Diciassette
Fisso distrattamente lo schermo del pc, leggendo e rileggendo la stessa frase del rapporto inviatomi dal Pubblico Ministero, del tutto incapace di incamerare anche una sola informazione. Nella mano faccio roteare le sfere antistress, mentre con le dita dell'altra tamburello nervosamente sul bordo di cristallo della scrivania.
Sicuramente vi starete interrogando sul motivo di tanta inquietudine, e insomma, ecco... le cose con Lex stanno andando abbastanza bene, lei sembra essersi convinta a lasciarsi tenere per mano per affrontare questo percorso tortuoso insieme, eppure, la reazione improvvisa dell'altro pomeriggio mi ha letteralmente disorientato. Sento un brivido scendermi lungo la spina dorsale nel momento esatto in cui ripenso alla sua espressione impaurita, al modo in cui stringeva tra le mani il lembo della maglietta tirandolo verso il basso, al suo respiro affannoso mentre mi supplicava di riportarla a casa.
Inizio a credere di non avere realmente le capacità per aiutarla, o forse, semplicemente, comincio ad aver paura di farlo nel modo sbagliato. E se penso a come si chiude in sé stessa, ai suoi silenzi tanto criptici quanto eloquenti, al tremore che si impossessa di lei anche quando la stringo tra le braccia, se rammento tutto questo, mi sento dannatamente impotente.
Stringo con forza le sfere nella mano prima di lanciarle sul pavimento, poi, in preda al nervosismo, scaravento a terra la pila di documenti che, sistemati con cura sulla mia scrivania, attendono un'attenta lettura. Scatto in piedi, con le palpebre serrate e le dita che si aggrappano alle punte dei capelli, in cerca di una soluzione, di una risposta a questa immotivata sensazione di ansia che mi scorre sotto la pelle. Eppure non lo trovo, quel dannato responso, non mi capacito di cosa abbia potuto scatenare quella reazione così improvvisa in Lex...
Forse il senso di pericolo? Oppure l'improvvisa consapevolezza che non terrà con sé il bambino?
Scuoto istintivamente la testa, del tutto incapace di credere che il motivo possa essere uno di questi, totalmente restìo a pensare che con me non si senta al sicuro, che la creatura che porta in grembo per lei non conti nulla. E intanto mi arrovello il cervello, nel tentativo di trovare un modo per infonderle sicurezza, qualcosa che le permetta di sentirsi meno spaesata, meno... e quello che cavolo è?!
Mi abbasso lentamente per raccogliere i fogli sparsi sul pavimento, tra i quali spicca la stampa tratta dalla versione online di una nota rivista di economia e finanza. Esamino la pagina, al margine superiore della quale campeggia in rosso, a caratteri cubitali, la calligrafia di Matt: Leggi! Per Lex sarebbe magnifico!
Aggrotto le sopracciglia mentre torno a sedermi, la lettura che scorre veloce sotto ai miei occhi che divorano le parole quasi fossero fonte di una nuova energia, mentre nella mia mente prende forma un'idea tanto assurda quanto geniale. Rintraccio il sito web riportato in fondo alla pagina, incurante di quanto mi verrà a costare questo scherzetto, ma... diamine, che io sia dannato se non riuscirò a veder sorridere nuovamente gli occhi di quella splendida ragazza.
Fisso per un istante l'immagine dello strano apparecchio, del tutto incredulo nell'apprendere che finalmente esista un marchingegno tanto diabolico da permettere ai non vedenti di muoversi senza il rischio di andare continuamente a sbattere da qualche parte, o di riconoscere le persone che incontrano per la strada. Mi approprio di ogni informazione possibile, studiando le caratteristiche, immaginando quanto tutto questo potrebbe cambiare in meglio la vita di Lex. Infine mi ritrovo a trattenere il respiro, mentre con dita leggermente tremanti digito l'indirizzo email per contattare la Horus Tech.
«Ehm... cosa diavolo dovrei distinguere?» chiedo sbuffando per l'irritazione.
Lo ammetto, in scienze sono sempre stato una capra, di quelle con la C maiuscola oserei aggiungere, per questo non appena la risata cristallina di Lex mi solletica l'udito non posso fare altro che imitarla.
Lei fa un passo verso di me, le braccia tese e le mani di fronte a sé che tastano l'aria per aggrapparsi al mio braccio. La afferro per la vita, facendola sorridere ancora, prima di condurla in un lento e appassionato bacio dal quale, grazie a Dio, non vuole fuggire. La sento scostarsi appena per ridere contro le mie labbra, per poi sussurrare: «Mr. Braxton, crede di ottenere un buon voto abbindolandomi con un bacio, per caso?»
Deglutisco a vuoto, sfoderando il sorriso più idiota mai visto, mentre nella mia testa prende forma un pensiero tanto dolce quanto inquietante. Ed è proprio nel momento in cui sto per bisbigliarle all'orecchio che voglio sentirmi così per sempre, che voglio appropriarmi di questa leggerezza che mi regala quel senso di libertà che pensavo di aver perduto, che lei mormora: «Avanti, guarda bene... se Meg ha inserito correttamente le coordinate dovresti riuscire a vedere Cassiopea, una costellazione a forma di doppia vu, poco al di sotto dell'Orsa Minore...»
Mi concentro sulla porzione di cielo restituita dall'obiettivo del telescopio, del tutto scettico su quanto sarò effettivamente in grado di scorgere, quando all'improvviso scorgo le cinque stelle, esultando: «Oh! Eccola! L'ho vista... ma... che diavolo c'entra il nome Cassiopea? A me ricordano tanto un paio di... ehm... raccontami un po' di questa Cass-»
«Non fare l'idiota, Chris!» mi rimprovera sghignazzando. «Avanti, torna a guardare...»
Faccio come dice, chiedendomi dove vorrà arrivare, mentre la sua voce risuona piano nella quiete della notte. «Devi sapere che Cassiopea, secondo il mito greco, era una regina tanto bella quanto vanitosa. Era tanto certa del suo fascino che se ne vantò paragonandosi alle Nereidi e riscuotendo come ricompensa l'ira del Dio del mare...»
«Chi... Poseidone?» la interrompo ottenendo come risposta un sospiro. Rido sommessamente, deliziato da tanta pazienza, prima di dire: «Okay, okay, scusa... va avanti...»
«Per punire Cassiopea, Poseidone inviò un mostro a razziare le coste del regno. Lei e Re Cefeo si trovarono così a dover assistere impotenti alla distruzione delle proprie terre, ma presto ebbero l'astuta idea di sacrificare la propria figlia, Andromeda, per acquietare la furia della creatura del mare. Sì, prima che tu me lo chieda, se osservi poco più in basso, rispetto a Cassiopea, dovresti distinguere la costellazione di Andromeda... dovrebbe avere più o meno la forma di un omino stilizzato...»
Annuisco in silenzio, concedendomi qualche secondo per pensare, ma incapace di trattenermi sbotto dicendo: «Certo che quei due erano proprio stronzi!»
Lex scoppia a ridere, mentre io riacquisto la posizione eretta e la attiro a me, sfiorando le sue labbra con le mie. «Allora... com'è andata a finire la storia? Il mostro si è pappato la donzella?» mormoro iniziando a baciarla sul collo e compiancedomi delle sue risate.
«No, il mostro non se l'è mangiata perché fu salvata da Perseo, mentre a Cassiopea toccò come punizione quella di girare in eterno attorno al polo celeste, sottosopra.»
«Quindi... fammi capire bene... io sarei come Perseo?» chiedo arrossento lievemente.
Sento le sue dita appoggiarsi sulla mia guancia in una carezza tanto dolce quanto intensa e osservo incantato quelle labbra a cui non riesco a resistere, mentre mormorano: «È questo che stai facendo, Chris... mi stai salvando da quel mostro, mi stai conducendo per mano verso la luce malgrado io sia avvolta dal buio. Mi stai insegnando che c'è sempre un motivo per cui vale la pena combattere, per cui è bene non mollare mai... nonostante il cammino sia difficile, e faccia paura, e...»
La guardo allibito, mentre abbassa il capo per nascondere le lacrime, continuando a stringerla, con le mani che premono sui suoi fianchi tanto saldamente che potrei convincermi di non poterle staccare più. Poi, lentamente, le afferro delicatamente il mento, e dopo essermi lasciato sfuggire un sospiro, sussurro: «Tornerai a risplendere come quelle stelle lassù, te lo prometto».
Tento di non far cadere il cartone della pizza mentre intrappolo Lex contro la porta d'ingresso del mio appartamento, del tutto incurante del fatto che i vicini potrebbero vederci mentre pomiciamo come due adolescenti schiavi degli ormoni impazziti.
Credetemi, non ho idea di cosa mi stia facendo questa donna, ma mi sento come se ad ogni bacio, ad ogni carezza, ad ogni abbraccio, la terra sparisse sotto i nostri piedi, quasi fossimo in grado di volare. Mi scosto malvolentieri, attratto da un rumore sinistro al di là della soglia di casa, il cuore che inizia a battere veloce e l'udito che tenta di percepire i suoni nel minimo dettaglio.
«Chris, credi che...» mormora Lex, aggrappandosi ai miei avambracci.
«Resta qui, io vado a ve-»
«Non se ne parla!» bisbiglia strattonandomi. «Non andrai là dentro, potrebbero essere armati, oppure...»
Sbuffo in preda all'irritazione, prima di replicare: «Lex, per l'amor di Dio, vuoi fare quello che ti dico almeno per una volta? Ti prego, resta qui e non muoverti, non voglio che corriate rischi inutili!»
La osservo mentre si morde il labbro e incrocia le braccia al petto, del tutto inconsapevole del fatto che io, quel broncio, quello che mi riserva più spesso di quanto possiate pensare, lo trovi a dir poco delizioso. Appoggio il cartone a terra e infilo la chiave nella serratura, aprendo lentamente la porta per sbirciare all'interno.
Non sento alcun rumore, tranne quello simile allo sfrigolio del bacon in padella...
Ehi, ma... aspettate un momento! Questo è bacon...
Deglutisco a fatica, la gola all'improvviso riarsa e le mani che sudano freddo, mentre con il passo cadenzato di chi si accinge a percorrere il miglio della morte, raggiungo il salotto in cui aleggia un vago odore di colazione all'inglese. Ma è solamente quando sento il fischio insistente dell'uccellino di cui è dotato il bollitore per il tè, che mi blocco, incapace di proseguire.
Sono a pochi metri da lei, e non posso fare altro che osservarla esterrefatto mentre scruta con attenzione il rigoroso ricamo che tiene tra le mani curate, l'anello di famiglia che brilla al suo anulare sinistro, accanto alla fede nuziale in oro rosso.
Sto per fare dietrofront, o, se preferite, per darmela letteralmente a gambe, quand'ecco che una voce sommessa alle mie spalle mi fa sobbalzare di mezzo metro, mentre mormora: «Chris, che diavolo fai?! Dove sono i ladri?»
Mi volto di scatto e – lo ammetto – per quanto adori Alexandra, in questo momento la strozzerei con le mie stesse mani. Sono ancora intenzionato a fuggire: la afferro per un braccio con lo scopo di trascinarla fuori di casa, ma stavolta è una voce che conosco fin troppo bene a chiamare il mio nome, con un tono che riesco a decifrare in maniera altrettanto esatta, che mi costringe a bloccarmi dove sono.
Mi volto lentamente, le palpebre serrate e le labbra strette in una morsa, mentre espiro piano dal naso l'aria che ho trattenuto dolorosamente nei polmoni per qualche secondo di troppo. Infine, mi obbligo a guardarla negli occhi, due perle tanto scure alla stregua di due buchi neri, senza confini. Mi ci perdo per un secondo, uno soltanto, come facevo da bambino, quando ancora mi sedevo sulle sue ginocchia per imparare a giocare a Scarabeo.
Rinsavisco dal ricordo e mi accorgo che fortunatamente Lex è ancora dietro al muro che divide l'ingresso dalla zona giorno, nascosta alla sua vista. Per un istante, ringrazio Dio di avermi regalato una via di fuga, o meglio, di averla regalata ad Alexandra, e mi affretto a bisbigliarle a mezza voce di svignarsela il più in fretta possibile. Ma poi, la voce suadente di Vicky vanifica le mie speranze per l'ennesima volta: «Ce ne avete messo di tempo a rincasare! La prossima volta, però, evita di farti vedere dall'intero stabile mentre pratichi dei sani preliminari nei corridoi, Christopher...»
Mi stropiccio gli occhi, indeciso se ridere o piangere, mentre sento le dita di Lex stringere sul mio avambraccio. Poi, dopo aver raccolto tutto il coraggio che ho, dico: «Ciao, nonna...»
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