7. Riprendere
Emily aveva deciso che Levi dovesse uscire tutti i giorni per mantenere il contatto con la realtà e -ormai ne era certo- aveva distribuito fra i loro amici una tabella con le rotazioni per tenerlo occupato. Un rigido schema che imponeva a turni a tutti i ragazzi dell'ex Rainbow club (ad eccezione di Chiyuki, lasciata da parte perché lei una creatura a cui badare ce l'aveva già) di passare del tempo con lui, fuori o dentro casa, con l'unico obbiettivo di non lasciarlo troppo a lungo con i suoi pensieri.
Emily era preoccupata. Da quando lo aveva visto il giorno dopo il funerale sembrava non avere più pace, passava le serate a tormentarsi su cosa fare con lui. Levi lo sapeva perché indirettamente glielo aveva detto Elisa, in uno dei suoi turni "in casa", e non sapeva cosa fare per rassicurarla, soprattutto perché alla fine dei conti non aveva torto. Stava affrontando la cosa peggio di quanto non si sarebbe aspettato. Le parole di Chiyuki si erano spaventosamente riempite di senso e non gli rimaneva che sperare che fossero vere fino in fondo, anche la parte sul superare quel momento e tornare alla sua vita. Gli mancava terribilemnte la sua vita, ricca di impulsività, piccole certezze e leggerezze date per scontate. In quel momento perfino respirare sembrava faticoso, l'incertezza ad ogni respiro, chiedendosi se ce ne sarà uno successivo.
Da quando era morto suo padre aveva messo da parte qualsiasi cosa, anche la squadra di calcio, i cui allenamenti erano il suo sfogo settimanale. Gli mancava quell'impegno fisso, ma preferiva non affrontare Marco e le sue stronzate. Non aveva né tempo né forza per lui, così aveva deciso di evitarlo e basta.
Da allora della sua vita se ne occupava praticamente Emily, che con la sua tabella e i suoi programmi era riuscita ad incasellare le sue giornate e ad impedirgli di soccombere ai suoi pensieri più cupi e tormentati. Levi gliene era profondamente grato, sapeva che in quel momento non era in grado di badare a se stesso. Avrebbe dovuto, ma semplicemente non ce la faceva. Se non ci fosse stata Emily non voleva nemmeno immaginare cosa ne sarebbe stato di lui. Era testardo fin dall'infanzia, ma per se stesso aveva sempre avuto problemi a lottare. Era bravo a tornare sui suoi passi e a recuperare la sua posizione, ma non era in grado di votarsi ad una causa e portarla fino in fondo senza lasciarsi corrompere da ciò che sembra sia meglio. Incoerente ma testardo sulle proprie idee, un esperimento dell'universo per vedere fin dove può spingersi una persona prima di rovinarsi.
Quel pomeriggio Emily gli aveva spedito Damon e Veronica -probabilmente aveva esaurito le scuse che le permettevano di non inserire Damon in uno dei suoi turni di compagnia e aveva ceduto, facendogli qualche gesto minatorio prima di mandarlo lì- che l'avevano raggiunto sprizzando, inconsapevolmente, amore e felicità da tutti i pori.
Se Levi fosse stato al suo meglio probabilmente sarebbe riuscito a scacciare la prostrazione mentale che si sentiva dentro, ma in quello stato si limitò a guardarli con una smorfia insofferente, chiedendosi quando si smette di soffrire per non essere la felicità di qualcuno.
Per un istante maledì Emily, che teneva a lui tanto da fargli affrontare i suoi sentimenti nel modo più sano possibile, e decise che rifarsi una vita in un'altra città senza dire nulla a nessuno non sarebbe stato così male. Addio Damon. Addio Marco. Addio ragazzi che gli fottevano la vita e la testa meglio di quanto facessero a letto. Avrebbe trovato il modo di ricominciare al meglio, senza paura, senza complicazioni. Gli dispiaceva per Emily, che si prendeva cura di lui con tanto affetto, ma in fondo lo faceva perché lui ne aveva bisogno, se si fosse rifatto una vita altrove sarebbe tornato tutto in ordine...
Veronica lo riscosse dalle sue fantasie con un abbraccio veloce ed imbarazzato. Non si sarebbe mai abituato a Veronica che lo abbracciava, ma non poteva negare che quella novità gli infondesse un'ondata di calore fin dentro le ossa. Era una sensazione elettrica e confortevole al tempo stesso, una scarica d'affetto che gli rianimava il cuore ogni volta.
"Ciao" mormorò imbarazzata mentre si faceva strada verso il salotto, scostandosi alla velocità della luce, come se d'improvviso fosse diventato ustionante al tocco. Aveva i capelli scompigliati e le labbra gonfie, e Levi odiò averci fatto caso, perché adesso sapeva esattamente perché i due erano in ritardo sui soliti orari a cui si stava abituando.
"Ciao" le rispose svogliato, facendo spazio a Damon per entrare.
Se aveva mai avuto una minima idea di affrontare i suoi sentimenti e stare con loro, dopo quella realizzazione era ufficialmente scomparsa, lasciando nuovamente spazio alla sua smorfia spirituale.
Chiuse gli occhi e si impegnò affinché non diventasse anche una smorfia fisica. Amava i suoi amici, non voleva capissero ciò che gli frullava per la testa, rischiando di farli sentire in colpa perché loro erano andati avanti cento passi mentre lui aveva brancolato giusto qualche passo strascicato.
Damon gli fece un piccolo cenno accompagnandolo ad un accenno di sorriso ed entrò, guardandosi discretamente attorno. Levi non era certo di potersi abituare a vederlo con i capelli corti. Non voleva ammetterlo ma gli mancavano i suoi capelli tinti di nero, gli stessi che aveva tirato e accarezzato così tante volte da perderne il conto. In quei capelli biondi si potevano appena passare le dita, e realizzarlo gli fece uno strano effetto. Damon aveva letteralmente dato un taglio alla loro storia e alla loro vita insieme, ed era diventato una persona che quasi stentava a riconoscere. Era più felice, lo sapeva, e la consapevolezza era l'unione di una carezza e di uno schiaffo.
"Allora," Veronica si girò verso di lui con le mani unite di fronte a sé, come se stesse cercando di concentrarsi per ricordare le battute che Emily le aveva affibbiato "che ne dici di un caffè decente? Senza offesa, ma la tua macchinetta produce soltanto un concentrato di veleno al dolce profumo di caffè civile."
Levi la osservò con le sopracciglia aggrottate, chiedendosi come diavolo si dovrebbe reagire ad una richiesta di uscire espressa in quel modo. Da quando in qua si convince la gente ad uscire insultandone le proprietà?
"È la richiesta di uscire più creativa delle ultime settimane. Te l'ha suggerita Emily o è tutta farina del tuo sacco?" le chiese voltandole le spalle e raccogliendo dal tavolino da caffè alcune tazze, abbandonate lì da giorni dagli ospiti che si erano susseguiti incuranti. Sentiva il bisogno di evitare i loro sguardi e fingersi occupato gli sembrava la scelta con più tatto. Razionalmente sapeva di tenere a loro e odiava il modo in cui si comportava e si sentiva, ma sul momento non poteva farne a meno. Reagiva come una molla, restituendo stilettate di dolore per ogni loro gesto che gli si conficcava come un paletto nel cuore.
"Lee..." senza rendersene conto si era ritrovato Damon al suo fianco, che cercava di rabbonirlo prima che la situazione precipitasse. Lui era quello che la gestiva meglio fra i tre, Veronica e Levi continuavano a ferirsi involontariamente, senza la minima idea di come comportarsi senza peggiorare le cose, finendo inevitabilmente per farlo.
Levi sospirò, stringendo con forza le tazze. Aveva sbagliato di nuovo, lo sapeva. Non faceva altro che sbagliare con Veronica, ultimamente.
"Io- Scusa, Vi. Non intendevo quello che ho detto, è solo che... questa cosa di Emily mi stressa. Le voglio bene e le sono grato perché si preoccupa per me e si assicura che io non combini chissà che cosa, ma a volte ci perdo la testa. Mi sembra di non avere il controllo sulla mia vita ed è schifosamente stressante" lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi, con le tazze ancora in mano, arrendendosi di fronte all'evidenza che non poteva continuare a nascondere quello che sentiva.
"So che uscire mi fa bene. So che tenere la testa impegnata mi fa bene. So che cercate di fare il meglio per me, ma non so se io sono in grado di accettarla, la scelta migliore per me. Vorrei comportarmi meglio con tutti quanti voi, ma non ci riesco. Sono tremendamente stanco, mi sembra di avere una specie di 'batteria sociale' che è perennemente scarica. Non so più comportarmi. E mi dispiace, mi dispiace da morire. Sto facendo del mio meglio. Il problema è che il mio meglio fa schifo" finalmente l'aveva ammesso ad alta voce. Era strano tradurre in parole il pensiero che lo tormentava da settimane. Da un lato lo rendeva più concreto e reale, dall'altro portava con sé la leggerezza della confessione. Non che avesse motivo di sentirsi meglio, aveva semplicemente ammesso di trattare di merda i suoi amici, ma il suo cuore pulsava un po' più leggero e veloce.
Alzò lo sguardo colpevole in quello di Veronica, cercando una reazione che lei gli precluse con forza. Si limitò a fissarlo in silenzio, con i pugni stretti lungo i fianchi e lo sguardo di pietra.
Non si riuscivano a capire, di nuovo. Sembrava che la crepa fra loro continuasse ad allargarsi, diventando sempre più profonda e irreparabile. Per la prima volta Levi si pentì di non averla ascoltata anni prima, di essersene fregato e aver intrapreso quella relazione con Damon. Adesso quella stessa relazione stava distruggendo il legame più profondo e duraturo della sua vita, semplicemente perché nessuno di loro era bravo a lasciar andare le cose.
Concesse a Veronica il suo tempo per elaborare, dirigendosi in cucina per abbandonare le tazze nel lavello.
Sua madre sarebbe impazzita a vedere il caos che si era insediato nella sua preziosa cucina, invasa di vecchi incarti di cibo d'asporto e da posate abbandonate su qualsiasi superficie. I suoi amici non entravano in cucina, e quello gli aveva permesso di trasformarla gradualmente in uno specchio di quello che aveva in testa.
Per la prima volta dopo settimane sentì il bisogno di riordinare, di mettere a posto quello che non funzionava dentro sistemando quello che c'era fuori. Succedeva anche a Damon, se lo ricordava bene. Ricordava anche l'ondata di tristezza e tenerezza che lo assaliva quando tornava nel loro appartamento e lo trovava a riordinare ossessivo per trovare un po' di pace dal disordine che aveva nella mente. Allora non l'aveva capito, in quel momento gli sembrava l'unica cosa sensata. Se c'era anche una sola cosa che poteva far quadrare l'avrebbe fatta.
Tirò fuori un sacco della spazzatura da sotto al lavello e si mise a raccogliere i rifiuti sparpagliati sui vari ripiani, rendendosi conto della gravità della situazione solo in quel momento. Da quant'era che non faceva un pasto decente?
Continuò a lavorare metodico, con i mormorii che provenivano dal salotto in sottofondo. Avrebbe voluto avere la forza di sistemare la situazione, ma si accontentò della deliziosa simmetria di quel momento. Damon li incasinava, Damon trovava il modo per farli ritrovare.
Era egoista, se ne rendeva conto ma aveva tutta l'intenzione di affrontare un problema alla volta.
La porta di casa sbattè all'improvviso, facendo piombare il silenzio. Levi si bloccò, trattenendo il respiro. Che cos'era successo?
Rimase immobile di fronte al lavello, senza avere la forza di capire la situazione che lo circondava. Voleva illudersi di non aver incasinato tutto un'altra volta, ma sapeva che la realtà era ben diversa. Lui era ben diverso, e non si sapeva più gestire. Aveva perso più di quanto volesse o fosse capace di ammettere e la cosa gli aveva lasciato un segno così profondo che quasi si poteva vederci attraverso.
Sentì i suoi passi avvicinarsi e il labbro gli tremò appena in preda all'emozione. Gli si strinse un nodo in gola e prese fiato, cercando disperatamente di tornare in sè.
Lo raggiunse sulla porta e anche senza guardarlo sapeva che aveva le braccia incrociate al petto, le sopracciglia aggrottate in una smorfia di preoccupazione e sofferenza.
"Levi..." Damon lo chiamava così di rado per nome che anche senza tutto il teatrino che aveva messo in piedi poco prima si sarebbe preoccupato.
"Lo so," non si girò, non ne aveva la forza, si limitò a stringere il sacco della spazzatura fra le dita fino a farsi sbiancare le nocche e bucarne la plastica "ho bisogno di aiuto."
"Se vuoi posso passarti qualche contatto" sapevano entrambi che ormai era finita la parte in cui poteva ancora fingere che i suoi amici gli bastassero per rimanere sul filo della stabilità. Ormai era caduto di sotto, e bisognava agire, anche se nessuno a parte Damon aveva avuto il coraggio di farglielo presente. Non Veronica che trattava di merda da settimane, non Elisa che passava i pomeriggi a cercare di farlo sorridere e non Emily che aveva fatto tutto quanto in suo potere per aiutarlo e offrirgli sostegno.
"Credo di sì" lasciò scivolare il sacco a terra e posò le mani sul bordo del lavello. "Ho perso un po' il controllo, eh?"
"A volte succede," il suo tono era dolce e calmo come una favola della buonanotte e Levi gliene fu grato, dopo settimane era la prima volta che quel tipo di dolcezza nella voce non gli faceva pizzicare la punta delle dita "ma andrà tutto bene. È solo un brutto periodo, passano anche i peggiori temporali e questo è solo un terribile temporale passeggero. Fa paura ma se ne andrà, non sarà così per sempre."
"Non serve che mi rassicuri, lo so che siamo molto diversi."
"Grazie al cielo, direi."
Levi rimase in silenzio, con un sorriso amaro che gli tirava appena le labbra. In fondo al cuore lo rassicurava che nonostante il male che gli aveva fatto, Damon non gli augurasse nemmeno una stilla del male che lui sentiva di meritarsi, ma sapeva anche bene che Damon non avrebbe augurato quel tipo di vita a nessuno, nemmeno al suo peggior nemico. Era sempre stato troppo buono, troppo compassionevole. Non c'era da stupirsi che attraesse tante anime piene di insicurezze e dolori.
"Era da tanto che non parlavamo più, solo io e te."
"Hai smesso tu di parlarmi."
"Perché era la cosa giusta, dovevamo elaborare la fine per poter avere un altro tipo di rapporto. Credimi, la tentazione c'è stata, e a volte pure torna, fortissima, ma credo che meritiamo di meglio di rincorrerci tutta la vita" Levi sospirò, posando tutto il peso contro il lavello. Quel discorso lo aveva tenuto dentro di lui per così tanto tempo che gli faceva strano pronunciare quelle stesse parole che si era rigirato tanto spesso fra i pensieri. "Volevo imparare ad accettare che stessi con qualcun altro per evitare che succedesse quello che sta succedendo al momento, ma a quanto pare non ne sono in grado. Sono una persona peggiore di quanto pensassi."
"Non hai ancora smesso di crocefiggerti per il tuo essere umano, eh?" sentì Damon fare qualche passo verso di lui, ma Levi non si girò ad affrontarlo. Era più facile dargli le spalle, essere onesto senza rischiare di riflettersi nei suoi occhi profondi ed indagatori. Aveva ancora paura di cosa ci avrebbe letto, non riusciva a dimenticare il desolante riflesso che ci aveva trovato poco più di un anno prima.
"Vorrei soltanto essere migliore" lo sospirò, alzando lo sguardo verso l'alto per ricacciare indietro le lacrime. Aveva sempre trovato strabiliante e terribilmente spaventoso il modo in cui solo Damon riusciva a tirargli fuori tutte le sue emozioni più genuine e profonde, il modo in cui, per quanto ci provasse, non riuscisse davvero a nascondersi da lui. Avrebbe potuto, ma da qualche parte, dove albergava la versione più autentica di sé, non lo voleva. Aveva sempre voluto qualcuno che lo vedesse e da quando aveva conosciuto Damon non glielo aveva mai impedito, anche quando aveva odiato e avrebbe voluto nascondere la sua parte più vera e vulnerabile.
"Non succederà mai finché continuerai ad odiarti. Devi darti pace, Levi. Sei umano, provi emozioni umane ed imperfette. Soffri, sei geloso ed irrazionale, bruci di rabbia e di perdita ma è normale.
"Lo capisco che non ti piace, a volte sento anche io cose che non vorrei sentire, cose per cui mi flagello la mente, ma non abbiamo il controllo sulle nostre emozioni, però lo abbiamo sulle nostre azioni. A volte dobbiamo perdonare la nostra natura imperfetta, che quando non può amare odia, perché è parte di noi e non puoi sopprimerla solo perché non ti piace. Non funziona così, lo sai anche meglio di me."
Levi rimase in silenzio, chiedendosi come facesse Damon a comprenderlo in quel modo, quando nemmeno lui riusciva a capirsi fino in fondo.
"A volte vorrei che le cose fossero un po' più semplici" un sorriso amaro gli tirò nuovamente le labbra. "Probabilmente è da stronzi fare questo discorso proprio con te, che ogni giorno combatti contro la tua testa per fare tante di quelle cose che gli altri reputano banali, ma credo che tu sia l'unico che possa capire cosa intendo. La rabbia e la frustrazione per non riuscire a fare una cosa che tutti sembrano in grado di fare o di superare. Vorrei soltanto che qualcuno mi capisse. È stupido, ma mi fa sentire solo."
Damon fece un altro passo verso di lui, pervaso da un'energia che fino a quel momento aveva riposato quieta in fondo al suo tono.
"Non sei solo, e non soltanto perché Emily ti fa sempre ronzare qualcuno attorno, ma perché quelle persone sanno cosa provi, in modi e con esperienze diverse, ma conoscono quella rabbia e quella frustrazione. Emily è un'artista provocatoria che nel tempo libero si dà all'attivismo. Elisa si limita a sognare l'amore perché si sente ancora a disagio nelle relazioni. Chiyuki è ad un passo dal mollare l'università perché vuole passare più tempo con suo figlio e per questo si sente una fallita, anche se sa di non esserlo. Veronica fa del suo meglio per gestire questa nostra strana situazione e non fa altro che perderci il sonno e tirarsi le dita fissando il soffitto. Io sono di nuovo sotto farmaci.
"Siamo tutti frustrati e arrabbiati con il fottuto mondo per un motivo. Tutti noi desideriamo stare meglio o essere accettati. Non sei solo, Levi. Siamo tutti qui e lo sai, in fondo al cuore lo sai, ma ci escludi lo stesso. Dovresti chiederti perché non vuoi essere capito."
Levi si girò verso di lui di scatto, con urgenza, quasi senza rendersi conto del gesto o della vicinanza che avrebbe comportato fra loro. Se lo trovò di fronte, ad un passo di distanza, anche se mille scintille gli oscuravano la vista. Aveva di nuovo la pressione sotto i tacchi, e quello era l'ultimo dei suoi problemi.
"Come stai?" gli chiese con la voce spezzata, mentre le scintille si dissolvevano e poteva metterlo finalmente a fuoco. Era incredibile come Damon fosse cambiato in quegli ultimi anni e allo stesso tempo fosse rimasto lo stesso. Era sempre lui, ma al contempo gli sembrava di non riconoscerlo.
Damon gli stiracchiò uno dei suoi sorrisetti tristi ed ironici.
"Come vuoi che stia? Faccio del mio meglio mentre aspetto che la parte peggiori passi."
"Cazzo, io... come ho fatto a non accorgermene?" Levi, incredulo, si appoggiò con i fianchi al lavello, stringendosi le braccia attorno al busto, alla ricerca disperata di un sostegno. Si sentiva così stupido. Era stato talmente assorbito da se stesso e dal suo dolore da non aver notato quei segni tanto chiari quanto preoccupanti su Damon. Non se n'era accorto, eppure le occhiaie erano tornate contornate e pesanti, come se ci avesse sbavato sopra l'ombretto, il labbro inferiore era spaccato proprio dove fino a qualche anno prima aveva avuto uno dei suoi piercing e i capelli erano in costante disordine, come se le dita non smettessero mai di tormentarli. Gli sembrava anche dimagrito, ma quello era sempre stato bravo a nasconderlo con i vestiti troppo larghi. Non aveva notato nulla di tutto ciò, eppure i segni erano evidenti proprio di fronte a lui. Se non aveva notato quello, quante altre cose si era perso?
"Non è questo il punto del discorso che stavamo facendo" lo redarguì Damon, facendo mezzo passo indietro, come se si fosse reso conto solo in quel momento della loro vicinanza.
"A quel discorso non so cos'altro aggiungere. Cosa dovrei dirti?" Levi alzò le mani e le lasciò ricadere lungo i fianchi, confuso, esausto, arrabbiato. Si stava mettendo sulla difensiva, ne era vagamente consapevole, ma non aveva idea di come fermare quell'ondata di dolore che gli aveva invaso i polmoni quando aveva visto Damon prendere le distanze da lui.
"In cinque minuti hai capito più di quanto io non capirò mai su me stesso e va bene, ci sono abituato, ma tu cosa vuoi sentirti dire da me? Che ho una sindrome da figlio unico? Che sono un egocentrico incapace di guardare oltre al suo naso? Perché lo sappiamo entrambi, mi affaccio alla vita con una prospettiva di merda ma tu," gli puntò un dito contro, con la mano che tremava appena mentre cercava di trattenere le lacrime e il dolore che gli apriva il petto in due "maledettisimo tu, queste cose le sai già. Ma su una cosa ti sbagli. Sono anche in grado di guardare oltre il mio naso perché credimi, al momento non mi frega un cazzo della vita che mi sto rovinando da solo, l'unica cosa di cui mi importa è il fatto che tu non stai bene. E non mi frega un cazzo se il punto del discorso non è questo, non parlerò della mia vita che sto mandando a rotoli mentre tu sei qui, con la tua vita che va a rotoli, che cerchi di direzionare la mia.
"Vada al diavolo tutto, ma non osare pensare che ti chiederei come stai solo per cambiare argomento perché mi conosci, sono sempre io. Vorrei essere diverso, ma sono sempre lo stesso ragazzino. Mi sarò isolato nell'ultimo anno, ma non me ne sono dimenticato, e non ho mai smesso di tenere a te più di quanto tenga a me. E lo sai. Cazzo. Tu sai sempre tutto. Vuoi soltanto farmi incazzare, e sei dannatamente bravo, ma sai cosa? Non sono l'unico che ha bisogno di incazzarsi e sfogare la rabbia. Anche tu sei arrabbiato da far schifo ma fai finta di nulla, metti la tua maschera da salvatore imperturbabile e mi fai fare la figura dell'isterico che urla a chi cerca di aiutarlo, ma non sei diverso da me. Ti conosco. Mi dici sempre di non reprimermi ma tu sei il primo a farlo" gli posò un dito contro il petto, all'altezza del cuore, e fece pressione per rinforzare le sue parole, desiderando di fargli male fisicamente ed emotivamente. "Tu, maledettissimo tu, provi a salvare tutti quando sei il primo ad affogare, e fai finta di nulla."
Damon lo fissava con gli occhi grandi, pieni di sconcerto e sorpresa, le labbra socchiuse in un verso muto.
"Non sono soltanto un egocentrico viziato," continuò lentamente Levi, rendendosi conto di avere un accenno di fiatone "e tu non sei il salvatore imperturbabile che fingi di essere. Dici che dovrei accettare la mia imperfezione umana, ma tu lo fai davvero?"
Damon rimase in silenzio, trattenendo il respiro sotto la pressione del suo dito.
"Stai scaricando la tua rabbia su di me, e non è giusto, Levi."
"Smettila di usare il mio nome per mettere distanza fra noi, maledetto stronzo diplomatico!" Levi si fece più vicino, sovrastandolo con la sua altezza.
Damon ricambiò lo sguardo, alzando appena la testa nella sua direzione. Non aveva fatto nulla per allontanarlo o allontanarsi e quella piccola realizzazione riempì di sollievo una parte di Levi seppellita molto a fondo nella sua coscienza.
"A volte sai essere così incoerente" Damon lo fissò, piegando appena la testa di lato. "Prima mi dici che cerchi una fine fra noi, che vuoi che stiamo lontani per il nostro bene, e poi mi attacchi, mi rovesci addosso la tua frustrazione e non vuoi che mantenga la distanza. Cosa vuoi davvero da me?"
A quella domanda Levi rimase senza aria nei polmoni, senza fiato come dopo una gomitata in pieno petto. Qualcosa in fondo al cuore gli si spezzò al ricordo di quando quella domanda gliel'aveva posta all'inizio, quando quel suo cuore incoerente l'aveva riportato al bar da quel ragazzo imperfetto e tagliente. In quel momento però era solo gelo e al tempo stesso rabbia bruciante, lo guardava come si guarda chi ti ha spezzato il cuore e non si è mai voltato indietro.
"Che le cose fossero diverse" gli rispose sinceramente, in un sussurro, sentendo vacillare tutta la sicurezza che l'aveva portato ad ergersi di fronte a lui. Sentiva che stava iniziando ad accartocciarsi su se stesso così fece un passo indietro e lasciò cadere il braccio contro il fianco, cercando di nuovo il sostegno del lavello.
"Mi dispiace, per tutto questo. Per oggi, per quel giorno" distolse lo sguardo verso il basso, ripiegando il mento verso il petto. Sentiva le lacrime riempirgli gli occhi e scivolare lente ed inesorabili sulla sua maglietta, cerchiandola di piccole macchie perfettamente tonde. "Non so stare al mondo o con le persone, so fare solo casini, e mi dispiace così tanto che non riesco a fare altro che incazzarmi. Ma anche se non so essere una persona decente con chi amo, voglio solo farti sapere che a te ci tengo davvero, e che l'unica cosa che voglio da te è saperti felice. E so che ora non è così. Ho sbagliato nel modo in cui l'ho detto. Hai ragione, ti ho riversato addosso la mia frustrazione, ma sono davvero preoccupato per te. Cosa c'è che non va, Damon?"
Con fatica alzò lo sguardo nel suo, consapevole di quanto apparisse patetico in quel momento. La sua sfuriata si era sgonfiata, lasciando il posto ad un tono basso e arrendevole, macchiato da quella tonalità tremolante che assume la voce quando si piange con tutto il cuore. Era così patetico e vulnerabile, e di nuovo non gli importava.
Damon lo fronteggiò con una smorfia dura in viso, con i tratti del volto più affilati di quanto non li avesse mai conosciuti prima. Fece un passo in avanti, piegando appena il busto verso di lui. Gli ricordò tutti i loro pomeriggi passati a flirtare al bar, quando Damon si piegava al di sopra del bancone solo per il gusto di stuzzicarlo.
"Non ho intenzione di parlarne con te, Levi" si tirò di nuovo indietro, allontanandosi definitivamente da lui. "Più tardi ti mando i contatti che ti servono. A prescindere da tutto questo informati, prendi appuntamento."
Levi era incredulo, bloccato di fronte a lui.
Damon si era messo sulla difensiva, l'aveva tagliato completamente fuori, tracciando una netta linea fra quello che avevano avuto e quello che avevano. Levi rimase con gli occhi sgranati pieni di incredulità, incapace di trovare un precedente a quella situazione. Damon non gli aveva mai negato una risposta, era sempre stato aperto ed onesto con lui.
"E un'ultima cosa: metti un po' d'ordine nella tua vita prima di avvicinarti di nuovo a me o a Veronica. Non ti posso permettere di trascinarla a fondo con te, lei non sa gestire questi tuoi scatti, e forse nemmeno io. Quando starai meglio sai dove trovarci, prima di allora non possiamo fare altro per te, non finché l'unica cosa che vorrai fare sarà trascinarci a fondo con te."
Damon gli rivolse un'ultima lunga occhiata, con le spalle curve sotto il peso di quella situazione. Nei suoi occhi c'era così tanto da poter consumare una vita intera alla disperata ricerca di comprenderne ogni singola emozione. Levi si sentì colpito da quella rabbia scaturita dal senso di protezione e da quel velo di tristezza che sembrava farsi sempre più sottile.
Gli dispiaceva, ma per lui non poteva fare altro. A quel punto doveva fare un passo indietro e lasciarlo risolvere i suoi casini, tenendo se stesso e Veronica a debita distanza. Gli dispiaceva, ma Levi era diventato una minaccia in quello stato mentale, e la sicurezza con cui lo guardava dritto negli occhi gli fece capire che non gli avrebbe più permesso di portare dolore nella vita che si era costruito dopo di lui.
"Ritrova il mio ragazzo di primavera."
Levi chiuse gli occhi, non voleva vederlo andarsene. Non voleva vivere quello che aveva vissuto Damon l'anno precedente. Eppure era lì, in piedi in mezzo alla cucina, con le lacrime che scivolavano fuori dalle palpebre serrate, a chiedersi come rimettere in sesto la sua vita.
Avevi detto che ci saresti sempre stato, che adesso eri tornato, che non sono solo...
Si lasciò scivolare contro la superficie del mobile alle sue spalle, accartocciandosi su se stesso, con il viso affondato nelle ginocchia. Si concesse di singhiozzare per tutto quello che aveva perso e per tutto quello che aveva fatto. Si abbandonò alle lacrime, sfogando un po' di quel dolore sordo che gli aveva incattivito il sangue.
Il giorno successivo avrebbe ripreso in mano la sua vita per davvero, senza l'aiuto di Emily, ma quel giorno si concesse di essere un semplice essere umano colmo fino all'orlo di dolore.
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