Dodici
Inspiro profondamente, chiedendomi cosa sia di preciso questo sentore singolare che mi solletica le narici, una via di mezzo tra l'aroma di vaniglia Bourbon e il profumo dell'aria di mare al mattino. Socchiudo piano le palpebre, del tutto disorientato, aspettandomi di scoprire che si tratti solamente di uno strano sogno, uno di quelli in cui di solito incontro Serena, invece, contro ogni più rosea aspettativa, la meraviglia che ho di fronte è pura realtà.
Lex è ancora tra le mie braccia, il volto rilassato e il respiro leggero che mi sfiora le labbra. La osservo incantato, assaporando quella sensazione di beatitudine che negli ultimi tempi non riuscivo ad apprezzare nemmeno dopo una notte di sesso sfrenato, e intanto mi chiedo che ore siano. Alzo piano il braccio con cui la tengo stretta a me, per dare un'occhiata all'orologio, constatando che il sole sorgerà da qui a qualche decina di minuti.
Non vorrei sembrarvi indelicato, ma, devo ammetterlo: il risveglio accanto a lei ha suscitato una certa reazione fisiologica nel mio amico là sotto, tanto che per un secondo immagino come potrebbe essere stare con lei in quel modo che...
«Braxton! Che cazzo stai facendo con lei?» sbraita una voce alquanto adirata alle nostre spalle.
Lex spalanca gli occhi in preda al panico, inspira profondamente e porta una mano al mio viso, nel tentativo di capire dove si trovi, infine sussurra: «Chris? Che succede?»
«Tranquilla, ci penso io» mormoro scattando in piedi per avvicinarmi a grandi falcate a Mister Muscolo, che nel frattempo cammina verso di noi con i pugni stretti lungo i fianchi. «Cosa diavolo vuoi, Tray?!»
Superman si ferma a un passo da me, il fiato corto e un'espressione strana in volto. Tra me e me mi chiedo cosa diavolo gli sia preso, ma non ho il tempo di dar voce ai miei pensieri, perché quello che accade nel giro di qualche istante è degno di una pellicola cinematografica: Tray afferra il colletto della mia maglietta stringendolo nel pugno, i denti che stridono e gli occhi quasi iniettati di sangue, prima di sibilare: «Voglio che lasci in pace Lex, siamo intesi? Piuttosto, vedi di tornartene dalla tua sciacquetta, quella che abbracci nelle foto con cui hai tapezzato il tuo bel salotto. Non osare fare lo stronzo con lei solamente perché non è in grado di vedere il figlio di puttana che sei realmente!»
Mi ci vuole poco più di un secondo per perdere il lume della ragione, per sentire quella rabbia che mi fermenta nel petto esplodere alla stregua di una bomba atomica. E, dannazione, io ci provo a darmi una calmata, a pensare a Lex, a quanto disorientata debba sentirsi in questo momento, ma non riesco a trattenermi.
Seguo l'istinto e afferro Tray per il collo, premendo i pollici sulla sua carotide, con tanta di quella forza che il volto inizia ad assumergli un colorito rossastro, mentre l'aria che fatica a raggiungere i suoi polmoni lo costringe ad allentare la presa sulla mia maglia. Sento il sangue pulsarmi nelle orecchie, il cuore che minaccia di scoppiare da un momento all'altro e i muscoli della mascella talmente tesi da costringermi a sentir quasi digrignare i miei denti, quando sussurro a un centimetro dalla sua bocca: «Fatti i cazzi tuoi, Hulk, e non ti azzardare mai più nemmeno a pensarle certe cose, perché giuro su ciò che ho di più caro al mon-»
Mi accorgo di ciò che sto per combinare solamente quando la voce di Alexandra mi riporta alla realtà, inducendomi a desistere dal compiere un'azione che quasi sicuramente mi avrebbe assicurato un biglietto di sola andata per l'ospedale, non appena Tray si fosse liberato dalla mia presa. Mi volto di scatto, imitato da Mister Muscolo che si porta le mani alla gola, mentre Lex si stringe nelle braccia fissando un punto non ben definito nella nostra direzione. La osservo attentamente, in preda alla confusione più totale, quasi mi fossi appena risvegliato da un incubo e fossi nel mezzo di un vortice che non mi permette di ragionare in modo lucido.
Scosto lo sguardo da quei suoi occhi magnetici e mi allontano con passi incerti per raggiungere la mia stanza, chiedendomi come diavolo si sia permesso quell'idiota anche solo di pensarle certe cose, ma proprio nel momento in cui urto la consolle vicino alle scale, facendo cadere qualcosa che inevitabilmente va in mille pezzi, capisco. Mi chino lentamente, scostando i frammenti di vetro della cornice che contiene ancora una foto di me e Serena, abbracciati, innamorati, dannatamente felici.
«Cece, dannazione, puoi fare come ti dico per una volta?!» sbraito nel ricevitore, prima di inspirare profondamente.
Sento i polmoni bruciare, tanto l'aria della stanza mi ricorda Serena: il suo profumo, l'aroma dell'ammorbidente che preferiva, il tutto mescolato al sentore di sabbia e salsedine che proviene dalla portafinestra che ho spalancato, quasi a voler mitigare i ricordi e quel dolore ancora pungente, quasi a voler spazzare via ad ogni costo la rabbia crescente che mi fermenta nel petto per le parole piene di disprezzo che sono uscite dalla bocca di Tray.
Stringo la mano libera in un pugno, tanto intensamente che sento i tendini tirare, e intanto cerco di regolarizzare il respiro, mentre ascolto mia sorella che dall'altro capo della linea implora: «Chris, ti prego... diglielo... non ha senso mentirle su una cosa così importante! E poi cosa dovrei raccontare a Tray? Credi davvero che si beva la storiella della migliore amica morta in un incidente?!»
«Non sarebbe del tutto una bugia» replico con voce roca, mentre il pensiero di mentire a Lex e la consapevolezza di farle ulteriormente del male mi divora dentro. Ma non posso raccontarle tutta la verità in questo momento, non potrei sopportare altri pianti, altre notti a dannarmi per non essere stato in grado di salvarla, per non aver avuto risposta alle mie preghiere quando ho chiesto a Dio di lasciarla qui con me. È per questo che boccheggiando, nonostante sia cosciente che ciò che sto per fare le farà perdere tutta la fiducia che ha in me, mormoro: «Digli che è stata una malattia... digli tutto, tranne che lei era mia mo-»
Il rumore della serratura mi costringe a voltarmi di scatto, pronto ad aggredire chiunque si sia permesso di entare nella mia stanza senza bussare, ma appena intravedo Lex mi blocco dove sono.
«Scusami... ho provato a bussare ma...» mormora avvicinandosi di qualche passo. «Stai bene?»
«Cecilia, ci sentiamo più tardi» borbotto scostando il telefono dall'orecchio, per poi rivolgere la mia attenzione ad Alexandra. «No, non sto bene. Se non fossi intervenuta tu quel mentecatto di tuo cugino adesso sarebbe...»
«Smettila, Chris! Non gli avresti mai fatto del male, ne sono certa» replica lei raggiungendo il letto, per poi sedere accanto al cuscino di Serena.
La osservo in silenzio per un lungo istante, indeciso se chiederle di spostarsi o se invece supplicarla di abbracciarmi, di accogliermi e sostenermi. Volete sapere se lo farei davvero? Certo, è l'unica cosa che in questo momento avrebbe il potere di farmi respirare nuovamente, l'unico modo per tornare a essere me stesso, il Chris di qualche anno fa, quello che controllava la rabbia, quello indifferente a qualsiasi genere di istigazione. Il problema è che non ho il coraggio di farlo, non ho le palle per farmi consolare da lei sapendo che a breve le mentirò. Però, raccontarle del mio passato in questo momento equivarrebbe a porre un ostacolo in più tra noi, tra ciò che siamo e quello che spero con tutto il cuore diventeremo.
«Vieni qui» sussurra lei, allungando una mano nel vuoto dinnanzi a sé.
La raggiungo lentamente, improvvisamente spossato dalla mole di pensieri che mi rallentano le sinapsi. Poi le siedo accanto, lo sguardo fisso sulle mie dita, mentre lei le afferra in una stretta decisa, del tutto in contrasto con quella che ti aspetteresti di ricevere da mani piccole e affusolate come le sue. E mi ci vuole solo un attimo – giusto il tempo di percepire i suoi movimenti – per ritrovarmi subito con il naso affondato nell'incavo tra il suo collo e la spalla, a respirare a pieni polmoni il suo profumo, del tutto in contrasto con quello di cui è impregnata la stanza, ma allo stesso modo dolce e rassicurante come solo un bel ricordo può essere.
«Chi è quella donna, Chris?» chiede Lex a voce bassa, le sue dita che mi accrezzano i capelli e il suo respiro leggero che mi solletica la pelle del collo.
Mi lascio sfuggire una lacrima, maledicendo me stesso per ciò che sto per fare, infine mormoro: «La mia migliore amica».
Camminiamo mano nella mano, Lex e io, intendo. Passeggiamo per i sentieri del parco in cui ci siamo scontrati la prima volta, come una coppia felice e spensierata, perché sicuramente è questo che penseranno i passanti: che siamo due innamorati che amano trascorrere del tempo assieme, discutendo del futuro, di progetti e desideri. Beh, lasciate che vi dica una cosa: certe considerazioni non potrebbero essere più distanti dalla realtà.
Ricambio il sorriso radioso di un vecchio di colore con quella che deve avere più l'aspetto di una smorfia che di un'espressione di felicità, ma, ve lo assicuro, non ce la faccio a ostentare una leggerezza che non sento. Lex continua a snocciolare domande su domande riguardo a Serena, e io persevero nel raccontarle una bugia dopo l'altra, talvolta modificando di poco la realtà, altre volte stravolgendola letteralmente. Credevo che proponendole una passeggiata al parco sarei riuscito a sviare il discorso, a evitare l'interrogatorio cui mi sta sottoponendo senza nemmeno accorgersene. E ogni quesito è una pugnalata allo stomaco, ogni menzogna che le propino è acido su una ferita che credevo rimarginata, ma che ancora una volta scopro essere sanguinante, incapace di guarire. E se rifletto bene su ciò che sto facendo, sul fatto che prima o poi dovrò raccontarle la verità, sulla sua possibile reazione... se penso a ciò che sicuramen-
«Chris?» mi chiama piano, quasi avesse paura di distogliermi dai miei pensieri. «Va tutto bene?»
«Senti... Non è che ti andrebbe di pranzare con me domani? Ho un appuntamento in mattinata, ma dovrei liberarmi nel giro di un paio d'ore... e nel pomeriggio non ho impegni perciò potrem-»
«Domani non posso proprio, Chris» mormora sfilando le dita dalla mia presa, per poi fermarsi.
«Lex... Che cos'hai? Ti senti male? Vuoi sederti?» chiedo in preda al panico, prendendole il viso tra le mani.
Lei mi afferra per i polsi liberandosi dalla mia stretta, poi, prima che possa aprire nuovamente bocca, dice: «Sto bene... solo... ho appuntamento con il mio medico per l'ecografia di controllo... e...»
Istintivamente indietreggio di un passo, barcollando, quasi quelle parole mi avessero colpito con la violenza di un vento che soffia a cento chilometri orari, e, come se quella folata avesse smosso le mie incertezze più profonde, mi ritrovo ad avere paura. Lo sento di nuovo, il terrore, agitarmisi dentro come un animale in gabbia, l'esatto riflesso di me stesso, che lotto tentando di forzare le sbarre della mia mente per poter lasciare uscire quel sentimento che vorrei potesse raggiungere il mio cuore, che vorrei potesse raggiungere anche Lex e il suo bambino.
Mi sforzo di trovare qualcosa di sensato da dire, quel qualcosa che credo lei abbia necessità di sentire uscire dalle mie labbra, ma tutto ciò che riesco a balbettare è: «Andiamo... ti... ti accompagno a casa».
Chiudo gli occhi per un secondo, assaporando la dolcezza del momento in cui le labbra di Lex si appoggiano sulla mia guancia in segno di saluto, infine torno a osservarla mentre scende dall'auto per dirigersi verso l'ingresso di casa di Tray, che la attende sotto al piccolo portico con le braccia incorciate e uno sguardo truce in volto, rivolto sicuramente a me. Alzo la mano in segno di saluto, propinandogli un sorriso beffardo che – ne sono sicuro – lo farà andare su tutte le furie, prima di ingranare la retro e immettermi nel traffico del primo pomeriggio, diretto in ufficio.
Quando entro nel mio studio sono costretto a bloccarmi poco più in là della soglia, del tutto sorpreso nel vedere il padre di Serena seduto sulla poltroncina dinnanzi la mia scrivania, intento a leggere una rivista di gossip per ammazzare il tempo.
«Frank?» mormoro avvicinandomi lentamente.
Lui alza la testa, regalandomi uno di quei sorrisi caldi e pieni d'affetto che in passato più di una volta mi hanno fatto rimpiangere di non portare il suo cognome, invece di quello passatomi da mio padre, infine si alza per stringermi in un abbraccio inaspettato.
«Christopher... ragazzo mio...» borbotta contro la mia spalla, mentre mi trattiene a sé per un secondo di troppo, prima di spostarsi e reggermi per i bicipiti, probabilmente per constatare che le mie condizioni fisiche siano buone secondo i suoi standard. «Vieni spesso in ufficio conciato così?»
Mi passo una mano tra i capelli, sorridendo, mentre osservo quei suoi occhi, azzurri come il mare di Cabo, che mi hanno compreso e consolato, e nei quali ho trovato rifugio migliaia di volte, infine rispondo: «Sono rientrato qualche ora fa da Malibu. Tu, piuttosto... da quando fai jogging?»
Frank siede nuovamente, prima di replicare sghignazzando: «Il mio medico dice che il colesterolo mi farà collassare il cuore, se non la smetto di poltrire e di mangiare schifezze».
Prendo posto accanto a lui, rigirandomi tra le mani l'iPod che Lex deve aver perso scendendo dalla mia auto e che ho ritrovato sul tappetino, tentando di tenere a freno l'istinto di sbattere fuori il mio ex suocero, tanta è la curiosità di scoprire il genere di musica che lei ama ascoltare. Resto in silenzio per qualche istante, a pesare l'idea di raccontare a Frank di Alexandra, e proprio quando sto per aprire bocca lui esordisce dicendo: «E il tuo cuore come sta, Chris?»
Mi volto verso di lui con uno scatto fulmineo, alla ricerca dei suoi occhi nel tentavivo di capire il motivo di quella domanda, quand'ecco che la risposta è proprio lui a darmela: «Ti ho visto al parco del Museo di Storia Naturale prima».
«Frank... io... non... Frank...» balbetto in preda al panico più totale, incapace di lasciar uscire tutte le scuse che avrei voluto avere il tempo di prepararmi, ma che in questo momento sembrano essersi volatilizzate dalla mia memoria.
Lui allunga un braccio per appoggiare una mano sulla mia spalla e stringerla, come avrei voluto facesse mio padre almeno un milione di volte, prima di sorridermi e chiedere: «Chi è lei? È molto bella...»
Deglutisco a vuoto, tornando a fissare il lettore mp3 che stringo tra le mani, infine mi costringo a dire: «Si chiama Alexandra... ci conosciamo da... è... lei e io... è...»
«Avanti Chris! Parla, non mi sono ancora dato al cannibalismo... certo, tra un po' potrei diventare una foglia di lattuga gigante, ma...»
«Dannazione, Frank, è difficile!» sbraito scattando in piedi, per poi appoggiare le mani alla scrivania, quasi avessi bisogno di sorreggermi a qualcosa.
«Siediti, Christopher» mormora in tono pacato ma autoritario. Lo assecondo, evitando di guardarlo in faccia, tanto mi sotterrerei in questo momento per il senso di colpa che provo nei confronti di Serena, nei suoi, e in quelli di Grace – sua moglie – e proprio quando mi aspetto di sentire degli insulti uscire dalle sue labbra, lui sussurra: «Non è difficile, ragazzo mio. È più semplice di quanto tu non voglia credere. Sei tu a complicare le co-»
«Tu non capisci Frank!» sbotto in preda al panico. «Lei è... non... lei è incinta porca puttana! È stata violentata da un bastardo che probabilmente la farà franca per sempre, perché lei non ha potuto vederlo in faccia! E io... Frank, non so che fare...»
Frank mi fissa in silenzio, le sopracciglia aggrottate come quando tenta di fare chiarezza su un qualcosa di estremamente complicato da districare, infine mormora: «Cosa significa che non ha potuto vederlo? Aveva il volto coperto? Potremmo parla-»
«Lei non ci vede, Frank. Non ci vede. O per lo meno, credo percepisca molto poco del mondo che la circonda... e quel bastardo... Cristo! Se ci ripenso io...» Le parole mi muoiono in gola, tanta è la rabbia che mi scorre nelle vene, e intanto cerco gli occhi di mio suocero, quel rifugio sicuro che più di una volta mi ha permesso di riconquistare la lucidità. «Frank, tu lo sai quanto Serena e io desiderassimo dei bambini... e io... non lo so... credo di...»
«Sei innamorato di lei, Chris. Ho visto come la guardavi, come le tenevi la mano. Per un secondo ho pensato di essermi svegliato da un incubo... ho pensato che Serena fosse tornata... eri di nuovo tu, quello al parco, eri tu...» replica con la voce arrocchita dal magone che tenta evidentemente di inghiottire. «Devi ricominciare a vivere, devi rifarti una vita..»
«E come cazzo faccio, Frank?! Dimmelo, perché io proprio non so come fare! Come posso amare un'altra donna se non riesco nemmeno a rivelarle che ho avuto un passato? Come diavolo faccio ad andare avanti se non ho il coraggio di raccontarle di Serena?!» sbraito lanciando l'iPod di Lex sulla scrivania.
Frank serra la mascella in quel modo che, lo so, non preannuncia nulla di buono, prima di sibilare: «Ti prego, non venirmi a dire che non le hai detto niente...»
Annuisco in silenzio, coprendomi il viso con le mani per la disperazione e aspettando di sentire le sue urla riecheggiare per l'intero studio, sebbene la porta del mio ufficio sia chiusa. Invece, inaspettatamente, mi sento sfiorare di nuovo la spalla, e mi costringo a riportare gli occhi nei suoi, mentre lo ascolto mormorare: «Sai già cosa devi fare, Christopher, non serve che te lo dica io. Lo sai che per me non è facile, lo sai che sei stato e sempre sarai come un figlio... lo sai che a Grace e me lei manca ogni giorno di più... ma per essere felice devi parlare con quella ragazza. Non rovinare tutto perché hai paura, non lasciarla sola se non è ciò che vuoi... E poi, vedi di farti vivo ogni tanto! Grace mi ha fatto una testa così ultimamente... lo sai che non è tranquilla se non riceve tue telefonate almeno una volta ogni due settimane...»
Mi lascio scappare una risatina, imitato da Frank, quel padre che ho sempre desiderato avere, e poi, inspirando profondamente per prendere coraggio, chiedo: «Che cosa devo fare?»
Lui mi fissa nello stesso modo in cui mi scrutava quando, da ragazzo, durante il praticantato nel suo prestigioso studio, combinavo qualche guaio e lui doveva decidere come venire a capo dei casini in cui mi impantanavo, infine dice: «Vivere la tua vita con lei, ragazzo mio... e portarla a cena da noi il prima possibile».
Stavolta ho fatto una cazzata, una di quelle apocalittiche, oserei dire.
Mi rigiro tra le lenzuola per la millesima volta nel giro dell'utima fottutissima ora, incapace di credere di essere stato così stupido da poter fare una cosa così... idiota. Sbuffo per l'irritazione, mettendomi a sedere, mentre nella testa mi rimbombano le parole di Lex, quelle registrate in quella sorta di diario vocale che tiene nell'archivio del suo iPod.
Sì, lo so, non ci state capendo un benemerito cazzo... beh, mettiamola così: ero spinto dalle migliori intenzioni, dovete credermi, ma quando ho sbirciato nel lettore mp3 di Alexandra, con il chiaro intento di caricarci dentro della musica a sorpresa, perché lei poi la ritrovasse tra i suoi audio preferiti, non ho potuto trattenermi dall'ascoltare quelle che a prima vista sembravano delle semplici registrazioni. Non fate quelle facce! Ve lo giuro sul mio amore per... per Serena... pensavo fossero degli appunti sulle lezioni da lei tenute all'osservatorio! Mai avrei pensato che potesse tenere un vero e proprio diario della sua gravidanza sottoforma di audio!
Mi passo le mani tra i capelli, mentre ripenso alla sua voce vellutata, all'incertezza che ne traspariva mentre mormorava al microfono che si sente sola, nonostante Tray e Meg, che non si è mai sentita tanto al sicuro come la scorsa notte, tra le mie braccia. E mi ritrovo a sorridere se ripenso al modo in cui il mio cuore ha accelerato i battiti quando le ho sentito pronunciare quelle parole, ma allo stesso tempo mi chiedo come potrei essere un buon compagno per lei, se non sono nemmeno in grado di chiudere con il mio passato, se non so come rapportarmi con un bambino, con quella creatura che avrei voluto con tutto il cuore avere da mia moglie.
E l'inadeguatezza che mi sento addosso certamente non mi aiuta. Dannazione, come posso anche solamente sperare di essere un appoggio per lei, come posso pretendere di conquistare la sua fiducia se fino a ora non ho fatto altro che mentirle?! Non oso nemmeno immaginare come si arrabbierà quando scoprirà la verità... ma, continuo a ripetermelo, non potevo fare diversamente. Non potevo sganciare una bomba come quella in un momento così delicato per lei, con la minaccia di un aborto in agguato e quell'idiota di Tray che non fa altro che mettersi tra noi... e le sue insicurezze... e i miei dubbi...
Una parte del mio cervello, però, sembra ragionare lucidamente, tanto da ripropormi l'eco delle affermazioni di Frank, quasi volesse farmi comprendere quanto semplice sia in realtà la risposta che cerco con tanta avidità, rovistando tra i miei pensieri confusi: io voglio lei, voglio proteggerla e imparare ad amarla... e anche se tutte le cavolate che ho fatto, prima o poi, mi si ritorceranno contro, non mi farò certamente intimorire.
Mosso da un'impeto di improvvisa sicurezza recupero il mio iPhone dal comodino e faccio partire la chiamata, attendendo pazientemente mentre il telefono suona a vuoto e infischiandomene del fatto che siano le tre del mattino, e anche del fatto che probabilmente lei mi manderà al diavolo. Poi, quando finalmente la sua voce arrocchita dal sonno risponde, bisbiglio: «Meg, devo sapere a che ora è l'ecografia di Lex».
Sistemo il nodo Windsor e sorrido a me stesso, rincuorato dall'essere finalmente giunto ad una decisione che, indipendentemente dal fatto di potersi rivelare una pessima scelta per il mio futuro, sono certo quantomeno di aver preso con il cuore. Lancio un'ultima occhiata alla mia immagine, riflessa nello specchio a parete della mia cabina armadio, e poi recupero le chiavi dell'auto, infilandomi nell'ascensore per scendere al garage sotterraneo.
Los Angeles è viva e piena di energia stamattina, oppure sono io che finalmente vedo le cose sotto una prospettiva più luminosa, e, finalmente, dopo tanto, troppo tempo trascorso a lasciarmi sopraffare dal senso di colpa, dal terrore di uscire da quell'oscurita che mi ha avvolto come una nebbia densa quando Serena mi ha lasciato, torno a godere dei raggi del sole sul viso, torno a respirare la libertà di pensare a un futuro quantomeno felice. Ma la cosa più importante è che adesso so per certo che il mio destino è con Lex, che potrei bruciare sul rogo per lei pur di vederla sorridere, che potrei darmi in pasto agli squali e scalare l'Everest pur di avere la possibilità di accompagnarla per mano sul sentiero della vita.
Parcheggio l'auto alla meno peggio, lasciandomi scivolare addosso gli insulti di un uomo di mezza età che evidentemente attendeva con pazienza che si liberasse il posto che io gli ho soffiato sotto il naso nel parcheggio, e mi precipito oltre le porte a vetri del Reagan Medical Center, diretto al desk informazioni.
Tamburello nervosamente con le dita sul bancone, nel tentativo di attirare l'attenzione della ragazza addetta alla reception, cadendo letteralmente dalle nuvole quando lei mi apostrofa: «Mr. Braxton... non mi dica che ha messo incinta una delle tante poverette che solitamente si porta a letto...»
Mi sfilo gli occhiali da sole con il chiaro intento di fulminarla con lo sguardo, quand'ecco che sono costretto a bloccarmi e a mordermi la lingua. Scruto con insistenza la giovane donna che ho dinnanzi a me, nel vano tentativo di ricordarmi il suo nome, anche se rammento fin troppo bene la posizione in cui l'ho... in cui l'ho amata l'ultima volta... e proprio quando sto per mormorare il suo nome, sicuro che questo sia Audrey, lei dice: «Pezzo di idiota che non sei altro! Sono Claire! Ma è ovvio che non puoi ricordarti di me, visto che aspetto una tua telefonata da ben tre mesi!»
La signora con i capelli bianchi accanto a lei la scosta con una gomitata, parandomisi davanti neanche avesse visto il fantasma di quel bellocchio di Paul Walker, infine dice: «Posso esserle utile?»
Deglutisco a vuoto, tenendo d'occhio lo sguardo truce di Audrey-Claire, mentre rispondo che ho bisogno di sapere a che piano si effettuano le ecografie, e poi, non appena la vecchia mi fornisce l'informazione che mi serve, schizzo via tanto velocemente che Flash a confronto potrebbe sembrare una lumaca. Raggiungo il quinto piano, vagando per il corridoio alla ricerca di Lex, e quando finalmente la intravedo, mentre saluta con un sorriso tirato una bella donna in camice bianco, urlo il suo nome per guadagnare tempo.
La osservo mentre si gira verso di me, sul volto splendido un'espressione disorientata, quasi non avesse mai sentito davvero il suono della mia voce, prima di mormorare: «Chris?»
La raggiungo ansimando lievemente e afferro la sua mano stringendola tra le mie, perdendomi nuovamente in quegli occhi di cioccolato fuso che, dannazione, mi mandano ogni volta fuori di testa, e aspetto che me lo chieda il perché sono qui, attendo con ansia di vederla sorridere, ma, contro ogni previsione, sul suo volto si dipinge un'espressione perplessa, mentre rispondo alla sua domanda: «Voglio vedere il bambino».
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