8. Liberazione
Levi fissava lo scorrere lento e vitale delle persone al di fuori dell'ampia vetrata dello studio della sua psicologa. Fuori il sole splendeva, aprile era quasi giunto e si iniziava ad intravedere la calda e secca primavera che si stava prospettando.
La mascherina prudeva agli angoli dell'elastico, esercitando una pressione costante sul ponte del naso che lo stava mandando fuori di testa. Continuava a tirarla, spostarla e pizzicarla, ma niente da fare, non aveva intenzione di dargli tregua.
Era consapevole della donna seduta di fronte a sé, dritta sulla schiena, le gambe accavallate e una penna morbidamente abbandonata fra le dita. Aspettava pazientemente una sua risposta all'osservazione che gli aveva appena fatto, ma Levi non sapeva cosa dirle. Era tutto così maledettamente complicato nella sua testa e odiava il fatto che una volta espresso a parole, al contrario, sembrasse così semplice. Non lo era, se lo fosse stato avrebbe risolto il problema, giusto? Non era uno stupido, e non aveva intenzione di lasciarglielo credere.
La dottoressa Agostini lo osservava con attenzione, senza perdersi nemmeno un suo respiro, e la cosa non lo aiutava minimamente. Anche i suoi vestiti dai colori sgargianti e gli improbabili accessori lo mettevano in difficoltà. Non ne era certo, ma pensava che ci fossero dei limiti professionali a come uno psicoterapeuta possa presentarsi ai suoi pazienti.
"Allora, signor Allevi? Cosa ne pensa?" il suo tono sfiorava il canzonatorio mentre lo osservava con un accenno di sorriso che le si rifletteva negli occhi.
"Non lo so," le rispose sinceramente "credo di poterlo fare. Non so quanto sarà utile, però."
"Di quello ci occuperemo in seguito, che ne pensa?"
Levi odiava quando gli chiedeva cosa ne pensasse, e succedeva all'incirca alla fine di ogni sua frase.
Quello che diceva la dottoressa sembrava giusto, ma il tono era sempre perfettamente in equilibrio fra la serietà e la presa in giro, e Levi non sapeva come interpretare la cosa.
Quando Damon gli aveva passato il suo contatto si aspettava di incontrare tutt'altra persona. Doveva ammettere di essere vittima del solito cliché da psicologa: aria seria, occhiali troppo grandi, accenno di sorriso e tono rassicurante. Invece si era trovato di fronte un'energica sessantenne che aveva una passione sfrenata per lo shopping da Zara e che non aveva la minima premura a rassicurarlo.
Erano passate un paio di settimane, l'aveva incontrata in diverse sedute e si era convinto che Damon si fosse irrimediabilmente sbagliato. Quella non poteva essere la psicologa giusta per lui. Doveva esserci un errore, ma da quando avevano litigato Levi non se l'era più sentita di contattarlo, così si era arreso e aveva continuato a prendere appuntamento con la dottoressa Agostini.
"Lo farò" si arrese, afflosciandosi contro lo schienale della poltrona sulla quale era seduto. Non si era nemmeno reso conto di quanta tensione avesse accumulato fino a quel momento.
"Ottimo, allora direi di rivederci fra una settimana e scoprire se questa laurea me la sono guadagnata o meno. Che ne dice?"
Levi sospirò. Non aveva nulla da dire, ma annuì.
***
Quello stesso pomeriggio si era cambiato, infilando i suoi pantaloncini da corsa e la sua maglia preferita. Era un cimelio della vita con Damon, la conservava soltanto per quando usciva a correre o per i suoi weekend selvaggi passati sul divano a rimpizzarsi di serie e patatine. La considerava la sua "maglia della vergogna", riservata ai momenti in cui era in condizioni indecenti ed era meglio non incrociare persone che lo conoscessero. Gli unici momenti in cui una persona con uno straccio di dignità può permettersi di indossare una maglia del proprio ex.
Sull'entrata si infilò le scarpe da corsa, assicurandosi per l'ultima volta che il telefono fosse ben sistemato nella fascia che portava al braccio. Una volta sicuro di avere tutto il necessario prese fiato, chiuse gli occhi e strinse la maniglia nella mano mentre espirava, convincendosi che doveva almeno provarci.
Aprì la porta e si ritrovò a fare uno scatto indietro, con una mano posata sopra al cuore che batteva all'impazzata, quasi cercasse di schizzargli fuori dal petto.
Si trovò di fronte Marco, accucciato sul suo gradino d'ingresso che scorreva pigramente la home di qualche social senza davvero soffermarsi su nulla. Era anche lui in tenuta da corsa e sembrava del tutto incurante del freddo pungente che gli pizzicava la pelle.
Levi rimase a fissarlo in silenzio, con le labbra socchiuse, cercando di dare un senso a quella visione. Ormai evitava lui e la squadra di calcio da più di un mese, usando come scusa un infortunio alla caviglia. In realtà avrebbe voluto tornare ad allenarsi, ma la sola prospettiva di rivedere Marco lo aveva fatto desistere. Era più semplice senza doversi preoccupare anche di lui e delle ripercussioni che la sua esistenza aveva sulla sua vita, gli bastavano le ripercussioni e i sensi di colpa che doveva già affrontare.
Marco si girò verso di lui con un movimento rilassato, allungando il braccio indietro e posandoci sopra il peso. Alzò lo sguardo nel suo e gli rivolse un accenno del suo tipico sorrisetto, mandandogli le pulsazioni alle stelle.
"Oh, eccoti finalmente."
"S-scusa?" balbettò in risposta, odiandosi subito dopo.
"Ti stavo aspettando da un po', ci stavo perdendo le speranze" gli disse Marco alzandosi. Si diede una veloce spolverata ai pantaloncini, comportandosi come se quella situazione fosse assolutamente normale.
"Questo non spiega il motivo per cui ti trovavi sul mio gradino d'ingresso in tenuta da corsa" sottolineò Levi, cercando di darsi un tono.
"Volevo beccarti in fallo" gli rispose criptico, scendendo dallo scalino e facendo qualche passo indietro. "Allora, in tenuta da corsa, eh?"
Levi non se ne rese quasi conto, ma assecondò i suoi movimenti seguendolo, come se al centro del suo petto ci fosse un magnete attratto direttamente dal suo opposto nel petto di Marco.
"Stavo pulendo casa" improvvisò, dando una scrollata di spalle. Sapeva che quella era una pessima bugia, ma pensò che almeno avrebbe dovuto provarci. "E poi aspetta, che intendevi con il cogliermi in fallo?"
Marco gli sorrise come se gli avesse appena strappato una vittoria all'ultimo secondo, e la cosa non lo rassicurò neanche un po'.
"È un mese e mezzo che non ti presenti ad allenamento con la squadra con la scusa di un infortunio alla caviglia. Rispondi ai messaggi di tutti tranne che ai miei, ed evidentemente la tua caviglia sta bene" lanciò un'occhiata verso il basso, dove le vecchie scarpe da corsa di Levi brillavano nella loro tonalità giallo fluo sbiadita. "Quindi, suppongo, senza peccare di modestia, che in fin dei conti tu stia evitando me" rialzò lo sguardo nel suo e lo inchiodò al muro con una sola occhiata.
"Io-" Levi strinse le labbra in una linea sottile, sentendosi in difficoltà. Non sapeva cosa rispondergli, perché in fin dei conti era vero, stava evitando lui, ma non ci voleva una laurea in scienze della comunicazione per sapere che dire apertamente ad una persona che la stai evitando non sia il massimo.
Levi lo fissò muto per qualche istante, chiedendosi se avesse senso mentire di fronte all'evidenza. Decise di dirgli la verità, cercando di fare del suo meglio per non sembrare ancora più stupido.
"Senti, hai ragione, stavo evitando te. Non sto gestendo bene questo periodo, e averti attorno non mi avrebbe aiutato quindi ho deciso di prendere le distanze in modo indiretto. Non ho le energie mentali per far pace con le tue idee e il modo in cui affronti la vita. Sto cercando già di gestire la mia a modo mio, ed è un fottuto casino senza aggiungerci te che mi provochi. Ho già combinato abbastanza cazzate in queste settimane, credimi, mi bastano per tutta una vita."
Marco lo studiò in silenzio per un paio di secondi, poi accennò un sorrisetto più tirato del solito ed annuì.
"Capisco," gli concesse, passandosi una mano nel folto groviglio di ricci castani "ma non deve per forza essere così. Faccio un po' lo stronzo con te, ma solo perché vedo che ti piace. Posso sempre darmi una regolata."
"E perché dovresti?" Levi corrugò le sopracciglia, incrociando le braccia sul petto.
"Te l'ho già detto, quella squadra di sfigati è noiosa senza di te" si strinse nelle spalle, come se nulla fosse.
"Non mi sembra una scusa valida."
"Solo perché non ti sei mai davvero annoiato nella vita."
Rimasero a fronteggiarsi in silenzio per un paio di secondi, soppesandosi a vicenda.
"Questo in ogni caso non spiega cosa ci faccia tu qui conciato in quel modo" tornò alla carica Levi, con lo sguardo ancora duro ma la postura che già iniziava a rilassarsi. Non lo avrebbe mai ammesso, ma era così felice di rivederlo dopo tutto quel tempo che quasi stava perdendo stima in se stesso.
"Sono venuto qui correndo" gli rispose come se fosse elementare e lui avesse di fronte il bambino più lento della classe.
"Ma tu abiti a dieci chilometri da qui" constatò sbigottito.
"Avevo molto da sfogare" si giustificò stringendosi nelle spalle. "Non scopo da un po'. Con nessuno, né finto sesso etero né coi ragazzini arrapati di Grindr."
"Dovrei esserne colpito?"
"Non lo so, di certo non verrò a dirti cosa provare."
Quella era una novità: da quando era morto suo padre non esisteva una singola persona che non gli avesse detto come sentirsi e come avrebbe dovuto reagire. Suo malgrado sapeva che quelle parole di Marco avevano colpito nel punto giusto, qualsiasi cosa avrebbe voluto da lui l'avrebbe ottenuta, perché era terribilmente debole, patetico e incapace di resistere ed evitare quelle che già sapeva in partenza sarebbero state stronzate. In fin dei conti Damon non era riuscito a cambiarlo così tanto.
Che Marco sapesse o meno di aver detto le parole giuste, continuò il suo discorso.
"Senti, volevo andare in un posto. È un po' lontano, ma è il posto giusto per sbollire la rabbia. Non mi interessa se sei incazzato con me, con qualcun altro, con il mondo o chissà cosa, ma credo che tutti abbiano bisogno di un posto del genere una volta ogni tanto."
Levi si morse l'interno della guancia, consapevole di volerlo con tutte le sue forze e le sue implicazioni. Non gli avrebbe detto di no, forse non ne era nemmeno mai stato capace.
"E perché supponi che io abbia rabbia da sbollire verso una qualsiasi entità terrena o non?"
"Perché siamo tutti incazzati nel mondo, Levi. La vita è quel che è, e non esiste persona che non covi almeno un po' di rabbia dentro. Credo che sia quello che ci manda avanti, ma ad alcuni fa male, le permettono di incasinargli la vita e si creano attorno un ciclo senza fine. Ora non sono qui per fare il filosofo o lo psicologo, ma per darti l'occasione di sfogarti un po'."
"Perché sei venuto da me?" gli chiese Levi dopo un istante, lasciando Marco in silenzio a soppesare una risposta per un secondo di troppo.
"Suppongo che a te i motivi non manchino."
"Ma l'hai detto tu: siamo tutti incazzati per qualcosa, quindi perché io. Perché sei qua" lo sfidò con lo sguardo, andando alla ricerca di quella risposta, consapevole che poteva non riceverla e che la batosta non sarebbe stata indifferente. Era sempre stato così, un masochista testardo che ignora la consapevolezza per seguire il fugace sentimento e bisogno di un istante.
"Me lo vuoi proprio sentir dire, eh?" di nuovo quel suo sorrisetto, acceso di divertimento e autocompiacimento.
Sì, se lo voleva sentir dire, e lo voleva così tanto che se non avesse avuto un minimo di dignità l'avrebbe pregato di dirglielo.
"A volte fa bene ammettere la verità" gli rispose pragmatico, rispondendo ai suoi stessi pensieri.
Il viso di Marco si fece serio, incrociò le braccia al petto e lo fissò dritto negli occhi con una nuova intensità.
"Non ho paura di dire la verità, Levi. Perché proprio te? Perché sei l'unico con cui ho un rapporto di fiducia che non ho distrutto dopo quello che è successo fra noi qualche mese fa. Sei quello che mi conosce meglio, quindi se mai avessi voluto portare qualcuno con me dove ho intenzione di andare oggi, saresti stato tu e soltanto tu."
"Dici sul serio?"
"Purtroppo sì" Marco alzò le spalle, camminando all'indietro fino al cancello. "Allora, vuoi rimanere qua a gongolare perché sei un bimbo importante o andiamo a correre?"
"Mi hai dato del bimbo importante?" gli occhi di Levi si illuminarono suo malgrado, mentre la calamita nel suo petto lo portava a seguire Marco un passo dietro all'altro.
"Ti si fa felice con poco, eh?"
"So apprezzare quello che passa il convento."
"Filosofia molto saggia."
Oltrepassarono il cancello, fermandosi sul marciapiede di fronte. Fecero stretching in silenzio, anche se il sorriso che si era impossessato del viso di Levi non accennava a scemare.
"Allora," Marco interruppe il filo dei suoi pensieri, riportandolo alla realtà e al vero obbiettivo per cui era uscito di casa "è un po' lontano e forse per te è troppo, considerando quanto sei fuori forma, ma se andiamo a piano dovresti farcela."
"Non sono fuori forma" protestò, lasciando andare di colpo la gamba che stava allungando all'indietro. "Sto alla grande. Posso farcela. Detta tu il passo, io ti seguo senza problemi."
"Sicuro?" gli chiese Marco, e dove chiunque sarebbe stato scettico e premuroso lui sorrideva divertito, pronto a sfidarlo e vederlo soccombere alle sue parole dettate dall'orgoglio.
"Sì."
"Va bene allora, vediamo che sai fare" gli fece un sorriso carico di furbizia prima di spingerlo all'indietro e partire a correre, schivando agilmente le sue braccia che cercavano di mantenere l'equilibrio.
***
Levi scoprì che avere le gambe lunghe aiuta, ma non è essenziale per essere il più veloce. Marco gli stava ad un paio di passi di distanza, fresco come una rosa, che correva leggero e cadenzato come se fosse appena uscito di casa. Nulla a che vedere con la sua corsa al limite dello sfinimento. Non l'avrebbe mai ammesso, ma era palese che fosse fuori forma e che stesse pagando il suo peccato d'orgoglio. Appena Marco se ne sarebbe accorto avrebbe riso, e Levi avrebbe desiderato dargli un pugno non troppo scherzoso e baciarlo al tempo stesso.
Gli incasinava il cervello, ma in un modo strano, non spaventoso ma nemmeno completamente buono. Era solo un casino e non ci si poteva aspettare altro da uno come Marco. Era stato uno stupido a cadere nella sua ragnatela, ma non riusciva a pentirsene fino in fondo.
"Allora," Marco posò le mani sui fianchi e si girò verso di lui, appena l'accenno di fiato irregolare "siamo arrivati, e c'è una sorpresa che non gradirai affatto."
Levi aveva rinunciato all'orgoglio, posando le mani sopra le ginocchia, piegato in due a riprendere fiato. Sentiva già i muscoli delle gambe urlare e sapeva che il giorno dopo l'avrebbe pagata più che cara.
"Ottimo, mi sembra naturale" si raddrizzò a fatica, lanciandosi un'occhiata attorno mentre si prendeva le pulsazioni sul polso sinistro. Era diventato bravo a capire il ritmo cardiaco senza nemmeno scomodarsi a contare i battiti, aveva fatto così tanta pratica con Damon da riconoscere in pochi istanti un cuore isterico che pompa sangue all'impazzata. Il suo non era da meno: implorava di avere un istante di pace e Levi era ben lieto di concederglielo.
Si trovavano nella zona più periferica della città, quella famosa per le vie poco raccomandabili e per le postazioni di senzatetto e tossici. A Levi non era mai piaciuta, se possibile la evitava, a costo di allungare la strada. Quel senso di abbandono e oppressione gli si innestava nel petto con forza, facendo esplodere il grigio e lo squallore anche in fondo al suo stomaco.
"Posto adorabile" aggiunse, prima di abbandonare il polso e rimettersi completamente dritto. Nonostante la forma fisica trascurata si stava riprendendo in fretta e si sentiva stranamente meglio, più leggero, nonostante si sentisse le gambe incollate all'asfalto, come se le suole si fossero sciolte e l'avessero intrappolato.
"È un buon posto per pensare" commentò Marco, stringendosi appena nelle spalle. "Tornando a noi, ci sono un paio di rampe di scale da fare, ma ne vale la pena."
"Vale abbastanza da rischiare di trascinare fuori il mio corpo senza vita? Perché non so se ce la farò ad arrivare fino in cima."
"Oh, si che ce la fai. Guardati: ti sei già ripreso."
Levi lo guardò storto, trattenendo un sorriso che non voleva concedergli.
"Andiamo, fammi scoprire perché ne vale la pena."
Marco lo guidò cautamente all'interno dell'edificio che avevano di fronte, scavalcando come se nulla fosse i resti di una porta sprangata. Levi si concesse una smorfia, stringendosi le braccia attorno al busto.
Passarono accanto ad un uomo infagottato in un sacco a pelo, impegnato a leggere un libro usurato, ma comunque in ottimo stato. Si vedeva che era stato conservato con la massima cura, nonostante le spesse pagine fossero ormai rigide e ingiallite dal sole.
Marco si fermò accanto a lui, sorridendogli quando l'uomo incrociò il suo sguardo. Era un sorriso diverso dai suoi, più aperto e sincero, rispettoso. Levi immaginò si trattasse del suo "sorriso per gli adulti", ma aveva anche dell'altro, forse una vena d'affetto che non illuminava mai quegli occhi scuri.
"Ettore" salutò l'uomo, accennando un movimento veloce della mano.
"Oh, ragazzo, guarda un po' chi si rivede!" l'uomo si illuminò, posandosi il libro in grembo per concentrare tutte le sue attenzioni su Marco. "Brutta settimana?"
"Sì e no, ma non sono qui solo per me. Lui è Levi, un mio amico che aveva bisogno di farsi un giretto da queste parti."
Ettore indirizzò lo sguardo nel suo, studiando la sua figura per intero.
"Capisco. Beh, ragazzo, puoi venire qua quando vuoi. Gli amici di Marco sono sempre i benvenuti" gli sorrise con affetto riflesso negli occhi, dimostrandogli che quell'uomo e Marco avevano un legame che Levi non aveva nemmeno mai immaginato esistesse.
"Grazie" gli sorrise in risposta, sentendosi grato, senza conoscerne il motivo.
"Noi andiamo" si aggiunse Marco.
"Certo, buona liberazione allora."
I due ragazzi si congedarono con un sorriso, con Marco che lo guidava verso una rampa di scale che si affacciava nella stanza accanto.
Levi si limitò a seguirlo in silenzio, senza sapere cosa dire. Non si aspettava certo tutto quello che stava succedendo. Marco gli aveva presentato una persona che per lui era evidente importante, comportandosi come se fosse la cosa più naturale del mondo per loro. Era stato frettoloso e non del tutto comprensibile, ma era successo. Non sapeva cosa pensarne e non sapeva come evitare di viaggiare troppo con la mente ed illudersi.
Marco lo guidò con passo sicuro, salendo gli scalini rapido e silenzioso, come se conoscesse ogni asse di quelle scale e sapesse esattamente dove posare i piedi per non farle scricchiolare. Levi annotò la cosa in un angolo della sua mente, rimandando l'analisi della questione a quando avrebbe posseduto più dati.
Sbucarono un paio di piani più in alto, dove una corrente d'aria fredda entrava e smuoveva le pagine di giornale abbandonate a terra da chi ci aveva dormito sopra le notti precedenti. Era più trascurato del piano terra, probabilmente dovuto al freddo che spadroneggiava incontrastato a causa di alcune finestre con i vetri rotti o mancanti.
Marco lo condusse in una piccola stanza con i muri color senape, i segni della rimozione dei mobili sbiaditi, come se quel posto fosse stato abbandonato a se stesso da tempo.
Puntò diretto ad una portafinestra che affacciava su un giardino interno di cemento, circondato ad ogni lato da un edificio abitativo diverso. Decine di finestre si aprivano attorno a loro, bucando muri dai colori sbiaditi e macchiati di muffa e abbandono.
Marco scavalcò il telaio ormai vuoto, andando ad appoggiarsi con i gomiti alla ringhiera. Non si girò nemmeno una volta per controllare che lo seguisse così Levi semplicemente lo fece, nonostante tutta quella situazione lo stringesse in una morsa di disagio.
Con cautela gli si affiancò, osservando in silenzio tutto quel cemento e le finestre che lo fissavano come orbite vuote. C'era qualcosa di sbagliato in quel posto disabitato, un tentativo di riqualificazione fallito ancora prima di poter cominciare.
"Conosci bene questo posto" non aveva idea del perché lo avesse detto, forse aveva bisogno di capire cosa stesse succedendo, forse voleva sapere perché i tratti del viso di Marco si fossero induriti in quel modo o forse la morsa di disagio che gli aveva attanagliato lo stomaco gli stava togliendo il fiato. O forse tutte e tre.
Marco lo sorprese, accennando un sorriso tirato mentre stringeva le dita contro la ringhiera.
"Ci sono cresciuto, qui, in questa casa."
"Vivevi qui?" Levi si odiò l'istante dopo aver pronunciato l'ultima sillaba, consapevole di essere una di quelle persone che fanno domande stupide ed inopportune.
"Parecchi anni fa" annuì Marco, ignorando il suo conflitto interiore. "Questo posto è sempre stato una catapecchia, ma i miei non potevano permettersi nemmeno questo. Ce ne siamo dovuti andare quando hanno provato a riqualificare il quartiere. Il loro però era solo un pio sogno, questa è nata una zona di merda e lo rimarrà. Non sono nemmeno riusciti ad iniziare i lavori, si sono resi conto in poco tempo che non c'era nulla da fare. Alcune cose semplicemente non cambiano mai" si strinse nelle spalle, spostando finalmente lo sguardo nel suo. I suoi occhi erano così profondi e vivi da far dimenticare come si respira, come quando si fronteggia un'opera d'arte che ti strappa per un istante dal tempo e dallo spazio.
"Non ne avevo idea" gli disse cautamente Levi, senza sapere bene cosa dire o cosa farne di se stesso. Si sentiva così fuori luogo, la persona sbagliata nel posto sbagliato al momento giusto. Non immaginava che Marco potesse raccontargli qualcosa del genere in quel modo, anche se sapeva bene che il suo motto di vita includeva l'omissione, non la menzogna. Ciò però non poteva evitargli di chiedersi perché avesse deciso di dirglielo, in fin dei conti poteva girarci attorno con ironia com'era suo solito.
"Non lo sanno in molti, non ho mai motivo di parlarne, in realtà. Non me ne vergogno o altro, semplicemente non mi sembra una cosa essenziale da dire, capisci? Mi piacerebbe vivere in un mondo in cui dire certe cose non è essenziale. Il fatto che abbia vissuto qui non cambia la persona che sono adesso, averlo saputo non mi rende diverso, quindi perché dirlo? Ma il mondo non funziona così, purtroppo. Al mondo piace sapere ogni minimo particolare e usarlo per incasellare e ridurre le persone a brevi descrizioni."
"Forse hai ragione, ma non parlare delle cose non le farà sparire, e non cambierà come la società le vede" Levi si strinse nelle spalle prima di riprendere. "Soltanto parlando e vivendo la tua realtà puoi iniziare a cambiare come la vede il mondo. Basta guardare grandi tabù del passato che ormai abbiamo sorpassato o hanno quasi raggiunto la normalità o quanto meno ti lasciano vivere nonostante ciò. Non sarà chissà quale vittoria, ma almeno si può guadagnare terreno per chi verrà dopo."
"E se fossi egoista e non me ne fregasse un cazzo di quelli che verranno dopo? È così assurdo voler vivere la propria vita per se stessi e non per il futuro?"
Levi ci rifletté in silenzio per un istante. In fin dei conti lui era sempre uno che aveva vissuto il presente in funzione del futuro. Studia qualcosa che odi ma che ti darà un lavoro. Allenati oggi così un domani sarai in forma. Fatti il culo e suda finché sei in tempo, perché il futuro è dietro l'angolo e rischi di finire con in mano un pugno di mosche. Lavora. Lascia il segno. Abbi una vita produttiva per sapere di non averla sprecata. Levi non era certo di non averla sprecata, però era sicuro che per sé ne aveva vissuta solo una piccola parte, e solo perché qualcuno l'aveva spinto ad amarsi e ad amare il qui ed ora.
"Forse non hai torto," concluse lentamente, soppesando le parole "in fin dei conti vivere una vita per se stessi senza fare del male al prossimo non sembra un progetto così orribile."
"Ma al mondo non piace. Il mondo è egocentrico, vuole tutta l'attenzione per sé, non gli importa del singolo. Lo spirito di conservazione sbraiata e pretende si faccia qualcosa a beneficio della specie, e forse non piaccio alle persone perché a me della specie importa poco. Suppongo ci si debba accontentare: o io o il mondo, non possiamo essere tutti soddisfatti."
"Forse è per questo che le persone sono sempre così arrabbiate" Levi si passò stancamente le mani lungo le braccia, cercando di racimolare un po' di calore. Le finestre attorno a lui lo osservavano malinconiche, sussurrando silenziose storie di persone che avevano vissuto e che erano partite da un giorno all'altro, abbandonandole.
"Tutto questo sistema mi fa soltanto venir voglia di urlare. Odio che tutti sappiano come sarebbe meglio farlo funzionare ma non lo facciano" Marco strinse le dita attorno alla ringhiera, appoggiando il peso sui palmi e sporgendosi verso l'esterno, sollevandosi sulle punte.
Poi fece una cosa che lasciò Levi a fissarlo con le labbra schiuse e lo sguardo grande di sorpresa.
"È TUTTO UNA MALEDETTA STRONZATA!" urlò Marco a pieni polmoni contro il vento, dando vita ad un'eco che rimbalzò contro le finestre vuote, piano dopo piano, fino a raggiungere il cielo e disperdersi.
Levi rimase al suo fianco in silenzio, con un senso di stordimento che gli era precipitato addosso come una grandinata estiva.
Osservò Marco urlare fino a svuotarsi i polmoni e graffiarsi la gola, ipnotizzato da quella situazione e dalle emozioni che gli stavano stringendo lo stomaco. Levi non si era mai interessato di arte, ma era certo che quello a modo suo lo fosse. C'era qualcosa di artistico e crudele nella profonda umanità che anima le persone quando si comportano nei modi più autentici e primitivi.
Marco ritornò a posare il peso sui talloni, rilassando le braccia e chiudendo gli occhi.
Rimasero in silenzio, ad ascoltare il respiro lento e pesante di Marco. Il tempo in quel rettangolo di cemento si era fermato, mentre fuori il mondo correva e ruggiva la sua fretta di consumare la vita.
Marco riaprì gli occhi, grandi e un po' vacui, girò il viso verso di lui e li puntò nei suoi.
"Questa, Levi, è una liberazione" fece una pausa per prendere fiato, lasciò scivolare le braccia lungo ai fianchi. "Potrebbe sembrarti una cosa stupida e priva di senso, ma funziona. Hai mai provato ad urlare le tue frustrazioni?"
"'Io- non credo. Non è proprio il mio stile."
"Dovresti provarci. Dicono che tentar non nuoce."
"Non credo di... Non credo di saperlo fare. Non so nemmeno da dove iniziare."
Marco accennò un sorrisetto sfacciato dei suoi. "E poi dici a me che sono quello chiuso in me stesso e nelle mie convinzioni."
"È vero" ribattè Levi, girandosi verso di lui.
"Ma lo sei anche tu."
"Però io provo a rimediare."
"Allora proverai questa mia cosa terapeutica?"
Levi gli lanciò un'occhiata indagatoria, chiedendosi fino a che punto fosse serio. Sapeva che di solito Marco diceva chiaro e tondo quello che voleva dire, ma non era estraneo all'ironia e al punzecchiarlo senza pietà. Però in quel momento gli sembrava onesto. L'aveva portato lì per quello, e credeva in quello che diceva.
"Penso di poterci provare, sì" gli concesse alla fine, stringendo i pugni per tenere a bada il nervosismo.
Marco gli sorrise appena, poi tornò a voltarsi verso la ringhiera e si lasciò andare ad un urlo che sembrava risalire dalle profondità dei polmoni.
Levi rimase ad osservarlo affascinato, inconsapevole fino a quel momento di quanto fosse vasta la gamma di sentimenti che può animare un essere umano, soprattutto quando ti illudi di conoscerlo. Era qualcosa di grande e piccolo al tempo stesso, era realtà e scoperta e realizzazione. Levi non aveva la minima idea di chi fosse davvero quel ragazzo, e l'idea era elettrizzante e svilente al contempo.
Si fece coraggio e decise di dare una possibilità ai consigli di quell'improbabile ragazzo che si era stancato di sentirsi solo. L'aveva voluto lì con lui, aveva condiviso frammenti della sua vita e gli aveva chiesto di provare, e Levi non glielo avrebbe negato. Era irrazionale, eppure a Levi erano sempre piaciuti i legami che nascevano senza il bisogno della logica. Erano i suoi preferiti, lo univano alle persone più importanti della sua vita. Le stesse persone che lo avevano allontanato perché le stava incasinando, e gli mancavano, gli mancavano così tanto che a volte si svegliava nel bel mezzo della notte chiedendosi quanto male dovesse avergli fatto per aver fatto scappare anche loro due. Così in quel momento si concesse di raccogliere tutta la rabbia per se stesso e il dolore della perdita in un urlo che lacerò il suo stesso eco, disperdendosi scomposto nell'aria fino ai tetti. Senza nemmeno pensarci continuò ad urlare, senza porsi problemi o domande, abbandonandosi semplicemente al momento. Urlò tutte le emozioni che gli avevano appestato il cuore, scacciandole a forza, anche per un solo istante. Urlò fino a graffiarsi le corde vocali. Urlò fino a sentirsi distante dal suo stesso corpo.
E poi tornò il silenzio, statico e perfetto, e Levi si ricollegò con la realtà.
Non era razionale e come tutte le cose migliori funzionava senza rendere conto alla blanda logica umana.
La rabbia che gli bruciava la bocca dello stomaco si era quietata, come un incendio che una volta delimitato inizia spegnersi sotto i getti d'acqua.
Era poco, ma era l'inizio.
Spazio autrice
Non fa bene all'algoritmo ma pubblico quando mi ricordo, preparatevi al caos organizzativo insito nella mia stessa esistenza. Godetevela.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top