Capitolo 4
E poi mi trovo a scrivere
Chilometri di lettere
Sperando di vederti ancora qui
Come mai, 883
I capelli rossi e ricci di Rachel Elizabeth Dare splendevano sotto la luce dorata del tramonto. Davanti a lei si stagliava, ruvida, la baia di Long Island.
Teneva in mano il cellulare che, ostinatamente, si rifiutava di squillare.
Alle sue spalle, la Halfblood High School sembrava prendersi gioco di lei.
Controllò nuovamente il cellulare, ma la casella dei messaggi rimase vuota.
Chiuse gli occhi forte, fortissimo, cercando di frenare le lacrime che, inesorabili, iniziarono a solcarle la pelle diafana del viso.
D'un tratto, qualcuno alle sue spalle la chiamò. Rachel riconobbe la sua voce, e si vergognò per quelle lacrime e per gli occhi rossi quasi quanto i suoi capelli.
– Stai bene? – le chiese Percy, posandole una mano sulla spalla.
Rachel rabbrividì per quel contatto tanto atteso, ma completamente inaspettato.
– Sì. No. Non lo so. – balbettò. – Sto bene. Sto bene.
– Mi dispiace, ma mi riesce difficile crederti. – rispose il ragazzo. – Sei tutta rossa. Vuoi andare a bere qualcosa? O preferisci mangiare?
Oh, sì. Avrebbe voluto decisamente mangiare qualcosa. Qualcosa al cioccolato, così tanto pieno di zuccheri che dopo si sarebbe sentita in colpa. Ma anche straordinariamente felice.
Percy aveva su di lei lo stesso effetto del cioccolato o delle meringhe. E il fatto che, dopo la loro uscita della settimana passata, non si fosse più fatto sentire... le faceva male.
Gli aveva chiesto di uscire dopo una scommessa persa, e per riuscirci davvero, aveva dovuto radunare tutto il suo coraggio. Ma dannazione, voleva davvero uscire con lui. Era da talmente tanto che le piaceva... il suo sorriso, i suoi occhi acquamarina, e quei capelli neri come la notte più oscura e tenebrosa. Ma ciò che davvero, davvero l'aveva fatta innamorare di lui, era la sua gentilezza.
Percy era gentile.
Non solo con lei.
Percy abitava il suo piccolo spazio di mondo con gentilezza.
Quando Rachel se ne era resa conto... innamorarsi di lui era stato il passo successivo.
Ma perché non le aveva mandato nemmeno un messaggio dopo la loro uscita? Forse si era annoiato? O, forse, Rachel non era abbastanza interessante per lui. Forse non era abbastanza e basta. Abbastanza bella, abbastanza intelligente, o abbastanza snella e atletica. Abbastanza.
– Magari un frullato da Starbucks? – rispose, alla fine, Rachel. – Così parliamo un po'.
– Va bene.
***
– Sei sparito. – esordì Rachel, poi prese un sorso dal suo frullato.
Il locale di Starbucks a Long Island non era particolarmente grande e, per fortuna, in quel momento non era neanche affollato.
Percy si prese qualche secondo prima di rispondere. Alle spalle di Rachel, notò Annabeth Chase, seduta da sola a un tavolo. Accanto a lei, un cappuccino, ormai freddo, e il suo PC portatile. Erano passati due giorni dal loro "accordo", ma nessuno dei due aveva ancora contattato l'altro.
– Sono stato molto impegnato questa settimana, scusami. – rispose.
– Troppo impegnato? – Rachel scosse il capo. Era innamorata persa, davvero, ma questo non voleva dire che fosse stupida.
– Lo so, ho sbagliato. Avrei dovuto fermarti per il corridoio, almeno. Ma mi sono allenato tanto, le regionali si avvicinano e...
– Va bene. – lo interruppe lei. – Passiamo al sodo. Hai voglia di rivederci? Voglio una risposta secca. O sì, o no.
A Rachel piacevano i colori netti, decisi. O bianco, o nero. Del grigio non se ne faceva nulla.
– Certo che ho voglia di rivederti. – rispose subito Percy. – Gli allenamenti non sono una scusa. Ho passato in vasca la maggior parte del tempo, la scorsa settimana. Le regionali sono tra quattordici giorni. I miei tempi sono buoni, ma c'è sempre margine di miglioramento.
Rachel annuì.
– Va bene. – sospirò, sentendosi all'improvviso in imbarazzo, e anche un po' in colpa, per quello che aveva detto. Percy stava lavorando sodo per costruirsi un futuro solido, fatto di ciò che gli piaceva davvero: nuotare.
– Domenica pomeriggio non mi alleno. Ti va di andare a passeggiare in spiaggia? – le disse poi.
Rachel sorrise.
– Mi sembra una splendida idea.
***
– Ti trovo bene. – disse Atena alla figlia tramite lo schermo del computer.
– Sto bene. – rispose Annabeth. – Ho iniziato a dare un'occhiata alle università. Vorrei studiare architettura, lo sai. E sono davvero emozionata per questo ultimo anno. Voglio dare il meglio, lo sai.
Le parole fluirono tutte insieme, come un fiume pronto a esondare e a invadere la vallata.
– Sono felice dei tuoi progetti. Tuo padre come sta?
– Il solito. Bene, direi. Ultimamente è silenzioso.
Annabeth sospirò.
– Credo abbia un po' paura. Quando me ne andrò, rimarrà qui da solo.
– È il ciclo della vita, bambina mia. Si abituerà. Con il tempo, supererà anche questo.
Atena diede un'occhiata all'orologio che portava al polso e, quando riportò lo sguardo alla telecamera, Annabeth capì che il loro tempo era terminato.
– Ci sentiamo appena possibile, va bene? – le disse quindi sua madre, gli occhi che, per un attimo, si velarono di una tristezza mal celata.
– Ti voglio bene.
– Anche io, mamma.
Atena interruppe la chiamata. Annabeth si levò le cuffie e prese un sorso dal cappuccino che aveva ordinato mezz'ora prima.
Non le andava di tornare a casa. Aveva voglia di camminare, di andarsene in giro per la loro piccola cittadina per guardare gli edifici, carpire i loro segreti.
Un giorno, sarebbe riuscita a progettarne di ancora più belli e solidi, se lo sentiva. Lo voleva disperatamente.
– Ciao. – disse una voce alle sue spalle.
Annabeth si girò, incontrando gli occhi chiari di Percy Jackson. Dietro di lui, Annabeth vide una ragazza minuta, con i capelli più rossi e ricci che avesse mai visto e dai penetranti occhi verdi.
Non conosceva il suo nome, ma le sembrava di averla incontrata per i corridoi della Halfblood High.
Le mani macchiate di tempera le suggerirono che, probabilmente, la ragazza seguiva il laboratorio d'arte .
– Ciao. – rispose Annabeth.
– Credo sia arrivato il momento di accordarci per le nostre lezioni. – disse Percy, passandosi una mano fra i folti capelli neri. – Pensavo di cominciare dopo le gare regionali, fra due settimane. Cosa ne pensi?
Annabeth sgranò gli occhi e, inavvertitamente, scosse la tazza ancora piena di cappuccino, versandone un po' sui suoi jeans chiari.
– Tra due settimane? Sul serio, Percy? – gli rispose. – Hai intenzione di recuperare o soltanto di far finta?
– Spiritosa. – Percy scosse il capo, pensando con attenzione alle parole da dire. – Non so se riesco a organizzarmi prima delle regionali.
– Mi dispiace, Percy. Ma sei un caso disperato. E anche io sono un caso disperato, nelle relazioni sociali. Possibile che tu non riesca a trovare nemmeno un'ora dopo cena? Che hai di meglio da fare?
– Dopo cena? – il ragazzo scosse nuovamente il capo. – Non posso dopo cena.
– Prima di entrare a scuola? – suggerì Annabeth. Avrebbero dovuto fare entrambi una levataccia, ma se rimaneva l'unica opzione disponibile...
– Annabeth, ho bisogno di dormire, altrimenti non riesco a dare il meglio di me in vasca.
– Percy Jackson. Credo che tu abbia bisogno di rivedere le tue priorità, e organizzarti di conseguenza.
Annabeth si alzò, chiuse velocemente il computer e lo ripose nello zaino, insieme alle cuffie e al caricabatterie.
– Io non sono al tuo servizio, non scatterò quando ti farà comodo. Ho anche io una vita, sto cercando anche io di costruirmi un futuro. E sai cosa c'è? Io voglio lottare davvero per realizzare i miei sogni. E sono disposta a fare dei sacrifici. Tu puoi dire lo stesso?
La ragazza incrociò le braccia, in attesa della risposta.
– Perseus Jackson. – rispose lui. Annabeth lo fissò, interrogativa. Cosa diavolo stava dicendo?
– Mi chiamo Perseus Jackson. Percy è solo un diminutivo affettuoso. La prossima volta, quando dovrai arrabbiarti con me, ti consiglio di usare il mio nome per intero.
Annabeth si sentì avvampare per la rabbia. La stava forse prendendo in giro?
– Ora, – continuò il ragazzo. – ho capito cosa intendi. Cercherò di sistemare tutto. A partire da oggi, visto che hai così tanta fretta di diventare la più popolare della scuola. Ci vediamo stasera?
Annabeth annuì.
– A casa tua.
– EH? A casa mia? Non se ne parla neanche!
– A casa mia c'è mio padre. Stasera si incontra con il gruppo della rievocazione storica. Non c'è spazio per noi, e poi fanno sempre troppo rumore. Casa tua è l'unica opzione.
– Va bene. – cedette Percy malvolentieri. – Ci vediamo stasera.
Annabeth annuì. Guardò la ragazza dai capelli rossi. Si mordeva il labbro inferiore, e la fissava in modo... ostile? Annabeth non avrebbe saputo dirlo con sicurezza. E, in fondo, non le importava.
Probabilmente era soltanto la ragazza di Percy e, quasi sicuramente, non doveva essere così felice che un'altra andasse a casa del ragazzo. Annabeth avrebbe voluto rassicurarla, dirle che no, non aveva alcuna intenzione di rubarle Percy. Non le stava nemmeno simpatico. Certo, non poteva negare che fosse un bel ragazzo, ma... Annabeth voleva di più di un corpo snello e due occhi verdi.
– Piacere di conoscerti. – disse allora Annabeth, per togliersi d'impaccio. Le tese la mano.
– Io sono Annabeth Chase.
– Rachel Elizabeth Dare. – disse lei soltanto, senza ricambiare la mano tesa.
Annabeth ritirò la sua, imbarazzata. Prese il suo zaino, se lo mise in spalla, pronta ad andarsene da lì il prima possibile.
– A stasera. – disse a Percy.
– A stasera. – rispose lui.
***
Spazio autrice
Ciao a tutti! Cosa pensate della storia? Vi sta piacendo? Lasciatemi un commento, sono curiosa!
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