Venti
Il telefono squilla a vuoto per la quarta volta, lo lancio sulla scrivania e lascio che lo sguardo si perda oltre la vetrata che affaccia sulla città caotica già di prima mattina.
La mano di Matt mi stringe la spalla, ma io sono talmente frastornato che non la sento nemmeno. Recupero il telefono e ascolto la voce irritante della segreteria telefonica che mi comunica per l'ennesima volta che il cliente chiamato non è al momento raggiungibile.
«Dannazione! Dove diavolo è Frank?!» sbraito battendo un pugno sul piano di cristallo, prima di scattare in piedi e raggiungere la finestra.
Matt, alle mie spalle, si avvicina piano, sospirando lievemente prima di dire: «Vedrai che chiamerà, cerca di rilassarti... agitarsi in questo modo non renderà le cose più semplici».
Mi volto come una furia, puntando gli occhi dritti nei suoi, prima di sibilare: «Tu lo capisci o no, che Lex ha riconosciuto il suo aggressore?! Io ho visto quell'uomo, Matt! Devo parlare con Frank, dannazione!»
«Io capisco che tu sia sconvolto, e so che hai bisogno di parlare con lui, ma vedi di darti una calmata, è chiaro?!» sbotta. «Piuttosto, dov'è Lex ora? Come si sente?»
Lo fisso per un istante, del tutto incredulo per la sua reazione, poi, con un filo di voce, replico: «Ha insistito per andare all'osservatorio, stamattina».
«Forse era meglio che tu stessi con lei... non credi abbia bisogno di sentirsi al sicuro in questo momento?» chiede smorzando il tono della voce.
Per un secondo trattengo troppa aria nei polmoni, fino a sentirli bruciare, poi, dopo averla lasciata uscire piano, mormoro: «Mi sono sentito inutile, Matt. Mi sento inutile. Non ho idea di come comportarmi, di cosa fare per risolvere questa situazione, di come toccarla... Ho sempre il terrore di fare la cosa sbagliata. Mi sembra di tenere tra le mani una bomba a orologeria senza timer, la stringo ma non so mai se da un momento all'altro scoppierà distruggendo tutto ciò che ci circonda».
«È evidente che Lex abbia bisogno di parlare con qualcuno» dice con aria pensierosa. «Mi sembra strano che non le abbiano consigliato di farlo a dire la verità... In ogni caso tu dovresti mettere ordine tra i tuoi pensieri. Sei spaventato quanto lei, Chris, e questo credo sia normale, ma a lei non è sicuramente d'aiuto. In fondo avete raggiunto una certa complicità, mi sembra, e non mi sorprendereb-»
«Gliel'ho detto» sussurro.
Lui mi fissa per qualche secondo, prima di chiedere: «Le hai detto cosa?»
«Che la amo. Ho detto a Lex che la amo.»
«Chris... e lei, di Serena, che cosa sa?» replica Matt con voce grave.
Alzo le spalle continuando a fissare i grattacieli illuminati dal sole, e intanto cerco disperatamente una risposta da sputare, anche se tutto ciò che riesco a dire è: «Che era importante per me, e che ora non c'è più».
Matt stringe le palpebre riducendo gli occhi a due fessure, le sopracciglia aggrottate e un'espressione omicida in volto. «Perché cazzo le hai mentito?!» sbotta all'improvviso aprendo le braccia in segno di esasperazione.
«Matt, non è proprio il momento ades-»
«No, ma certo!» mi interrompe. «Quando è ora di fare i conti con le cavolate che fai, non è mai il momento, non è vero?!»
«Di cosa stai parlando?! Cosa c'entra questo con quello che è successo a Lex?» replico infastidito alzando la voce.
Lo osservo allibito mentre si lascia andare a una di quelle risate amare che mi fanno sentire un idiota con tanto di abilitazione, prima di dire con la voce che gronda disprezzo: «Davvero sei convinto che non abbia il diritto di sapere? Sei così stronzo da credere di poterla proteggere evitando di raccontarle la verità? Sentiamo... quanto credi potrebbe durare? Un mese? Dieci? E quando quel bambino nascerà che cosa farai?! La prenderai ancora in giro facendole credere di essere l'unica donna della tua vita? Le farai credere che potrete crescerlo assieme come non hai potuto fare con Serena?»
«Non lo so, ok?!» sbraito con tutto il fiato che ho nei polmoni. «Non lo so che cosa succederà! Ho solo voluto... ho...»
«Hai tentato di non affrontare quel dolore per l'ennesima volta, ecco che cosa hai fatto. Non hai voluto mostrare la tua vulnerabilità e ammettere che Serena non sei riuscito a salvarla» mi apostrofa.
«Lo sai che avrei fatto di tutto!» sibilo trattenendo le lacrime.
«Lo so, ma non hai potuto, semplicemente perché non ne avevi la possibilità. E ora ti senti così impotente perché è Lex che vuoi salvare, e hai paura di non farcela un'altra volta. Ma lei non è Serena, Chris. Lei è qui, e ha bisogno di te al meglio delle tue capacità, ha bisogno di stabilità e certezze, e sicuramente non potrà mai riceverle da te se le menti sul tuo passato. Se deciderai di affrontare questa cosa con lei devi tentare di restare lucido e soprattutto di non tagliarla fuori... sai meglio di me che potrebbe finire male.»
Annuisco in silenzio per poi passarmi le dita tra i capelli ormai troppo lunghi, prima di alzare il volto e fissare il mio iPhone, che nel frattempo ha iniziato a squillare. Matt lo afferra prima di me e risponde, incurante del fatto che il telefono sia mio: «Frank, abbiamo bisogno del tuo aiuto».
«Quindi, secondo te, basterà il test del DNA?» mormora Lex cambiando posizione sulla poltroncina di fronte alla mia scrivania.
Mi alzo lentamente per raggiungerla, appoggiandomi contro il piano di cristallo di fronte a lei per poi accarezzarle il viso. «Non è necessario ricorrere alla amniocentesi, basterà un prelievo di saliva e uno di sangue» spiego tentando di rassicurarla. «Il bambino non correrà alcun pericolo, Lex. Non serve che ti dica quanto sia importante questa cosa... Secondo Frank in ques-»
«Non me ne frega niente di quello che dice quel Frank!» sbotta lei scostando bruscamente la mia mano con la sua. «E poi, si può sapere chi diavolo è? Hai raccontato a uno sconosciuto quello che mi è successo!»
«Lex, lui... lui non è uno sconosciuto» sussurro.
Lei si lascia scfuggire un sorriso beffardo, prima di sibilare: «Ah, no? E allora chi è? Un collega? Un cervellone che ha a disposizione vie preferenziali per incastrare quel... Dio, Chris, perché diavolo non me l'hai chiesto, prima di fare di testa tua?»
Nonostante sia cosciente di essere in torto per non averle parlato di Serena e delle mie intenzioni riguardo il suo caso, sento la rabbia montarmi dentro e iniziare a ribollire alla stregua di lava incandescente. Faccio un respiro profondo, perché so che da un lato Lex ha tutte le ragioni di avercela con me per aver agito senza interpellarla, e tento di calmarmi, di essere un sostegno per lei, ma tutto ciò che riesco a fare è apostrofarla dicendo: «Volevo solo accelerare i tempi! Certo, tu pensi sia difficile solo per te, non è così? Sei convinta che non lo ucciderei di botte quel figlio di puttana se fossi certo di poterti restiruire la tua dignità e la felicità che meriti?! Beh, lo farei, Lex. Per te manderei a puttane una carriera, la mia immagine, tutto. Senza battere ciglio. Ma non servirebbe a nulla, se non a dimostrare che non sono riuscito a difendere una donna per l'ennesima volta!»
Senza accorgermene mi ritrovo al centro del mio ufficio, i pugni stretti lungo i fianchi, mentre la fisso con tanta di quella rabbia nelle vene che potrei spezzare a metà una tavoletta in puro stile Karate Kid. La osservo mentre si alza piano, le braccia che si allungano istintivamente in avanti mentre compie qualche passo nella mia direzione, per raggiungermi con il solo ausilio di Horus. Sospiro e allungo una mano per afferrare la sua e attirarla a me, godendo della sensazione di tranquillità che mi pervade nell'istante esatto in cui il suo corpo si accosta al mio.
«Chiudi gli occhi» mormora a un centimetro dalle mie labbra.
Faccio come dice, abbandonandomi al suono della sua voce mentre aggiunge: «Che cosa senti?»
«Il tuo profumo, quello che sa di mandarino e basilico, e il tuo respiro sulle labbra» replico piano.
Percepisco il suo sorriso in un lieve spostamento d'aria, poi il rumore delle cuffie a induzione ossea che scivolano sui suoi capelli mentre le toglie. La sua mano, ancora stretta nella mia mi accompagna ad accarezzarle la pancia, e all'improvviso mi sembra di essere investito da un'ondata di calore. Sento il cuore accelerare i battiti, mentre dalle sue labbra esce in un sussurro un'altra domanda: «E adesso... che cosa senti?»
Stavolta non riesco a trattenere un sorriso, mentre sotto le dita percepisco un leggerissimo gorgoglio, la presenza di quella vita che invece di separarci ci tiene assieme, e che mi invoglia ancora di più a combattere per la loro felicità, oltre che per la mia. Così, deglutendo a stento per ricacciare le lacrime, le bisbiglio contro le labbra: «Il nostro futuro».
Tengo le palpebre serrate, mentre lei si asciuga le lacrime, si lascia sfuggire un sorpiro, e infine dice: «Facciamo questa cosa, almeno saprò da chi proteggere mio figlio».
Lo so, sono sorpreso quanto voi per ciò che ho sentito uscire dalla bocca di Lex qualche ora fa, ma non ho voluto farglielo notare. Vedete, il pensiero che finalmente stia prendendo in considerazione l'idea di tenere con sé il bambino mi fa sentire al settimo cielo, sebbene debba ammettere che la paura di non poter essere all'altezza di occuparmi di loro non mi fa dormire la notte.
Le lancio un'occhiata furtiva mentre lascio scivolare nell'acqua bollente gli spaghetti, prima di sbattere le uova nella ciotola secondo le indicazioni lasciate dalla mia governante. «Spero tu abbia fame!» esclamo, versandomi un bicchiere di vino.
Lei alza appena lo sguardo dal suo iPhone, per poi mormorare: «Chris, posso inviare una mail dal tuo pc? Il mio telefono è morto e credo di aver dimenticato il caricabatterie all'osservatorio. Devo assolutamente inviare a Meg gli appunti per la lezione di domani».
Annuisco in silenzio, recuperando il computer per poi lasciarlo tra le sue mani, del tutto entusiasta di scoprire come funziona il riconoscimento ottico di Horus se posto dinnanzi a uno schermo. La osservo quasi incantato mentre tenta di orientarsi alla ricerca della casella di posta, quando sono costretto ad allontanarmi per rimestare la pasta.
Del tutto intento a non lasciar bruciare la pancetta in padella bevo un altro sorso di vino, e intanto, lo ammetto, mi ritrovo a fantasticare su come sarà quando con noi ci sarà anche il piccoletto. E sono ancora del tutto smarrito tra i miei pensieri, intento a chiedermi se non sarà il caso di cercare un appartamento più grande, e subito dopo pervaso da una lieve sensazione di inquietudine al pensiero di essere riuscito a formulare un pensiero del genere in così poco tempo, che non mi accorgo che Lex ha appoggiato il pc sul tavolino di fronte a sé e sta fissando il vuoto.
Mi pulisco le mani e attraverso la cucina per raggiungerla, accanto al divano. Sta ascoltando quello che Horus legge per lei, e il mio cuore per un secondo aumenta il ritmo per la gioia, per poi congelarsi all'istante nel momento in cui mi accorgo che quella aperta non è la casella di posta di Lex, ma la mia.
Alexandra si libera delle cuffie con mani tremanti, troppo tremanti per i miei gusti, appoggiandole delicatamente sulla seduta del sofà accanto a lei. Le dita della mano libera che le scivolano tra i capelli, prima di chiudersi in un pugno affondato in uno dei cuscini.
«Lex...» mormoro, incapace di dire solo una parola di più, del tutto pietrificato dinnanzi alla mia stupidità, la stessa che sapevo mi avrebbe fregato prima o poi.
Lei alza una mano intimandomi di tacere, ma io non ce la faccio, così mi inginocchio di fronte a lei, con le mani che stringono sulle sue gambe nude per il vestito corto, prima di dire: «Devi ascoltarmi, Lex, io posso spie-»
«Chi è Serena, Christopher?» chiede in tono piatto.
Resto in silenzio a farmi divorare pezzo dopo pezzo da quel mostro che ha ripreso ad agitarsi dentro di me, che finalmente ha trovato il modo di farmela pagare, di rovinarmi definitivamente l'esistenza. E non riesco a parlare, limitandomi a deglutire a fatica il nodo che mi si è formato in gola, mentre le lacrime iniziano a scendere comunque perché so che siamo alla resa dei conti e da questo momento non potrò più fuggire.
«Toglimi quelle mani di dosso, Chris, e dimmi chi diavolo è Serena!» mi sbraita in faccia, con la voce rotta dal pianto.
Lascio scivolare le dita via dalla sua pelle per poi afferrarmi le punte dei capelli, le palpebre serrate e il respiro affannoso, mentre il cuore minaccia di esplodere definitivamente. Poi, con un filo di voce mi costringo a bisbigliare: «Mia moglie».
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