Otto - Nessun ciondolo per il papà dell'anno

Grugnisco per il disappunto, per la decima volta da quando ho avuto la malsana idea di pensare che una dormita mi avrebbe fatto bene dopo tutto quel batticuore del cazzo. Il mio iPhone continua a vibrare insistente contro il vetro del comodino, producendo un rumore che in questo momento assomiglia più a quello di un martello pneumatico che al trillo di notifica di un gingillo tecnologico da più di mille dollari, che tutto dovrebbe fare fuor che rompere le palle al suo proprietario.

Recupero il telefono allungando una mano e rispondo, incurante del fatto che ho ancora la faccia schiacciata sul materasso: «Kim... Ti supplico, lasciami dormire...»

«Non esiste, Chris. Ti chiamerò ogni cinque minuti, se necessario. Dobbiamo parlare!» ringhia lei.

«E allora parla, dannazione, e poi smettila di telefonare!»

«Se tu avessi aperto la porta cinque ore fa, in questo momento staremmo sicuramente facendo altro...»

«Kim, Dio mi trattenga, perché altrimenti giuro che lancio questo dannato smartphone fuori dalla finestra, e tu lo sai che sto a sessanta piani dal suolo...»

«Oddio... Stai così male?» mi interrompe con la voce che gronda preoccupazione.

«Cosa... Ma che cazzo stai dicendo?»

«Hai ripreso a farneticare, Chris...»

Okay, mettiamo in pausa questo attimo di follia per un secondo. Dannazione, sono le quattro del mattino, la luna è alta nel cielo e quella pazza scatenata con cui sto blaterando al telefono mi avrà chiamato, sì e no, ogni venti minuti da quando ho rimesso piede nel mio appartamento. Ovvero da quando ho accompagnato Lex a casa... Dio, avreste dovuto vedermi... Ero talmente andato che per poco, pochissimo in effetti, non ho sperato in un bacio della...

«Chris?» la sua voce mi chiama, riportandomi alla realtà.

«Kim, che diavolo vuoi?!» chiedo esasperato, con un filo di voce.

«Vorrei che mi dicessi dove cazzo eri!»

Scoppio a ridere, mi passo la mano libera tra i capelli e mi avvio con passo stanco verso la cucina, mentre replico: «Non sono affari tuoi, tesoro!»

«Dal momento che scopi regolarmente con me, allora credo lo siano, invece!» sibila lei con il fiato corto.

«Prima di tutto, tu e io non scopiamo regolarmente: lo facciamo quando tu sei in città, semplicemente perché non hai voglia di cercare un altro uomo tanto affascinante e prestante... E poi, piccola, ne abbiamo già parlato un milione di volte: tu e io siamo e rimarremo soltanto amici. Non ho intenzione di ripetertelo di nuovo.»

«C'entra quella Lex, non è così? Cos'è... ti sei dato al volontariato? Ho sentito dire che non ci vede...»

Okay, adesso basta. All'improvviso, come se un fulmine mi avesse usato come tramite per scaricare a terra la propria energia, mi sento pervadere dal calore. Stringo i pugni nel tentativo di contenere la rabbia, mentre serro la mascella tanto forte che temo di potermela spezzare, infine mormoro: «Fallo di nuovo, Kim... Parla di lei ancora una sola volta in questo modo e ti giuro che...»

«Che cosa farai, Chris? Sai benissimo che non riuscirai a sopravvivere a lungo senza di me... Devo ricordarti il nostro accordo?»

«L'unica cosa che devi fare è lasciarmi in pace, chiaro?!» sbraito, per poi terminare la telefonata lanciando il telefono sul bancone della cucina.

Io non perdo il controllo. Io non mi lascio sopraffare dalla rabbia. Io... io ho bisogno di rivedere Lex.



Suono il campanello con riluttanza, tenendo lo sguardo fisso sulle mie Converse, per scrollarmi di dosso quel fottuto impulso che mi spingerebbe a darmela a gambe, se non fosse che quando mi metto in testa una cosa non può fermarmi nemmeno Gandalf in persona.

Il mazzo di margherite che stringo nella mano destra mi fa sentire un idiota... ma mai quanto quel cazzo di sorriso da Stregatto che mi ritrovo stampato sulle labbra quando la mia immagine si riflette sulla superficie della porta a vetri, all'ingresso della piccola abitazione in legno bianco. Premo nuovamente il piccolo tasto accanto al portoncino e intanto mi guardo attorno: avevo già notato la particolarità di questo quartiere nelle occasioni in cui ho avuto modo di accompagnare Lex a casa, ma vedere le acque del lago luccicare sotto i raggi del caldo sole mattutino mi mette stranamente di buon umore, nonostante la nottata trascorsa senza chiudere occhio. In realtà mi sono sempre chiesto che cazzo ci faccia un lago artificiale nel bel mezzo di una città caotica come Los...

La voce di Lex risuona dall'altro lato della porta, riportandomi bruscamente alla realtà: «Tray, hai dimenticato di nuovo le chiavi?»

Tray? Chi cazzo è Tray?!

Voi ne sapete qualcosa? Di Tray? Cioè... volevo dire... chi cazzo se ne frega di chi è quel Tray... Oddio... credo di avere un infarto in corso... Sento le mani intorpidite, mi fischiano le orecchie e il mio cuore vuole saltare fuori dalla gabbia toracica... e i suoi passi si avvicinano... Oddio! Devo assolutamente andarmene!

Mi volto per fuggire, quand'ecco che l'uscio si spalanca alle mie spalle e, come nei peggiori film horror, mi blocco dove sono: una statua di sale che aspetta di essere raggiunta dal mauvais di turno. Che poi, in realtà, me lo sono sempre chiesto: perché cazzo quelli che scappano dai serial killer non usano un po' di intelligenza? Oh, andiamo... non verrete a dirmi che a voi non fanno ridere! Quale astuta ragazzina si addentrerebbe da sola, di notte, in uno scantinato in cui – guarda tu il caso – manca l'illuminazione? Girano sempre tutti al buio, nei thriller, sempre disarmati e con la torcia ben puntata nell'oscurità, così da segnalare per bene la propria presenza al...

«Chris?»

Mi volto lentamente, incapace di districarmi tra la piacevole sensazione di sorpresa nello scoprire che Alexandra mi ha riconosciuto – dal profumo immagino – e la crescente ansia per la sfilza di balle che usciranno dalla mia bocca da qui a poco.

«Chris, sei tu?» chiede nuovamente lei, la fronte corrucciata per l'incertezza.

«Sorpresa!» esclamo con poca convinzione, allungando istintivamente il mazzo di fiori nella sua direzione, per poi ricordarmi che non può vederlo. «Questi... ehm... sono per te...»

«Hai portato il caffè?» chiede indietreggiando leggermente, mentre si porta una mano alla bocca dello stomaco.

«Caffè per me, tè deteinato per te, e qualche muffin... ti piacciono ai mirtilli, vero? No, perché se non dovessero pia-»

«Chris?» mi interrompe sorridendo.

«Sì?»

«Stai farneticando, e quando lo fai significa che ti senti a disagio...» mormora.

«No... ma che dici? Io non sto... Lex, dannazione, chi cazzo è Tray?!» sbraito all'improvviso, del tutto incapace di trattenere l'irritazione.

La osservo mentre sussulta di rimando alle mie urla, i denti che torturano il labbro inferiore quasi avesse davvero qualcosa da nascondere, prima di insinuare sghignazzando: «Sei geloso, per caso?»

Oddio. Sono ge... gelo... no! Non è possibile... io non so nemmeno cosa sia la gelosia... eppure solo a sentire il rimbombo della voce di Lex nella mia testa, mentre nomina quel Tray... vengo investito da un ambiguo sentore di rabbia mista a voglia di prendere a pugni un muro. Riporto l'attenzione su di lei, che anche solo indossando dei jeans e un cardigan di cotone bianco sembra un angelo caduto in volo, e mi appresto a mormorare qualcosa come: «Eh? Chi io? Ma che diavolo stai... Beh, ok, lo ammetto... ma non me lo sentirai ripetere di nuovo!»

Lex scoppia a ridere, stringendosi nel maglione, mentre io le passo accanto ostentando un'aria alquanto sostenuta per entrare in casa, appoggiare colazione e fiori sul bancone della piccola cucina e appollaiarmi sullo sgabello, fingendo di non accorgermi di come brillino di felicità i suoi occhi stamattina, e fingendo anche di non rendermi conto di quanto stia battendo veloce il mio cuore in questo momento.



Okay, lo ammetto: il mio braccio attorno alla vita di Lex è un'immagine tanto bella quanto... spaventosa. Sì, avete capito bene, è terrificante il modo in cui mi sento a mio agio nel compiere certi gesti, il modo in cui mi lascio andare a effusioni sdolcinate come questa, a comportamenti all'apparenza tanto semplici e innocenti, ma che in realtà nascondono un'intimità e un coinvolgimento emotivo che mi destabilizzano.

Da quando è morta Serena, da quando l'orologio si è fermato, quel tardo pomeriggio di tre anni fa, non ho fatto altro che cercare il modo migliore per farlo ripartire, il tempo. Da quando ho perso quella che ero convinto essere la mia unica ragione di vita, ho impiegato le mie giornate a bramare un modo per ritrovare quella sensazione di leggerezza che mi pervade anche in questo momento, che mi permette di non sentire sul petto il peso opprimente di una vita che non ha alcun senso vivere, se manca un motivo per far battere un cuore.

Stringo Lex a me, suscitando la sua curiosità e strappandole un sorriso, quando mormoro sovrappensiero: «Questo posto è incantevole...»

«Tu dici? Io devo ancora abituarmici... non lo so... l'aria è così... così diversa qui...»

«Non hai sempre vissuto qui?» chiedo confuso.

«No... io abitavo in un piccolo appartamento a Downtown prima di... Vedi, dopo che... dopo quello che è successo, Tray ha insistito tanto perché mi trasferissi da lui...»

«E...» mi schiarisco la voce tentando di assumere un tono per quanto possibile distaccato, prima di chiedere: «Troy sarebbe...»

«Si chiama Tray» mi corregge lei, sghignazzando. «E comunque non è come pensi tu.»

La osservo per un secondo, inforcando gli occhiali da sole tanto per non farle credere che passerei giornate intere a scrutare il suo profilo, infine mormoro: «Perché, che cosa dovrei pensare?»

«Non hai ammesso di essere geloso?» replica Lex, fermandosi per rivolgere il volto verso il mio.

Deglutisco a vuoto, mentre tento in tutti i modi di non lasciarmi sopraffare dal panico, quand'ecco che Buddha, Dio, o qualsiasi cosa esista lassù, decide che anche per oggi posso salvarmi le chiappe, facendo suonare insistentemente il mio telefono. Rivolgo ad Alexandra un sorriso tirato e recupero l'iPhone dalla tasca dei jeans, prima di rispondere senza nemmeno identificare il mio salvatore.

Giuro su Dio che in questo momento stamperei un bacio sulle labbra a chiunque abbia avuto l'acume di chiamarmi permettendomi di...

«Sei con lei, non è vero?!» sbraita Kim, dall'altra parte della linea.

«Kim, trovati qualcos'altro da fare, dannazione!» ringhio a bassa voce, sperando che Lex non mi senta.

Quando chiudo la chiamata cerco gli occhi di Alexandra con apprensione, e vi scruto esattamente quello che temevo di leggervi: ha dei dubbi su di me.

«Problemi?» chiede con noncuranza riprendendo a passeggiare, questa volta avvalendosi del suo bastone piuttosto che della mia vicinanza per procedere con sicurezza.

Sto per accampare una scusa del cazzo, quando la suoneria degli AC/DC mi informa di una nuova chiamata in arrivo. Sbuffo recuperando il telefono, prima di rispondere: «Non ho intenzione di parlare con te, perciò piantala di rompere le palle!»

«Figliolo, non ricordavo che là, sulla costa ovest, il linguaggio fosse tanto scurrile...» replica una voce che conosco fin troppo bene.

Mi blocco dove sono, quasi mi avessero rovesciato addosso una secchiata di acqua gelida, e credo che la mia espressione sia proprio la stessa, a giudicare dalla reazione di Lex quando mi sente mormorare: «Bart... Che dia... ehm... a cosa devo l'onore?»

«Dovevo immaginare che te ne saresti dimenticato. Sai, ho voluto darti il beneficio del dubbio, ma non potevo certo pretendere che un dongiovanni da quattro soldi come te mettesse da parte i propri impegni sessuali per presenziare alla serata in onore dell'uomo che ha il merito di avergli permesso una vita tanto agiata...»

Cazzo. Cazzo, cazzo, cazzo!

«Non me ne sono dimenticato, Bart... ho solo... ho...»

«Mary aspetta la tua gentile riconferma. E vedi di non presentarti con una di quelle escort d'alto bordo che frequenti

Sto per rispondere a quel pezzo di merda con cui sto parlando che la gentile riconferma può mettersela dove non batte il sole, ma la linea cade prima che possa aprire bocca, lasciandomi come sempre in preda a quella sensazione di inadeguatezza che mi accompagna dalla nascita, ogni volta che riesco ad avere un contatto con lui.

«Chris, va tutto bene?»

La voce di Lex mi riscuote dal torpore, costringendomi ad abbassare lo sguardo sulla sua mano che sfiora la mia. «Sì, va tutto... tutto bene...» mormoro con la voce che trema appena per la rabbia.

«A me non sembra... Chi è Bart?»

Faccio un respiro profondo, prima di rispondere: «Mio padre».



Stringo il nodo al cravattino e sistemo il colletto della camicia bianca con le dita che tremano, mentre osservo la mia immagine riflessa nello specchio della lussuosa suite che ho preferito occupare da solo. Se state pensando che sia qui senza accompagnatrice vi sbagliate, ma se state pensando che quella donna potrebbe essere Alexandra, be', allora stavolta avete indovinato.

Lo so, lo so... forse è stato un po' affrettato chiederle di venire con me per presenziare a questa serata, ma il pensiero di trascorrere un intero weekend senza poterla vedere mi ha spinto ad azzardare, e lei, contro le mie più magre aspettative, ha accettato. E poi, diciamocelo chiaramente, l'idea di dovermi complimentare con il vecchio bastardo, per i suoi quarant'anni di illustre carriera, mi disgusta tanto da non darmi pace. E io non credo di essere abbastanza abile da riuscire a mascherare con così tanta spontaneità quella calma fittizia, ho bisogno di riuscire a mantenere il controllo, e solo con Alexandra accanto sarei certo di non commettere un omicidio.

Recupero la chiave magnetica prima di uscire dalla stanza, diretto in fondo al corridoio, dove il portoncino a doppio battente della suite di Lex aspetta solamente di ricevere il leggero bussare delle mie nocche. Il rumore dei tacchi alti sul parquet dall'altro lato della porta mi infonde una certa ansia, ma non si tratta di paura, bensì di voglia di vederla. A pensarci bene, tutto questo è preoccupante... voglio dire: quasi quasi non mi riconosco, dannazione! Tutta questa trepidazione al pensiero di stringerla nuovamente a me, il bisogno quasi incontenibile di perdermi nei suoi occhi, non mi fa sentire a mio agio per niente, quasi come indossassi una giacca troppo grande, fuori misura, o, ancora meglio, mi aspettassi che tutto questo potesse scomparire nel nulla da un momento all'altro.

Quando Alexandra compare sull'uscio vestita di un abito da sera nero, che, tra parentesi, lascia molto poco spazio all'immaginazione, mi ritrovo a trattenere il respiro fino a sentire i polmoni bruciare. Deglutisco a vuoto, nel tentativo di ritrovare un po' di lucidità, e infine mi costringo a dire: «Sei incantevole... cioè, non che tu non lo sia sempre, ma stas-»

«Chris... fai un bel respiro, andrà tutto bene» mi interrompe lei, allungando la mano con l'intento di infilarla sotto al mio braccio per evitare di portare con sé il bastone. «Quell'uomo non potrà essere tanto male se tu possiedi una parte del suo patrimonio genetico, non credi?»

Tento di ribattere che non ne sono del tutto certo, ma lei mi zittisce aggiungendo: «Andiamo, fammi vedere come si fa ad affrontare uno stronzo».

Sorrido tra me e me, mentre ci incamminiamo verso l'ascensore e poi al piano terra, diretti alla grande sala dove si tiene il ricevimento, già gremita di ospiti. Giovani avvocati di buona famiglia si intrattengono con vecchie signore, probabilmente le mogli di qualche pezzo grosso della giustizia, tutte agghindate degli esemplari più preziosi delle proprie collezioni di gioielli. Camerieri in livrea si aggirano senza sosta tra gli invitati, offrendo vini costosi e tartine di ogni sorta. In fondo alla grande stanza, le cui vetrate lasciano intravedere la meravigliosa vista sulla baia di San Francisco, un quartetto jazz con un cantante a dir poco eccentrico si esibisce in rivisitazioni di vecchie canzoni di Frank Sinatra.

Lancio un'occhiata furtiva e alquanto preoccupata a Lex, che procede al mio fianco senza la minima esitazione, riceve innumerevoli baciamano e complimenti, e sorseggia un aperitivo analcolico come se avesse tra le mani una coppa di Champagne. Mio Dio, questa ragazza possiede una tale concentrazione di classe e fascino che ogni volta mi stordisce. Prendiamo l'altra sera ad esempio: mi ero prefissato di portarla a cena in un posticino estremamente intimo e romantico, ma lei ha insistito per un pic-nic a base di hamburger e patatine fritte sulla riva del lago vicino a casa sua. E dove ce lo vedi il fascino, vi starete chiedendo voi... beh, è difficile da spiegare, ma dovete sapere che Alexandra ha divorato quel panino con la grazia che vi avrebbe posto se avesse avuto tra le mani una di quelle orribili tartine al caviale, o un'ostrica. La magia è nei suoi movimenti, nel modo in cui si scosta la frangia dalla fronte, nella dolcezza con cui afferra la mia mano di sua spontanea volontà, nei suoi sorrisi, sempre cordiali e solari, ma che se ci si facesse attenzione davvero, si potrebbero quasi percepire i suoi stati d'animo.

Al termine della premiazione, proprio quando sto per scolarmi il secondo Vodka Martini sulle note delle risate spensierate di Lex, ecco che intravedo mio padre avanzare nella nostra direzione, i capelli più brizzolati di quanto ricordassi e quello sguardo profondo che ti spinge a sfidarlo solo per il gusto di farlo, solo per vedere se in quegli abissali occhi grigi – esattamente lo specchio dei miei – è in grado di ardere una scintilla di passione.

«Finalmente hai imparato ad annodare la cravatta nera» mi fa notare il vecchio avvicinandosi, per poi riporre tutta la sua attenzione su Lex, prima di afferrare la sua mano e mal simulare un baciamano. «È un piacere vedere che hai cambiato gusti in fatto di donne» aggiunge poi, squadrandomi come se avessi la camicia completamente ricoperta di cioccolata. «Non ci presenti, Christopher?»

Sto per mandare palesemente al diavolo mio padre, il suo smoking e quella cazzo di Medaglia della Libertà che porta al collo, quando Lex mi anticipa, esclamando: «Alexandra Baker».

«Miss Baker, i giornali non si sbagliavano, è davvero una donna incantevole...» ammicca il vecchio. «Ho  visto le vostre foto a quel galà di beneficienza al planetario... ho sentito dire che è molto in gamba nel suo campo... sebbene il suo problema non le permet-»

«Non credevo si interessasse tanto alla vita privata di suo figlio...» lo interrompe lei, rivolgendogli uno dei suoi sorrisi più cordiali.

«Non vedo cosa ci sia di strano, in fondo sono suo padre, è normale che mi preoccupi di salvaguardare il buon nome della nostra famiglia, non crede? Se fosse a conoscenza delle situazioni ambigue dalle quali ho dovuto tirarlo fuori, probabilmente in questo momento sorseggerebbe succo di frutta in compagnia di un uomo che la merita un po' di più» replica il bastardo, rivolgendole un sorriso falso come i soldi del Monopoli.

Lex si volta verso di me, io invece osservo mio padre stringendo i pugni lungo i fianchi per trattenermi dalla voglia di spaccargli il naso, mentre sibilo: «Lo porti sempre con te, non è vero?»

Bart mi osserva come se mi fossero appena cresciute le antenne verdi sulla testa, prima di dire: «Di cosa diavolo stai parlando adesso? Dovevo immaginarlo... hai ripreso a vaneggiare... ci vai ancora dal quello psic-»

«Parlo della tua stupida medaglia!» sbraito attirando l'attenzione di qualcuno dei presenti.

Il vecchio deglutisce a vuoto, e proprio quando penso stia per appoggiare una mano sulla mia spalla, replica: «Ovviamente, si tratta di una delle più alte onorificenze cui un uomo possa ambire. È un orgoglio indossarla!»

Digrigno i denti quasi fino a sentirli stridere, e se non fosse per Lex che mi si avvicina afferrando il mio avambraccio salterei addosso a mio padre in puro stile Eddie Guerrero, ma mi trattengo appena, mentre ringhio: «Lo sai, Bart, sicuramente un fottuto ciondolo farà di te un uomo rispettabile agli occhi dell'alta società cui tieni tanto, ma certamente non contribuirà a renderti un uomo degno di essere chiamato padre».

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