serrare le palpebre quasi volesse proteggersi dall'onda d'urto delle mie parole.

Per qualche istante il silenzio ci avvolge, contrastato solamente dal rimbombo provocato dalle mie urla che mi fa sentire l'uomo peggiore sulla faccia della Terra, ma è quando la vedo recuperare a fatica il bastone dal tavolino accanto al divano che sento le crepe aprirsi sulla superficie del mio cuore.

«Non c'è altro da dire, Chris» mormora trattenendo le lacrime, prima di voltarsi per andarsene.

I miei riflessi però sono più rapidi di quanto possa impiegare il mio cervello a elaborare il concetto che non posso permetterle di sparire così, e mi ritrovo così a stringerle le dita attorno al polso esile per impedirle di fuggire. «Dimmi cosa vedi, Lex... giuro su Dio che ti racconterò di mia moglie, ma tu dimmi cosa diavolo vedi in me...»

«Sento la paura, Chris. Sento un uomo dall'animo estremamente intrigante. Sento l'intelligenza che hai per ammaliare, la dolcezza che utilizzi per stregare, la perseveranza per non accontentarti mai... ma alla fine vedo solo un ragazzo che si lascia scivolare tra le dita la possibilità di essere felice.»

Sbatto istintivamente le palpebre per evitare che le lacrime mi appannino la vista, e mentre le sue dita si posano delicate sulla barba corta a catturarle, mormoro: «Non andartene».

Lei annuisce lentamente, prima di mormorare: «Solo se mi prometti una cosa, Chris...»

Attendo in silenzio, con il cuore che va a mille e un nodo in gola che mi impedisce di respirare. Ed è quando le parole le escono di bocca che sento il magone sciogliersi e le lacrime scendere a bagnarle i polpastrelli, mentre bisbiglia: «Sei tu che non devi lasciarmi andare».

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