Imbolc
Pluckley, contea del Kent
Inverno 1624
Regno di James I Stuart
La bruma del mattino avvolgeva Pluckley, donando al villaggio un'aura magica. Le prime luci del giorno filtravano tra gli alberi spogli, e il canto degli uccelli si univa al lieve fruscio del vento. Era il giorno di Imbolc, la festività che segnava il passaggio dall'inverno alla primavera, una celebrazione di rinascita, speranza e luce. Il villaggio era in fermento: le case di legno erano decorate con ghirlande di edera e agrifoglio, e i campi che circondavano la congrega erano disseminati di piccoli falò che sarebbero stati accesi al tramonto, piccolo momento di tregua tra i lunghi anni di persecuzioni e morti violente.
I bambini correvano qua e là, ridendo e giocando tra i prati umidi di rugiada. I loro visi erano arrossati dal freddo, ma la gioia che li animava li rendeva immuni alle temperature rigide.
«Non puoi prendermi!» gridò una bambina dai lunghi capelli neri, il suo vestito di lino grigio fluttuava mentre correva sul sentiero fangoso verso il bosco, mentre sfuggiva dal suo compagno di gioco.
«Oh, sì che posso!» rispose l'altro, ridendo, i suoi passi decisi che schizzavano piccole gocce di fango tutt'intorno.
Correvano così veloce che quasi neanche si riuscivano a vedere, e neppure il vento freddo li aveva desistiti dallo stare in casa al caldo del camino.
«Sono arrivata, ho vinto!» urlò entusiasta la bimba: le sue gote erano così rosse da sembrare quasi due grandi pesche mature e il suo fiatone testimoniava la lunga corsa senza sosta.
I loro amici li stavano già aspettando, e quando la videro esultarono per la gioia.
Quando l'ultimo bambino arrivò era quasi sull'orlo del pianto, ma tutti lo confortarono dicendo che fosse solo un gioco, nulla di più.
«Smettetela di fare confusione vicino all'altare!» li ammonì Adeline, i suoi lunghi capelli scuri intrecciati con fili d'oro. Nonostante il tono severo, le sue labbra si incurvarono in un sorriso mentre guardava i due bambini.
«Scusaci mamma.» disse sua figlia prima di prendere il suo amico per un braccio «Vieni, andiamo a vedere cosa stanno facendo le donne!»
I due corsero verso il grande altare di pietra situato al centro della radura. Sopra l'altare erano disposti fiori di bucaneve, simbolo della speranza che sbocciava nonostante il gelo dell'inverno. Piccole fiaccole erano state accese intorno, e il profumo di cera d'api e rosmarino bruciato riempiva l'aria. Accanto all'altare c'era Helaine, che stava sistemando con cura le decorazioni.
«Ragazzi, smettete di correre come capre impazzite,» disse, gettando loro un'occhiata mentre aggiustava una corona di fiori, poi avvolse meglio la sciarpa attorno al collo del figlio. «Questo è un giorno sacro. Dovreste comportarvi meglio.»
«Ma stiamo solo giocando!» protestò lui, incrociando le braccia.
Helaine lo osservò con un sopracciglio sollevato. «Giocare va bene, finché non disturba il lavoro degli altri. Perché non andate a dare una mano a Sylith e Fried con le lanterne?»
Abbeygale fece una smorfia, ma accettò l'incarico. «Va bene,» rispose, prendendo il bimbo per mano. «Andiamo.»
Nella parte opposta della radura, vicino al fiume gelato che attraversava Pluckley, Sylith e Fried erano impegnati a preparare lanterne di carta e candele per la processione serale. Sylith era intenta a disporre le candele in cerchi perfetti, mentre Fried controllava il tutto.
«Finalmente siete arrivati,» disse la donna con un sorriso gentile. «Perché non aiutate con queste candele? Dovete avvolgere gli stoppini nella cera senza romperli. È un lavoro delicato, ma sono sicura che ce la farete.»
Il ragazzino la guardò con sospetto la cera calda, che ribolliva lentamente in un calderone. «Non posso fare qualcosa di più... interessante?» chiese, incrociando le braccia.
Fried scoppiò a ridere. «Oh, certo. Perché non vai a raccogliere legna per i falò con tuo padre? Così puoi sentirti importante.»
Il ragazzo fece una smorfia, ma non rispose. Abbeygale, invece, si avvicinò al calderone con curiosità. «Va bene, ci provo,» disse, immergendo un piccolo stoppino nella cera con estrema cautela.
Sylith annuì con approvazione. «Brava, Abbeygale. Vedi? Non è poi così difficile.»
Mentre i due bambini lavoravano, il resto della congrega si preparava per la cerimonia. Adeline continuava a dirigere le attività principali, dando istruzioni a tutti: i mariti delle altre streghe portavano fascine di legna al centro della radura, dove sarebbe stato acceso il falò principale, simbolo della luce che tornava a riscaldare il mondo.
Il sole cominciava a calare, e il cielo si tingeva di un arancio tenue. I preparativi erano quasi completi, e l'energia nell'aria era palpabile.
Quando il lavoro fu terminato, i due bambini si sedettero su una piccola collina erbosa, osservando le prime stelle apparire nel cielo. Il vento era pungente, ma il calore residuo del giorno rendeva l'aria sopportabile.
«Ti piace Imbolc?» chiese lui, rompendo il silenzio.
Abbeygale annuì, stringendosi il mantello intorno alle spalle. «Sì, mi piace. È bello pensare che la primavera stia arrivando. Mi fa sentire come se tutto potesse ricominciare.»
La guardò con un'espressione seria, poco comune per un bambino della sua età. «Pensi che un giorno faremo parte della congrega, come loro?»
Abbeygale si voltò a guardarlo, sorpresa dalla domanda. «Certo. È il nostro destino, no?»
Lui rimase in silenzio per un momento, poi sorrise. «Sì, credo di sì. Ma io voglio fare qualcosa di più grande. Voglio proteggere tutti. Voglio che nessuno debba mai aver paura.»
Abbeygale lo osservò, colpita dalla determinazione nelle sue parole. «Sei sempre così serio, non devi preoccuparti di tutto. A volte, è bello solo vivere il momento.»
Lui si limitò a sorridere, poi si sdraiò sull'erba, guardando le stelle che brillavano sopra di loro. «Forse hai ragione.»
Quando il sole fu completamente tramontato, la congrega si radunò intorno al grande falò al centro della radura. Le lanterne furono accese, e la luce tremolante delle fiamme danzava sulle facce sorridenti dei presenti. Adeline si posizionò davanti all'altare, con Fried al suo fianco.
«Oggi celebriamo Imbolc,» iniziò, la sua voce chiara e sicura. «È il momento della rinascita, della luce che ritorna dopo l'oscurità. È il momento di guardare avanti, di piantare i semi del futuro e di prepararci per la stagione della crescita.»
Tutti ascoltavano in silenzio, i volti illuminati dal fuoco. Le parole di Adeline risuonavano nell'aria, piene di speranza e forza. I bambini osservavano con occhi spalancati, affascinati dalla solennità del momento.
Dopo il discorso, fu il turno delle preghiere. Ogni famiglia si avvicinò all'altare per lasciare un'offerta: fiori, candele, piccoli oggetti di valore. I bambini si avvicinarono insieme, portando una piccola corona di bucaneve che avevano intrecciato durante il giorno.
«Cosa desideri per il futuro, Abbeygale?» chiese il suo compagno di giochi, mentre posavano l'offerta sull'altare.
Lei ci pensò per un momento, poi rispose con un sorriso. «Voglio essere felice. E tu?»
Lui esitò per un istante, poi rispose: «Voglio proteggerti.»
Le sue parole la colpirono, ma non disse nulla. In quel momento, guardandolo negli occhi, Abbeygale sentì qualcosa che non riusciva a spiegare, come se una promessa silenziosa fosse stata fatta tra di loro.
Mentre la notte avanzava, la congrega danzava e cantava intorno al falò, celebrando la luce e la speranza. I due bambini rimasero vicini, osservando le scintille salire nel cielo notturno. Non sapevano cosa il futuro avesse in serbo per loro, ma in quel momento, tutto sembrava possibile.
E mentre le fiamme illuminavano i loro visi, l'eco della loro innocenza si mescolava alle ombre della storia che stava per essere scritta.
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