Epilogo
Non si può toccare l'alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.
-Khalil Gibran
Le cose non vanno sempre come vorresti, Damon ne sapeva qualcosa. Era appena uscito da un anno che l'aveva ferocemente messo alla prova, facendogli sbattere il naso contro pareti di vetro che aveva evitato con tanta attenzione per anni. Si era fatto male, così male da rimanere senza fiato, di nuovo sopraffatto dal mondo. Ma aveva preso delle decisioni, si era piantato per bene a terra e aveva trovato il modo per resistere, perché amava quelle piccole conquiste che aveva racimolato negli ultimi anni. Non era la vita perfetta che tutti sognavano, ma lui ci era affezionato con la stessa tenacia con cui amava le piccole follie delle persone. Non gli importava il giudizio altrui, il costante sguardo a ciò che nel suo bicchiere mezzo pieno mancava, lui guardava al suo bicchiere e sorrideva al fatto che non fosse vuoto.
Scontrarsi con Levi era stato difficile. Ammettere di essere di debole carne umana non gli era mai riuscito semplice, ma di fronte a lui si era reso conto di essere come un fiore in balia del temporale. Si era illuso di averlo superato, andando a sbattere su quella parete di vetro contro cui la sua psicologa lo aveva messo in guardia. Inutile dire che lui non le aveva creduto nemmeno per un istante. Era semplice convincersi di conoscersi meglio di quanto possano mai fare gli altri, ma Damon, da quell'esperienza, aveva capito che serviva una spina dorsale più forte per poter sopportare il peso delle certezze sgradite, e la sua non lo era. Si era spezzata in un istante, al primo tocco di Levi contro la pelle, dimostrandogli che le certezze non erano proprio cosa per lui. Era un maledetto testardo incapace di avere punti fermi, perfino nei suoi stessi confronti, e non l'aveva ancora accettato.
Quell'incontro l'aveva stordito, ricordandogli che fragile creatura fosse stato appena qualche anno prima, quando bastava una vibrazione sbagliata nell'aria per togliergli il respiro. E Levi glielo aveva aspirato completamente, risucchiandolo a sé come un buco nero. Ricordandogli quanto fosse dannatamente semplice desiderarlo, tenerselo vicino per proteggerlo da quel mondo infame e lasciarsi cadere in pezzi pur di farlo. Aveva anche pensato di ricascarci, in silenzio, senza nemmeno ammetterlo con se stesso, con la certezza che Levi l'avrebbe accolto a braccia aperte. Ma si era fermato. Aveva visto Veronica sul loro divano, piccola, piena di sonno e la semplicità con cui si era sentito a casa l'aveva tramortito, pungendolo con lo stesso pensiero appuntito che aveva avuto di lasciarla. Se la meritava, quella spina fra le costole, ma Veronica proprio no. Lei meritava supporto, tutta la fottuta dolcezza e devozione che si potesse spremere da quel mondo per permetterle di fiorire, e Damon si era detto che nella vita voleva quello: crescere e fiorire con qualcuno. Levi era immobilità travestita da stabilità, radici ben solide che non avevano intenzione di smuoversi per nulla al mondo. Levi non conosceva la felicità, troppo preso a confonderla con la monotonia priva di eccessivi dolori. Damon non voleva quello, non l'aveva mai voluto e faceva male rendersene conto, ma non sempre quello che vogliamo è quello che ci serve.
Così Damon aveva capito che la vita non smette mai di farti male, di graffiarti la pelle per prepararti a sopravvivere a cose peggiori, nemmeno quando ti sembrava di aver trovato la strada giusta. Alla vita piace confoderti, metterti alla prova, obbligarti a scontrarti contro le pareti di vetro che preferivi ignorare per farti capire dove vuoi andare per davvero, e Damon aveva deciso che, ovunque fosse, ci sarebbe andato con Veronica. Il mondo era pieno di persone che sanno solo rendersi infelici, e lui non sarebbe stato una di quelle. Aveva scelto di essere felice, accogliendo quell'ultima stilettata di dolore che comportava allontare Levi dalla sua vita con un punto secco e definitivo. Prima c'era un punto e virgola, un forse inconcreto che pendeva sulle loro teste pieno di promesse, poi lui l'aveva infranto, e i vetri rotti delle sue scelte gli erano piovuti in testa. Si era graffiato fin nelle ossa, ma era sopravvissuto, come sempre.
Era andato avanti con la sua terapia, trascinandosi giorno dopo giorno, recuperando man mano i pezzi che aveva perso per strada. Alcuni li aveva messi da parte, in uno scatolone con scritto sopra fragile, altri li aveva attaccati insieme, con i bordi frastagliati e le crepe a vista. Era tornato in piedi, con una voglia sconfinata di lanciare qualsiasi cosa per aria solo per vedere che effetto faceva. Di cose ne aveva lanciate poche, ma Veronica gli era finita spesso fra le braccia, con l'aria sotto ai piedi mentre la faceva girare con lui. Aveva un folle bisogno di leggerezza, lontano da tutti quei piccoli drammi della vita quotidiana. Si era perso Emily che sabotava la sua relazione, Elisa che ne costruiva una a piccoli passi esitanti, Chiyuki che rinunciava agli studi e Levi che si imbarcava in un altro rapporto vampiro di energie emotive. Avrebbe adorato preoccuparsi per tutti loro, ma non l'aveva fatto, concedendogli un po' di sacrosanta fiducia e concedendosi un po' di sacrosanto amore. Ed era folle, ma i mesi erano passati ed erano ancora tutti lì, interi, più o meno felici, più o meno occupati, e il mondo non aveva smesso di girare senza di lui. I suoi amici si erano innamorati, si erano lasciati qualcosa alle spalle e avevano affrontato alcune delle loro pareti di vetro e ne erano usciti fuori, un po' graffiati e ammaccati, ma interi. E questo gli aveva fatto capire tanto, una cosa in particolare: erano diventati grandi. Stentava ancora a crederci, ma era così. Avevano le loro vite e avevano imparato a viverle da soli, lontani dalla presenza l'uno dell'altro. Avevano imparato a non farsi ferire dalla lontananza e a godersi la loro presenza, quando possibile. Erano proprio diventati grandi.
Così aveva deciso, penna alla mano, che era arrivato il momento di realizzare quel piccolo sogno che gli sembrava impossibile fino a qualche mese prima: andarsene lontano da tutti e da tutti, abbastanza vicino da veder crescere sua sorella, abbastanza lontano da non dover inciampare più nei vetri rotti. Aveva scritto una lettera a Veronica, perché il cuore gli sanguinava troppo soltanto all'idea e non sapeva come dirglielo, e poi gliel'aveva lasciata sul cuscino accanto la mattina seguente, uscendo come fosse un giorno qualsiasi. Si era trovato di nuovo di fronte ad una di quelle decisioni che può aprirti a metà ma che non puoi ignorare. Sentiva di doversene andare, che lei lo accompagnasse o meno.
Si era torturato l'orlo della felpa tutto il giorno, chiedendosi quale infame chiedesse alla propria ragazza di mandare all'aria tutta la loro vita, i loro lavori e i loro affetti soltanto per andarsene e seguire uno stupido bisogno che gli attanagliava i polmoni come una scatola d'acciaio. Era una richiesta assurda, priva di fondamento e piena di incertezze, ma l'aveva fatta perché ne aveva bisogno, ed evitarla avrebbe soltanto avvelenato la loro relazione.
Prima di uscire dalla libreria aveva dato il suo preavviso di due settimane, guadagnandosi un sorriso triste e un incerto incoraggiamento riguardo il suo futuro. La proprietaria doveva consideralo un ragazzino un po' sconsiderato, ma sembrava dispiacerle ugualmente lasciarlo andare in quel mondo crudele. Lei, però, non sapeva che Damon ormai conosceva quella crudeltà come le sue tasche, e la rispettava come si fa con le forze naturali più grandi di noi.
Al suo ritorno aveva aperto la porta con cautela, chiedendosi quante lettere avrebbe dovuto scrivere nei giorni a venire. Ne sarebbero bastate tre o il destino aveva deciso di fargli sputare lacrime sulla quarta?
Entrò in salotto con lentezza, consapevole che lei era a casa e che quel silenzio era intenzionale. La leggeva piuttosto bene, ma quel silenzio non sapeva interpretarlo, non dopo la sua folle richiesta incisa con l'inchiostro su della carta da stampante. Sapeva già di essere stato pessimo, aspettava solo di leggerglielo negli occhi.
La trovò sul divano, arrotolata in una coperta come suo solito, con il suo nuovo pc in equilibrio sulle gambe incrociate. Avevano risparmiato come due pazzi, ma alla fine erano riusciti a mettere abbastanza da parte da concederle quel piccolo desiderio. E adesso lui le chiedeva di abbandonare tutto, di nuovo.
Veronica alzò lo sguardo di colpo, incrociando il suo come una saetta che va a colpire le fronde di un albero secco. Di rado l'aveva vista così seria e pungente, sottile ma pronta a bruciare qualsiasi cosa fosse entrata in rotta di collisione.
"Non me l'aspettavo" gli disse soltanto, fermando le dita sulla tastiera.
"Nemmeno io" le rispose lui, avvicinandosi al bordo del divano con la stessa cautela che aveva nel tono.
"Lo sai che non mi piace prendere decisioni."
"Ne hai prese tante, negli ultimi anni."
"Non mi piace che rimanga tutto nelle mie mani" gli disse, con una schiettezza pura e semplice, un po' infastidita, molto distante dal suo tipico girarci intorno. L'aveva messa all'angolo, se ne rendeva conto, lo faceva più spesso di quanto non avrebbe voluto. Veronica glielo rendeva necessario così di frequente da farlo sentire in colpa, forse perché ci sapeva trattare, ma avrebbe voluto trovare un modo migliore che negarle le vie di fuga o punzecchiarla con un bastoncino.
"So anche questo, ma anche tu sapevi com'ero, quando mi hai scelto. Perché mi hai scelto tu, e ti piaceva."
"Mi piaceva- cioè mi piace" Veronica si sgonfiò un po', abbandonando le spalle sotto il peso della gravità. Posò il pc lontano da sé e si girò verso di lui, infilandogli la punta dei piedi sotto una coscia senza rendersene nemmeno conto, in automatico. "Ma è fottutamente spaventoso" gli regalò un piccolo sorriso triste e tirato, risultato di una battaglia interna che l'aveva tenuta occupata per tutto il giorno. Si fissò la punta delle dita per un istante, interrompendo la loro solita danza nervosa. Rialzò lo sguardo nel suo e si sporse appena verso di lui, con un angolo delle labbra che tremava leggermente.
"Sono terrorizzata, ma quello già lo sai. Ho un po' voglia di scappare e tornarmene a casa dei miei, ma forse sai anche questo. Però magari non sai che le decisioni spaventose sono sempre state belle da prendere, alla fine. E ce n'è una in particolare, che mi piace tanto. La mia preferita" fece una piccola pausa, abbassando lo sguardo e battendo veloce le palpebre. "Ha dato vita ad un sacco di pasticci, ok, chi lo nega, ma si è rivelata l'avventura che ho sempre voluto," gli stiracchiò un sorriso con una piccola smorfia, arricciando il naso "anche se a volte mi fai impazzire."
Veronica ridacchiò con inaspettata leggerezza, coinvolgendolo anche se Damon si sentiva il cuore pesante, calamitato al centro della terra. Poi tornò seria, di nuovo con quello sguardo grave ed appuntito.
"Non so dove andrà a parare la mia vita, ma sì, vengo con te. Mi piace quello che combiniamo insieme, a prescindere da dove siamo."
"Ne sei sicura?" il suo tono era più riluttante di quanto non avesse voluto, ma lo era, la stava pur strappando via sia alla sua famiglia naturale sia a quella acquisita in un colpo solo. Damon sapeva quanto tenesse a loro, non aveva la pretesa di superarli nella scala delle sue priorità, non se messi tutti insieme da un lato e lui solo dall'altro.
"Sì. E tu ne sei sicuro? Di volermi con te, intendo."
Aveva percepito la sua reticenza, non era stupida. E poi era un po' paranoica, si sentiva costantemente fuori posto, malvoluta, era ovvio che quella nota nel suo tono di voce l'avrebbe allarmata.
Damon sospirò, passandosi una mano fra i capelli. Doveva andare a farseli tagliare, forse anche a rasare.
"Certo che lo sono, Ronnie. Fosse per me rovescerei il mondo intero, pur di portarti con me. Ma non è giusto, è una tua scelta che devi prendere per te, come io ho fatto per me."
Veronica lo studiò in silenzio per un istante, con un piccolo temporale che le turbinava dietro le iridi.
"Beh, allora dovrai rovesciare il mondo se cambierai idea a riguardo, perché io voglio venire con te e solo in quel modo potrai impedirmelo" sulla fronte le era spuntata quell'adorabile rughetta che compariva ogni volta che si concentrava su qualcosa su cui voleva vincere a qualsiasi costo. Damon non sapeva se in quel caso fosse la sua insicurezza o il tono riluttante con cui le aveva sottoposto la questione, ma gli andava bene così. Gli andava così bene che si stava sforzando di non piangere, perché proprio non sapeva spiegarglielo quanto l'amasse. Forse avrebbe trovato le parole giuste se l'avesse amata di meno, ma in quel modo gli era impossibile. Era una sensazione così grande e bruciante, totalizzante senza esserlo in senso negativo, che a volte avrebbe soltanto voluto lasciarsi andare.
"Allora direi che il mondo può rimanere esattamente com'è."
***
Emily lasciò cadere uno scatolone a terra con un tonfo sordo, sbuffando per la fatica con le mani posate sulle ginocchia. Lorenzo, di fronte a lei, si girò per fulminarla con lo sguardo. Lei alzò le mani con fare innocente, stringendosi le spalle.
"Se volevi qualcuno che ti aiutasse a trasportare i piumoni d'inverno dovevi cercarti un collaboratore più forte, caro mio, non certo una il cui massimo di sollevamento pesi sono due barattoli piccoli di vernice."
Lorenzo si sbuffò via dagli occhi un ciuffo di capelli e tirò dritto dopo averla mandata a cagare.
Emily sorrise, sentendosi come nei romanzi rosa dell'ottocento: perfettamente felice. Certo, le mancavano Veronica e Damon, ma se ne stava facendo una ragione, soprattutto da quando i due avevano iniziato fra loro una guerra a suon di scarti rubati di cui l'unica ricevente era proprio lei. Era felice di vederli sistemati, a modo loro. Non sarebbero mai stati una coppia tradizionale, ma cosa poteva aspettarsi da una relazione nata all'interno del Rainbow club? Erano dei matti anche senza stare fra di loro, figurarsi quando accadeva.
Con un grugnito recuperò lo scatolone fra le braccia e avanzò lentamente, un passo malfermo dopo l'altro. L'aveva buttata dell'ironia, ma quello scatolone la stava davvero mettendo più in difficoltà di quanto non si sarebbe aspettata.
Arrivò in suo soccorso il suo spilungone preferito, accompagnato da tanto di scorta atletica, muscolosa e pungente al punto giusto. Adorava Marco, finché si fosse comportato bene con Levi. Insospettabilmente era riuscito ad arrivare incolume fino a quel Natale, guadagnando un quarto di punto nella scala della fiducia di Emily.
"Oh, grazie Lee" sospirò lei, lasciando che lui le prendesse lo scatolone dalle braccia. "Stavo per accasciarmi a terra e costruire un nido fra quei piumoni."
La guardò roteando gli occhi al cielo, sorridendo però con affetto malcelato.
"Sarei venuto a trovarti, una volta sistemata."
Emily gli rispose con una smorfia divertita, dandogli una piccola spinta sulla schiena per incoraggiarlo a portare lo scatolone nella giusta direzione. Lui obbedì in silenzio, lanciando un'occhiatina di fuoco a Marco che lo osservava con le sopracciglia inarcate, più compiaciuto di quanto non fosse lecito per i suoi gusti.
Emily si preparò alla battutina, meravigliandosi per un istante di quanto avesse imparato a conoscerlo da quando aveva iniziato a frequentare il gruppo. Ci aveva messo un po', ma alla fine sembrava quasi essersi rilassato alla prospettiva di andare in giro con persone notoriamente queer. Quasi. Quella scintilla di disagio che aveva nello sguardo da quando lo aveva conosciuto non era ancora sbiadita e lui di certo non era diventato più bravo a nasconderla, forse solo ad ignorarla. Non che importasse: Emily aveva giurato di tenersi fuori dalle preoccupazioni per il futuro della vita amorosa di Levi. Poteva solo limitarsi a notare le cose e poi a tirare dritto, concentrandosi piuttosto su quelle di sua competenza, che da quando lavorava a pieno regime al centro erano decisamente abbastanza da tenerla occupata e con i pensieri lontani da Levi.
Il piccolo gruppo sbucò nella sala comune, dove Emily aveva guidato Levi un colpetto sulla schiena alla volta. Era una grande stanza, con le pareti giallo sole e un murales fiorito che si arrampicava e si srotolava fino al soffitto su una delle pareti laterali. Emily lo adorava, quasi le dispiaceva non esserne l'artefice.
Al centro della stanza c'era un grande tavolo rotondo, tappezzato da quelle che Emily definiva "stronzate da adolescenti". Andavano dai libri e quaderni pieni di appunti universitari a indumenti posati e dimenticati per inseguire un altro pensiero, cellulari, romanzi e una confezione di preservativi. Emily avrebbe voluto trovarlo strano, ma da quando avevano organizzato l'incontro con gli esperti di salute sessuale quei cosi erano ovunque. E andava bene così, sul serio, Emily era una grande fan del sesso protetto.
Agli angoli, appollaiati su un paio di vecchi divani, c'erano alcuni ragazzi accocolati uno sopra l'altro che guardavano tik tok sul telefono l'uno dell'altro. Disgustosamente giovani e improduttivi.
"Allora" esclamò a gran voce per attirare l'attenzione dei ragazzi. Quelli staccarono subito lo sguardo, calamitandolo su di lei con una punta di deferenza. Sorrise soddisfatta, proseguendo con il suo annuncio.
"Qua sono i piumoni in più che avete chiesto. Ringraziate il mio muscoloso amico e il suo ancora più muscoloso e inutile ragazzo, che però rimane un bel vedere, quindi ci va bene così."
Un coro di grazie distratto li raggiunse fra le risatine, mentre i ragazzi si alzavano e si accalcavano attorno alla scatola che Levi aveva depositato vicino ai divani.
"Credo sia la cosa più carina che tu abbia mai detto di me" la prese in giro Marco, sorridendole con il suo solito sorriso un po' nervoso.
"Oh, di sicuro. E comunque grazie per aver convinto Levi a frequentare la palestra: è stata una svolta nella mia vita."
"Puro egoismo" le rispose con un sorriso più rilassato, guadagnandosi una gomitata scherzosa nel fianco. Ad Emily piaceva il fatto che Marco non fosse alto come tutti gli altri uomini della sua vita: con lui almeno aveva scelta sull'aria da bersagliare.
"Siete sempre così dolci, voi due" sbuffò Levi, dividendo un'occhiataccia in due.
"Ci unisce l'amore per te" ironizzò Emily, con la consapevolezza che l'ironia arrivava fino ad un certo punto.
"E per fortuna" Levi le sorrise con una dolcezza inaspettata, facendole formicolare la punta delle dita in un'ondata di affetto fuori misura.
Emily ricambiò, tenendosi stretta al petto quel momento di semplice felicità.
Mentre tornavano nel suo ufficio, Levi la fermò per una spalla con un tocco delicato, appena accennato. Lasciò che Marco li superasse di qualche passo e si chinò verso di lei, sussurrandole "Sono di nuovo felice, per davvero." Poi riprese a camminare come se nulla fosse, con il sorriso impresso sulle labbra che non accennava a sbiadire.
Emily sorrise, stringendosi istintivamente le braccia al petto. Si lasciò cullare da quella sensazione per un istante, poi riprese a camminare prima che Marco si accorgesse di cos'era successo alle sue spalle.
***
Chiyuki finì di tirare il fiocco su un bel pacco regalo rosso, con la carta opaca e le stelline lucide che riflettevano vivacemente la luce. Lo studiò rigirandoselo fra le mani, osservandolo soddisfatta da ogni prospettiva.
Oscar zompettò in quel momento nel salotto, in mano aveva il suo trenino che aveva costruito personalmente con i lego, con i bordi irregolari e tanti piani extra in cui la sua fantasia aveva infilato piscine, suites e campi da calcio. Le si avvicinò incuriosito, posando le mani sul bordo del tavolo e studiando a sua volta il pacco. Si girò verso di lei e le picchiettò con un dito contro la gamba, richiamando la sua attenzione.
Chiyuki lo prese in braccio in automatico, appoggiandoselo a cavalcioni delle sue ginocchia. Oscar le posò la schiena contro il petto, ondeggiando le gambette mentre studiava il pacco che aveva di fronte.
"È per me?" le chiese con la vocina più dolce e suadente del suo repertorio, cercando di intenerirla e guadagnarsi il suo favore.
Chiyuki sorrise, allontanando le sue manine curiose dal fiocco.
"Oh, no, cucciolo. È per Liv."
"Per Liv?" le fece eco, improvvisamente molto più interessato. Da quando la famiglia di Damon si era trasferita fuori città, e con loro Olivia, Oscar ne aveva sentito profondamente la mancanza. Aveva perso la sua migliore amica, una sorella acquisita che era stata insieme a lui dal giorno zero, senza contare quanto fosse affezionato anche ai genitori di Damon, che considerava come i nonni paterni che non aveva mai avuto. Chiyuki sapeva quanto gli mancassero, lo sapeva per esperienza personale: anche a lei mancava Damon da perderci il sonno. Era ancora strano, senza di lui, ma ci stava provando. Si sentiva come se avesse perso un arto all'improvviso, e il cuore le si spezzava al pensiero che suo figlio provasse lo stesso. Per loro era stato un cambiamento drastico e inaspettato, reso ancora più doloroso dal non poter aver voce in capitolo.
"E come facciamo a darglielo?"
"Pensavo di portarglielo."
Oscar si dimenò nelle sue braccia fino a girarsi sulle sue gambe, osservando sua madre di fronte. La studiò con gli occhioni grandi di sorpresa ed entusiasmo.
"Andiamo a trovare Liv?" le chiese, iniziando a saltellare sul posto, facendola ridere di cuore.
"Sì, amore mio. Andiamo a trovare Liv, gli zii e i nonni" il cuore le sbattè le ali contro le costole, con l'emozione di rivedere Damon che lo faceva svolazzare senza freni.
Oscar la strinse forte in un abbraccio, agitando le gambe e liberando un piccolo urletto felice.
Chiyuki gli passò amorevolmente le dita nei ciuffi della frangia, sorridendo di riflesso al suo entusiasmo.
A prescindere dal lieve torpore della solitudine che a volte le si posava addosso e da come sarebbe andata in futuro, suo figlio era felice, innamorato della vita e curioso quasi all'irritazione. E quello le bastava, la rendeva felice a sua volta. Non importava il cambio che la sua vita e il suo corpo avevano subito. Non importava se vedeva poco i suoi amici o se i suoi bei fianchi si erano arrotondati e striati di smagliature. Le sue priorità erano mutate e scintillavano tutte in quei piccoli occhi castani luminosi di futuro. Chiyuki aveva questa nuova e folle responsabilità e la amava come non aveva mai amato nulla in tutta la sua vita e ne era certa, non avrebbe mai potuto amare nient'altro con la stessa forza di quell'amore materno che aveva scoperto.
Abbracciò suo figlio con slancio, godendosi le sue risate mentre cercava di sfuggire alla sua stretta.
***
Elisa scese i tre gradini della pedana con le gambe che tremavano inferme sui tacchi. Li aveva scelti con cura, abbastanza larghi da non rischiare brutte figure su quei dannati tre gradini ma abbastanza sottili da essere eleganti. Ci era voluta una certa dose di maestria, sopratutto per abbinarle al completo che sua madre e sua sorella le avevano regalato. In due rapide falcate raggiunse l'uscita dell'auditorium, con il fiato ancora incastrato in gola e il cuore che batteva impazzito contro lo sterno, facendole vedere le stelle. Si defilò con un rapido sorriso carico di una gioia profonda e selvaggia, con il desiderio di scappare, correre il più lontano possibile da tutto e tutti.
Ce l'aveva fatta, si era laureata. Cosa di cui dubitava, sopratutto dopo aver scoperto l'adorazione con cui seguiva Ines in lungo e in largo nelle sue serate. Ma l'aveva fatto, cazzo se l'aveva fatto.
La porta le si era giusto sbattuta alle spalle quando due lunghe braccia l'avevano attirata a sé, sollevandola in aria in un abbraccio stretto ed entusiasta che le strappò il fiato per la sorpresa. Elisa lanciò un urletto mentre dietro di lei iniziavano ad assieparsi i suoi colleghi e le loro famiglie, guadagnandosi le loro occhiate e risatine.
"Damon! Spostiamoci da qui, ti prego!" esclamò fra le risate, con il cuore che batteva ancora più in fretta, veloce e felice come non era mai stato in vita sua.
Damon fece un paio di passi di lato, tenendola stretta, senza metterla a terra, ridendo con lei ed improvvisando una giravolta dietro l'altra.
"Sei qui!" esclamò di nuovo, con le lacrime di gioia che mettevano a dura prova il suo trucco waterproof. Mentalmente prese nota di ringraziare ancora, ancora e ancora Seb per averla truccata e averle acconciato i capelli: era stato un maestro, l'aveva resa brillante e impeccabile come se fosse passata sotto l'attenta correzione di un fotografo su Photoshop. Sembrava uscita da una rivista: una principessa in carriera, bellissima e potente. Se Seb la vedeva così non poteva dirsi altro se non fortunata.
"Siamo qui" la corresse Damon con gioia, spostando lo sguardo alla sua destra, dove finalmente Elisa vide il resto dei suoi amici. Chiyuki le sorrise, muovendo la punta delle dita in segno di saluto mentre con l'altra mano teneva quella di Oscar, che salutava Elisa agitando l'intero braccio. La cosa la fece ridere ancora più forte, aumentando la presa attorno al collo di Damon per sfogare un po' l'entusiasmo. Veronica era accanto a loro, con un sorriso pieno e luminoso mentre si tirava l'orlo del vestito. Aveva perfino messo i tacchi! Elisa avrebbe voluto cacciare un urlo solo per quello, ma si trattenne, del resto aveva già fatto la sua figura per quel giorno. Emily era un passo più indietro, con un braccio infilato in quello di Levi, che le sorrideva con tenerezza. Marco non c'era, ma la cosa non la meravigliò più di tanto: era già bello averli tutti lì così, con i sorrisi e gli occhi che luccicavano di felicità. Era il regalo più grande che potessero farle, ed Elisa li amava follemente per quello.
"Siete dei pazzi, vi amo così tanto" piagnucolò, stringendo Damon ancora un pochino più forte, stampandogli un bacio sulla guancia con tanto di schiocco. Era stato lui, lo sapeva e quella consapevolezza le faceva divampare nel petto una fiammata d'affetto che aveva paura potesse quasi consumarla. O bruciare qualsiasi cosa la circondasse, tanto sentiva di volergli bene. Ma non solo a lui, a tutti loro.
Damon ricambiò la stretta con entusiasmo, facendole fare un'altra giravolta -e strappandole un altro urletto di sorpesa- prima di rimetterla con i piedi per terra. Le gambe le tremavano ancora ma non le importava più: adesso aveva la sua famiglia a sostenerla.
Mentre l'auditorium si svuotava alle sue spalle, i ragazzi la abbracciarono uno alla volta, congratulandosi e prendendola in giro. Chiyuki la strinse forte più a lungo di tutti, dicendole che l'aveva sempre saputo quanto era straordinaria, fin da quando le aveva rivolto la parola per la prima volta. Oscar volle tastare il colletto della giacca elegante, ammirando con curiosa adorazione i bottoni brillanti. Emily la strinse fino a farle male, urlando poi a tutti che la sua amica era una dottoressa, e sicuramente la migliore. Levi fu più pacato, limitandosi ad abbracciarla e a stamparle due baci. Veronica l'abbracciò velocemente, dileguandosi poi accanto a Damon, che rise e si guadagnò una gomitata nel fianco da parte sua mentre la accoglieva sotto il braccio.
A fatica li raggiunsero anche il resto della famiglia di Elisa, genitori, nonni, zii e la famiglia di sua sorella, con suo nipote che sonnecchiava placido in braccio alla madre. La strinsero forte, la riempirono di baci e carezze, poi le misero fra le braccia la sua tesi, un mazzo di fiori e in testa la corona d'alloro. In pochi secondi si ritrovò di fronte una schiera di telefoni pronti a commemorare il suo momento, mentre Emily le lanciava addosso coriandoli e faceva battute stupide per farla ridere. La scena andò avanti per un po', sballottolata da un paio di braccia all'altro, con i coriandoli nei capelli e il cuore ebbro di felicità, mentre tutti sorridevano e la fotografavano, chiedendo poi foto con lei. La sua persona preferita però era rimasta al margine del gruppo, più discreta, con lo sguardo luccicante d'orgoglio. Non che la cosa la stupisse: lui l'aveva tenuta per mano fino all'ultimo secondo, sostenendola poi con lo sguardo fino alla fine. L'aveva accompagnata lui fino a quel momento e non sembrava infastidito che lei si prendesse tutto l'amore che meritava, del resto il suo era sempre lì.
Elisa si districò a fatica nella folla di suoi familiari, raggiungendolo con il sorriso che le tirava le guance fino a farle male. Seb la osservò con la dolcezza nello sguardo, aspettandola e aprendo le braccia nella sua direzione. Elisa ci si lasciò cadere dentro, affondando con il mento nella sua spalla, stringendosi contro di lui il più possibile. Inspirò il suo profumo, avvolgendolo con le braccia e lasciandosi cullare dal suo abbraccio.
"Graziegraziegrazie..." mormorò, di nuovo con le lacrime agli occhi.
Lui la allontanò appena, posandole le braccia sulle spalle, passandosi fra le dita i morbidi ricci che aveva lasciato al di fuori della pettinatura. La contemplò in religioso silenzio, passandole un pollice lungo la guancia in una carezza, come se la stesse adorando. Poi le sorrise di nuovo, con tenerezza, e le posò un bacio sulla fronte.
"Gli hai fatto il culo" le disse in un sorrisetto, facendole arricciare il naso in uno smorfia divertita. Poi la baciò con impeto, facendole strabuzzare gli occhi per la sorpresa. Elisa si riprese in fretta, socchiudendo le palpebre e stringendogli le braccia al collo, meravigliata ancora una volta di quanto potesse essere meraviglioso e spontaneo il suo ragazzo.
Attorno a loro si alzarono fischi di approvazione dalla sua famiglia e dai loro amici, che li fecero staccare per liberare una risata. Una risata leggera, di quelle a pieni polmoni, piena di sollievo e felicità, una di quelle di quando le cose vanno come dovrebbero andare e non puoi fare a meno di essere innamorato della vita.
Elisa lanciò un'occhiata a Seb mentre quella risata si spegneva lentamente, indugiandogli sulle labbra come un buon sapore. Dedicò un istante per prendere nota di tutte quelle cose di lui che riconosceva e amava, a partire dalle fossette ai capelli rossi, alle lentiggini fitte e sottili, agli occhi azzurri e penetranti, in quel momento limpidi come il cielo in estate.
Elisa non era innamorata soltanto della vita, finalmente.
Spazio autrice
L'ironia che, in questa storia, Damon scelga Veronica sia incosapevolmente un simbolo di me che scelgo di volere bene a me stessa e lasciare indietro il passato e le sue relazioni turbolente, non mi abbandonerà mai. Soprattutto perché, nella realtà, una Veronica l'ho lasciata io indietro. Ma qui, in questa storia, i personaggi, per quanto ispirati a persone che conosco, sono semplicemente parti di me che rivedo negli altri. Hanno i loro nomi, parte delle loro storie, ma sono me e i miei sentimenti, a prescindere da come li ho chiamati. Quindi è assurdo e non l'avevo previsto, ma adesso mi lascia solo con un piacevole sorriso, un po' stupito dai giri che riesce a fare il mio inconscio senza che me ne renda conto. È pazzesco quello che la scrittura può fare, il modo in cui può risanare ferite che non ci si rendeva nemmeno conto di avere.
Quindi sì, amo questa storia perché significa così tanto, a prescindere dal valore oggettivo che può avere per chiunque altro. Non importa cosa ne sarà di lei, conta solo che mi abbia permesso di elaborare e capire i miei sentimenti.
Amo questa storia, i suoi personaggi, i loro cambiamenti e le loro relazioni. Amo i suoi momenti sentimentali, i monologhi introspettivi e le risate intrappolate fra le parole, le lacrime e i sorrisi che ci ho lasciato. Amo che questa storia sia stata scritta da me per una me migliore, più consapevole, e che ora quella me sia qui a dirmi: ce la stai facendo, cazzo. O come direbbe Gianni: stai andando forte, apri tutte le porte.
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