21. Parete bianca
Sviluppate la vostra legittima stranezza.
-Michel Foucault, Storia della follia nell'età classica
Gli ultimi raggi del sole illuminavano con dolcezza il piccolo studio di Emily. Le tele accatastate contro le pareti erano baciate dalla luce dorata che, simile a miele, avvolgeva ogni cosa e dava l'impressione che potesse durare per sempre. Emily aveva sempre amato quell'ora della giornata, ma non aveva mai dipinto nulla illuminato da quella luce: troppo dolce, irreale, a lei piaceva ritrarre sprazzi di durezza della vita di tutti i giorni. C'erano così tante guerre in atto che sembrava sciocco ciondolare alla luce dorata del tramonto. Per natura Emily aveva sempre cercato e seguito le strade più difficili perché portavano con sé la soddisfazione più grande.
Quel pomeriggio era sdraiata nel suo studio, lo sguardo puntato verso una parete bianca rimasta ingombra. Quando si erano trasferite sognava una libreria, che aveva deciso di posizionare proprio contro quella parete, ma alla fine il mobile non aveva mai visto la luce e quel muro bianco era rimasto ad osservarla per mesi, implorandola di farne qualcosa. Sembrava importante, la parete bianca del suo primo vero studio, nella sua prima vera casa, però non sapeva cosa farci. Avrebbe potuto accatastarci le sue tele o le scatole piene dei materiali che un giorno avrebbe voluto usare per qualche opera, ma non l'aveva mai fatto. Nel caos che regnava nel suo studio quello era l'unico spazio vuoto, asettico fin quasi all'inquietudine.
In sottofondo sentì scattare la serratura della porta principale. Stava aspettando Essa da un po', era uscita per un incontro promozionale ed Emily non era voluta andare, troppo occupata a fissare il suo muro bianco dalla sua postazione sul pavimento. Essa l'aveva guardata dall'alto in basso -letteralmente, considerando che Emily era sdraiata- e se n'era andata, senza aggiungere altro se non un paio di porte sbattute alle sue spalle. Emily sapeva di star sbagliando dall'esatto istante in cui le aveva detto che non sarebbe andata, ma la parete aveva attirato la sua attenzione come carta moschicida e non sarebbe riuscita comunque ad essere di buona compagnia. Quando Essa curava eventi in cui c'era in ballo la sua carriera era sempre perfetta, sorridente e all'apparenza rilassata. Emily invece si sentiva sempre fuori posto, troppo sorridente, troppo seria, troppo in movimento o troppo immobile. Non sapeva mai quanto parlare o quanto tacere, non sapeva fingere di conoscere tutti e di adorarli. Però sapeva quanto Essa ci tenesse ad averla al suo fianco, sia perché faceva bene alla sua immagine sia perché le sembrava che lei fosse l'unica cosa vera su cui si posasse il suo sguardo in quei momenti. Odiava quegli eventi, ma erano parte del suo lavoro e della sua vita, e li sopportava in quanto necessari. Emily sapeva di farla risentire quando non si presentava, ma quella volta forse era stato giusto così. Se lo sentiva e basta, l'universo l'aveva voluta sdraiata per ore su quel pavimento, persa nel pensiero della parete bianca mentre in sottofondo aveva la live di Essa che scorreva.
La porta del suo studio si aprì delicatamente, quasi cercasse di fare il minor rumore possibile. Essa entrò in punta di piedi, fermandosi a pochi passi dalla sua testa. Con la visione periferica Emily notò i segni delle scarpe con il tacco sulla pelle, impressi come fiumi in secca da secoli.
Rimasero in silenzio, senza che nessuna avesse nulla da dire all'altra. Le cose non mancavano, ma necessitavano ancora del tempo di analizzarle e cercare di estrapolare le proprie colpe. Era una cosa strana ma loro due si prendevano del tempo prima di litigare, facendo metà del lavoro ancora prima di iniziare. Ad Emily era sempre piaciuto quel piccolo rituale di autoanalisi, le ricordava quanto fosse fortunata a stare una persona che voleva stare con lei ma che soprattutto ci teneva, facendo qualsiasi cosa in suo potere per sostenere e coltivare il loro rapporto. Duchessa Agostini era quella giusta, Emily non aveva più alcun dubbio a riguardo da parecchio.
Essa si sdraiò accanto a lei, seguendo il suo sguardo fino alla parete. Si fermò a contemplarla con lei, probabilmente pensando a quanto fosse difficile quando Emily si impuntava su qualcosa. Irremovibile, come il peggiore fra i muli. Eppure rimaneva con lei, analizzando i propri sentimenti e districando le loro liti con la maestria di una psicologa.
"Mi è piaciuta molto la live di oggi, sei stata magnifica. La prossima volta ci sarò anch'io" Emily spezzò il silenzio con semplicità, dicendole quello che pensava dal primo istante in cui Essa aveva chiuso la live e il silenzio era tornato a governare lo studio.
"Grazie, mi fa molto piacere" la voce di Essa era leggermente più rigida del solito, segno che quella volta ci era rimasta più male delle altre. Emily sentì una fulminea e dolorosa stretta al petto per il rimorso che la lasciò senza parole per un minuto abbondante.
"Scusa per oggi," riuscì a sputare fuori dopo un po' "volevo venire, ma questo muro mi ossessiona. Ho sbagliato, avrei voluto accorgemene prima ma ormai è fatta, posso solo migliorare la prossima volta."
Essa le strisciò più vicina, accostando il profilo del corpo al suo.
"Non devi sempre venire, so che fa schifo andare a quegli eventi e non dovrei costringerti a venire tutte le volte. Non dovrei arrabbiarmi se ogni tanto preferisci osservare un muro bianco, è pur sempre più interessante di tutte quelle influencer spocchiose. È che mi piace quando ci sei" le mormorò contro la spalla, con il viso rivolto verso di lei.
Emily distolse finalmente lo sguardo dalla distesa bianca di fronte a sé e si girò verso Essa.
"Piace anche a me. Scusa se mi sono impuntata" accennò un piccolo sorriso, sperando di vincere anche le sue ultime resistenze. "Sei ancora arrabbiata con me?"
"Un pochino, se ci sei tu almeno ho la scusa per non mettere i tacchi" Essa le restituì il sorriso, arricciando il naso in una piccola smorfia divertita.
"Lieta che la mia presenza sia tanto essenziale" Emily alzò gli occhi al cielo, fingendo uno sbuffo infastidito anche se stava sorridendo.
"Oh, lo è" Essa le sfiorò una guancia con le nocche, addolcendo lo sguardo.
Emily rimase ad osservarla incantata, con il cuore che batteva seguendo il ritmo di un allegretto suonato con infinita passione da un musicista abile quanto immaginario. Allungò il collo per baciarla e le chiese scusa nuovamente, in silenzio, scusandosi anche per tutte le volte in cui l'avrebbe fatta impazzire in futuro. Perché Emily ne era certa, avrebbero avuto un futuro insieme.
Di colpo si staccò, lanciandole un'occhiata piena di iniziativa con quella piccola nota incandescente che la animava ogni volta che aveva un'idea. Essa aggrottò un sopracciglio mettendosi seduta a gambe incrociate, osservando Emily che saltellava come una cavalletta fra una pila di materiali e l'altra. Abitavano lì da mesi, ma Emily non si era mai decisa a svuotare completamente le scatole, preferendo spostarle da un angolo all'altro, perdendo in continuazione il pennello o il colore che in quel momento assumeva importanza fondamentale.
"Cosa stai facendo?"
"Mi è venuta un'idea."
Emily non la guardava, infilata per metà dentro ad uno scatolone con i bordi logori tenuti insieme dallo scotch. Ne uscì esultando, con in mano una lattina di vernice contrassegnata da un'etichetta azzurra. Se la rigirò fra le mani ispezionandola, annuendo in approvazione.
"Perfetto" sorrise soddisfatta e andò a posarla ai piedi della parete bianca poi, senza aggiungere altro, si diresse alla sua scrivania, dove selezionò un paio di pennelli che si rigirò fra le dita finché non raggiunse di nuovo la parete. La osservò nella sua interezza con le mani posate sui fianchi e le gambe larghe, come un supereroe che si prepara all'azione. Si inginocchiò e stappò con attenzione la lattina, rivelando la vernice blu savoia al suo interno.
"Allora," si alzò e finalmente si rivolse ad Essa, che non l'aveva persa di vista un istante "so cosa farne di questo muro."
"Davvero?"
"Sì, ed è una cazzo di idea meravigliosa e tu dovrai aiutarmi."
"Davvero?" le chiese nuovamente, più scettica della volta precedente.
"Posso farlo solo con te" le sorrise carica di dolcezza prima di girarsi ed intingere il pennello nella lattina. Si mise al centro della parete bianca e si allungò sulle punte dei piedi, alzando il braccio il più possibile. A grandi lettere irregolari scrisse: "REGOLE".
Osservò la sua opera un'istante, annuendo impercettibilmente prima di aggiungere a capo un "1)".
"Regole?" le chiese Essa, facendola girare verso di lei.
"Esattamente. Le nostre regole per il nostro futuro."
"Il nostro futuro?"
"L'unica cosa in cui credo fermamente" un sorriso le si aprì sul viso in riflesso a quello di Essa, che si era attirata le ginocchia al petto e ci aveva posato sopra una guancia.
"Nessuno fa dichiarazioni d'amore come le tue, lo sai vero?"
"Cazzo se lo so, sono meravigliosa" Emily le rispose radiosa prima di allungarle la mano libera e aiutarla ad alzarsi. Le mise fra le dita il pennello scintillante di vernice.
"A te l'onore della prima regola, mon cœur."
Essa si posizionò di fronte alla parete, rigirandosi il pennello fra la punta delle dita. In un istante sembrò illuminarsi, poi si chinò ed intinse il pennello prima di accostarlo al muro. Scrisse: "BE KIND."
"Sei così tanto una fan di Harry Styles" commentò ironica Emily, avvicinandosi per osservare la calligrafia lineare ed elegante di Essa, nulla a che vedere con la sua.
"Ha ragione" si difese con un sorriso, mollandole una gomitata nel fianco.
"Vero, vero, è molto saggio per essere un uomo."
Essa ridacchiò passandole il pennello e facendole spazio.
Emily aggiunse il numero due, scrivendo poi senza la minima esitazione: "DANCE BADLY." Poi passò il pennello ad Essa.
In silenzio compilarono la loro lista, sorridendosi complici mentre si passavano il pennello fra un punto e l'altro.
Alla fine ne venne fuori un elenco in dieci punti, che risaltava brillante contro il bianco opaco della parete. Recitava:
"REGOLE
1) BE KIND
2) DANCE BADLY
3) ASCOLTARE CON ATTENZIONE
4) ÊTRE ARTISTIQUE*¹
5) ESSERE ONESTE
6) MAKE PEOPLE FEEL GOOD
7) TE FAIRE SENTIR BIEN*²
8) LEGGERE LIBRI
9) HAVE GOOD SEX
10) AMARSI MEGLIO E DI PIÙ"
"Non puoi concludere con tutto quel romanticismo come se niente fosse" la rimbeccò scherzosamente Essa, con la voce incrinata per l'emozione.
"È giusto così, ma chèrie" le rispose facendole passare un braccio attorno al fianco e stringendola vicina. Essa le posò una guancia sopra la testa, con dolcezza, senza prenderla in giro come adorava fare.
"Ti amo" le sussurrò Essa, percorrendo con lo sguardo la parete che ormai non era più bianca. Le strofinò la guancia contro la testa, arruffandole teneramente i capelli.
"Non sai quanto io amo te, invece. Sono così maledettamente fortunata che a volte vorrei poterlo urlare dal balcone."
"Ti prego, non farlo, il signor Giorgio non ne può più" scherzò Essa, con la gola stretta dall'emozione. Emily era uno spirito indomabile, spontaneo e senza il senso del limite. Amava amare e amava dimostrarlo e lo faceva con tutte le sue forze. Essa ci scherzava sopra, ma un paio di volte Emily l'aveva davvero fatto: si era affacciata sul balcone e aveva urlato al sole quanto amasse la sua ragazza. Era la sua splendida e incontenibile fidanzata da film romantico americano, ma migliore, perché Emily esisteva sul serio e rendeva la vita più piena con tutti i suoi pregi e difetti al completo. La amava con ogni cellula del suo corpo e grazie al cielo esisteva, se no qualcuno avrebbe dovuto inventarla solo per posizionarla al suo fianco.
"Essa?" le chiese dopo un istante.
"Sì?"
"Se in questo momento ti chiedessi: Duchessa Grace Agostini, vuoi sposarmi? Tu cosa risponderesti?"
"Me lo stai chiedendo sul serio?" Essa si drizzò di scatto e la prese per le spalle, portandosela di fronte con uno strattone.
"Certo, non mi metto in ginocchio giusto perché sarei ridicola" scherzò Emily, anche se un lieve tremore delle mani tradiva la tranquillità giocosa che voleva ostentare.
"Lo sai facendo così?"
"Nessuno fa dichiarazioni come le mie, l'hai detto tu stessa" allungò il sorriso, senza perdere la fiducia in se stessa. Non glielo stava chiedendo perché era certa di non essere rifiutata, glielo stava chiedendo perché non riusciva nemmeno ad immaginare un singolo giorno senza la consapevolezza di avere Essa al suo fianco. Voleva sposarsi in grande: abiti bianchi, una location pazzesca, la musica dal vivo. Voleva scambiare gli anelli con lei e poi indossare il proprio con fierezza. Desiderava poter dire "Scusa, devo proprio scappare, c'è mia moglie che mi aspetta" con la certezza di poterla raggiungere ogni volta. Voleva che nella sua vita ci fosse anche Essa, perché da quando la conosceva era tutto migliore e riusciva a rendere più brillanti i colori.
"So che è improvviso e poco instagrammabile," riprese Emily arricciando appena il naso "ma so anche di volerlo con ogni fibra del mio corpo. Magari tu hai bisogno di più tempo o magari proprio non ne vuoi sapere, ma io lo sono quanto il giorno in cui ho preso in mano il mio primo pennarello. Semplicemente abbiamo finito di scrivere su questa parete, ti ho guardata e mi sono detta 'cazzo, sì, è la donna che voglio sposare.' Quindi ora te lo chiedo formalmente e poi ti comprerò l'anello che meriti. Duchessa Grace Agostini, vuoi sposarmi?"
Essa lasciò la presa sulle sue braccia per portarsi le mani a nascondere la bocca. La guardò dritta negli occhi, con un'intensità abbagliante.
Esitò, silenziosa, con il viso per metà nascosto, imperscrutabile.
Essa era una persona decisa, da sempre. Non conosceva l'esitazione, non era cosa che si addicesse ad una donna dell'alta società. Sua madre l'aveva allevata per essere precisa, sempre sicura di sé, impeccabile. Essa non esitava, eppure, di fronte a lei e al loro futuro, esitò.
In un istante Emily sentì il mondo raggelarsi, intrappolarla in quell'istante infinito, impedendole perfino di respirare. Ebbe paura, come non le era mai successo, con una punta di dolore che già le insediava nel petto ancora prima di ricevere una risposta.
E poi tutto ricominciò a scorrere, veloce, come una cascata.
"Sì."
"Sì?"
"Sì, cazzo che ti sposo Emily Caterina Dumont. E non solo perché tua madre ha scelto un nome così adorabile e perfetto per te" le rispose ridendo un po' nervosa e tirata, con le lacrime che le bagnavano gli angoli degli occhi.
Emily rise con lei, alzando gli occhi lucidi al cielo per cercare di trattenere le lacrime. All'improvviso tutta l'angoscia e i dubbi erano scomparsi, inghiottiti dall'enormità di conseguenze che quella risposta portava con sé. Si sentiva come sospesa nel proverbiale settimo cielo, completamente innamorata della vita come non le succedeva da tanto. Avrebbe voluto vivere in quel momento per sempre: l'odore di vernice fresca mischiato al profumo dello shampoo di Essa, le sue braccia che l'avvolgevano completamente, incastonandola contro il suo corpo, il lieve e ritmato battito del suo cuore che le sfiorava la guancia dove la teneva attaccata al suo collo, le sue dita gentili che alternavano una carezza ad una presa decisa del tessuto della maglietta.
Non sapeva come descrivere la felicità, ma da quel momento in avanti, se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe raccontato di quell'istantanea di vita.
E poi, parlando del suo dolore più grande, avrebbe incominciato proprio da lì.
Spazio autrice
Io 🤝 buttarla in tragedia sul finale
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