20. Non oggi
Ricominciamo a parlarci?
Damon stava guardando i materiali che doveva leggere, sottolineare e riordinare per gli esami della sessione estiva, sempre più incombenti e affamati di attenzioni. I libri, allineati con cura di fronte a lui, gli restituivano lo sguardo passivo ed arreso di tutti i testi destinati allo studio, circondati da un'aurea grigio pallido, come se gli alberi che erano stati tagliati per produrne la carta sapessero esattamente a che spreco di vita erano destinati.
Poi la suoneria personalizzata di Levi l'aveva scaraventato nel mondo reale, dove quella era soltanto carta da studiare e lui uno studente stressato con un bagaglio emotivo che faceva invidia soltanto agli esami che doveva ancora preparare.
All'inizio aveva occhieggiato incerto il cellulare, senza sapere esattamente cosa aspettarsi. Dalla sera del compleanno di Emily, Levi non si era fatto più sentire, accontentando la richiesta che gli aveva ringhiato contro più di una volta. Si era dimostrato tanto responsabile e meticoloso nel compito di ignorarlo che Damon era quasi riuscito a dimenticarsi di lui, fra una cosa e l'altra. Forse non era una cosa di cui essere felici, ma nella sua vita c'era troppo caos per focalizzarsi troppo a lungo su un punto morto, e Levi lo era diventato nell'esatto istante in cui si era reso conto dell'effetto che stava avendo su Veronica. Ci aveva messo del tempo per accettare quel fatto, capire che ormai non poteva più perdonargli tutto e sicuramente non quello, forse ancora molte cose, ma quello no. Nei giorni seguenti si era arrabbiato con se stesso, lanciandosi occhiate oblique in ogni superficie riflettente, chiedendosi come avesse fatto a permettergli di fare del male in quel modo alla sua ragazza. Si era arrabbiato perché il motivo lo conosceva alla perfezione: per quanto ci avesse provato, non era riuscito a dimenticarlo. L'aveva perdonato senza rendersene conto, piegandosi come uno stelo permissivo perché lo amava ancora, contro ogni ragione. E poi si era odiato, perché, oltre a non intervenire attivamente in quella situazione, si era reso conto che stava facendo un torto enorme a quella ragazza splendida ed incasinata che condivideva la vita con lui. Le aveva detto che era finita, che c'era solo lei, ma non si era accorto di quanto il suo cuore fosse rimasto di qualche battito indietro, testardo e per niente portato ad eliminare le persone con un tratto di penna dalla memoria. Il suo stesso cuore l'aveva tradito.
Per giorni si era caricato addosso una rabbia profonda, alimentata da un costante chiacchiericcio mentale che ruotava continuamente attorno a Levi e Veronica e a quello che alla fine aveva fatto ad entrambi. Si sentiva in colpa, fallato e dolorante. Per tutta la vita aveva odiato le persone che si mettevano con qualcuno per dimenticare chi c'era prima, convinto che se ami o non ami più una persona lo sai e basta. Ma lui non se n'era accorto. Nemmeno nell'istante in cui lo aveva abbracciato di nuovo dopo tanto, nemmeno quando gli aveva promesso che ci sarebbe stato sempre. Era rimasto abbagliato da lui e non aveva visto più niente, nemmeno la vecchia ferita a cui si erano strappati i punti.
A lungo si era maledetto in silenzio per non aver aspettato di più, per non aver fatto le cose in modo diverso. Poi si era stancato di fustigarsi. Quel giorno aveva alzato lo sguardo su Veronica, appollaiata sul bordo del divano che cercava di non soccombere al dormiveglia. Era tutta disordinata e sgualcita, con i capelli arruffati e gli occhiali che pendevano storti dal lato in cui aveva posato il viso sulle braccia incrociate. L'aveva guardata e basta, piccola e stanca che lottava contro il sonno, e in quel momento si era reso conto che magari Levi non l'avrebbe dimenticato mai, ma ormai era passato. Il suo presente era lì, tutta stretta in se stessa come un uccellino infreddolito, e non gli importava altro che saperla stare bene. Il resto c'era, la vita fluiva come sempre, ma in quel breve istante di presente l'unica cosa che contava era lei. Non sapeva cosa ne sarebbe stato del futuro, ma voleva altri momenti di presente come quello.
Ci aveva messo un po' a convincersi a prendere in mano il cellulare, ancora frastornato dai ricordi di quelle settimane frustranti che riemergevano e lo pizzicavano di vergogna. Non era certo di voler sapere perché il suo ex gli avesse scritto, ma alla fine aveva sbloccato comunque lo schermo e aveva fissato quella manciata di lettere, così semplici e familiari. Gli aveva fatto male rileggere quelle poche parole, le stesse con cui Levi lo approcciava ogni volta in cui non ce la faceva più dopo un litigio. Erano le parole di una vita precedente, in cui Damon poteva ancora permettersi di sentire lo stomaco saltare e le farfalle far vibrare le ali per il desiderio di rispondere. In quel momento però le farfalle non si erano fatte sentire, in lui era rimasto solo un triste eco che gli aveva risucchiato tutte le energie. Era stanco di quella situazione, di quell'ignorarsi perché era più semplice. Non gli piacevano le cose semplici se avevano dietro un risvolto di vigliaccheria. Lui non era così, aveva imparato ad affrontare ciò che la vita gli metteva di fronte e lo avrebbe fatto nuovamente, avrebbe fronteggiato Levi e i resti calcificati della loro relazione. Non poteva fare altro, non era in grado di cancellare parti di sé in quel modo, come se non fossero mai esistite.
Damon si fece forza, lanciando un'occhiata verso la camera che condivideva con Veronica. Lei non c'era, ma la loro vita insieme era disseminata tutt'intorno a lui. Voleva quello, ne era certo come lo era del fatto che le cose difficili valgono la pena d'esser fatte, anche se sul momento sembrano conficcati un palo nel cuore al solo pensiero.
Sì.
Digitò ed inviò senza darsi il tempo di ripensarci. Era arrivato il momento di affrontare anche quei pezzi frastagliati della sua vita.
Perché era quello che doveva fare, giusto?
***
Ricominciare a parlare, ma come? Si erano scritti di volerlo fare, ma non sembra esistesse un modo semplice per farlo. Dove possono incontrarsi due persone che si sono a malapena parlate un paio di volte in un anno e che ci stanno riprovando proprio in quel momento? A casa sua non era fattibile, non gli avrebbe permesso di mettere piede nell'angolo di mondo che condivideva con Veronica. Era sbagliato e basta, almeno per il momento. A casa di Levi non si sarebbe azzardato a mettere piede, il rischio di incappare in Livia gli faceva risalire i brividi lungo le braccia. Non c'era stato giorno in cui quella donna non avesse provato almeno una scintilla di odio e risentimento nei suoi confronti, prima perché stava con suo figlio e l'aveva fatto arrendere a quella vita, dopo perché non ne faceva più parte e Levi ne era uscito distrutto. Non c'era verso di piacerle sul serio, in modo genuino. Il problema di base era la sua stessa esistenza e il fatto che riuscisse a condizionare suo figlio più di quanto non riuscisse più a farlo lei.
Cosa rimaneva, allora? Dove potevano incontrarsi, in un luogo neutrale, lontano dalle altre persone, solo loro due per capire che cosa potevano ancora fare? Magari erano in grado di essere amici, anche se non lo erano mai stati, o magari erano davvero destinati a rincorrersi senza fine, condannati a soffrire per sempre una relazione che non poteva funzionare. Nel secondo caso avrebbero capito come chiudere e basta, farlo in modo degno, senza strepiti, urla o valigie di mezzo. Se lo dovevano e se lo meritavano dopo quegli anni insieme, dopo tutto quell'amore che avevano condiviso e che poi era andato a male. Era così che si facevano le cose, per bene, anche se vorresti soltanto alzarti e andartene come quando da bambino ti trovavi di fronte il piatto pieno di verdure.
Damon non poteva fare a meno di pensarci. Si infilava la felpa al contrario e i calzini spaiati, troppo occupato a vagare con la mente alla ricerca di una risposta. Dove poteva incontrarlo?
Veronica nel frattempo lo osservava silenziosa, con la preoccupazione sotto pelle, chiedendosi se fosse una di quelle cose che doveva imparare a temere, se preannunciasse una tempesta dietro l'angolo. Damon però le sembrava tranquillo, spesso si perdeva a fissare il vuoto con le sopracciglia leggermente agrottate, ma quando si appoggiava contro di lui sentiva il suo cuore battere forte e regolare, rilassato mentre teneva in vita con perizia il suo ragazzo. Era rassicurante, almeno quello funzionava come doveva. Il problema rimaneva nel fatto che non sapesse cosa stava succedendo e lui non glielo stesse dicendo. Era strano, Damon le raccontava qualsiasi cosa gli passasse per la testa, dalle piccole cose della sua giornata a questioni più assurde e banali al tempo stesso -come ad esempio il fatto che le persone non prestassero la minima attenzione ai soffitti quando entravano nelle stanze. In quei giorni però era troppo silenzioso ed assorto, le parlava a malapena dei nuovi libri che gli interessavano e Veronica non si ricordava nemmeno l'ultima volta in cui le aveva fatto notare qualcosa di assolutamente non convenzionale. Avrebbe voluto chiederlo, ma forse temeva troppo la risposta per porgli la domanda, così si era limitata a fissarlo insistentemente, sperando che lui la capisse come sempre e andasse in suo soccorso.
Ma Damon non l'aveva capita, non aveva il tempo per cogliere tutte quelle piccole rughe di preoccupazione che stavano fiorendo nuovamente sul viso di Veronica. Tutte le sue risorse cognitive erano avvolte attorno a quella domanda, quel problema. Sentiva il disperato bisogno di chiudere quella storia, parlare finalmente in modo serio con Levi senza nient'altro in mezzo. Dopo sarebbe andata meglio, immaginava che si sarebbe liberato da un peso, ma non sapeva come fare.
Così si era messa in mezzo Elisa, che per sua natura tendeva alla ricerca di alleati e che si sentiva minacciata dalle possibili spaccature all'interno del loro gruppo. Damon le aveva detto che dipendeva dal fatto che il suo enneatipo era il numero sei, poi le aveva spiegato che gli enneatipi erano una classificazione dei caratteri basati sulle passioni umane. Insomma, entro i sei anni aveva sviluppato una nevrosi che la portava a ricercare alleati per la propria salvaguardia, facendo qualsiasi cosa pur di ingraziarsi le persone. Elisa si era chiesta perché Damon non avesse scelto psicologia, poi l'aveva capito quando aveva visto i suoi occhi illuminarsi mentre restituiva la palla che era sfuggita ad un gruppo di bambini. Amava la vita in un modo che non gli si indovinava, così profondo e radicato che bisognava conoscerlo a fondo per rendersene conto. Non era fatto per stare seduto su una sedia girevole per otto ore al giorno mentre le persone gli imploravano salvezza, no, Damon aveva bisogno di vitalità, stimoli e semplice gioia. Era nato per amare i bambini e la cosa era reciproca, anche se il corso di sociologia lo aveva catturato al punto che aveva assegnato ad ognuno dei suoi amici il proprio enneatipo. Elisa pensava fosse stato inquietantemente accurato con tutti loro, a volte ci si dimenticava di quanto li osservasse con cura. Per quello non si capacitava del fatto che non avesse minimamente notato come il suo stato d'animo avesse influenzato quello di Veronica. Era una persona troppo attenta, doveva essere successo qualcosa.
E così Elisa si era ritrovata a guardarlo con le sopracciglia aggrottate, in piedi di fronte alla vetrina della libreria in cui lavorava, con la testa piena di pensieri contrastanti che spaziavano in qualsiasi direzione Seb riuscisse a guidarli.
Quando era entrata l'aveva fatto sobbalzare, guadagnandosi però in fretta un sorriso leggero e un po' storto. In quello non era cambiato di una virgola, ma la cosa non le dispiaceva, era parte del suo fascino da ragazzo incasinato.
"Ehi" le si avvicinò, aprendo le braccia. Elisa ci si accoccolò senza farselo ripetere. "Come mai qui?"
Elisa rispose con la guancia premuta contro il suo petto, ben decisa a bearsi dell'abbraccio migliore della compagnia. Era un talento poco riconosciuto saper abbracciare, essere morbidi e solidi al tempo stesso.
"Non sono qui per aumentare la mia pila della vergogna, la situazione è già abbastanza tragica."
Damon ridacchiò e la sua risata vibrò leggera fra loro. Sembrava tutto normale, come al solito, ma entrambi sapevano che c'era qualcosa da sapere riguardo l'altro.
"Allora, che mi devi dire?"
"Non puoi proprio mai fingere di non capire subito le vere intenzioni degli altri? Proprio mai?" Elisa si staccò quel tanto che bastava per incrociare il suo sguardo. Anche quello era strano, notò Damon, di solito spezzava i loro abbracci molto prima. Probabilmente non voleva dare l'idea sbagliata, adesso che lui aveva una ragazza, ma in quel momento sembrava avere altre priorità per la testa.
"Mi piace essere diretto" si difese in un'alzatina di spalle, facendo la prima mossa per separare quell'abbraccio.
Elisa fece un passo indietro come se si fosse ricordata solo in quel momento che avrebbe dovuto farlo da tempo.
"Alla gente a volte non piace."
"Voi ci siete abituati, ormai."
"Vero, ma credo ci piacerebbe poter inscenare le convenzioni sociali sul palcoscenico della vita anche con te."
"Non mi piacciono molto quei silenzi da 'io so che tu sai che io so'. Sono stupidi e inutili e imbarazzanti."
"Hai ragione," gli concesse Elisa con la solita dolcezza "ma se fossimo tutti così diretti non avresti nulla da capire sul nostro io più profondo e ti annoieresti da pazzi."
"Giusta osservazione" Damon rilassò un sorriso divertito, incrociando morbidamente le braccia al petto. "Quindi, ignorando le tue vere intenzioni, hai sentito del nuovo libro cult che sta spopolando? Ieri ho dovuto sistemare sugli scaffali il terzo ordine e lo abbiamo quasi esaurito di nuovo. Sinceramente inizia ad incuriosirmi."
Elisa gli sorrise divertita, arricciando il naso in una piccola smorfia adorabile.
"Ne ho sentito parlare, ma non so se fa per me. Le ambientazioni gotiche mi mettono i brividi" finse di rabbrividire, con il sorriso smagliante in grado di illuminare una stanza.
"È quello il bello."
"Posso concedertelo, ma sono una romantica senza speranza, piuttosto preferisco dare un'occhiata all'angolino dei romance."
"Oh, la meraviglia di una discussione fra un enneatipo sei e un nove: una concessione dietro l'altra. Siamo tremendamente non portati alle discussioni" Damon le lanciò un sorrisetto prima di girarsi e avviarsi nella sezione di scaffali che le interessava. "C'è qualche young adult carino, saltano fuori da Tik tok quindi li prenderei con le pinze. Mai fidarsi di un social che non rende giustizia a meraviglie come If we were villains."
Elisa ridacchiò, sporgendosi sopra la sua spalla per osservare i dorsi su cui stava facendo correre la punta delle dita. Si fermò e le allungò un libro all'indietro, che lei prese con gratitudine e si rigirò fra le mani alla ricerca della trama.
"Sei rimasto in fissa con la cosa dei fantasmi, eh?" gli chiese Elisa dopo aver fatto scorrere velocemente lo sguardo sulla trama. Accarezzò con la punta di un dito il titolo, sistemando con cura la sovracopertina.
"Questo è carino però. Non dirlo a Veronica, ma credo di avere una cotta senza fine per Julian Diaz. Sul serio, è imbarazzante, come un maledetto ragazzino" si girò verso di lei, con una smorfia divertita che cercava di nascondere una punta d'imbarazzo.
Elisa lo guardò con tutto l'affetto del mondo negli occhi, con il viso piegato appena di lato.
"Non cambiare mai, Damiano Cieli."
"Faccio del mio meglio" il suo sorriso si attenuò, andando a scemare. Osservò quella dolce e meravigliosa ragazza e si rese conto solo in quel momento del loro passato. Era semplice dimenticarsi che fossero stati insieme, il loro rapporto era sempre stato naturale, senza grandi scossoni emotivi. Era stato tutto fluido, senza pause drammatiche o separazioni e ricongiungimenti.
"El?" la richiamò, con una punta d'incertezza nella voce.
"Sì?"
"Come abbiamo fatto? Intendo, come siamo rimasti amici anche dopo? Non mi ricordo di essere stato in imbarazzo con te nemmeno per un singolo istante."
Elisa lo osservò con attenzione, posando distrattamente il libro sullo scaffale accanto a sé. Capì di avere la sua piena attenzione perché Damon non le lanciò nemmeno un accenno occhiataccia per quel piccolo gesto disattento. In minima parte capì anche che era turbato, e che forse aveva trovato senza sforzo la risposta che era venuta a cercare quella mattina.
"Non lo so, siamo sempre stati amici. E poi non siamo persone che tendono a portare rancore. Credo sia solo cambiato il rapporto e basta, niente di speciale. Non credo abbiamo scoperto nessun segreto speciale per convivere serenamente con il proprio ex. Mi sa che dobbiamo rimandare la scrittura di un libro guru sulle relazioni finite" Elisa accennò un piccolo sorriso stringendosi nelle spalle. Avrebbe voluto avere una risposta per lui, ma non ce l'aveva e non aveva idea di cosa dirgli. Lei leggeva soltanto la nascita delle relazioni, non cosa succede quando finiscono.
Damon si appoggiò pensieroso con le spalle contro lo scaffale, lanciando una veloce occhiata per assicurarsi di non rovinare alcun libro.
"È Levi che ti preoccupa?"
"Ogni giorno da più di quattro anni, e non so se smetterà mai di farlo."
"Improbabile, adori preoccuparti" Elisa gli si affiancò, spalla contro spalla, con il suo sorriso serio appena accennato.
"Vero, dovrei trovarmi qualche altro hobby nella vita. So che la gente adora fare sport, ma non credo faccia per me. Credo che la mia propensione alla preoccupazione e la mancanza di equilibrio siano una pessima combinazione di partenza" stiracchiò un sorriso senza convinzione, facendo stringere le labbra ad Elisa per l'apprensione.
"Forse. In effetti sei bravo a preoccuparti" gli infilò un braccio nella piega del gomito, facendosi spazio per quel accenno di abbraccio e facendogli rilassare la postura. Damon la lasciò fare, piegandosi nella sua direzione alla ricerca di contatto. Se fosse stato una pianta probabilmente sulla sua etichetta ci sarebbe stata una piccola indicazione del tipo "necessita il contatto fisico e lo ricerca continuamente, attenzione alla sua disposizione nello spazio. Mai lasciarlo da solo, appassirà velocemente."
"Nello specifico, perché ti stai preoccupando?"
In quella domanda posta con il tono più calmo e rilassato del repertorio di Elisa, Damon ci vide il tentativo di non esporsi. Qualcosa sapeva, ma non sapeva quante informazioni lui possedesse. Come se non avesse abbastanza motivi per cui preoccuparsi. Decise di far correre la cosa, concederle un po' di quelle convenzioni sociali che le persone tanto adorano.
"Vorrebbe che ricominciassimo a parlare. Ma non so come o dove. Se inizi a pensarci diventa difficile, non abbiamo territori neutrali in cui si possa parlare senza che diventi strano. Anche perché è strano di partenza, cazzo" fece uscire le parole lentamente, con più fatica di quanto pensasse. Quella questione gli gravava addosso in un modo che non era ancora riuscito ad elaborare. Non riusciva mai ad elaborare razionalmente nulla quando si trattava di Levi. Gli azzerava il cervello, lo trasformava in un essere di puro istinto incapace di guardare aldilà del proprio naso. A volte gli piaceva, la maggior parte del tempo se ne pentiva.
"E tu lo vuoi?" Elisa gli fece la domanda che faceva più maledettamente male di tutte, infilzata come uno spillo lunghissimo e affilato che gli trapassava il cuore da parte a parte. Era sempre stata lì, dal primo istante, e l'aveva ignorata, perché la risposta era uno scontro senza vincitori tra l'istinto e la ragione. Damon non era ancora riuscito a capire quale dei due volesse cosa, tanto ingarbugliati erano fra una stilettata di gioia e una di dolore che accompagnavano lo stesso identico pensiero.
"Non l'ho ancora capito" ammise, incrociando la punta delle converse. Erano nuove, sua madre aveva sborsato una follia per regalargliele. Aveva ancora i sensi di colpa e lui non sapeva come farglieli sparire. In fondo al cuore però sentiva che lei se li meritasse e che, finché stavano bene insieme, comprargli qualcosa ogni tanto per farlo contento gli andava bene se lei così si sentiva la coscienza più leggera. E poi quelle scarpe gli servivano, le altre lo avevano abbandonato da un pezzo.
"Sembri terrorizzato, lo sai?"
Damon alzò di colpo lo sguardo nel suo, sentendosi punto sul vivo. In quel momento capì che aveva ragione, ma non lo trovava ugualmente rassicurante. Elisa spesso non coglieva le complicate trame che stavano dietro i sentimenti e i rapporti dei suoi amici, ma con Damon se la cavava sorprendentemente bene. Probabilmente era perché riusciva a trovare la base su cui poi lui ingarbugliava pensieri ed emozioni in modo totalmente inconsapevole. Elisa sapeva cogliere la semplicità, Damon sapeva soltanto complicarla.
"Lo sono, lo sono sempre. Solo un pazzo si fiderebbe di me, e io non lo sono ancora abbastanza" sbuffò, con un misto di paura e rabbia che gli palpitava veloce sotto pelle. Certo che era terrorizzato, come poteva non esserlo? Si conosceva, sapeva fin troppo bene quali erano i suoi limiti e li rispettava. Avrebbe voluto non fosse così, ma Levi non era solo un limite, per lui era la fottuta muraglia cinese. Non sapeva come superarlo.
"Levi mi fa ancora uno strano effetto. Forse è perché mi ha rotto il cuore in due e ha fatto le valigie, senza rendermi partecipe, o forse perché un pezzo di cuore alla fine se l'è tenuto, non lo so, ma questo non cambia il modo in cui mi resetta il cervello. Ci riesce ancora, quasi su tutto, ed è fottutamente spaventoso. Sarei capace di permettergli di incasinarmi la vita senza dirgli alcunché e lui lo sa. Lo sa benissimo, credimi. Ci prova a non approfittare della cosa, ma è umano e fa dei cazzo di casini che poi devo sistemare io. Quindi non mi fido, perché ho saputo dirgli di no solo una volta e solo perché non riguardava me. Se mi facesse gli occhi da cucciolo sarei di nuovo ai suoi piedi, non importa quanto adori Veronica e tutto quello che abbiamo. Con lui ho questo rimasuglio di legame insano che me lo farebbe inseguire per tutta la vita se soltanto non avessi un minimo di autocontrollo" si osservava le dita incrociarsi e tirarsi fra loro, cercando una scintilla di calma in quel mare di tachicardia. Aveva preso il vizio da Veronica, e gli piaceva, perché era suo e adesso apparteneva anche a lui. "E so che così sembra che stia sbagliando tutto a stare con una persona per cui non mi piegherei allo stesso modo, ma è proprio quello il punto. Con lei non sento di dovermi piegare come con tutto il cazzo di resto del mondo. Non ha la stessa influenza di Levi su di me, e il punto è proprio quello, capisci? A lei non serve. Sto con lei perché la amo e basta e non sento di doverla compiacere a qualsiasi costo. Mi fa sentire sano, normale, non un pazzo predisposto alla dipendenza affettiva perché papà l'ha abbandonato, capisci? Di lei mi fido, di me con lei mi fido, di me con Levi no. Mi annebbio, torno ragazzino ingenuo e senza difese. Mi ha fatto tanto bene quel ragazzo, ma con lui non sono riuscito a crescere per tanto tempo, perché lui sta ancora vivendo i primi amori folli e adolescenziali, e io ero il primo e mi tratterà sempre in quel modo, come un folle amore da stupido film romantico in cui tutto è possibile. Ma in realtà le cose buone davvero sono poche, ed è facile confonderle con la merda perché non sappiamo nemmeno noi quello che vogliamo" lentamente si era lasciato andare, ripiegandosi su se stesso, schiacciato dal peso di quelle confessioni che osava farsi per la prima volta.
Non devi sentirti in colpa se lui ha ancora tutto quel potere su di te.
Veronica la ami davvero, anche se sembri irrecuperabile nei confronti di Levi.
Forse irrecuperabile lo sei sul serio, ma non è colpa di nessuno dei due, è solo il destino che ha partorito una pessima accoppiata. Non siete pessime persone, siete stati solo sfortunati. Due stelle che non dovevano incrociarsi.
Il tuo istinto è autodistruttivo, ma assecondarlo non è l'unica opzione.
Sei terrorizzato perché non ti fidi di te stesso e hai paura di perdere la persona che rende ogni tuo singolo giorno migliore.
Alcune persone vanno lasciate indietro e basta. Per il tuo bene, perché ti vuoi bene e credi di meritare di più nella vita di una storia sbagliata e senza fine.
A volte dirsi addio è la cosa migliore che si possa fare.
Elisa posò la tempia contro la sua spalla, passandogli con delicatezza le dita lungo l'avambraccio. Quel semplice gesto lo riportò alla realtà, scacciando come vento quei pensieri turbiananti come foglie secche a metà autunno.
"Non credo di volerlo, El. Se lo volessi sarebbe più semplice, ma non lo è. Ci penso e ci ripenso, ma non trovo un modo perché non voglio trovarlo. Ci siamo fottuti abbastanza la vita. A volte le cose non vanno e basta, perché ostinarsi? Per noi c'è di meglio, e io so di averlo trovato" la rigidità del tono si era ammorbidita parola dopo parola, rimpicciolendosi ad un piccolo sussurro carico di protezione e dolcezza. Damon sapeva essere così spietato e sincero, con il cuore ben in mostra nella mano e l'indifferenza stretta nelle spalle. Parlava dei suoi sentimenti più profondi con una semplicità disarmante, come fossero ovvietà inutili da nascondere.
"Era questo che ti turbava di recente, quindi?" gli chiese Elisa con dolcezza, aspettando un istante per permettere all'emozione di dissolversi nell'aria.
"Sì. Cercavo una risposta migliore perché suppongo che non mi piacesse granché l'unica sensata. Stupido istinto di conciliazione" borbottò Damon, cercando di accennare un sorriso che non era certo di riuscire a fare. Ammettere certe cose a se stessi non le rende più semplici da affrontare, te le mette semplicemente di fronte e questo di solito fa soltanto male. Ti fa rendere conto di tutta la tua debolezza umana, e Damon si stava rendendo conto di averne più di quanto non pensasse.
"È giusto così," lo consolò Elisa "non si può sempre risolvere tutto. A volte bisogna solo scegliere dove investire le proprie energie, e tu l'hai fatto. Ora devi rendere conto di questa cosa solo a te stesso. Levi è un adulto e capirà, non è un problema tuo renderlo felice, quello è un problema solo suo, lo sai."
"Lo so," sospirò, mettendosi dritto e sfuggendo alla presa di Elisa "ma tutti meritiamo qualcuno che ci renda felici."
"Tu non puoi essere la persona che rende felici tutti gli altri, però."
"Vale lo stesso per te" Damon riuscì a stiracchiare un sorriso triste, un po' tirato e malinconico. Elisa lo sentì fino in fondo.
"Anche a me piace preoccuparmi, lo sai" cercò di scherzarci sopra, ma si sentiva il cuore pesante. Per tutta la vita non aveva fatto altro, cercando anche lei di evitare quel semplice ma doloroso quesito: chi rende felice te?
"Facciamo così:" Damon le si avvicinò di nuovo, appoggiandosi spalla contro spalla" io mi preoccupo di te e tu ti preoccupi di me, degli altri vedremo se ci avanza tempo. Ok?"
"Ad una condizione."
"Quale?"
"Dì a Veronica che stai bene. Ha bisogno che tu le parli."
Damon rimase in silenzio per un istante, incassando il colpo inaspettato. Aveva decisamente qualcosa da sistemare al suo ritorno.
"D'ora in poi la sfinirò di chiacchiere, va bene?"
Elisa sorrise, rincuorata da quell'ironia semplice e gentile.
"Va bene, allora. D'ora in poi facciamo come hai detto."
"Ottimo," Damon ricambiò il sorriso, allungandosi oltre di lei per prendere il libro che aveva posato sullo scaffale. Glielo mise in mano, guadagnandosi un'occhiatina da sotto le ciglia. "Ho uno sconto dipendenti che fremo di utilizzare da un pezzo" le fece un occhiolino e si godette la meraviglia e la gioia che in un istante le illuminarono il viso. Quando i suoi occhi sorridevano avevano la purezza e la pienezza della felicità dei bambini.
"Davvero?" gli chiese Elisa, stringendo i bordi del libro con entusiasmo.
"Davvero" le sorrise in risposta.
Elisa gli lanciò le braccia al collo e lo abbracciò di slancio, rimanendo appesa mentre lui ritrovava l'equilibrio. All'orecchio gli cinguettuò una serie infinita di "grazie", uno più gioioso dell'altro.
Damon la strinse forte, affondando con il viso nella massa di ricci indomabili. Elisa gli era sempre piaciuta e ne era certo, non avrebbe mai smesso. Se c'era un modo in cui le persone dovevano volersi bene era proprio quello: pieno di tenerezza e voglia di rendersi felici con poco, prendendosi cura l'una dell'altra.
***
Damon si infilò con cautela oltre la porta di casa, fermandosi ad ascoltare il silenzio prima di sfilarsi le scarpe. Non era certo che Veronica fosse a casa, tornava prima di lui ma a volte rimaneva fuori più a lungo. Non le piaceva dirgli dove andasse e lui si era arreso a quella situazione. Di lei non dubitava, avrebbe solo voluto essere più partecipe della sua giornata. E poi aveva una vena curiosa che era completamente fuori dal suo controllo.
Si diresse verso il piccolo open space dedicato al salotto e alla cucina, senza essere sicuro di volerla trovare accoccolata sul divano o meno. Fremava all'idea di vederla, ma i sensi di colpa per averla fatta preoccupare in quei giorni gli pesavano sullo stomaco. Meritava di meglio, di quello era sicuro, e stava cercando di esserlo, quel meglio, ma non è semplice quando la tua vita gira attorno a mille sensazioni illusorie e due flaconcini che ti tengono con i piedi per terra. Decisamente, c'era di meglio, ed era fortunato che lei non si fosse ancora spaventata abbastanza.
Sospirò quando la vide seduta a gambe incrociate sul divano, le cuffie con le orecchie da gatto che le aveva regalato per il suo compleanno nelle orecchie e il portatile di Emily in equilibrio sopra le cosce. Fissava concentrata lo schermo, con le sopracciglia arcuate che quasi le sfioravano il ciuffo di capelli ormai troppo lungo. Sembrava più stanca del solito, un po' più tesa sotto i larghi vestiti estivi. Non era raro per lei, ma a Damon non piaceva esserne la causa. In quel momento doveva andare meglio, finché il cielo glielo concedeva.
Rinunciò all'idea di salutarla per attirare la sua attenzione e optò per sgattaiolare accanto a lei. Il contatto fisico non era la sua passione, ma era il modo migliore in cui Damon sapesse scusarsi. Era bravo con le parole, le adorava, ma sapeva anche che era fin troppo semplice dire stronzate e non voleva arrischiarsi. Per quelle c'era tempo dopo.
La raggiunse sul divano, infilandosi silenzioso accanto a lei, allungandosi fino a riuscire a passarle le braccia attorno i fianchi.
Veronica si era accorta di lui poco prima, sobbalzando nell'istante in cui le sue braccia le avevano sfiorato la vita. Con un gesto secco si era tolta le cuffie, girandosi leggermente di lato per osservarlo meglio.
"Mi hai fatto prendere un colpo, cazzo" posò il portatile sul tavolino di fronte, con l'apprensione che le accartocciava il viso. Damon si chiese come avesse fatto a non notarlo, con quegli occhi grandi e scuri che lo imploravano di parlargli.
Le diede un piccolo strattone, facendola finire per metà distesa accanto a lui, guadagnandosi un piccolo urletto di sorpresa. Veronica gli si aggrappò con le braccia, incrociando le gambe con le sue per mantenersi in equilibrio sul bordo del divano. La piega delle sue labbra suggeriva l'arrivo di un rimprovero, i suoi occhi invece avevano acquisito nuovamente la solita scintilla.
"Sei un idiota" borbottò, posandogli la fronte contro il petto, beandosi ad occhi chiusi del riverbero della sua risata che si spense lentamente, come se esitasse a lasciare andare quell'istante di leggerezza.
"Lo so, e mi dispiace" si prese un isante di silenzio, notando che Veronica aveva trattenuto il respiro per un istante. "Soprattutto per gli ultimi giorni. Ho avuto un po' di cose per la testa, ma sto bene. Le medicine funzionano a gonfie vele. Non devi preoccuparti, in quel senso va tutto bene, e se così non dovesse essere, te lo dirò" le passò la punta delle dita lungo la schiena, infilandole le mani sotto la maglietta e facendola rabbrividire.
"Va bene" gli rispose dopo un istante, presa in contropiede da quelle scuse inaspettate. Gli si strinse contro un po' più forte. "Forse sono un po' troppo paranoica di mio."
"Ti sei solo presa uno spavento con i fiocchi, posso solo immaginare come sia. Però se qualcosa ti preoccupa, dimmelo e basta, ok?"
Veronica annuì, aumentando la pressione della fronte contro il suo petto. Era rilassante sentire il battito del suo cuore contro la pelle, leggermente più veloce del solito, consapevole che la causa fosse l'emozione del momento.
"Con chi hai parlato?" gli chiese con tutta la semplicità del mondo, certa che qualcuno si fosse messo in mezzo. Qualcuno lo faceva sempre. "Emily o Elisa?"
Sentì i suoi muscoli tendersi in un sorriso fino alla sua fronte e le venne da sorridere a sua volta.
"Elisa."
"Dovevo immaginarlo. Emily l'ho minacciata di non mettersi in mezzo, con Elisa non ci riesco proprio. È come provare a sgridare un cucciolo, ti arrendi già in partenza."
"Abbiamo delle buone amiche" Damon si accoccolò meglio sul divano, allontanandola di qualche centimetro dal bordo. Veronica si lasciò sistemare con gioia, contenta di poter finalmente fare una cosa semplice e piacevole come stare abbracciati sul divano. Forse le passò per la mente l'idea di chiedergli cosa l'avesse turbato in quei giorni, ma la richiuse in un cassetto, con una vaga consapevolezza che alla fine non volesse davvero saperlo, altrimenti Damon glielo avrebbe detto.
"Delle impiccione" lo corresse lei, liberando una mano per intrecciare le dita sulle ciocche alla base del suo collo. I capelli stavano ricrescendo anche a lui e la cosa le piaceva, anche se a volte si sentiva ancora a disagio quando si rendeva conto di essersi persa a lisciargli le punte. Si sarebbe mai abituata al contatto fisico senza sentirsi stupida?
"Brave impiccione, però. A volte possiamo accettare il loro intervento."
"A volte" convenne socchiudendo gli occhi.
"Sei stanca?" le chiese in un sussurro.
"Decisamente. Le skills sociali mi prosciugano. Anche se i nerd sono simpatici, quando la smettono di emozionarsi perché sono una ragazza."
"Allora potremmo fare come i nonnini e chiudere la nostra giornata alle sette..."
"Non sembra una pessima idea" Veronica fece una pausa, arricciando stancamente il naso. Si accoccolò meglio, lasciando andare tutte le questioni della giornata. Era felice, al caldo ed era amata, tutto il resto poteva aspettare.
Damon rimase a fissare la parete di fronte, aspettando che Veronica si assopisse abbastanza da riuscire a toglierle gli occhiali senza svegliarla. Con cura riuscì nella sua impresa, appoggiandoli in un angolo del bracciolo vicino ai propri. Poi chiuse gli occhi, sperando di potersi addormentare a sua volta. Non era particolarmente comodo, ma era stanco e nulla poteva impedire ai muscoli di distendersi e adattarsi alla posizione imposta per stare entrambi stretti su quel divano.
La sua testa però non si fermava, vagava lontana, insoddisfatta dal suo sentire. In fondo, al di fuori del suo controllo, una parte di lui urlava contro le sue scelte, imprecando perché poteva fare meglio, far soffrire di meno il prossimo. A quella parte di lui non importava cosa gli sarebbe successo, quanto avrebbe sofferto o patito, quella parte di lui era felice solo quando, prostrata, si era sacrificata abbastanza da garantire la felicità altrui.
Damon aprì gli occhi di scatto, stanco di combattere ogni giorno con una parte diversa della sua testa. Allungò con delicatezza una mano fino alla tasca posteriore dei suoi jeans, recuperò il telefono e se lo portò a pochi centimetri dal viso per riuscire a distinguere i tasti. A fatica, con una sola mano, digitò due semplici parole in risposta alla prima chat sulla schermata di WhatsApp. Poi tolse la suoneria e lasciò scivolare il telefono a terra, stringendo Veronica fra le braccia e mandando al diavolo il resto del mondo.
Quando?
Non oggi.
Spazio autrice
Se aveste curiosità vi lascio la lista dei personaggi con i relativi enneatipi.
Levi 9
Veronica 4
Seb 5
Emily 1
Chiyuki 7
Marco 5
Essa 2
Damon 9
Elisa 6
In più ecco un disegnino che ho realizzato nel periodo in cui stavo scrivendo questo capitolo 🫶
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