Quattordici

Fermo l'auto di fronte all'ingresso dello Scratch, per poi spegnere il motore e lasciarmi andare contro il sedile inspirando profondamente l'aria umida della sera. La mia mente vola veloce a qualche giorno fa, all'ultimo sguardo di cioccolato fuso che Lex mi ha inconsciamente rivolto prima di sparire lungo il corridoio, e io ci provo ad accantonare il pensiero di lei, delle sue parole intrise di rammarico e dolore, ma proprio non ci riesco. Ho trascorso gli ultimi giorni a lavorare, concedendomi solamente qualche ora libera per scivolare nel sonno o per fare una doccia. Non ho quasi toccato cibo, ho fumato tanto che il Brucaliffo a confronto potrebbe sembrare sano come un pesce, e a ogni sbuffo di fumo ho ripetuto a me stesso che devo smettere perché Lex aspetta un bambino.

Lo so, tutto questo è preoccupante, tanto quanto l'essere capitato in ospedale il giorno dell'ecografia spinto dall'assurda curiosità di vedere la vita che sta prendendo forma dentro alla sua pancia. Ma, anche in quel caso, non sono riuscito a fermarmi, a bloccare quell'entusiasmo irrazionale che mi ha condotto da lei quasi a supplicarla di permettermi di tenerle la mano. E ne sono cosciente, credetemi, so benissimo quanto insensata potrebbe sembrare questa mia necessità di farmi accettare da Lex. Ma vi assicuro che se poteste anche solo immaginare quanto veloce batta il mio cuore quando lei è nei paraggi, allora, forse, capireste davvero quanto si stia dimenando dentro di me quel demone che non riesco a identificare, quella sensazione alla quale mi rifiuto di dare un nome, la stessa che la maggior parte delle persone senza turbe emotive ammette essere semplicemente... amore.

Scuoto la testa energicamente, quasi a voler scacciare dalla mia mente quella parola così semplice, eppure così spaventosa, prima di scendere dall'auto ed entrare nel locale deserto alla ricerca di Dean.

Lo trovo seduto dinnanzi al bancone, una mano che stringe i capelli scuri in un pugno e l'altra avvinghiata attorno a un bicchiere da Whiskey, che però contiene un liquido incolore. Mi avvicino con passo incerto, prima di stringergli la spalla a volerlo confortare e prendere posto accanto a lui. «E quelle cosa sono?» chiedo sfilandogli da sotto il naso quella che sembra una pila di fotografie.

Lui sospira, coprendosi gli occhi con le dita tremanti, i denti che torturano le labbra tanto insistentemente che quasi mi aspetto di vederle sanguinare, mentre io rivolgo la mia attenzione alle immagini della sua famiglia, di Alice e Rachel, della sua vita prima che il divorzio lo rendesse nuovamente il rubacuori di un tempo.

Mi sembra ancora di sentirla sotto la pelle, quella felicità contagiosa che emanava il giorno delle sue nozze, quell'emozione pura e travolgente che gli aveva riempito gli occhi di lacrime, quello stato di semi catalessi quando, quella che dopo poco sarebbe diventata sua moglie, lo raggiunse all'altare. Mi sono sempre chiesto quale sia stato il reale motivo della loro rottura, sebbene lui mi abbia sempre assicurato che si trattasse di semplice incompatibilità. Eppure io non ci ho mai creduto, così come non ci ha mai creduto Serena, che Alice la conosceva meglio di chiunque altro, quasi come una sorella, se non addirittura più profondamente.

E se ci ripenso, al giorno in cui Dean ci disse che era tutto finito, mi viene la pelle d'oca, perché avrei dovuto capirlo, che quella che ci aveva propinato era una bugia di dimensioni mastodontiche, avrei dovuto insistere per indurlo a confessare. Invece non l'ho fatto, perché Serena era al primo ciclo di chemioterapia e mi dicevo che quando sarebbe stata meglio avremmo avuto tutto il tempo per rimettere insieme i cocci della vita sentimentale dei nostri amici. Invece il tempo non è bastato, non ha voluto aspettare, e mia moglie me l'ha portata via, concedendomi appena la possibilità di dirle addio. In un istante mi ha sottratto dalle braccia l'amore di una vita, e sempre in un attimo un altro uomo si è appropriato della famiglia del mio amico.

Avete capito bene: Alice aveva un altro Dean, un lui più ricco, più muscoloso, addirittura più dolce, a suo dire. Peccato che quella dolcezza che tanto ostentava fuori dalla porta di casa svaniva non appena il bastardo toccava un goccio di alcool e gli occhi indiscreti di amici e vicini non potevano vedere cosa succedesse realmente all'interno delle mura di quella bella villetta, sita in uno dei quartieri residenziali più in della città.

Posso solamente immaginare la rabbia che deve essersi impossessata di lui dopo aver notato i lividi sui polsi di Rachel, poi l'occhio tumefatto di Alice, e riesco solo lontanamente a ipotizzare come avrei reagito io al suo posto, perché, ve lo posso assicurare, quell'uomo starebbe marcendo in una bara se fossi stato io a mettergli le mani addosso, se fossero state la mia ex-moglie e mia figlia a subire delle violenze. È per questo motivo che lo sto appoggiando, ed è per lo stesso motivo che Matt e io abbiamo pagato la sua cauzione e preso in carico il suo caso.

Deglutisco un paio di volte per eliminare ogni traccia di esitazione dalla voce, prima di dire: «Dean, non preoccuparti, d'accordo? Per prima cosa chiederemo il patteggiamento e se non doves-»

«Cazzo, Chris! L'ho pestato a sangue in casa sua! Che attenuanti potrei mai avere?! C'erano le telecamere di sorveglianza, dannazione!» sbraita lui interrompendomi.

Resto in silenzio a fissarlo per qualche istante, mentre cerco disperatamente qualcosa da dire per tranquillizzarlo, anche se so che questa sarà una dura battaglia. È stato accusato di aggressione ai danni di Bill Price, dopo aver scoperto che Alice e Rachel erano vittime di violenza domestica, e non me la sento certo di condannarlo per questo suo gesto così avventato, semplicemente perché dovrebbe essere quel farabutto a finire dietro le sbarre per ciò che ha fatto. «Devi fidarti di me, Dean. Lo so a cosa stai pensando, davvero, so quanto ti senta impotente in questo momento, so quanta rabbia provi per il fatto che Alice non abbia nemmeno il coraggio di prendere le tue parti per paura che Price faccia ulteriormente del male a lei e a Rachel, ma credimi se ti dico che forse un asso nella manica ce l'ho.»

«Che cosa vuoi dire? Non intenderai...»

Il bip proveniente dal mio iPhone lo costringe a lasciare la frase in sospeso, mentre per un secondo rivolgo la mia attenzione a quella bustina che attendevo con ansia di veder lampeggiare da qualche giorno, in risposta alle decine di messaggi inviati a Lex. Leggo velocemente quelle poche parole, imponendomi di mantenere la lucidità, mentre sento crescere il vuoto nello stomaco e i battiti del mio cuore che accelerano il ritmo, prima di tornare a fissare il mio amico, che mi osserva a sua volta in attesa di una risposta.

«Dean, so quello che faccio. Tu limitati a studiare queste risposte per l'incontro preliminare di martedì» borbotto estraendo dalla tasca interna della giacca una busta bianca, per poi consegnargliela. «Il giudice che presenzierà è un tipo tosto, ma è anche molto giovane per il ruolo che ricopre, e come te ha una famiglia e dei bambini poco più grandi di Rach. Ci giocheremo la carta dell'istinto di protezione verso il nucleo familiare, sperando che Alice capisca che deve denunciare quel figlio di puttana...»

«Sei riuscito a parlare con lei?» chiede con voce tremante, incurante delle dinamiche che ho intenzione di seguire per tirarlo fuori da questo casino.

Scuoto la testa sospirando, prima di aggiungere: «Devo trovare il momento giusto... Price le sta appiccicato come una patella. In compenso, abbiamo sguinzagliato un paio di investigatori privati. È gente che sa cosa cercare... ti assicuro che entro la fine della settimana avremo tra le mani qualcosa di dannatamente grosso per incastrarlo».

Gli batto la spalla borbottando che mi farò vivo l'indomani e mi volto per andarmene, quand'ecco che lo sento sussurrare il mio nome, che mi costringe a fermarmi per rivolgergli un ultimo sguardo.

«Se riuscissi a vederla... Alice, intendo... dille che io la...» mormora con la voce arrocchita dall'emozione.

«Lo so, Dean... ci penso io...»


Lasciami in pace.

L'ho riletto una cinquantina di volte quel messaggio, tentando di carpire tutti i significati possibili che quelle tre parole potrebbero nascondere. Mi sono detto che forse Lex non intende davvero liberarsi di me, che desidera semplicemente avere del tempo per riordinare le idee, che vuole che io la smetta di subissarla di messaggi e telefonate. Eppure, anche se sono quasi certo di illudermi, non posso fare a meno di seguire il mio istinto, il consiglio di quel grillo parlante nella mia testa che mi suggerisce di correre da lei per capire se dietro a tanta freddezza non ci sia dell'altro, oltre alla rabbia per aver trovato Kim, mezza nuda, a casa mia.

Mentre attraverso a grandi passi i giardini ben curati del Griffith Observatory, lancio uno sguardo furtivo alle aiuole prive di fiori, in perfetta armonia con l'architettura composta dell'edificio, e poi alle cupole di rame, che si stagliano imponenti nel cielo notturno. Dopo aver lasciato dieci dollari al tizio della biglietteria, saluto con un cenno del capo il custode, che mi indica la direzione per raggiungere il planetario. Quando arrivo in prossimità del pendolo di Foucault, nel mezzo della rotonda accanto all'ingresso, trattengo a stento un sorriso, mentre il ricordo della danza a occhi chiusi con Lex attraversa i miei pensieri, rievocando quella dolcissima sensazione di turbamento che mi pervade ogniqualvolta lei si trovi tra le mie braccia.

Esito per un istante dinnanzi alla porta della grande sala circolare, prima di scostare leggermente l'imposta e sbirciare all'interno. Lex si trova al centro dell'anfiteatro, lo sguardo fisso dinnanzi a sé mentre si dilunga in una spiegazione riguardo le origini dell'universo. Resto incantato a osservarla, con la stessa intensità e concentrazione che i ragazzini, ai quali sta impartendo le nozioni basilari di astronomia, rivolgono alla proiezione della volta celeste sopra alle loro teste.

Dopo essermi intrufolato nella sala senza far rumore, con il chiaro intento di non destare la curiosità dell'assistente di Alexandra, la sua amica Meg, mi sistemo su una delle poltroncine in ultima fila, volgendo lo sguardo alla riproduzione dello spazio sopra di me. Mi lascio condurre dalla voce di Lex in un viaggio a occhi aperti attraverso i millenni, alla ricerca di un tempo in cui le costellazioni rappresentavano un'entità quasi divina per l'uomo, quando ancora erano in grado di far sognare di miti e leggende.

Ad un tratto, però, la mia attenzione viene attirata da un'inconsueta sensazione di disagio, che mi costringe a scostare lo sguardo dalla volta stellata per scoprire che gli occhi di un ragazzino, a una poltroncina di distanza da me, mi fissano beffardi. Tiene tra le mani uno smartphone fresco di cellophane, sullo schermo del quale i colori vividi di uno di quei giochetti in stile Tetris-caramelle spiccano nel buio illuminandogli il volto.

«Ehi, ragazzino... che diavolo hai da guardare?!» bisbiglio infastidito.

Il moccioso continua a fissarmi con un ghigno inquietante, poi, dopo aver sospirato teatralmente, dice: «Sei qui per quello schianto, eh?»

Tento di deglutire, ma per poco non soffoco per evitare di imprecare, poi, sottovoce, replico: «Piccolo... sono certo che la tua mamma non sarebbe felice di sapere che guardi già le ragazze...»

Il ragazzino strabuzza gli occhi quasi l'avessi schiaffeggiato, e proprio quando penso inizi a piangere, ringhia: «Per chi mi hai preso? Per un bambino di cinque anni?!»

Non riesco a contenere l'ilarità, scoppiando in una risata tanto fragorosa che mi accorgo appena che Lex ha smesso di parlare. Quando mi riprendo dai singhiozzi mi ritrovo addosso gli occhi di una trentina di dodicenni e, ahimè, anche quelli di Meg. La vedo bisbigliare qualcosa all'orecchio dell'amica, prima che questa riprenda il discorso ormai volto al termine e cominci a ringraziare i presenti dell'attenzione, mentre le luci di servizio si accendono per permettere loro di uscire dalla sala.

Mi ritrovo a inspirare profondamente per arginare l'agitazione, le mani sudate che si strofinano nervosamente sui pantaloni del mio abito Principe di Galles, il respiro affannoso e chi più ne ha più ne metta, mentre riacquisto lentamente la posizione eretta per avvicinarmi al centro della sala. Meg sfila accanto a me borbottando qualcosa di incomprensibile prima di uscire, io invece scendo i pochi gradini che separano le ultime file di poltroncine dall'aggeggio utilizzato per la riproduzione della volta astrale.

Mi avvicino con incedere esitante, con la mente in subbuglio, alla disperata ricerca delle parole adatte per iniziare un discorso, anche se l'unica cosa che vorrei fare sarebbe stringere Lex tra le braccia, affondare il naso nell'incavo tra la sua spalla e il collo e infine deliziare i miei i sensi col suo profumo. Invece sono costretto a bloccarmi a qualche passo da lei, ad ascoltarla imprecare a bassa voce mentre si ostina a rivolgere la sua completa attenzione al cavo attorcigliato dell'auricolare che tiene tra le mani tremanti.

«Lex...» mormoro per richiamare la sua attenzione.

La guardo mentre scaglia il groviglio sulla consolle dinnanzi a sé, per poi aggrapparsi a quel bordo, quasi come se la rabbia che la sconvolge sia troppa da sostenere. «Quale delle tre parole "lasciami in pace" non ti è chiara, Chris?» sbotta.

Apro la bocca per replicare, ma la serro un secondo dopo, tentando di tenere a bada quel demone inferocito, quello che mi ha tormentato tutte le notti da quando Serena è mancata, lo stesso che fino a poco più di un mese fa mi ha indotto a essere terrorizzato dai sentimenti. Ed è quando Lex recupera il suo telefono e il bastone per andarsene che capisco di non avere scelta, che è arrivato il momento di affrontare quella parte di me che si ostina a farmi credere di bastare a me stesso.

La afferro per un braccio costringendola a voltarsi, gli occhi che cercano i suoi, mentre mi si blocca l'aria nei polmoni. Lei chiude istintivamente gli occhi quasi a volersi proteggere, i denti che torturano il labbro inferiore e il respiro affannoso, quand'ecco che una lacrima le riga la guancia. E Dio solo sa quanto vorrei poterla catturare con le mie di labbra, quella goccia salata, invece resto pietrificato a fissarla, finché non trovo la forza di mormorare: «Non andartene, ti prego, Lex...»

E mentre queste parole mi escono in un sussurro agonizzante sono io a piangere, a dimostrarle senza volerlo che ho bisogno di lei, che non può lasciarmi a marcire nelle tenebre dopo aver illuminato la mia strada col suo sorriso. «Non è successo niente con Kim... devi credermi... Lei stava male, e non ha nessuno, e... Lex, ti prego, dimmi che mi credi, dimmi che non mi lasci... tu... tu non puoi...» sospiro per reprimere un singhiozzo, ma alla fine lo lascio uscire, perché sto piangendo tutte le lacrime che ho trattenuto in questi anni e adesso non ce la faccio più, e non me ne frega niente se sembro un bambino, se tutti dicono che gli uomini non devono dimostrare la sofferenza, se quelle dannate convenzioni hanno stabilito che il genere maschile non deve esternare le proprie debolezze.

«Chris, non fare così...» bisbiglia lei, tanto piano che quasi fatico a sentirla.

«Lo so che sono un idiota, che sei convinta che ti stia prendendo in giro, che le apparenze ti portano a credere che il mio sia soltanto un gioco, ma non è così... devi credermi...» continuo in preda ai singulti afferrando la sua mano, per poi portarmela al petto e posizionarla esattamente sopra al mio cuore. «Lo senti? Non ci riesco a controllarlo, anche se lo vorrei tanto... non ho potere su di lui... posso fingere, ignorare i suoi spasmi, ma quando ti vedo fa così e io... io credo... non lo so nemmeno io cosa credo, Lex, okay?! Io non voglio perderti... non posso, capi-»

All'improvviso le sue mani si posano delicate sul mio viso, bloccando le parole che vorrebbero uscire dalla mia gola. Serro le palpebre singhiozzando ancora, mentre le sue dita scivolano sulle mie lacrime per portarle lontano, mentre percepisco un leggero sbandamento quando si alza sulla punta dei piedi per accostare il volto al mio, i nostri nasi che si sfiorano e la sua voce leggera che mi accarezza la pelle. «Calmati... non me ne vado...»

«Ti prometto che ti spiegherò tutto, ma tu... non and-»

Non ho il tempo di concludere la frase che le sue labbra sono sulle mie, morbide, allo stesso tempo dolci ma estremamente sensuali. Siamo bocca contro bocca, e io fatico a capire cosa stia succedendo, perché, oltre a non aspettarmelo, mi sembra di aver finalmente ripreso a respirare. Adesso lo capite che cosa mi sta facendo, Lex? Con un bacio me lo sta dicendo, che anche per lei è arrivato il momento di lasciarmi entrare, che l'ossigeno è superfluo se siamo assieme, che uniti riusciamo a restarci, in equilibrio.

Ed è quando questa convinzione si fa strada tra i miei pensieri che mi riprendo e premo a mia volta le labbra sulle sue, mentre la attiro a me per sentire che anche il suo cuore batte prepotentemente contro il mio petto. E finalmente le lascio le redini dei miei sentimenti, mi arrendo e le permetto di guidare questo momento verso un qualcosa di autentico, mentre le mie lacrime si mescolano al sapore dolce della sua lingua, mentre una scarica di adrenalina mi scivola nelle vene a ricordarmi che sono vivo, che tutto questo non è un sogno, che finalmente non devo più avere paura di provare qualcosa.

Quando si scosta ansimando, trattengo appena un ringhio gutturale per lo sconforto, e sto per pregarla di tornare da me, ma lei mi anticipa sussurrando: «Voglio la verità, Chris... una sola bugia e con me hai chiuso... chiaro?»

Annuisco deglutendo a fatica, perché so già cosa significa questo: dovrò raccontarle di Serena. Ma ormai è palese che non ho alternative, che non voglio nemmeno averne, perché è Lex il mio futuro. Per questo mi armo di tutto il coraggio che ho e replico: «Te lo prometto».

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