PROLOGO
In notti come quelle si poteva davvero credere all'impossibile. Dorina sospirò e fissò il buio. Le ombre si muovevano nel giardino del castello. Come dame e cavalieri intenti a ballare. Annunciavano l'alba. Presto il sole avrebbe illuminato le montagne e dato inizio a un nuovo giorno. Un altro giorno. Appoggiò le mani al bordo del balcone, che le arrivava sotto il seno. Il ferro gelido le scavò i palmi. Lei però lo sentiva appena. Era concentrata su di lui. Sul suo ricordo.
Quel ricordo che tormentava i suoi sogni. I lineamenti regolari, la forma allungata e gli occhi. Grigi. Tanto grigi da far male. Come una tempesta. E quella voce. Roca e graffiante. Che sussurrava leggende, incanti, follie. Che lei amava come la sua. Che desiderava sentire in ogni momento. Ripensò ai baci, agli abbracci, alle suppliche. Alla sete che aveva della sua pelle e del suo corpo. Avevano sbagliato! Quanto si odiava per quello che gli aveva fatto! Quanto l'odiava per quello che lui aveva fatto a lei! Avrebbero dovuto stare lontani. Certe persone non sono fatte per amarsi. Mai. Nemmeno dopo secoli.
Dorina strinse con rabbia la ringhiera fino a quando non sentì una fitta di dolore e il sangue appiccicoso che le scivolava sui palmi. Si premette le mani contro l'abito rosso. Non le importò di macchiarlo. Kaas. Lui che assomigliava a una belva dal pelo lucido. Una creatura uscita da qualche cupa leggenda. Il confine era scomparso. La realtà ormai risultava sfilacciata. Chi era stata la vittima? Chi il carnefice? Dorina non avrebbe saputo dirlo. Forse lo erano entrambi, forse...
Ma cosa le succedeva? Non ragionava?
Non si trattava di lussuria. Non era neppure solo amore. No, era un drago che bruciava il mondo. Un sentimento che non poteva essere detto, pensato, anche solo immaginato. Dorina non ci riusciva. Oppure lei era dentro quella tormenta e proprio per questo ogni cosa le era tanto difficile quanto camminare nella neve alta.
Uno scricchiolio. Sobbalzò. Quel castello era come una animale, lo aveva sempre pensato. Con zanne, artigli, pelo. Lo si poteva sentire respirare nelle notti silenziose. Non aveva ancora capito se fosse una cosa positiva o negativa. Se la creatura fosse buona o malvagia. Probabilmente non lo avrebbe mai capito. Forse quel castello neppure concepiva la differenza tra bene e male.
-Dovresti andare da lui-
Dorina non si voltò. Non si chiese nemmeno come lei l'avesse trovata. Nicalla otteneva sempre quello che voleva. E la trovava sempre. Lasciò che le scivolasse accanto e ne inspirò il profumo. Esotico. Le ricordava luoghi lontani. O sarebbe stato meglio dire epoche lontane. Le montagne laceravano il cielo scuro come lame.
-Ti ama, lo sai bene, è disposto a tutto per te-
Dorina la fissò. Nicalla aveva ben poco di umano. Era tanto perfetta che il suo corpo alto e formoso sembrava un contenitore troppo stretto per una come lei. L'abito ampio, verde come i suoi occhi, di taffetà e pizzo, ricordava quello dei secoli passati. Una principessa uscita da un quadro antico. Una principessa che avrebbe potuto benissimo avere un pugnale nascosto da qualche parte. L'apparenza ingannava. Con Nicalla non bisognava mai dimenticarlo.
Un sorriso le danzò sulle labbra piene. -Che cosa posso fare con due sciocchi come voi? Non c'è dannazione peggiore che avere l'amore davanti e non poterlo toccare, meritereste le peggiori torture- sbuffò, si stiracchiò, piegò di lato la testa. Aveva qualcosa di felino nel movimento. -Se queste fortune capitassero a me... - un sussurro di nostalgia.
-Meglio non amare-
L'amore era un mostro. Una Venere assassina. Come le piante carnivore. La Venere acchiappamosche. Dorina ne aveva viste nei saloni di Londra. Bellissima e letale. Come le cose migliori. Come Nicalla. Come... lui.
Dorina fissò i monti tra i quali si vedeva la luce rossa dell'alba. I giardini di rose rosse del re Laurino, narrava la leggenda. Nascosti agli occhi di tutti tranne che all'alba e al tramonto, Dorina però la pensava diversamente. Sembrava sangue. Quei monti grondavano sangue, questa era la prima cosa che aveva pensato quando era arrivata lì. Una bambina in confronto a chi era ora. Una bambina con un bagaglio di sogni e il desiderio di raccontare storie. Ora non sapeva più chi era. Forse era diventata un mostro. Il pensiero non le dispiacque. Perché non sempre i mostri sono davvero crudeli.
-L'alba- Nicalla sbuffò -sarà banale, demodé, noiosa, ma mantiene sempre il solito fascino- sollevò un angolo delle labbra. Il rossetto rosso sembrava sangue. -Anche se io preferisco il tramonto-
-Non ne ho mai dubitato- Dorina immaginava che Nicalla avrebbe sempre apprezzato l'arrivo delle tenebre.
L'amica fissò il vuoto. Il viso contratto. Bella come la lussuria. Pericolosa come la belladonna.
Il cielo cambiava lentamente colore. Un tripudio d'oro con vene rossastre. Una meraviglia. Avrebbe voluto poterlo toccare. Forse tra poco fili dorati avrebbero cominciato a cadere simili a stelle. E forse l'impossibile sarebbe diventato possibile.
-A Mirella sarebbe piaciuto questo cielo, a una sognatrice come lei- sussurrò Nicalla.
Sognatrice. Dorina avrebbe definito Mirella in mille modi, ma di certo non sognatrice.
-Sai cosa sarebbe anche piaciuto a lei?- Nicalla sospirò, gli occhi verdi ridotti a fessure.
Dorina scosse la testa.
-L'amore-
-Lei avrebbe scelto l'amore?- Dorina voleva risultare ironica. Il suo rapporto con Mirella era sempre stato strano... problematico.
-L'amore non è una scelta, non decidiamo quando e chi amare- Nicalla scosse la testa, riccioli neri che le cadevano su quello sguardo di smeraldo -l'amore è più simile a una malattia, ce lo prendiamo e non possiamo farci nulla-
Dorina la osservava e più la osservava più si trovava a pensare che in lei ci fosse qualcosa di magnetico che andava ben oltre la sua incantevole bellezza. Era qualcosa nello sguardo, nel modo volitivo in cui serrava la mascella, nel modo in cui sospirava. Nicalla era tanto bella quanto pericolosa. -Domani mattina parti?- una domanda per cambiare argomento. Per distrarla. Per non pensare a lui.
-Oh, sì, il mondo mi attende- fece un ampio gesto con un braccio, l'attrice su un palcoscenico -chi lo sa cosa mi riserverà-
Dorina sorrise. Avrebbe voluto avere un pizzico della sua vitalità. Avrebbe voluto essere lei. In fondo aveva sempre desiderato essere un'altra.
-Non è nella mia natura stare troppo in uno stesso luogo- si stiracchiò, un felino nel corpo di donna.
Dorina lo sapeva fin troppo bene. -Vorrei poter essere come te-
-Non la sei però... non negare la tua natura- scrollò la testa, ciocche scure che le scivolavano come una cortina sul viso bianco come porcellana -mai negarla, è un veleno lento quando si vive una vita che non ci appartiene-
Dorina sussultò alla parola veleno. Non era il caso di parlare di veleni, non dopo quello che era successo. Che le era successo. Non con quell'essere che ancora si muoveva nelle tenebre, che forse un giorno avrebbe mantenuto la promessa e sarebbe tornato da lei. Per finire ciò che aveva iniziato.
-Io... Nicalla... io... - ma non le venne nulla da dire. Il cuore le pompò più forte.
-Sei ancora in tempo- c'era decisione nella sua voce.
Dorina sospirò e si trovò a pensare a come tutto fosse iniziato. Nemmeno un anno prima. Come ogni cosa fosse destinata a cambiare.
NOTE DELL'AUTRICE:
Ciao!
Benvenuti in questo mio nuovo progetto!
Cosa ne pensate di questa prima parte? L'idea è di creare una storia d'amore con mistero ambientata negli anni Trenta del Novecento. L'ispirazione mi è venuta mentre leggevo un libro che parlava di vampiri.
La leggenda dei giardini di Laurino è reale e si ambienta sulle Dolomiti. Nasce per spiegare il fenomeno per il quale all'alba e al tramonto i monti si colorano di rosso.
Il paese di Grassona non esiste, ma è ispirato ad alcuni paesi che ho visitato sulle Dolomiti.
Per il personaggio di Nicalla, beh, mi sono liberamente ispirata a una vampira letteraria (se volete potete provare a indovinare).
Vi dirò in quali giorni pubblicherò la storia.
Se vi è piaciuto votate e commentate.
Sotto ho creato i volti con l'AI, fatemi sapere cosa ne pensate.
A presto!
Dorina
Nicalla
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