XXXXV. IN CATENE

Dorina non vedeva altro che buio. Un buio soffocante. L'odore di muffa le faceva arricciare il naso. Non sapeva dov'era, ma qualcuno l'aveva tirata fuori dalla bara in cui l'avevano infilata prima che venisse chiusa. Il fatto di essere paralizzata non le aveva impedito di sentire. 

Tirò le catene che non le permettevano di muoversi. I polsi le facevano male, ma non aveva intenzione di arrendersi. Era sempre stata la fanciulla in pericolo. Ora voleva lottare. Strinse i pugni. Doveva lottare. Si lasciò dondolare, accogliendo il dolore. Aveva troppi motivi per sopravvivere. Doveva farlo per Nicalla, che con il suo buon umore avrebbe portato il sole perfino nel giorno più cupo. Per Amadeo, che aveva fatto una cosa che ben poche persone avrebbero fatto: lasciarla andare tra le braccia di un altro. Per Kaas, che l'amava per davvero, l'unico al mondo a volere le sue ombre tanto quanto la sua luce. Ma soprattutto per sé stessa, che non era solo un bel corpo, ma soprattutto un'anima lucente. E tagliente. Sorrise al buio. Avrebbe trovato una soluzione. In un modo o nell'altro.

Un ansito. Nel buio. Dorina tremò. Un animale. Poteva essere l'ansito di un animale? L'ansito continuò. La ragazza resistette all'impulso di tirare le catene. Serviva solo a procurarsi delle ferite che avrebbero potuto infettarsi. Si rannicchiò. Faceva freddo.

-Dorina-

Sussultò. Beh, almeno un dubbio era passato. Non era un animale. No, era qualcosa di molto peggio. Perché Dorina aveva riconosciuto quella voce graffiante. Il tono che un tempo aveva usato per sedurre. La persona che aveva voluto imitare, di cui aveva voluto essere l'adorata nipote, della cui ombra aveva cercato di cibarsi come di un liquido.

-Dorina, mia adorata nipote- graffiante. La ragazza fu percorsa da un brivido. Avrebbe voluto scappare, ma non poteva. Le catene la stringevano. Nessuna fuga.

-Zia?- la sua voce riecheggiò. Silenzio. Attese, il cuore in gola. Esploso. Schegge ovunque. Deglutì. Aveva la gola che le bruciava.

Una risata. Cominciò bassa e poi salì, salì, salì, fino a diventare tanto acuta da far male. Quanto aveva odiato quella risata. E quanto l'aveva amata. Aveva desiderato averla anche lei. Perché quella era la risata che piaceva tanto a Kaas. E lei voleva disperatamente piacere a Kaas.

-Smettila, Mirella, i giochi sono finiti- Dorina sospirò e il suo sospiro echeggiò nel buio. Inquietante.

-Non capisci proprio nulla- un'altra risata. Più vicina. Un brivido la scosse. Dovunque Mirella fosse non era legata stretta come lei e poteva muoversi. Il pensiero la turbava.

-Dici? Senti da chi viene la predica-

Dorina cercò di essere pungente. Sentiva la rabbia aumentare, come un mare in tempesta. Non era più un problema di gelosia. Non solo. Non combatteva per Kaas. Combatteva per se stessa, per l'eterna competizione tra lei e Mirella. Quell'ammirazione mista ad odio che aveva sempre caratterizzato il loro rapporto.

-Io almeno non sono una ragazzina sciocca- Mirella trasudava crudeltà. Dorina sobbalzò. Non era abituata a sentire un'accusa diretta. La zia era sempre stata indiretta. Feroce, forse, ma mai chiaramente offensiva. Le cose erano proprio cambiate. –L'ho sempre pensato che tu fossi una bambina stupida, mi venivi sempre dietro, ti attaccavi alla mia gonna, volevi la mia approvazione per qualsiasi cosa... e non riesci nemmeno a trovarti un innamorato, tu vuoi mio marito, che stupida ragazzina- rise. Una risata che la innervosì. Chissà, magari se Mirella si fosse avvicinata abbastanza le avrebbe potuto dare le catene in testa.

-Sei più pazza di quanto ricordavo- parole deboli, di una debolezza estenuante. Non poteva competere con Mirella. Perlomeno non a parole. Forse in una lotta corpo a corpo, all'ultimo strappo di capelli. Beh, non ne era poi così certa.

-Tu sei più stupida di quanto pensassi-

-Non so come Kaas abbia potuto scegliere te- tutto l'odio le si riversò fuori. Era una cosa che aveva pensato sempre. Kaas era troppo intelligente per cadere sotto il fascino di una come Mirella. O almeno così aveva pensato. Non era vero a quanto pareva. Kaas non era poi tanto diverso dagli altri.

-La domanda è come possa abbassarsi a frequentare te... credi che non vi abbia sentiti? I rumori dei vostri baci, i tuoi stuzzichevoli sospiri, le vostre parole- Mirella sbuffò –innamorati, tanto innamorati! Che bella coppia, non credi?- un'altra risata, di quelle che mettevano i brividi –Per fortuna qualcuno ha pensato a dividervi-

-Chi?-

-Lui ti ha voluta fin dal primo istante, crede che solo tu potrai far compiere la profezia, ne è convinto, anche se a me sembri ben poca cosa-

La gola le si serrò. –Profezia?-

-Lui sta cercando una sposa, una vittima... e tu a quanto pare sei perfetta per questo ruolo, una vera ingiustizia, non credi? Sei così insignificante- ringhiò. Una belva.

Dorina sentì il panico stringerle i polmoni. Le rendeva difficile respirare. –Lui chi è?-

-Lo scoprirai presto, fin troppo presto- colpì contro il muro.

Dorina traballò. Mirella doveva essere pazza. Forse la era stata fin dall'inizio. La ricordava ragazza, che ballava coperta solo da una leggera sottoveste, i capelli bagnati dalla luna. Sì, Mirella pazza la era stata fin da principio. Doveva essere lei ad averla rapita. Per invidia, perché temeva che Dorina prendesse il suo posto. Il pensiero la rincuorò. Era nei guai, ma Mirella era un pericolo reale, qualcosa di vero contro la quale Dorina poteva battersi e magari anche romperle quel naso aquilino che si trovava. Non sarebbe stato male. Per niente.

-E rimpiangerai di essere viva- la crudeltà con cui lo disse la fece tremare. Dorina decise che era meglio non rispondere. Doveva aggrapparsi alla speranza.

Qualcosa si mosse nel buio. Dorina tremò, si appiattì contro il muro, pregò, le catene che tintinnavano. Era un'ombra che le andava incontro. Dovette sbattere le palpebre più volte per rendersi conto che non era un'ombra, ma qualcuno avvolto da un mantello così nero da confondersi con le ombre. Qualcuno che forse in parte era ombra. Si rannicchiò. Avrebbe potuto usare la catena per difendersi. Oppure...

-Non è necessario che tremi-

Quella voce. Il mondo si accartocciò. Doveva aver sentito male. Non poteva... -Alexander?-

E lui rise. La sua risata. La scavò dentro come una lama. –La mia dolce Dorina, sì, sono proprio io, felice che tu mi abbia riconosciuto, dovrà pur voler dire qualcosa-

Lei non replicò. Cercava di pensare, di mettere insieme i pezzi, di ragione. Ogni cosa però le sembrava lontana, annebbiata, oscura.

-Silenziosa? Meglio così, io adoro parlare e ascoltarmi parlare- si avvicinò, il portamento elegante, un cappuccio sul viso pallido. –La nostra unione potrebbe perfino funzionare-

-La nostra unione?- ma cosa voleva dire?

-Beh, suppongo di doverti spiegare un po' di cose... immagino che tu sia molto confusa-

-Tu hai cercato di uccidermi!- la rabbia la scuoteva come brividi –E ora vuoi unirti a me? Ma ti senti quando parli?- non poteva fare a meno di pensare al terrore che aveva provato quando il suo corpo si era immobilizzato. Non poter parlare, vedere, muoversi, ma sentire ogni cosa. Il dolore di Kaas. Sentire il suo dolore come se fosse il proprio e non poter fare nulla. Il solo pensiero la faceva urlare di rabbia.

-Immaginavo che saresti stata un po' nervosa, ma siamo onesti, tu saresti venuta qua di tua spontanea volontà?-

No. –Non puoi costringermi a fare quello che voglio- singhiozzò. No, non doveva singhiozzare.

-No, non posso costringerti, ma so essere piuttosto convincente-

Dorina inspirò ed espirò. Respirare le faceva male. –Perché io?-

-Hai mai guardato il tuo albero genealogico, Dorina?-

L'albero genealogico? E adesso cosa c'entrava? Scosse la testa. Non ne sapeva nulla. Poi ricordò che l'aveva consultato. Non c'era però nulla di strano.

-No, lo sospettavo, la tua famiglia tende a nascondere questa cosa-

-Cosa?- si rese conto di stare tremando e non per il freddo.

-Tuo padre viene da una linea illegittima della famiglia Trepes-

Scosse debolmente la testa. Cosa voleva dire? Non capiva, non riusciva proprio a capire. Le tempie le pulsavano.

-Discendi dalla famiglia reale, Dorina, dal Principe Immortale-

-Dracula?- non capiva. Frammenti di passato.

-Proprio lui- rise, ma Dorina non sentì quasi quella risata. Stava pensando al significato di quelle parole. –Sei una principessa, Dorina, discendi dal più amato sovrano della Transilvania-

Non poteva essere vero. Doveva esserci un errore. –E perché è così importante?-

-Ma non lo capisci? Il popolo impazzirà quando saprà che c'è una sua erede... e noi potremmo sposarci- gli occhi luccicarono.

-Quindi tutto questo è... una mossa politica?- no, non poteva essere reale.

-Sì, ed è una profezia-

-Una profezia?-

-Sul ritorno del Principe Immortale... magari sarà nostro figlio, non credi?-
Nostro figlio? Dorina doveva stare sognando o essere impazzita. Oppure era davvero morta e ora si trovava in un qualche universo alternativo di cui non conosceva le regole.

-Lo chiameremo Vlad- fece un sorriso.
Pazzo. Era pazzo. Però era meglio non dirlo.

Alexander scivolò avanti, il passo deciso. –Non sai quanta fatica ho fatto per essere ammesso a questa stupida accademia, tutto per te-

-Sapevi che sarei venuta?-

-Ho sentito le voci che provenivano da Londra, tu non lo ricorderai, ma ci siamo perfino incontrati in un paio di occasioni, solo che io ero diverso-

-Diverso?-

-Ho dovuto ricostruire la mia persona per poter stare qua- sollevò un braccio e allungò la mano verso di lei –ne è valsa la pena, no?- le sue dita le accarezzarono la guancia. Dorina si sforzò di rimanere immobile. Non reagire. Nemmeno quando lui le ingabbiò il mento tra le dita. –Suppongo che le cose migliori siano le più faticose... per fortuna ho intercettato Ivona, lei voleva  avvisarti, ho una pessima scelta in fatto di amanti-

La ragazza del treno. -Ha detto Sot.. tua?-

-Sotie, significa sposa, ha riconosciuto la voglia sul tuo polso, la profezia ne parla-

Sposa. -Le ragazze del villaggio... -

-Dovevo diffondere la psicosi... non è stato difficile, ho studiato un po' di medicina e ci sono veleni che somministrati tutti i giorni provocano la malattia dello strigoi- la voce vibrava di orgoglio.

Era troppo. -Io... - doveva ponderare le parole. La rabbia però prese il sopravvento. -Non ti sposerò-

-So essere convincente, non temere- fece un profondo inchino e la lasciò. -Pensa a quello che ti ho detto, potresti non avere un'altra possibilità- e si allontanò, i passi che rimbombavano.

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