4. Funerale
Damon fissava il suo riflesso nello specchio a figura intera di Veronica. Si passò la punta delle dita fra i bottoni della camicia nera, ricordandosi con un nodo allo stomaco di quando l'aveva indossata alla festa di Natale in cui Chiyuki gli aveva detto di essere incinta. Ricordava ancora il sorriso divertito di Levi, le sue mani che leggere gli sistemavano il colletto prima di partire e le sue dita esperte e delicate che sfilavano un bottone alla volta dall'asola quella stessa sera. Sentiva ancora i brividi lungo le braccia al solo pensiero, e si sentiva un po' traditore. Nei confronti di Veronica perché pensava ad un altro, nei confronti di Levi perché si erano persi e quello non era decisamente il momento per pensare a lui in quel modo. Gli riusciva ancora difficile pensare a lui senza ricordare sulla pelle le sensazioni che aveva provato in quegli anni, gli era rimasto talmente impresso in ogni suo minimo particolare che a volte avrebbe soltanto voluto dimenticare tutto e smetterla di sentirsi in quel modo. Forse con quei pensieri l'unico che tradiva era se stesso.
Infilò l'ultimo bottone nell'asola, chiudendo la camicia per bene, come gli aveva sempre rimproverato di fare la madre di Levi. A Livia piaceva vedere le persone in ordine, maschere di perfezione dietro cui nascondere l'umanità, e Damon l'aveva sempre trovato buffo per un'insegnante di letteratura con delle idee così libertarie com'era lei. Alla fine ci si era abituato, aveva imparato a legarsi i capelli e chiudere la camicia fino all'ultimo bottone, e lei aveva iniziato a sorridergli quando entrava in casa sua. Ci aveva messo del tempo ad abituarsi a lui, ma ce l'aveva fatta. Lentamente aveva accettato il fatto che quello strano ragazzo era parte della vita di suo figlio e, che le piacesse o meno, lui era lì, quindi tanto valeva accettarlo e fare la pace con Levi.
Damon osservò la camicia per un istante, odiandola per tutti i ricordi che aveva cuciti addosso. Avrebbe voluto avere altro da mettere, ma non aveva nulla che non avrebbe indispettito Livia e nonostante il tempo fosse passato non se la sentiva di contrariarla. Non era stata una sua figura di riferimento, ma era importante per Levi e a modo suo lo era diventata anche per lui. Era un pensiero senza fondamento, ma in un giorno del genere non voleva essere fuori posto più di quanto non si sentisse già alla sola idea. Sapeva di doverci andare, ma al tempo stesso sapeva anche che quello non era più il suo posto predefinito, che avrebbe dovuto fare attenzione ai suoi passi, cercando di non disturbare il loro dolore con la sua presenza.
Sospirò, esausto dal turbinio senza freno dei suoi pensieri. Avrebbe dato qualsiasi cosa per fermarli, ma non poteva nulla se non aspettare. Aveva ricominciato con le medicine, ma ci voleva tempo e la vita continuava a scorrere e trascinarlo con sè in un fiume di pensieri intrusivi. Si era dimenticato come affrontarla, e boccheggiava disperato, aspettando che il mondo ritrovasse il suo solito assetto e gli regalasse un istante di pace.
Veronica comparve alle sue spalle, silenziosa come un gatto, facendolo sussultare. Gli posò le mani sugli avambracci, stringendoli appena in quella sua nuova smorfia di preoccupazione con cui lo guardava da giorni. Le si sarebbe formata una ruga fra le sopracciglia prima dei trent'anni e la colpa sarebbe stata unicamente di Damon e della sua testa fuori controllo.
"Sei pronto?"
Lui annuì, fissando lo sguardo nel suo attraverso lo specchio. Poteva sembrare la stessa scena di quando si era accesa la scintilla fra loro, ma adesso era lei alle sue spalle, con il viso deformato in una smorfia, appesantito da tutto quel nero che avevano addosso, e i loro sguardi si incrociavano a fatica. Quello di lei perché vederlo in quello stato le faceva male, quello di lui perché si sentiva di nuovo colpevole di non sapersi salvare e causare sofferenza a chiunque avesse attorno.
Veronica sembrò percepirlo e, in quel suo linguaggio fatto di sguardi ed emozioni fugaci, lo fissò con intensità bruciante, sollevando appena il mento, sfidandolo apertamente a sentirsi in colpa per averla vicina.
Damon distolse lo sguardo, sentendosi per la prima volta in difficoltà.
"Andiamo" le disse, e si girò, sfuggendo alla sua presa e avviandosi alla porta senza lanciarle nemmeno un'occhiata.
Veronica rimase a fissarlo attraverso lo specchio, chiudendo gli occhi quando la sua figura scomparì dietro la porta della loro camera. Sospirò, senza sapere cosa farne di se stessa. Di nuovo.
***
Damon si guardò attorno, tutte quelle persone vestite di nero iniziavano a mettergli la claustrofobia. Non conosceva nessuno, a parte Veronica, e nemmeno lei sembrava incontrare volti familiari, ma era difficile da dire considerando che da quando erano scesi dalla macchina non faceva altro che fissare le sue converse logore.
La folla iniziò a muoversi verso la chiesetta, trasportando con sè i due ragazzi, come dei detriti nel flusso della corrente.
Si sedettero nelle panche di mezzo, gli unici della fila ad esclusione di una signora anziana che gli aveva lanciato una lunga occhiata prima di sedersi. A Damon non era mai piaciuto quello sguardo indagatore che ti rivolgono alle piccole occasioni, quando ti scannerizzano da capo a piedi cercando di ricordarsi chi sei e quali disgrazie sulla tua vita sono arrivate al loro orecchio.
Strinse la mano a Veronica, che sembrò risvegliarsi da un sogno ad occhi aperti proprio in quel momento. Gli lanciò un'occhiata che non seppe interpretare, ma in qualche modo sapeva che anche lei si sentiva fuori posto. Non che ne avesse motivo, frequentava quella famiglia da più di dieci anni, aveva diviso feste ordinate e compleanni con loro, eppure il suo sguardo smarrito non era tanto diverso da quello di Damon.
Rimasero in silenzio, osservando le ultime persone prendere posto. Damon avrebbe tanto voluto chiedere a chiunque se quello fosse il posto giusto, se non avessero sbagliato funerale, ma sapeva che quella era solo la sua solita paranoia fuori controllo. Era ovvio che fossero nel posto giusto. I pensieri però non lo lasciarono in pace, continuando a ronzare anche quando l'organo prese a suonare e le persone lanciarono occhiate attente nella direzione delle porte d'ingresso.
Veronica si girò nella sua direzione e lo prese per un braccio, facendolo alzare con lei. Sul viso non aveva più quella sua espressione preoccupata e Damon se ne sentì sollevato, anche se quell'apatia che le ingrigiva gli occhi non gli piaceva neanche un po'.
I suoi pensieri furono interrotti dall'ingresso della bara coperta di fiori bianchi e del suo corteo completamente vestito di nero, con tanto di mascherine chirurgiche abbiante. Si sentì in colpa per un istante, odiandosi per aver provato sollievo di fronte ad una scena del genere solo perché aveva avuto il potere di ricollegarlo con la realtà.
Poi qualsiasi cosa scomparve attorno e dentro di lui e rimase solo una sensazione di vuoto assoluto, seguita da un violento schiaffo in faccia.
Vedere per la prima volta Levi dopo più di un anno l'aveva paralizzato, lasciandolo immobile mentre il corteo avanzava e lentamente prendeva posto nelle prima file. Rimase a fissarlo con gli organi interni che bruciavano mentre lui si sedeva e stringeva la mano di sua madre, perfettamente serio sotto la mascherina nera, senza neanche una scintilla di luce nello sguardo. Non l'aveva mai visto vestito di nero e non aveva mai nemmeno preso in considerazione l'idea, quella visione era profondamente sbagliata in ogni suo dettaglio.
Damon si lasciò cadere seduto contro la panca, prendendo fiato. Detestò con tutto se stesso le scelte di vita che aveva preso e che l'avevano portato a quel momento. Si odiò in silenzio per averlo lasciato solo per un anno intero, senza far nulla per sapere come stesse o cosa stava facendo della sua vita. Non sapeva nulla di lui in quel momento, solo che aveva perso il padre e si era lasciato crescere i capelli, permettendo ai morbidi ricci castani di sfiorargli le spalle. Non era nemmeno certo di conoscerlo ancora, poteva essere una persona completamente diversa, lui in un certo senso lo era.
Prese la mano di Veronica fra le proprie e quando lei ricambiò la stretta con decisione si sentì quasi propenso a ringraziare l'universo per avergli fatto quella concessione di pace nel tugurio in cui la vita sembrava sempre ricondurlo.
Chiuse gli occhi e maledì l'universo. In sottofondo la funzione scorreva placida, come la vita che non si ferma nemmeno di fronte alla morte.
***
Quando uscirono l'aria fredda di inizio marzo gli colpì il viso con quella che sembrava studiata cattiveria, ma non era altro che incurante potenza. Accanto a loro fluiva la folla, che li sorpassava con passi rapidi, lanciandogli occhiate curiose.
Si erano fermati a lato dell'ingresso, le dita annodate e il timore nei muscoli. Erano lì per Levi, ma nessuno dei due era certo di cosa fare. A breve il corteo si sarebbe formato e si sarebbe mosso verso il cimitero, ma nessuno dei due aveva ancora detto o fatto nulla.
Veronica gli si strinse contro il braccio sussurrando: "Non credo di volerlo fare."
"Nemmeno io" le rispose Damon, lo sguardo posato su Levi, sempre rigido e spento al fianco di sua madre. Per quanto odiasse l'idea sapeva che non potevano andarsene così, senza neanche essersi fatti vedere. "Lui però ne ha bisogno" le sussurrò in risposta e sentì lo sguardo di lei seguire la sua traiettoria. Veronica gli strinse le dita con più forza, appiggliandosi a lui per la prima volta dopo giorni, e Damon rispose a quella richiesta d'aiuto nell'unico modo che conosceva: ricambiando la stretta e facendo il primo passo anche per lei.
Senza dirsi nulla si avviarono verso la testa del corteo che aveva appena iniziato a muoversi, sgusciando fra una persona e l'altra finché non raggiunsero Levi. Vederlo da vicino gli fece ancora più male, ma ignorò la stilettata di dolore, concentrandosi sulla stretta di Veronica e il motivo per cui si trovavano in quella situazione.
Damon si fece forza e allungò un braccio, posandogli gentilmente la mano sulla spalla. Non sapeva cosa aspettarsi da quel momento, dai loro occhi che si scontravano di nuovo dopo tanto tempo, ma non ebbe troppo tempo per pensarci. Levi si girò nella sua direzione con uno scatto repentino, un istante stringeva la mano di sua madre, l'istante dopo lo osservava con gli occhi spalancati e le labbra tirate in una linea di sorpresa macchiata dalla difficoltà di mettere insieme quello che il suo cervello gli stava suggerendo. Era difficile crederci perfino per Damon, che aveva fatto tutta quella strada solo per trovarselo di fronte.
Quello sguardo durò un solo secondo, ma riuscì a racchiuderci un mondo intero che si erano già lasciati alle spalle.
Levi si liberò della presa di sua madre e si lasciò cadere fra le braccia di Damon, che lo strinse a sé in un riflesso incondizionato che non avrebbe mai perso.
Levi gli sussultò fra le braccia, finché il pianto non ebbe via libera e Damon si sentì scorrere le sue lacrime lungo il collo. Rabbrividì, stringendolo più forte, con il desiderio di tenere insieme i pezzi del suo cuore infranto.
Veronica al suo fianco trovò il suo sguardo, slavato dalla tristezza e dal dolore che in quel momento stavano condividendo. Faceva male ad entrambi vedere Levi in quello stato, sentivano la rabbia e l'impotenza fremere sotto pelle mentre il mondo continuava a scorrere come al suo solito, una disgrazia alla volta.
Damon le fece un cenno e lei annuì, tirandosi la punta delle dita mentre si girava e in un paio di passi raggiungeva la madre di Levi, affiancandosi a lei e prendendo la sua mano fra le proprie. Livia le accennò uno dei suoi caldi sorrisi, accettando la sua mano prima di lanciare un'occhiata preoccupata al figlio. Veronica le sussurrò qualcosa dietro la mascherina e la donna annuì appena, riportando lo sguardo di fronte a sè mentre si appoggiava stancamente alla ragazza e riprendeva la camminata verso il cimitero.
Il corteo riprese a muoversi attorno a loro, Veronica e Livia scomparvero dal suo campo visivo, risucchiate dai completi neri e le teste chine, ma a Damon non importava. In quel momento esisteva solo quello che era stato il suo ragazzo di primavera, rigido e sconvolto fra le sue braccia che piangeva singhiozzando la sua disperazione. Lo strinse forte, cullandolo mentre affondava il viso nei suoi capelli, meravigliandosi per un istante di quante cose cambino ma certe rimangano sempre le stesse. Gli passò le dita delicate fra i capelli, cercando di calmarlo, scivolando leggero fino a fermarsi sulla sua nuca. Con il viso posato sopra la sua spalla inspirò a fondo, sentendo il cuore spezzarsi. Il suo povero, dolce ragazzo di primavera. Il suo raggio di sole spento come un mozzicone calpestato sotto la suola di una scarpa. Per la prima volta dopo tanto Damon si permise di odiare il mondo intero per quello che aveva osato fare, perché a lui poteva qualsiasi cosa, ma quel ragazzo non doveva nemmeno sfiorarlo.
Ad interrompere il suo flusso di pensieri contorti ed ingarbugliati ci pensò proprio Levi, che senza il minimo preavviso fece un passo indietro, posandogli le mani sopra le spalle come aveva sempre fatto. Damon sentì lo stomaco stringersi e rovesciarsi a quel gesto che per loro era stato così intimo, ormai completamente fuori luogo.
"Damon..." sussurrò e non aggiunse altro, fissandolo con gli occhi verdi liquidi di tristezza.
"Sono qui" gli sussurrò a sua volta, con la voce che si incrinava per l'emozione.
"Non pensavo saresti venuto."
"Te l'ho detto, io ci sarò sempre. Sono mancato per un po', ma non succederà più" allungò una mano e gli sistemò un ricciolo dietro l'orecchio, accarezzandogli appena la guancia con le nocche.
Gli occhi di Levi si riempirono nuovamente di lacrime, ma non aggiunse altro. Si limitò ad affiancarlo in silenzio, infilando il braccio sotto al suo e lasciandosi andare appena contro di lui. Damon prese fiato, e per la seconda volta in quel giorno fece il primo passo per qualcun altro.
***
Dopo che la bara fu interrata rimasero a lungo in piedi l'uno accanto all'altro. Veronica in mezzo ai due ragazzi, con il braccio infilato sotto a quello di Levi e la testa posata contro la sua spalla. Levi fissava dritto davanti a sé, riscuotendosi di quando in quando per stirare qualche parola di ringraziamento alle vuote condoglianze, che gli scivolavano addosso come le gocce fredde di un temporale estivo. Damon si limitava a starsene in piedi, subire lo sguardo più curioso e vivace delle persone che finalmente sembravano aver capito chi fosse lui. Il famoso ragazzo di Levi, quello un po' strambo e costantemente fuoriluogo, quello che era venuto dopo Veronica. In quel momento non aveva nemmeno il tempo di rammaricarsi del riconoscimento che leggeva in quelle occhiate, era troppo occupato ad essere grato del fatto che nessuno conoscesse a fondo le intricate dinamiche che lo legavano anche a Veronica.
Il cimitero si svuotò gradualmente con lo stesso effetto di quei film in cui il protagonista rimane immobile mentre il resto dell'ambiente cambia troppo velocemente per coglierne i dettagli. In un battito di ciglia non erano rimasti che loro e Livia, che fissava la terra smossa che aveva ingoiato metà della sua esistenza condivisa.
Levi prese fiato rumorosamente, completamente esausto, prima di avviarsi in poche falcate verso sua madre. Le posò un braccio sulle spalle e lei si piegò verso di lui, lasciandosi abbracciare. Era strano vederli insieme senza alcuna tensione nell'aria, a supportarsi a vicenda in quella nuova e dolorosa situazione. Damon non aveva idea di quanto sarebbero resistiti senza nessuno ad ammortizzare fra loro, nemmeno i fratelli maggiori di Levi che vivevano troppo lontano per essere lì, ma si augurò che riuscissero a ripararsi sulla terra ferma prima di scoppiare per l'ennesima volta.
Livia girò il volto verso il figlio, mormorando qualcosa che si perse nella distanza. Lui annuì, ma strinse appena le dita attorno alla spalla della madre e Damon seppe che qualsiasi cosa le avesse confermato in realtà stava mentendo. Conosceva quel suo piccolo tic da anni, lo aveva visto così tante volte che era certo di non sbagliarsi nonostante la distanza.
Livia lo osservò a lungo, cercando di scovargli la bugia nello sguardo, ma evidentemente non la vide, o fece finta di non vederla, perché fece un passo indietro e si allontanò dal figlio. Gli lanciò un'ultima occhiata prima di salutarlo e allontanarsi sul piccolo marciapiede di cemento. Si avvicinò con passo sicuro a Damon e Veronica, la testa alta e lo sguardo di fiamma mentre salutava lei, ignorando completamente lui. Non l'aveva ancora perdonato, e forse non ne avrebbe mai avuto motivo.
Damon incassò in silenzio, osservandola allontanarsi con la postura rigida di chi lotta per non soccombere al peso del dolore.
Veronica gli strinse le dita all'altezza del polso, cercando di consolarlo a modo suo. Non era stata mai brava a parole, ma lentamente stava migliorando con i gesti. Aveva imparato a comunicargli "sono qui, ti sostengo", e per Damon era una di quelle piccole magie dell'amore.
Levi si avvicinò a loro, lo sguardo basso e stanco. Le sue spalle avevano ceduto da tempo e non aveva la forza di nasconderlo ancora, non era mai stato simile a sua madre. Le somigliava solo in quella sua fiammante determinazione che lo portava sempre dove voleva, che inseguisse una maledizione o una benedizione. Qualsiasi fosse il suo destino si poteva stare certi che, nel bene o nel male, se lo fosse scelto lui fino in fondo.
Il silenzio e il disagio serpeggiarono fra loro per un minuto intero prima che Levi trovasse la forza di alzare lo sguardo e incrociare prima quello di Veronica, poi quello di Damon, per poi posarsi definitivamente in quello di lei.
"So che sicuramente non rientra nei vostro programmi ma... vorrei uscire. Sono giorni che sono chiuso in casa con i miei pensieri e non ce la faccio più. Forse è inappropriato ma-" si bloccò sbuffando un sospiro pieno di rabbia repressa. "Non ce la faccio. Sono stanco. Stanco di me, stanco di mia madre, stanco che mio padre sia morto e vada tutto male. Sono così... stremato e so che non esiste un modo per dimenticarsene, ma mi accontento anche solo di non stare chiuso in casa con la mia testa."
Damon distolse lo sguardo da quel viso grigio e sciupato, fissandolo lontano, oltre le punte dei pini quasi completamente inghiottite dall'oscurità. Sentì l'angoscia montare, quel dolore sordo di quando una persona che ami soffre e non puoi far nulla. Fu anche peggio del solito, perché quel discorso lo capiva, lo conosceva. Sapeva del dolore e della paura che nascono dal vivere troppo nei propri pensieri e per anni si era augurato che lui non scoprisse mai il significato sulla sua pelle.
Con la coda dell'occhio vide Veronica girarsi verso di lui, e cercò di radunare tutta la forza che aveva in corpo per fare qualcosa, tornare con i piedi per terra e provare ad essere di qualche aiuto invece che soffrire per la sua inutilità.
"Allora andiamo" lo disse di getto, quasi senza pensare, e già sapeva che se ne sarebbe pentito ma cos'altro poteva fare? Non sarebbe stato lui a rimandare a casa quel ragazzo distrutto come se niente fosse.
Veronica al suo fianco rimase impassibile, che l'idea le andasse o meno era impossibile da capire.
Levi per la prima volta gli sorrise, un sorriso piccolo e tirato, nulla a che fare con il solito calore che lo contraddistingueva, ma era pur sempre un sorriso e in quel momento a Damon bastava.
"Grazie."
Spazio autrice
Eccoci qui, capitolo corretto e caricato 🫡
Spero di riuscire a prendere un ritmo più decente con gli aggiornamenti ma vedremo, sono pessima anche senza l'università in mezzo, lol not very lol
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