Capitolo 14

Si sentirà uno sparo in lontananza

Poi un rumore di ambulanza

E io non ci sarò più

Quando arrivarono gli investigatori

Le chiesero che cosa fosse capitato

E lei rispose di non saperne nulla

Poi disse, "Esco, vado a prendermi un gelato"

Lake Washington Boulevard, Pinguini Tattici Nucleari


– Abbiamo tre ore di tempo prima che parta il prossimo treno per Denver. – disse Annabeth prima di addentare il sandwich che aveva ordinato per colazione al bar della stazione.

Non riusciva a smettere di guardare Percy che, poco distante da lei e Grover, stava parlando al telefono con qualcuno. Non doveva essere una conversazione piacevole, a giudicare dalla smorfia scocciata sul suo viso.

Il ragazzo aveva i capelli in disordine ed era visibilmente provato dal viaggio, come anche lei e Grover, ma avrebbero dovuto tenere duro ancora per qualche altro giorno, prima di arrivare a Los Angeles.

– Credo stia litigando con Rachel. – borbottò Grover, scontroso. – Ti ricordi di chi sto parlando, giusto? La sua ragazza? Alta, piena di lentiggini e con i capelli rossi?

Annabeth gli lanciò un'occhiataccia che Grover ricambiò senza remore.

– So chi è Rachel.

– Bene, sono contento di sapere che ti ricordi della sua esistenza. Cerca anche di ricordarti che è lei a stare con Percy, non tu. E sei troppo intelligente per diventare l'altra, Annabeth. E per quel che vale, meriti qualcuno che ti metta al primo posto, non che ti scelga soltanto quando la propria ragazza non c'è.

Probabilmente una coltellata avrebbe fatto meno male, pensò Annabeth. Ma diamine, Grover aveva totalmente ragione. Cosa stava facendo? Si stava forse innamorando di Percy?

Non poteva più negare a se stessa l'attrazione che provava nei suoi confronti, ma... Percy la faceva sentire capita. Non le era mai capitato di sentirsi così. Non le era mai capitato di confidare a qualcuno i suoi problemi, le sue preoccupazioni. Non si era mai sentita libera di essere al cento per cento sé stessa con nessuno, se non con lui.

E dormire mano nella mano la notte precedente... era stato così naturale. Così dannatamente giusto.

Percy li raggiunse una volta conclusa la telefonata. Non la guardò nemmeno per un secondo, e questo le fece un po' male. Ma Grover aveva ragione. Non sarebbe mai stata l'altra, perché non sarebbe stato giusto. Non si meritava di avere soltanto il cinquanta per cento di una persona. Nessuno se lo meritava. E per quanto fosse difficile, doveva cercare di soffocare i propri sentimenti.

Percy era suo amico.

Non sarebbe mai diventato nulla di più.

– Abbiamo ancora tre ore. Andiamo a vedere il Gateway Arch? – propose.

***

In cima al Gateway Arch, Percy aprì l'ultimo pacchetto di gelatine azzurre che gli era rimasto. Avrebbe dovuto comprarne altre, prima di arrivare a Los Angeles. Pensò a quante volte sua madre, quando era piccolo, era tornata a casa con un pacchetto di dolcetti azzurri, soltanto per farlo felice. Pensò a quanti momenti felici se ne andassero così, in fretta, e a quanto facesse male ripensarci, quando ormai tutta la felicità si era dissolta come lo svapo di una sigaretta elettronica.

Accanto a lui, Grover osservava il paesaggio mentre, poco più in là, Annabeth scarabocchiava qualcosa sul suo album da disegno.

La cima del Gateway era affollata di persone, tra cui una signora tracagnotta e il suo chihuahua che continuava ad abbaiare, rovinando l'intera atmosfera.

Il sole, però, picchiava forte, scaldando loro il viso. Si stava bene, un po' come in quelle giornate soleggiate in pieno inverno.

– Tutto ok con Rachel? – gli domandò Grover.

– Non molto. – si limitò a dire Percy. Non aveva voglia di parlarne, e il suo amico dovette capirlo, perché non fece ulteriori domande.

– Avete ancora quindici minuti prima della chiusura! – annunciò dopo poco il custode. Un'allegra famigliola si scattò un'ultima fotografia, poi la bambina saltellò verso l'ascensore. I suoi genitori la seguirono e, prima che le porte scorrevoli si aprissero, la presero per mano.

A quel punto rimasero solo loro tre e la signora tracagnotta con il suo cane che, per fortuna, aveva smesso di abbaiare.

All'improvviso si sentì un urlo.

Percy e Grover si voltarono, allarmati. Era stata Annabeth a urlare. Il chihuahua le si era lanciato contro, mordendole la gamba, e la ragazza stava cercando di liberarsi. La proprietaria aveva mollato il guinzaglio, e rideva sguaiatamente.

I due ragazzi si lanciarono verso Annabeth per aiutarla ma, non appena furono abbastanza vicini, il cane lasciò finalmente la gamba della ragazza e si avventò contro di loro.

– Signora, il suo cane! – urlò Grover.

La signora continuò a ridere, senza curarsi del suo piccolo mostriciattolo.

Percy estrasse dalla tasca il coltello a serramanico, e cercò di allontanare il cane con la gamba.

– Dannazione, ma è posseduto! – esclamò, senza sapere come comportarsi.

– Chimera, a cuccia! – ordinò a quel punto la signora, ma non sembrava affatto seria. Anzi, il tono di scherno nella sua voce fece arrabbiare ancora di più Annabeth, che si alzò e spintonò la signora.

– Faccia qualcosa! Il cane è il suo! – le urlò contro. Lei la fulminò con gli occhi, spintonandola a sua volta.

– Non mi toccare, ragazzina!

Il chihuahua, richiamato dalla padrona, si scagliò nuovamente contro Annabeth, afferrandole una scarpa.

La ragazza sollevò la gamba e agitò il piede fino a quando la scarpa non volò in aria, ben oltre il parapetto del Gateway Arch, il cane che continuava a non mollare la presa.

Caddero giù, dritti nel Mississippi.

Per un attimo, sulla cima del Gateway Arch nessuno disse niente.

Annabeth si afferrò la gamba. I pantaloni erano macchiati di sangue nei punti in cui il cane l'aveva morsa.

Poi la signora tracagnotta iniziò a piangere disperata.

– Avete ucciso il mio cane! Avete ucciso la mia piccola Chimera! Adesso io ucciderò voi!

Grover e Percy si avvicinarono alla loro amica, controllando allo stesso tempo la signora che aveva iniziato a frugare nella sua borsetta, probabilmente alla ricerca di un'arma da usare nei loro confronti.

– Ce la fai a camminare?– chiese Grover alla sua amica. Lei si limitò ad annuire, ancora sotto shock per quello che era appena successo.

– Al primo piano c'è un'infermeria.– disse Percy.

– Ho bisogno dell'antitetanica.– mormorò Annabeth. – Probabilmente quel cane aveva i denti avvelenati.

Percy annuì, d'accordo con la ragazza.

Lui e Grover l'aiutarono ad alzarsi, poi si diressero tutti e tre verso le porte dell'ascensore.

La signora tracagnotta era ancora lì, intenta a cercare qualcosa nella sua borsetta in pelle di coccodrillo. Quando finalmente trovò quello che stava cercando, lo spray al peperoncino, le porte dell'ascensore si stavano già chiudendo alle spalle dei tre ragazzi. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top