6. Primavera
Una nave è più sicura nel porto, ma non è per questo che le navi sono state costruite.
-J. Shedd, Salt from my attic
Il campanello trillò, facendo socchiudere infastidito gli occhi a Levi. Era stanco, stava male sia fisicamente che emotivamente ed era saldamente convinto che la gente dovrebbe farsi i cazzi propri quando stai vivendo un lutto.
Rimase in silenzio, seduto sul divano con la testa appoggiata all'indietro. Era ben deciso ad ignorare chiunque fosse, in fin dei conti era certo non fosse nessuno d'importante: chiunque avesse voluto veramente vedere prima lo avrebbe avvisato, conosceva la sensibilità dei suoi amici.
La stessa sensibilità non si poteva attribuire a chiunque fosse al di là della sua porta. I trilli continuarono dopo poco, iniziando una fastidiosa e isterica ripetizione. Levi sospirò frustrato, evidentemente non avevano intenzione di lasciarlo in pace.
Si alzò e si diresse alla porta, sperando si trattasse di qualche amica di sua madre che non era a conoscenza del fatto che in quella casa era rimasto solo lui con la sua musica deprimente. Avrebbe perdonato quella persona in quel caso, gli bastava che se ne andasse e non osasse chiedergli come stava. Che poi, che domanda idiota. Come si dovrebbe stare in una situazione del genere? Come si dovrebbe stare dopo aver perso una persona che conoscevi e amavi da tutta la vita? Levi odiava quelle stupide convenzioni sociali che impongono alla gente di parlare e domandare a sproposito durante un lutto. Lui non l'aveva mai fatto, ma il favore non gli era stato ricambiato.
Aprì la porta mettendo fine alla fastidiosa sequela di trilli.
Pensava che il peggio fosse passato, invece era il solito illuso di sempre.
Il sorrisetto imbarazzato che si trovò di fronte lo ghiacciò nel disagio e nella sorpresa. Rimase a fissarlo per un minuto abbondante, senza muovere un muscolo o accennare una parola. Forse non credeva a ciò che gli occhi stavano comunicando perplessi al suo cervello. Era così assurdo, non riusciva nemmeno ad immaginarselo, figurarsi credere che fosse reale, proprio di fronte a lui.
"Mi fai entrare?" quel maledetto sfacciato lo guardava come fosse cosa comune presentarsi di fronte casa delle persone e pretendere di entrare senza nemmeno aver salutato. Non che lui avesse la forza di negarglielo, ma gli diede ugualmente fastidio. Sentiva la punta delle dita prudere mentre si scostava, permettendogli di entrare.
Marco si fece largo in casa sua, le mani sprofondate nelle tasche e la solita andatura da ragazzino cresciuto troppo in fretta. Si guardava attorno curioso, senza il minimo rispetto o pudore. Cosa diamine ci trovava in lui? Era bello, di una bellezza semplice e classica, una statua greca che prende vita e si confonde in mezzo agli uomini, ma a parte quello non sembrava possedere molto altro.
"Cosa ci fai qui?" gli chiese con il tono che invece di piegarsi alla stizza si era piegato alla stanchezza.
"Ho saputo di tuo padre" si girò verso di lui, e Levi per un istante lo odiò pronfondamente. Sempre così disinteressato, superficiale, perfino di fronte al suo dolore. "Se lo avessi saputo prima sarei venuto al funerale."
"Non è vero, e in ogni caso non sarebbe servito."
"Mi sottovaluti, ragazzino."
"Non l'ho mai fatto."
Levi si appoggiò con la spalla contro lo stipite della porta, le braccia incrociate al petto, i tratti del volto induriti e sprezzanti.
"Forse hai ragione, ma mi è dispiaciuto davvero, non sono un mostro" Marco lo fissava con quegli occhi scuri e sinceri, fastidiosamente onesti e privi di filtri. Era una persona di merda e non tentava di nasconderlo, ma almeno avevi la certezza fosse onesto. Quasi sempre.
"Ho saputo che c'era anche il tuo ex."
"Questo cosa c'entra?" gli chiese sulla difensiva, punto sul vivo.
"Nulla, pensavo solo aveste chiuso."
"Abbiamo chiuso, non lo vedevo da un anno."
"Le vecchie del circolo della messa hanno visto tutt'altra cosa. Avete bloccato l'intero corteo verso il cimitero, a che ne so."
Levi chiuse gli occhi, rivivendo in un flash quel momento. Quando aveva sentito quel tocco sulla spalla pensava di essere impazzito, non poteva averlo riconosciuto. Invece era proprio lui, e trovarselo davanti lo aveva mandato in pezzi. Fino a quel momento non aveva pianto, e onestamente non era certo se quelle lacrime fossero per la perdita di suo padre o per essersersi ritrovato Damon di fronte dopo tanto. Gli era venuto così naturale abbracciarlo, stringerlo fino a perderci il fiato, che per un momento si era spaventato. Constatare quanto ancora fosse grande il sentimento che provava per lui lo aveva destabilizzato, piazzandogli di fronte al naso per l'ennesima volta il fatto che senza di lui non poteva vivere davvero. Gli mancava come un arto amputato, il suo ragazzo imperfetto e tagliente.
"Non lo vedevo da un anno" si strinse nelle spalle, fissando lo sguardo nel suo. "È stato una delle persone più importanti della mia vita e lo è ancora, non lo negherò di certo, ma non capisco in che modo ti possa riguardare. Sei per caso geloso? Non ti basta più adescare ragazzini?"
Una nota di fastidio passò sul volto di Marco, increspandogli le sopracciglia.
"Volevo solo capire come stessi," ecco la solita stupida convenzione sociale "ma prevedibilmente sei messo uno schifo. Immagino non ci sarai all'allenamento di domani."
Levi lo superò senza degnarlo di uno sguardo, lasciandosi cadere esausto sul divano. Marco lo raggiunse poco dopo, sedendosi sul divano opposto, di fronte a lui, il tavolino da caffè a separarli.
"No, non ci sarò. Voglio solo starmene in pace per un po'" gli rispose con calma, la rabbia e l'astio spenti dalla stanchezza che gli si era attaccata addosso come un velo.
"Poi volevo parlarti anche di un'altra cosa."
"Non sei venuto qua solo per sfottermi nella mia sofferenza?"
"Se volessi sfotterti ti farei notare i tuoi gusti molto discutibili. Insomma, come cazzo hai fatto a stare con uno che si fa chiamare Damon? Che cazzo ha, una crisi adolescenziale che si protrae senza termine?"
"Ognuno ha il suo: lui si fa chiamare Damon perché odia il suo nome, tu ti fai i ragazzini perché non sai accettare te stesso. Fossi in te rivedrei le mie priorità, prima di accanirmi sul prossimo."
Marco gli lanciò un'occhiata sorpresa quanto tagliente. Levi non parlava così di solito, non era nella sua natura affilare la lingua e tornare colpo su colpo. Era sempre stato figlio incosapevole del cristianesimo: porgi l'altra guancia e lascia marcire le risposte troppo audaci in fondo allo stomaco. Ma quel giorno non aveva la forza di fermarsi, di porre un limite a tutto quello che gli passava per la testa. I suoi filtri erano morti con suo padre.
"Avrai pure ragione, ma ce l'ho pure io. È un idiota."
"Lo pensi solo perché non lo conosci. Se lo conoscessi perderesti la testa anche tu, e forse riuscirebbe a mettertela apposto. Con me ci è riuscito."
"E guarda come ti sei ridotto."
Marco gli lanciò un'occhiata profonda, un po' accusatrice un po' intrisa di qualcosa che non sembrava appartenere alla sua natura menefreghista. Stava facendo riferimento alla musica in sottofondo, Levi ne era quasi certo, e anche se si fosse riferito ad altro poco gli interessava, prima era messo pure peggio di quanto non fosse in quel momento. Lottava notte e giorno con la sua natura più intima, riconoscersi e accettarsi era stata la sua svolta e poco gli importava che un trentenne sconsiderato e senza prospettive lo ritenesse ridotto uno schifo. Prima era peggio.
"Marco Mengoni lo ascoltavo pure prima" ribatté con stizza, stringendo le braccia al petto.
"Allora congratulazioni per essere arrivato ai ventisei anni senza esserti ammazzato."
A Levi scappò un sorriso contro la sua volontà. Ecco cos'aveva quel ragazzo: in qualsiasi situazione trovava il modo di farlo sorridere, anche quando non voleva dargli la soddisfazione. Non aveva idea di come facesse, sbruffone com'era, ma ci riusciva sempre.
Gli dava fastidio aver perso la testa per un soggetto del genere, ma allo stesso tempo non poteva impedirselo.
Marco gli sorrise brevemente, poi appoggiò i gomiti sulle ginocchia e si protese in avanti, incastrando le dita fra loro.
"Volevo dirti che avevi ragione" sospirò, forse infastidito da quell'ammissione. "Ho lasciato Giulia. Non era giusto quello che le stavo facendo."
"Dopotutto un po' di senno ce l'hai" gli disse, cercando di mascherare la sorpresa che gli stava stringendo lo stomaco. Che settimana assurda, quella. Neanche impegnandosi sarebbe riuscito ad immaginare una serie di eventi tanto improbabili che accadevano l'uno dietro l'altro.
"Me lo merito" Marco alzò le mani in segno di resa, lasciandosi cadere contro lo schienale del divano. "Credo mi odi a morte, ma non sa di averne scampata una bella. Dovrebbe ringraziarti, glielo farò presente quando mi lancerà dietro un'altra scatola piena delle mie cose."
"Ti ha cacciato di casa?"
Marco annuì, con un accenno di sorrisetto tirato e particolarmente fastidioso. Non si toglieva mai quella faccia tosta, neanche in un momento del genere.
"Cazzo, l'hai proprio fatta inviperire."
"È la mia specialità" di nuovo quel sorrisetto del tutto inappropriato. "Almeno adesso ha l'occasione di rimettere insieme i pezzi della vita che le stavo mandando a puttane. È più fortunata di quanto crede ad essersi liberata di me."
"Non ne dubito."
"Mi fai morire quando fai finta che io non ti piaccia neanche un po'."
"Non è quello che fai anche tu?"
Marco sorrise divertito, gli occhi illuminati dalla sorpresa per quel nuovo lato di Levi che stava scoprendo.
"Touchè, non te lo posso negare."
In quel momento lo odiava, così divertito da quella loro situazione senza capo né coda. Doveva assolutamente toglierselo dalla testa, non potevano continuare così, era evidente che per loro non c'era storia.
"Non ti stanchi mai di dover fingere in continuazione?" gli chiese Levi dopo un istante.
"Ho smesso di fingere. Adesso mi limito ad omettere" risposta sincera ed azzeccata, proprio come lui. Niente di più della realtà, anche se non ti piaceva com'era, a lui non importava nulla di addolcirtela.
"Smetterai mai di omettere?"
"Non lo so. Non credo, in realtà non mi dispiace. Non ho il cuore a pezzi perché non posso andarmene in giro mano nella mano con te, senza offesa, eh. Sei un bel ragazzo, mi intrighi, ma nulla più. Essere come noi al giorno d'oggi è solo una seccatura, e onestamente odio le seccature. Voglio godermi questa vita finché c'è e fregarmene di tutte queste stronzate. Io sono io, non voglio dare a nessuno il diritto o l'idea di poter metter bocca sulla mia vita. Sono semplicemente cazzi miei e di nessun altro. Se tu vuoi starci, bene, se no ognuno per la sua strada e via. Non voglio relazioni serie, non voglio sec-"
"Seccature" Levi lo interruppe, guadagnandosi un suo sorriso più aperto e luminoso del normale.
"Vedo che inizi a capire."
Si scambiarono un sorriso semplice, fuori luogo, poi Marco si alzò e Levi lo seguì alla porta.
"Dicevo sul serio prima," Marco aveva raggiunto la porta, gli dava ancora le spalle quando gli disse ciò "se ci stai non mi dispiacerebbe affatto."
Levi rallentò, fermandosi ad un passo da lui, le braccia lungo i fianchi.
"Non faccio più queste cose."
Non dopo di lui.
"Io la proposta te l'ho fatta, rimane valida" Marco si girò verso di lui, stringendosi nelle spalle.
"Lo terrò a mente" il tono voleva essere scherzoso, ma l'umore glielo aveva appesantito senza quasi rendersene conto. La tristezza gli pesava sulle spalle come una coperta troppo pesante di cui non riusciva mai a liberarsi del tutto.
Gli aprì la porta e Marco scivolò fuori, con quella sua camminata da perenne adolescente con le gambe troppo lunghe.
"Riprenditi, quella squadra di sfigati è noiosa senza di te" Marco gli sorrise camminando all'indietro, agitando la mano in segno di saluto.
Levi contraccambiò lentamente, odiandosi per come quel sorriso e quelle parole gli avessero alleggerito appena le spalle.
Lo osservò lasciare il vialetto e poi chiudersi il cancello alle spalle, scomparendo pochi secondi dopo dentro la sua macchina. Che visita assurda ed inaspettata la sua. Non sapeva se trovare più sorprendente l'idea che fosse venuto per controllare come stava o per dirgli che aveva ragione, gli sembravano cose così infattibili che quasi stentava a ricordarsi il suono di quelle parole, nonostante le avesse sentite pochi minuti prima. E poi quella sua nuova posizione, omettere invece di rinnegare, con quella proposta che l'aveva spiazzato. Ci aveva messo così tanto tempo ed alcol per baciarlo e poi eccolo, dopo appena qualche settimana gli proponeva una storia clandestina senza impegno. Era così imprevedibile, un cielo primaverile sull'orlo fra il sole e la pioggia.
Levi aveva sempre amato la primavera.
Spazio autrice
Secondo capitolo della settimana rivisto e sistemato (in lieve ritardo ma me ne sono ricordata a mezzanotte e non mi sembrava un orario top)
È comparso il mio altro bimbo, gli voglio proprio bene e lo riempirei di bacetti per quanto sa essere affabile e irritante al tempo stesso. Sinceramente, potrebbe essere uno dei miei capolavori.
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