Capitolo 12

'Cause there is no guarantee

that life is easy

When I look at you, Miley Cyrus


Ritrovarsi a piedi nel bosco del New Jersey non era affatto divertente.

Anzi.

Quando quella mattina lui e Annabeth erano rientrati al motel, Grover aveva appena aperto gli occhi. A quanto pare era l'unico ad avere un aspetto riposato.

Percy teneva ancora la mano di Annabeth stretta nella propria, e l'amico non aveva perso tempo nel chiedergli spiegazioni dopo, mentre la ragazza era sotto la doccia.

– A che gioco stai giocando? – gli aveva chiesto in tono brusco. – Ti ricordi che a Long Island hai una ragazza che è letteralmente innamorata persa di te, giusto?

– Non sto giocando a nessun gioco, Grover. Prenderla per mano è stato un gesto da amico. Non avevo nessun'altra intenzione.

– Amico, mi dispiace dirtelo, ma prendere per mano una ragazza non è esattamente un gesto da amico. Evita di farlo, per favore, almeno finché Rachel sarà la tua ragazza. Annabeth è senza dubbio una bella ragazza, è intelligente, sveglia, e ha deciso di imbarcarsi in questa folle avventura con noi, quindi probabilmente è anche una svitata. Ma non state insieme. Basta con le stupidaggini.

Percy non aveva risposto. Sapeva che Grover aveva ragione, per quanto quel gesto per lui non avesse significato nulla.

La loro conversazione era stata interrotta da Annabeth che, dopo essersi lavata e vestita, era uscita dal bagno per rimettere le sue cose dentro lo zaino e prepararsi alla partenza.

Una volta pronti, si erano recati verso la fermata dell'autobus, soltanto per scoprire che era partito senza aspettarli. A quanto pare, era stato riparato prima del previsto, e nessuno si era preoccupato di avvisare tutti i passeggeri.

Oltre il danno, pure la beffa.

– Non posso credere che stia succedendo davvero. – borbottò Grover, mentre camminavano.

La cittadina del New Jersey in cui si trovavano era talmente sperduta e isolata dal resto degli Stati Uniti, che non aveva nemmeno una stazione degli autobus a lunga percorrenza, né una stazione ferroviaria. L'automobile era l'unico modo per arrivare e per andare via.

– Dobbiamo camminare fino alla prossima città. – disse Annabeth. – Da lì prenderemo un treno. Ma per adesso, non abbiamo alternative.

Grover alzò gli occhi al cielo, ma non rispose. Che senso avrebbe avuto?

– Sarà una bella passeggiata, vedrete. – insistette Annabeth. – Dopotutto, non dovremo camminare a bordo strada, ma nel bosco. Sarà come un'escursione degli scout!

***

La cittadina successiva era decisamente più lontana del previsto e, dopo tutto il giorno persi nei boschi, i tre ragazzi erano sfiniti.

A un certo punto si era unito a loro anche un barboncino bianco, decisamente troppo curato per un cane abituato a vivere nei boschi. Doveva essere fuggito da qualche abitazione nei dintorni. Aveva fatto loro compagnia e ora riposava accanto a Grover.

Il giorno aveva lasciato rapidamente il posto alla sera e poi alla notte.

Annabeth aveva tirato fuori dallo zaino un vecchio telo, Percy aveva acceso il fuoco, e Grover aveva preparato le provviste.

Il fuoco illuminava gli occhi verde mare di Percy, in cui si riflettevano le fiamme rossastre. Annabeth era seduta dalla parte opposta, silenziosa.

– Forse dovremmo lasciar stare tutto quanto. – disse Percy all'improvviso. – Forse siamo soltanto degli sciocchi. Questo viaggio non ha alcun senso.

– Non sono d'accordo, Percy. – commentò la ragazza.

– Prima si rompe l'autobus, poi rimaniamo a piedi e siamo costretti a spostarci a piedi. Ma non possiamo percorrere tutti gli Stati Uniti camminando, te ne rendi conto?

Il ragazzo si alzò, poi si infilò le mani nelle tasche posteriori dei suoi jeans. Aveva i capelli scompigliati e un marchio nero sul viso, probabilmente per la fuligine del fuoco.

– Non puoi perdere la speranza. E sai benissimo che i poliziotti non crederebbero alla nostra storia. Ci rimanderebbero a casa.

Percy non rispose.

– Tua madre ha bisogno di te. – disse all'improvviso Grover, la voce arrochita dal sonno.

Annabeth sorrise.

– Ma tu non stavi dormendo?

***

Il negozio di statue in cui si imbatterono il giorno dopo, l'Emporio della Zia Emme, aveva un non so che di inquietante che fece accapponare la pelle di Percy.

Vi erano entrati convinti si trattasse di una trattoria a buon mercato, ma la donna che li aveva accolti aveva negli occhi un pizzico di malvagità mal celata che non lo aveva convinto del tutto.

E quando era sparita nel retrobottega per cercare qualcosa da dargli da mangiare, Percy aveva guardato prima Grover e poi Annabeth, deciso ad andarsene prima che la strana donna tornasse.

Non avevano fatto in tempo. Quando si erano avvicinati alle porte scorrevoli del negozio, si erano accorti che non si aprivano più. Erano letteralmente intrappolati dentro al negozio di statue di una signora sconosciuta e malvagia. Cosa voleva da loro?

Percy si era sentito raggelare quando l'aveva guardata negli occhi.

E ora lei lì, da qualche parte all'interno dell'Emporio, evidentemente pronta a far loro del male.

– Alquanto curioso che il figlio di Poseidone sia giunto qui, in casa mia, alla ricerca di un rifugio. – la donna scoppiò a ridere alle loro spalle, nascosta in mezzo alle statue in vendita. Annabeth si voltò lentamente, cercando di seguire il suono della voce della donna per identificarla.

Percy si infilò la mano in tasca e strinse il metallo freddo del coltello a serramanico, ricordo di un'infanzia passata in campeggio. Lo aveva utilizzato soltanto la sera prima, nel bosco, e lo aveva riposto in tasca senza pensarci. Avrebbe dovuto metterlo nello zaino, ma in quel momento fu grato di non averlo fatto.

– Non riesco a credere che siamo finiti nel negozio di una squilibrata. – borbottò Grover, verde per la paura. – E come diavolo fa a conoscere tuo padre, eh?

– Oh, la somiglianza è così evidente. – gli rispose la donna. Questa volta la voce sembrava ancora più vicina. – Avete lo stesso sguardo affascinante. Gli stessi capelli corvini. Lo stesso fisico atletico. E dimmi, anche tu hai il vizio di far innamorare le ragazze per poi lasciarle all'improvviso?

Gli occhi di Percy e di Grover si incontrarono. Ricordavano entrambi la loro conversazione riguardo ad Annabeth e a Rachel, così recente. In quel momento, le parole della donna furono come un fulmine nella coscienza di Percy.

– Poseidone è stato il mio primo amore. Ma non ci ha pensato due volte prima di mollarmi per un'altra sgualdrina. Chi avrebbe mai detto che, vent'anni dopo, avrei avuto la possibilità di vendicarmi uccidendo suo figlio e i suoi stupidi amici?

Annabeth chiuse gli occhi. Finalmente, riuscì a capire da dove provenisse la voce e, con un cenno a Percy, indicò lo specchio poco lontano da loro.

Si vedeva nettamente la figura della donna, in un lungo abito nero, che procedeva lentamente verso di loro. Non sembrava armata, ma non potevano esserne certi.

– Mio padre non mi ha mai parlato di te. – rispose Percy. – Come hai detto di chiamarti?

– Non è provocandola che ci aiuterai ad uscire da qui. – gli sussurrò Annabeth.

Percy scosse il capo, senza mai perdere di vista la figura della donna che si avvicinava alle sue spalle, silenziosamente.

– Sto cercando di distrarla. – mormorò Percy. – Non appena sarà vicina, la attaccherò. Tu e Grover correte nel retrobottega e cercate di riattivare le porte.

I ragazzi annuirono, d'accordo. Se volevano uscire vivi da quella situazione, avrebbero dovuto fare gioco di squadra.

La donna emerse dall'ombra, a un passo da Percy. I lunghi capelli scuri le cadevano in morbidi ricci sulla schiena, arrivando quasi alla vita.

La sua bellezza era innegabile ma, quando sorrise, la malvagità prese il posto della bellezza, gli occhi fiammeggianti che lo scrutavano.

– Sono Medusa, figliolo. E prometto di essere la rovina tua e di tuo padre.

Si lanciò verso Percy, le mani protese verso il collo del ragazzo che, istintivamente, scartò verso sinistra, atterrando su una statua. Entrambi rovinarono a terra.

Il fragore e la confusione diedero modo ad Annabeth e a Grover di scappare verso il retrobottega.

Percy si rialzò in fretta, il coltello a serramanico stretto in mano e pronto ad essere usato.

Ma la donna era sparita di nuovo.

Il ragazzo si guardò intorno, cercando allo stesso tempo di rallentare il respiro. Doveva farsi coraggio, altrimenti avrebbe coperto lui stesso quei pochi rumori che gli avrebbero permesso di capire dove si trovasse Medusa.

Sentì qualcosa alle sue spalle, ma non fece in tempo ad agire. Si ritrovò le mani di Medusa strette al collo, pronte a soffocarlo.

Il respiro gli mancò e, per quanto quella situazione paradossale, lui era pur sempre un ragazzo di diciassette anni nel pieno delle sue forze.

Le mani vuote, il coltello perso chissà dove, lanciò un calcio indietro, colpendole una gamba. Medusa perse l'equilibrio, dando modo a Percy di voltarsi e spingere contro la donna una delle tante statue dell'Emporio.

La statua, raffigurante un satiro (o forse era un fauno? Non sapeva quale fosse la differenza) la colpì in pieno, mandandola al tappeto.

Percy indietreggiò fino a quando non sentì qualcosa sotto al piede. Senza mai distogliere lo sguardo dalla donna a terra, si chinò e raccolse il coltello a serramanico.

A distanza, le puntò il coltello contro, un monito silenzioso.

– Se sei arrabbiata con mio padre. – mormorò Percy. – Faresti meglio a prendertela con lui. Io non ti ho fatto nulla di male. E non ho intenzione di pagare per colpe non mie.

Medusa non rispose, ma rimase a terra, circondata dai resti della statua.

– Via libera! – gridò Annabeth da qualche parte dietro di lui. Il suono che seguì le sue parole era, chiaramente, quello delle porte scorrevoli che tornavano ad aprirsi.

– L'amore fa fare pazzie. – borbottò Medusa, quasi quella frase fosse una sorta di scusa nei suoi confronti.

– Io non sono mio padre. – concluse Percy.

Abbassò il braccio, chiuse il coltello e lo ripose nella tasca.

Aveva la netta sensazione che non lo avrebbe riposto mai più nello zaino.

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