Uno

Sei mesi prima.

Lo avete sentito?
Quel lento graffiare della stilografica sull'ultima pagina del contratto, lo avete sentito? Quello, signore e signori, è il suono del successo. E badate bene, non parlo di gloria, ma di soddisfazione, di profondo orgoglio per l'obiettivo che ho raggiunto, senza l'aiuto di nessuno.

Come dite? A primo impatto sembro borioso e pieno di me? Beh, se fare del proprio meglio per ottenere il meglio significa apparire in questo modo, allora sì, sono proprio uno stronzo che non conosce modestia. D'altronde sono io e, che lo sappiate o meno, sono il migliore.

Sorrido tra me e me dell'espressione leggermente accigliata del mio nuovo socio, del tutto incapace di credere che il nostro primo cliente, ad appena una settimana dalla fondazione dello studio, sia proprio lui: il rozzo, estremamente arricchito e in carne Mr. Perry, un produttore texano di mongolfiere.

Non ridete, non è uno scherzo!

Questo tizio si è cacciato in un pasticcio grosso come la sua pancia e ora ha bisogno di una squadra di avvocati pronti a prendere le sue difese.

No, non ha ucciso nessuno se è questo che vi state chiedendo, ma ci è mancato poco, troppo poco. Così, quando è venuto a supplicare il mio aiuto, sebbene il mio nome non fosse più legato allo studio legale di mio padre in quel di New York, ho deciso di aiutarlo.

A Matt non va esattamente a genio, ma la parcella a cinque zeri che il texano dovrà pagare ha messo a tacere qualcuna delle riserve del mio migliore amico. Solo qualcuna, però...

Quando Richard Perry ha menzionato quello che lui stesso ha definito "incidente", Matt per poco non mi ha messo le mani al collo. Sapete, il mio migliore amico fa parte di quella categoria di persone che tengono morbosamente all'immagine, e il pensiero di far debuttare lo studio sobbarcandoci la difesa di un rinomato idiota come Perry lo terrorizza a morte. La mia reazione al racconto della vicenda, invece, è stata molto poco professionale, ma non ho potuto resistere: sono letteralmente scoppiato a ridere, soffocando l'ilarità alla prima occhiataccia di Matthew.

Sarò anche uno stronzo, ma avreste riso anche voi, dannazione!

Come? Volete sapere? Non dovrei parlare della faccenda in realtà... ma visto che insistete tanto farò un'eccezione.

Dovete sapere che Mr. Perry adora il suo lavoro ma generalmente non testa personalmente i palloni aerostatici che la sua azienda produce a livello mondiale.

Ebbene, in occasione di un grande raduno di appassionati, uno di quelli con i chioschi che vendono panini, hot dog e cartocci di colesterolo al cento per cento, Richard Perry ha preso l'astuta decisione di metterci la faccia e salire personalmente sul nuovo prototipo avanzato da lui ideato.

"E cosa c'è di male?" vi chiederete.

Di male c'è, amici, che il genio incompreso in questione avrebbe pagato dei figuranti per salire a bordo con lui e il suo hamburger gigante durante il volo inaugurale del pallone. Pare che l'aggeggio si sia sollevato da terra di qualche metro, quando a Mr. Perry è scivolato il panino dalle mani e, nel tentativo di acciuffarlo al volo, avrebbe sbilanciato leggermente la cesta, distraendo il conducente e facendo così precipitare a terra la mongolfiera. Nessun morto, quattro feriti: tutti attori, che hanno chiesto un risarcimento danni esorbitante.

Tornando a noi, osservo il texano oversize uscire dal mio studio e punto gli occhi in quelli di Matt. «Non guardarmi così...» lo ammonisco.

Lui scrolla le spalle e lancia un'occhiata oltre la vetrata prima di riportare gli occhi azzurro ghiaccio nei miei. «Devo ammettere che ci sai fare Chris...» borbotta controvoglia.

«Avevi qualche dubbio?»

«No, ma sono ugualmente preoccupato per l'immagine negativ-»

«Non ti azzardare a ricominciare, intesi? Andrà bene, anzi, più che bene! Io non sbaglio mai.»

Lui sospira, poi si stropiccia gli occhi, infine torna a fissarmi con un sorriso rilassato sulle labbra. «Che ne diresti di andare a bere un goccio? Oggi è...»

«No» lo interrompo bruscamente. «Ho da fare.»

Matt scuote la testa, non tanto per la mia risposta molto poco educata, quanto per la consapevolezza di non potermi indurre in alcun modo a modificare i miei piani per la serata. Se ne resta immobile a fissarmi mentre decido che per oggi ne ho abbastanza, mentre recupero la mia borsa portadocumenti, mentre lo saluto lasciandolo solo nel mio ufficio.

Come dite? Mi comporto da stronzo? Beh, non sono affari vostri. Vi basti sapere che Matt è come un fratello per me, e che con uno sguardo è in grado di percepire i miei pensieri. Perciò non datevi pena per lui, è abituato a tutto questo.

La mia auto tirata a lucido mi aspetta nell'area riservata del garage sotterraneo, mi accomodo sul sedile di pelle chiara e avvio il motore. Sospiro di piacere nel sentire quel leggero brivido che percorre la mia spina dorsale quando il ringhio sommesso, invitante, dei seicento cavalli, vibra insinuandosi fin sotto la mia pelle. Sì, mi esalto anche per queste cose, e non mi vergogno a dirlo.

Respiro la brezza della sera mentre guido per le strade di Los Angeles, godendomi la solitudine e la quiete del breve viaggio che mi separa da uno dei pochi locali della città che non sono presi d'assalto da orde di turisti. No, non vi dirò come si chiama, non me ne vogliate.

Di fronte al portoncino a doppio battente mi fermo per un secondo, giusto il tempo di liberarmi della cravatta, che faccio scivolare nella tasca della giacca, e di slacciare i primi due bottoni della camicia. Mi spettino i capelli con una rapida passata di dita e digito il codice di accesso al locale facendo scattare la serratura, che mi invita a entrare con un suono elettronico.



Lascio vagare lo sguardo attraverso l'ampio atrio del locale, soffermandomi a osservare il volto sconosciuto di una giovane donna, che mi sorride educatamente. Mi chiedo che fine abbia fatto la solita receptionist. Non che questa sia meno bella, ma Charlie è... beh, è l'unica donna con la quale non farei del sesso. A parte mia sorella, ovviamente. Mi sorprende che non abbia nemmeno avuto il tempo di farmi una telefonata per avvisarmi che stasera sarebbe mancata al nostro appuntamento.

«Buonasera Mr. Braxton» mi saluta la ragazza, facendomi rinsavire dalle mie congetture.

Le regalo un sorriso di circostanza. «Buonasera...» replico lasciando in sospeso il saluto poiché non ho idea di quale sia il suo nome.

«Pam» si affretta a concludere. «Benvenuto al...»

«Sì, okay... non mi servono i salamelecchi» la interrompo un po' troppo bruscamente. «Dov'è Charlie?»

«Mi dispiace, signore, non sono stata informata. Mi hanno semplicemente incaricata di accoglierla e di consegnarle questa» spiega in modo gentile mentre allunga il braccio per porgermi una busta color panna.

Riesco a lasciarmi scivolare addosso l'ondata di fastidio a stento, mentre afferro la busta e leggo il mio nome abbreviato scritto in grafia elegante sul retro: "Chris".

Dio solo sa quanto odio non avere il perfetto controllo su ciò che mi riguarda. Nessuno deve avocarsi il diritto di decidere per me, di decretare del mio tempo libero, dei miei spazi, di come devo trascorrere la serata.

Perché diavolo non mi ha informato con un fottuto messaggio? Una mail, una schifosissima email per avvisarmi che non ci sarebbe stata. Dannazione.

No, non fate quelle facce. Non sono un tipo possessivo, non sono violento, non amo esercitare il controllo sulle persone. Non sono uno psicopatico à la Christian Grey. Sono semplicemente incazzato, perché non sopporto i cambi di programma senza preavviso.

«Perdoni la mia maleducazione» mormoro e, sfoderando un sorriso falso come i soldi del Monopoli, mi avvicino alle porte scorrevoli in vetro satinato che dividono il bar dal sontuoso atrio.

Mi accomodo al bancone rivolgendo un cenno di saluto a Dean, che si affretta a recuperare una bottiglia di Belvedere per poi riempire il bicchiere che mi piazza davanti.

Seguo con l'indice il profilo della busta, indugiando giusto il tempo per lasciarmi scivolare in gola la pregiata vodka, a occhi chiusi, nell'attesa che il calore dell'alcool sciolga la tensione che mi sta assalendo.

Il motivo di tanto disagio? Odio le sorprese. Sono inutili, ti fanno venire quella sensazione di tachicardia che... beh, tagliamo corto: mi stanno sulle palle e basta. Ti costringono a ringraziare, ad assumere una di quelle espressioni che ti fanno sembrare un idiota, con la faccia simile a quella di un ragazzetto che vede una donna nuda per la prima volta.

Finalmente mi decido ad aprire la busta, costringendomi a pensare che in fondo potrei sbagliarmi. Certo, lo so, è un'ipotesi assurda, ma potrebbe essere così. D'altronde non è detto che...

Cazzo.

Ecco la conferma del fatto che io non sbaglio. Mai.

Cerco disperatamente di incontrare lo sguardo di Dean, che alza un dito nel tentativo di indicare una porta alle mie spalle. Mi sorprende che in tutti questi anni non abbia ancora capito che non ha speranze di trascinarmi in qualcosa che non ho alcuna intenzione di fare.

Scuoto la testa ridendo di lui, beffardo, mentre mi dirigo verso le porte scorrevoli per andarmene, ma il sorriso ebete che ho stampato in faccia sparisce all'istante, nel momento esatto in cui mi accorgo che ha bloccato l'uscita.

Mi volto di scatto, incenerendolo con lo sguardo.

«Mi dispiace, amico» mormora sghignazzando.

Ciò che accade subito dopo è come un incubo. Al rallentatore.

Vengo investito da uno tsunami di urla, baci, abbracci, coriandoli a forma di "2" e "9", auguri e merda simile. Chi più ne ha, più ne metta. Mancano solamente le trombette e i cappellini a forma di cono e poi, davvero, potrei pensare che questo posto si sia trasformato in un manicomio.

E indovinate di chi cazzo è la colpa di questo casino?

Come se i miei pensieri fossero diventati all'improvviso di dominio pubblico, ecco che per magia la folla si fa da parte come le acque del Mar Rosso dinnanzi a Mosè e Charlie compare alla mia vista in tutta la sua straordinaria bellezza, e stronzaggine.

Mi si avvicina tentennando, forse perché ha paura di essere finalmente riuscita a minare il mio rinomato self-control, e tenta evidentemente di rabbonirmi con un sorriso smagliante.

Dio, quanto è sexy. Devo ammetterlo, se non fosse la mia migliore amica, me la sarei già... oh, scusate, signore... diciamo che l'avrei già intrattenuta, in diverse posizioni, nel mio letto.

I capelli le ricadono in riccioli morbidi sulle spalle leggermente abbronzate, nude dalla stoffa blu dell'abito che indossa. Calza dei sandali dal tacco altissimo, che slanciano ancora di più le gambe perfette, messe in mostra con eleganza nonostante la gonna del vestito sia cortissima. Troppo spazio alla vista, poco spazio all'immaginazione. E io di immaginazione ne ho fin troppa.

Questo però non toglie che sono incazzato nero, perciò metto da parte i pensieri sconvenienti e serro le palpebre, inspirando profondamente nel tentativo di darmi una calmata.

Charlie si avvicina, sistemandomi il colletto della camicia prima di baciarmi dolcemente la guancia. Si sofferma a qualche centimetro dal mio orecchio e sussurra: «Sei arrabbiato?»

Se sono arrabbiato? Se sono arrabbiato?!

Sono furibondo, non arrabbiato. Sono un fascio di nervi, e nemmeno una seduta di sesso a tre potrebbe sciogliermi in questo momento.

«No» mi costringo a rispondere in tono pacato. «Ti ringrazio per il pensiero, ma sono molto stanco, preferisco andare a casa.»

«Chris...» insiste, scostandosi per puntare i suoi occhi straordinariamente blu nei miei. «Non vorrai festeggiare da solo, non posso permetterti di...»

«Non stasera, tesoro» replico. «Ringrazia tutti da parte mia.»

Le bacio dolcemente la guancia e poi mi volto, dirigendomi a grandi passi verso le porte scorrevoli, che Dean ha avuto il buon senso di sbloccare senza che glielo chiedessi.



Accosto l'auto di fronte all'ingresso del grattacielo, lancio le chiavi al parcheggiatore e salgo al sessantesimo piano. Quando chiudo la porta del mio appartamento mi lascio scappare un sospiro.

Succede sempre, ogni dannata sera.

Vivere fuori da qui sembra sempre più semplice, quasi l'aria fosse più leggera, i pensieri lievemente attutiti dagli impegni della giornata, i ricordi meno soffocanti. Quando mi ritrovo solo, invece, ecco che il peso schiacciante di tutto ciò che tengo nascosto dietro tanta sfacciataggine minaccia di sopraffarmi.

E stasera sarà ancora più angosciante... anche se da un lato devo ammettere che attendo questo momento da tutta la giornata.

Non sono un masochista, se è questo che vi state chiedendo.

Mi libero della giacca, arrotolo i polsini della camicia e recupero il portatile prima di accomodarmi sul divano.

Tamburello nervosamente le dita sul bracciolo, dannatamente impaziente di leggere anche solo una parola di ciò che avrà scritto. Ed ecco che una piccola busta compare ad avvisarmi della presenza di una nuova email tra la posta in arrivo.

Il mio cuore aumenta il ritmo, sbatacchiando dolorosamente contro la mia cassa toracica, smorzandomi il respiro in gola.

Apro la mail, leggendone l'oggetto a fatica a causa delle lacrime che mi appannano la vista, anche se non mi serve sapere. So bene cosa c'è scritto. So perfettamente quanto male farà, esattamente come le ultime tre dannate volte.

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