2. Certezza

Era una frizzante domenica mattina di inizio marzo, la luce filtrava timidamente dalla tapparella per metà alzata e il vento freddo ci sbatteva contro in un rilassante ripetersi, facendo sospirare di sollievo chiunque non si trovasse in sua balia.

Damon e Veronica erano seduti nel loro letto, le schiene contro il muro, le gambe incrociate e le coperte a ricoprirle. Avevano preso l'abitudine di leggere insieme durante le mattine dei fine settimana, quando non lavoravano e potevano concedersi di oziare in compagnia. Damon leggeva i suoi libri, Veronica, che lettrice non era mai stata, leggeva quel che aveva scritto Damon nel corso della settimana, occasionalmente dedicandosi ad uno di quei libri che lui la pregava di leggere.

Questo libro mi fa pensare a te, le diceva, con un sorriso raddolcito mentre glielo posava sul comodino come se niente fosse, come se in quel gesto non racchiudesse un intero universo d'amore che non necessitava parole. Oppure questo libro fa proprio per te, lo adorerai, e puntualmente Veronica lo adorava, perché Damon a volte la conosceva meglio di quanto non conoscesse se stessa. E la cosa sapeva farla impazzire, anche se sapeva che era una cosa buona.

"Dam, sei proprio uno stronzo!" Veronica gli mollò un pugno contro la spalla, facendolo sobbalzare e rischiando di fargli perdere la presa sul libro che stava leggendo. Agnes Grey. Anne Brontë, la sorella Brontë più sottovalutata, ovviamente la sua preferita.

"Che avrei fatto?" le chiese con un cipiglio confuso, girando il viso verso di lei, bloccandosi nel gesto per quello che si trovò di fronte. Veronica lo fissava con gli occhi di fuoco inondati di lacrime, il viso piegato in una smorfia, bagnato fino al mento. Si sforzava di non piangere, ma le lacrime continuavano a scendere una dopo l'altra. Fra le mani stringeva spasmodica i fogli che le aveva dato qualche ora prima, fitti della sua grafia piccola e disordinata. Non aveva nemmeno idea di come Veronica riuscisse a leggerla, a volte non ci riusciva nemmeno lui, ma gli occhi di lei filavano sempre veloci ed attenti sulle parole. Se avesse voluto sarebbe stata un ottima maestra, e anche se non avesse odiato i gruppi di bambini, ovviamente.

"Questo. Questo mi hai fatto!" gli gettò i fogli in grembo con rabbia, stringendosi poi le braccia sotto al seno, incrociandole in una morsa spasmodica.

Damon posò Agnes Grey sul comodino, poi raccolse con cura i fogli, risistemandoli nel giusto ordine. Stava prendendo tempo per riflettere sulle parole da usare. Veronica era imprevedibile ed emotiva, nonostante la conoscesse da anni non sapeva mai come avrebbe reagito alle sue parole. Era come un fiume in piena: in apparenza sempre uguale, in realtà lo scorrere dei suoi sentimenti non era mai lo stesso. Le inondazioni distruttive erano sempre dietro l'angolo.

"Potresti spiegarmi meglio?" glielo chiese con calma, posando anche i fogli e poi girandosi nella sua direzione, cercando di intercettare il suo sguardo. Veronica però lo evitava accuratamente, tenendo gli occhi puntati verso l'alto, cercando di scacciare le lacrime, chiusa in una delle sue tipiche smorfie ostili.

"Quel personaggio. Quel personaggio che è ispirato a me" attaccò dopo un paio di istanti di silenzio, asciugandosi le lacrime con rabbia e puntando gli occhi nei suoi, brillanti e fiammeggianti come un falò in riva al mare. "Si percepisce così tanto che... la ami. Mi fa impazzire" spostò lo sguardo sulle sue mani strette sul bordo della coperta, rimanendo in silenzio. "Odio come mi fa sentire, odio che dopo anni tu riesca ancora ad annodarmi lo stomaco per l'emozione. Lo odio. Mi fai sentire debole. Soprattutto con questo dannato personaggio che tu ami così tanto, che curi in ogni minimo particolare. È viva, dipinta nel modo migliore. Sembro io ma meno sfigata. E tu la ami."

Lui la osservò in silenzio, trattenendo a stento quell'accenno di sorriso che premeva negli angoli delle sue labbra. Allora era come aveva pensato: era riuscito a smuovere qualcosa, abbastanza da spingerla a parlare con lui. Era così difficile confrontarsi con lei. Lei non era come Levi, lei amava con gli occhi e faceva appassire le parole da qualche parte in fondo al cuore. Era così raro che gli concedesse un momento del genere, onesto e senza paura di dire quello che le passava per la testa.

"La amo" le confermò, osservando le sue mani stringere isteriche la coperta. "Lei però non è una tua versione meno sfigata, Ronnie, tu sei così, solo che non te ne accorgi. Lei è il tuo potenziale espresso, non una tua versione con qualche passata di gomma."

Lei alzò di nuovo lo sguardo nel suo, osservandolo con attenzione, soppesando ogni singola parola con cura quasi maniacale.

"Non so dove tu la veda, onestamente" ammise, rilassando le spalle contro il muro.

"La vedo ogni giorno" Damon allungò una mano e ne prese una delle sue fra le proprie, vincendo la sua debole resistenza e stringendola delicatamente. "La potresti vedere anche tu, se le concedessi una possibilità, se fossi meno severa allo specchio. Sei troppo autocritica, bambina, ti tarpi le ali da sola da tutta la vita. Dovresti saperlo che sei così, guarda quanto sei migliorata negli ultimi anni. Hai tutto il potenziale del mondo, devi solo scegliere come usarlo."

"Lei non ha mollato gli studi per barcamenarsi in un lavoro che non la soddisfa ma che fa solo perché deve. Di lei parli in questo modo così... meraviglioso. Non mi sento all'altezza, mi sembra tu ti sia innamorato della persona sbagliata. Non capisco davvero come tu faccia e so che non ha senso, ne discuto da anni con la mia psicologa, ma non posso farne a meno. Non capisco come tu possa guardarmi e pensare 'la amo'. Non riesco a capire come tu possa farlo, davvero. Ma poi leggo quello che scrivi, e mi distrugge perché per un istante lo capisco e forse odio capirlo. Preferirei credermi un caso perso, ma poi arrivi tu con tutto questo amore che... mi riempi il cuore, mi annodi lo stomaco per quanto mi emozioni, mi fai credere di valere qualcosa per davvero. Mi rendi amabile a me stessa, e lo odio perché mi sembra così ovvio, visto con i tuoi occhi, ma con i miei non ci riesco proprio.

"A volte credo di odiarti perché riesci sempre a vedere il meglio di me" ammise a bassa voce, stringendo la presa sulla sua mano senza rendersene conto, alla ricerca di un appiglio. "Il meglio di tutti, in realtà. Non so come fai, non ho mai conosciuto nessuno così. Metti in difficoltà le persone perché non se lo aspettano. Cerchiamo sempre tutti il marcio e poi arrivi tu, che sei disarmante perché dici la pura e semplice verità. Fai impazzire la gente, fai impazzire me" rimase in silenzio a lungo, piantando lo sguardo lontano dal suo, scavando dentro se stessa alla ricerca delle parole che voleva dirgli.

"So che non è così," pausa, prese fiato, espirò "non lo è assolutamente, lo so, sul serio, ma quando le persone vedono il meglio come fai tu... Diventa come una responsabilità, per me. Inizio ad avere paura di deludere, e di solito scappo. Con te non l'ho mai fatto, ma ci ho pensato spesso nella mia vita. Ogni volta mi fermo perché so che non ha senso, ma fra la razionalità e i sentimenti che si provano c'è un abisso, no? Non voglio scappare, non voglio deluderti, ma non credo di essere in grado di essere quello che tu vedi, di amarti come meriti. Mi sembri semplicemente troppo, e io mi sento come un impostore. Mi fa impazzire questa cosa, non riuscire a mettere pace nella testa. Mi sembra sempre di correre in circolo come un criceto, con il terrore di deluderti come non ne ho mai avuto. Davvero, fanculo tutti, potrei deludere chiunque e penserei 'idiota, che si aspettava da me?' Ma con te non potrei mai, solo il pensiero mi destabilizza" rialzò lentamente lo sguardo nel suo, insicura come una bambina che si dirige alla lavagna a fare un esercizio che non ha capito. "Ha senso?"

Damon le passò il braccio libero lungo le spalle, tirandosela vicina. Lei gli si raggomitolò contro, piantandogli le ginocchia nel fianco. Lui non disse nulla, si limitò a passarle delicatamente le dita sulla spalla, posandole il mento fra i capelli. Profumava del suo shampoo, aveva iniziato ad usarlo da quando si era tagliata i capelli l'ultima volta. Gli piaceva, in qualche modo sapeva di casa. Una casa loro, costruita insieme.

"Non devi preoccuparti, Ronnie. Deludere è umano. È ovvio che prima o poi mi deluderai, e lo farò anch'io. Siamo umani, sbagliamo, è nella nostra natura. L'importante è cosa faremo dopo. Possiamo ritrovarci oppure perderci, succede, ma su quello abbiamo il controllo. Non posso prometterlo, non credo alle promesse, ma posso dirti che proverò a fare del mio meglio, a ritrovarti ogni volta in cui ne sarò in grado" chiuse gli occhi, concentrandosi sul respiro di lei.

"Mi dispiace che tu lo viva come un peso, l'amore non dovrebbe mai esserlo. Però sono felice che tu me l'abbia detto. Mi piace quando parliamo, quando mi spieghi cosa ti frulla per la testa. A volte ti guardo e mi chiedo quante cose ancora non so, quanto è vasto quell'universo che costruisci ogni giorno senza farne parola. Ogni volta che mi permetti di metterci piede mi sembra di essere su un suolo sacro. So quanto sia importante per te, capisco il privilegio che mi concedi quando mi dici certe cose, quando condividi i tuoi pensieri con me" le posò un bacio fra i capelli, inspirando a fondo.

"L'amore non è una gara, non si può misurare e non c'è un modo migliore di un altro per farlo. Ci si ama e basta, ognuno a modo suo. Non devi avere paura o sentirti sbagliata per il tuo modo di amare, non è di seconda categoria o chissà cosa. Ami a modo tuo, ed è il modo giusto. E io amo a modo mio, e amo te, così come sei e come vuoi essere. Non devi essere perfetta o altro, devi solo essere te stessa, non voglio altro."

"Ne sei sicuro?" gli chiese con la voce piccola, da bambina, attutita dal tessuto della sua felpa.

"Sì" e ne era convinto come mai in vita sua.

Rimasero in silenzio a lungo, con la punta delle dita che scorrevano fra loro, rincorrendosi e cercandosi. Poi Veronica si allontanò appena, frontegginadolo.

"Voglio cambiare lavoro. Sono stanca, lo odio."

"Sai già cosa vorresti fare?"

Veronica gli sorrise, perché lui era una di quelle persone che non pensa ai soldi, alle difficoltà che derivano dal licenziarsi senza un piano concreto, lui era uno di quelli che ti aiuta a raggiungere i tuoi sogni a qualsiasi costo, anche se ciò implica subirsi degli straordinari.

Punta alla luna, bambina, mal che vada arrivi alle stelle.

"Non ne ho idea, ma voglio farlo per bene."

Damon le restituì il sorriso, uno dei suoi sorrisi storti che le facevano aumentare il ritmo cardiaco, passandole le dita fra i corti ciuffi castani.

"Così sia, allora."

Veronica si tornò ad accoccolare contro di lui, imprimendo tutto il suo amore in quell'abbraccio che voleva urlare semplicemente "grazie".

***

Veronica era seduta sul divano, le gambe incrociate, il pc che Emily le aveva gentilmente prestato posato sopra di esse. Scorreva con il dito sul touchpad, lasciandosi sopraffare dalle difficoltà di trovare un lavoro quando hai mollato gli studi prima della laurea e un curriculum che potrebbe fare invidia al deserto del Sahara. Lo sapeva che semplice non sarebbe stato, ma non pensava che la sua determinazione morisse così in fretta. Era passata poco meno di una settimana e già si pentiva delle sue decisioni, sentendo il senso di colpa strisciare nei recessi della sua mente. Non voleva dipendere da nessuno, tanto meno pesare sulle spalle di Damon, eppure aveva mollato il lavoro senza un piano già pronto. Le sue scelte impulsive erano sempre state pessime nel breve termine, non le rimaneva che sperare che, dopo il solito giro di sofferenze e frustrazioni, il tutto si sarebbe sistemato, rimettendola finalmente sui binari giusti.

Chiuse il pc di scatto, abbandonandosi con la schiena contro il divano. Non stava andando da nessuna parte, accresceva soltanto le sue paranoie. Più leggeva annunci più il volume sembrava alzarsi e rimbombarle nella testa, fino a perdere significato in un rombo indistinto.

Chiuse gli occhi, massaggiandosi lentamente le tempie con la punta delle dita. Le stava venendo mal di testa.

La porta si aprì in quel momento, seguita dall'uragano di rumori che accompagnava sempre l'entrata di Damon. Da lontano sembrava una creatura schiva e silenziosa, ma bastava conoscerlo per qualche ora per capire che non era affatto così: per quanto ci provasse la sua goffaggine continuava a sabotare una sua possibile carriera da spia.

Lo ascoltò chiudere la porta e poi togliersi la giacca e gli anfibi. Sapeva già che avrebbe avuto le mani gelide, appena sentiva il primo sentore di primavera era impossibile impedirgli di abbandonare il giubbotto in favore delle sue giacche di jeans vintage. Era una cosa stupida, soprattutto considerando quanto patisse il freddo, ma non c'era cosa che amasse più della primavera e delle sue giacche, e in fondo quel suo aspetto così romantico ed irrazionale le piaceva. Lei non era capace di una cosa del genere, non aveva nulla di romantico e senza senso da adorare e rinnovare ogni anno. Non aveva una stagione o un rituale preferito, non amava fare nulla che richiedesse condizioni particolari: le bastava un pc e sarebbe stata felice in ogni luogo e in qualsiasi momento. Ma lui no, lui amava la primavera, le giacche di jeans vintage, piene di strappi e rattoppi, ricami e applicazioni, amava leggere un libro sotto ai tiepidi raggi del sole, fotografare i primi fiori e il risveglio della natura. Era così assurdo, vestito di nero da capo a piedi, accucciato sugli anfibi con quattro centimetri di piattaforma mentre fotografava la prima margherita nel giardino di casa di sua madre con sua sorella attaccata alla tasca della giacca.

Le venne da sorridere, dimenticandosi per un attimo della folle avventura in cui si era imbarcata. Ventisei anni e si comportava ancora come una ragazzina incapace di prendere una decisione. Patetica. Ma il pensiero scomparve veloce com'era venuto quando sentì il peso di lui accanto a sé.

"Ciao" la salutò, con la tracolla posata ai piedi del divano. Veronica pensò fosse strano, ma non ci fece troppo caso, il suo sorriso l'aveva inevitabilmente distratta da qualsiasi altra considerazione.

"Ciao" lo salutò, accoccolandosi nella sua direzione. Gli sorrise a sua volta, felice di non doversi più preoccupare del rombo nella sua testa.

"Com'è andata oggi?"

"Devastantemente uno schifo."

"'Melodrammatica."

"Dico sul serio, le mie pessime scelte di vita mi rovinano l'avvenire. La tua giornata?"

"Che linguaggio forbito" la prese in giro, dandole una spintarella contro il braccio. Lei gli fece una linguaccia scherzosa, stiracchiando un sorriso. "La mia giornata direi che è stata piuttosto produttiva."

"Davvero?"

"Incredibile ma vero: oltre a spiegare trame fino a dimenticarmi il significato delle parole, ho fatto anche dell'altro" le sorrise di nuovo, con una strana luce negli occhi che non seppe interpretare. Aveva iniziato a lavorare in una libreria lì vicino da un paio d'anni, era stanco del suo lavoro al bar e per quanto fosse grato a Giulia aveva sentito il bisogno di cambiare aria. Così si era guardato attorno e senza nemmeno rendersene conto aveva realizzato uno dei suoi sogni più grandi: circondarsi di libri tutto il santo giorno. Ed era così felice, perfino riordinare sugli scaffali i nuovi ordini gli metteva il buonumore. Nemmeno i clienti più pedanti riuscivano a scalfirlo, amava così tanto parlare di libri che neanche una sfida del genere riusciva a smontarlo. Era nel suo ambiente e si vedeva. Veronica invidiava in modo costruttivo quella situazione: voleva fare anche lei qualcosa che l'appassionasse. In modo indiretto era stato quello il motivo principale per cui aveva deciso di mollare tutto nell'arco di un giorno, non ci aveva nemmeno pensato al fatto che i lavori, soprattutto quelli perfetti, non si trovano con uno schiocco di dita.

"Allora deve essere stata proprio una gran giornata."

"Lo sarà soprattutto per te" le disse, piegandosi in avanti e recuperando la tracolla, appoggiandosela poi sulle ginocchia.

"Che intendi?" gli chiese incuriosita, facendo leva e mettendosi seduta sulle ginocchia, a pochi centimetri da lui.

Damon le accennò uno di quei suoi tiepidi sorrisi, facendole quasi dimenticare la curiosità che l'aveva rianimata. Quasi.

Si drizzò sulla schiena e sfogliò velocemente uno dei suoi quaderni, con gli occhi di Veronica che non mollavano i movineti delle sue mani, tirandone fuori un foglio spiegazzato pieno della sua scrittura fitta. Le passò il foglio e Veronica lo agguantò rapida, studiandolo in silenzio, dimenticandosi in un attimo della sua adorazione per quelle mani e quegli anelli.

Quando alzò lo sguardo era certa di averlo luccicante di lacrime, ma non fece nulla per nasconderlo. Lo vedeva a stento, e le andava bene così, non era certa di poter trattenere le lacrime se si fosse ritrovata anche il suo sorriso di fronte.

"Non so neanche che cazzo dirti, mi lasci senza parole. Solo tu puoi fare una cosa del genere" di riflesso si strinse il foglio al petto, stritolandone i bordi fra le dita. La voce le tremava appena per l'emozione e voleva così tanto atterrarlo, abbracciarlo e baciarlo che quasi non si riconosceva.

Damon aveva passato il pomeriggio a girare per la città e ad informarsi su possibili lavori che potevano fare al caso suo, raccogliendo informazioni e recapiti su quel foglietto malconcio fra le sue mani. Era uno di quei momenti in cui amarlo era devastante, perché non puoi fare altro che guardarlo e chiederti "che ho fatto per meritarlo?".

Glielo stava quasi per chiedere ma poi si era fermata, perché sapeva di non meritarlo, nessuno meritava tanto amore incondizionato. Forse solo lui e tutte quelle altre rare creature che sanno amare il prossimo con tutto il cuore. Veronica, suo malgrado, non era fra loro. Aveva solo avuto la fortuna di averne incontrata una, e a volte si sentiva ancora in colpa per quel privilegio, ma non era decisamente pronta a rinunciarci, per nessun motivo al mondo.

Lasciò scivolare il foglio a terra e gli gettò le braccia al collo, sbilanciandolo fino a farlo scivolare quasi completamente sul bracciolo del divano. Lui la strinse di riflesso, sorpreso dalla sua reazione. Lo fu ancora di più quando lei accostò il naso al suo, guardandolo dritto negli occhi, con le scintille che le fremevano sotto la pelle. Lo amava così tanto che avrebbe imparato a gestire quell'enorme sentimento solo per lui.

Poi lo baciò con tutta la passione e l'intensità che le stavano bruciando l'anima in quel momento e capì che era proprio quello che voleva nel resto della sua vita: momenti genuini, loro due che semplicemente erano loro due. Non le servivano grandi sorprese, appuntamenti perfetti -anche se sapeva che Damon era assolutamente in grado di metterli in atto- o giornate speciali, le bastava la semplice e dolce quotidianità che si erano costruiti. Loro due che si prendevano cura l'uno dell'altra. Ecco cosa aveva capito. Ecco come immaginava l'amore.

Allontanò il viso dal suo, stringendosi più forte a lui, aggrappandosi a quella sua certezza nel mondo.

"Grazie" gli sussurrò, e in quella semplice parola ci nascose un mondo intero di sentimenti.

Spazio autrice
Oh, i miei bambini, quanto bene gli voglio. Credo che il mondo abbia bisogno di più storie di personaggi fastidiosamente complicati che si innamorano.
Per il resto sto lavorando ad un breve riassunto della storia precedente che in pochi giorni conto di riuscire a mettere online. Domani ho tirocinio indiretto quindi il tempo non mi dovrebbe mancare, lol.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top