15. Solo essere io

Emily si rigirò sotto le coperte, i capelli appiccicati al viso e gli occhi incollati dal sonno. Allungò una mano affianco a sé, cercando il calore familiare di Essa, ma trovò soltanto un groviglio di lenzuola tiepido. Rimase in silenzio, ascoltando attentamente ogni singolo rumore. La sentì ridere dalla cucina, mentre rispondeva ad una domanda che nessuno le aveva posto.

Emily si girò sulla schiena, sbuffando via alcune ciocche scure. Sorrise abbracciando una porzione di coperte. Essa le stava preparando una colazione a letto mentre era in live con i suoi follower. Era dolce, un po' fuori dal comune, ma lei era così. Estremamente aperta, adorava condividere qualsiasi cosa.

La sua carriera da influencer era iniziata per caso: qualcuno aveva cercato chi ci fosse dietro agli articoli che spopolavano su Twitter riguardo alle mostre di arte moderna e aveva scoperto quella ragazza che adorava condividere la sua vita. Prima dei suoi articoli era soltanto un fenomeno della città, poi il resto del mondo aveva iniziato a conoscerla.

Aveva imparato l'inglese, sbattendo ogni sera la fronte sui libri, cercando di farsi entrare in testa quella grammatica avversa, e poi aveva iniziato a fare anche delle live, ritrovandosi in brevissimo tempo a fare concorrenza alle influencer americane con i suoi video in cui spiegava la magia dietro l'arte contemporanea. Aveva iniziato a portare i suoi follower nelle sue passeggiate, alle mostre, nell'appartamento nuovo e anche in cucina, dove chiedeva suggerimenti e rideva ai loro commenti mentre aspettava che le cose finissero di cucinare.

Poi aveva conosciuto Emily, e per lei stava imparando il francese.

Non sapeva come fosse possibile, ma in qualche modo Emily aveva trovato la sua persona in un'influencer eccentrica e solare, che passava le sue giornate a sorridere al cellulare mentre programmava il post successivo. La guardava spostare ossessiva una piantina alla ricerca del posto perfetto per fotografarla e sorrideva inebetita, il cuore colmo di affetto. La guardava e pensava che in fondo con lei avrebbe anche potuto litigarci per tutta la vita ed essere comunque felice, ed era tanto per una come Emily.

"I’ll leave you guys. Hear you soon!" la voce di Essa le giunse ovattata attraverso la porta della loro camera. La sentì ridacchiare e schioccare un bacio contro la punta delle dita. Sorrise, stringendosi il lenzuolo contro il viso.

Essa entrò poco dopo, equilibrando una tazza di caffè in una mano, il telefono nell'altra e i loro due pacchi di biscotti preferiti sotto le braccia. Sul viso aveva dipinto uno dei suoi sorrisetti concentrati mentre cercava di scacciare la lunga coda di cavallo lontana dalla tazza.

Emily strisciò contro la testiera del letto, mettendosi seduta a gambe incrociate.

"Bonjour, mon amour" la salutò, sentendo il petto colmarsi di calore quando Essa si fermò ad un passo da lei, incrociando finalmente il suo sguardo.

"Bonjour..." Essa le passò la tazza, con le sopracciglia aggrottate mentre cercava di riesumare nella memoria le giuste parole "petite artiste...?"

Emily ridacchiò nascosta dietro alla tazza, battendo una mano sul materasso accanto a sé.

Essa la scavalcò con slancio, lasciandosi cadere seduta con grazia accanto a lei, rubandole subito un lembo di coperta.

"Piuttosto fantasiosa, lo apprezzo."

Essa arricciò il viso in una smorfia divertita, accostando i piedi freddi ai suoi fianchi, facendola sussultare con una mano sopra la tazza per impedirsi di rovesciare il caffè. Per sua fortuna le era sempre piaciuto il cappuccino tiepido.

"Non è colpa mia se avevi usato già tu il mon amour" si strinse nelle spalle, aprendo il suo sacchetto di biscotti e infilandosene uno in bocca. "Piani per la giornata?" le chiese, appoggiando la schiena contro la testiera e allungando le gambe di fronte a sé, allontanando i piedi congelati dai suoi fianchi, facendola sospirare di sollievo.

Emily aveva sempre amato il modo in cui ogni gesto di Essa sapesse di quotidianità, di casa. Dalla sua postura al modo in cui chiudeva il sacchetto di biscotti, dal tono morbido e rilassato ai lunghi capelli biondi che le scendevano attorno come un'aurea. Forse si era innamorata di lei per quello o forse Essa era diventata casa proprio perché si era innamorata, Emily non era certa di quale fosse l'ordine dei fatti, ma si sentiva sempre il cuore scoppiare quando si rendeva conto di quello che aveva. In qualche modo ce l'aveva fatta: aveva trovato la sua persona fra otto miliardi e stavano insieme, nel bene e nel male. E c'era tanto bene, con Essa. Amarla era facile e forse l'amore doveva proprio essere così: una persona che semplicemente diventa casa tua. Richiedeva cura, non poteva mai darla per scontata, ma negli anni aveva imparato che le cose importanti valgono sempre lo sforzo e che, in fondo, tanto uno sforzo non è se poi riesce a salvarti la vita.

"Credo che andrò a vedere di Levi" borbottò pensierosa Emily, allontanando la tazza dal viso. "Non mi risponde da ieri e sto sinceramente facendo del mio meglio per non tirare una scenata. Ma un vaso in testa glielo tirerei, anche se suppongo sia brutto da dire nella sua situazione, giusto?" si girò verso di lei, cercando conferma.

Essa la osservò con sguardo scettico, un sopracciglio delineato alla perfezione ben arcuato, e annuì lentamente.

"Beh, allora diciamo che non lo farò nemmeno" finì l'ultimo sorso del suo caffè e rubò un biscotto dalla confezione di Essa, masticandolo pensierosamente.

"A cosa pensi?" Essa le si era fatta vicina, accostando la spalla alla sua, scivolando con il viso oltre la tendina che formavano i suoi capelli. Sentiva il suo fiato caldo contro l'orecchio. Un brivido le scese lungo la schiena, i peletti delle braccia si sollevarono sotto la maglia leggera.

"Che la vita è un casino, ma io ho te. Qualcosa di buono in fondo devo averlo fatto se dopo tanto tempo ti ho trovata."

"O forse l'ho fatto io, in fin dei conti ti ho trovata io" Essa la fronteggiò con un sorrisetto dipinto sulle labbra, gli occhi chiari e brillanti, degni di una tela esposta al Louvre.

"Che egocentrica" borbottò alzando gli occhi al cielo, lasciandosi andare contro il tuo tocco delicato e deciso.

Non si stava dimenticando di Levi, decise. In fondo erano le otto del mattino, poteva concedersi ancora qualche ora con la donna della sua vita prima di preoccuparsi dei casini altrui, giusto? Non era sua madre, non aveva il diritto di essere tanto apprensiva con lui. Doveva darsi una regolata e, decise, se la sarebbe data rimanendo a casa con Essa e aspettando ancora qualche ora prima di dare di matto e infilarsi le scarpe per presentarsi a casa sua. Le sembrava il piano giusto, il migliore mai ideato, soprattutto quando voltò il viso verso di lei e si ritrovò avvolta dal suo profumo e dalla sua presenza.

***

Emily aprì il cancelletto e si avviò a passo rapido sul vialetto della casa di Levi. Tutto attorno le piante curate scoppiavano di fiori e di vita, profumate e colorate da far invidia ad una serra. Essa si sarebbe fermata a fare delle foto con il sorriso entusiasta di una bambina, facendola impazzire per trovare l'inquadratura perfetta. Emily scacciò un sorrisetto stringendo il manico della borsa sulla spalla, dimenticandosi per un istante del motivo per cui si trovava lì.

Salì i tre scalini che la separavano dall'ingresso e andò direttamente ad infilare la mano in un vaso, l'unico con dentro una pianta grassa. Ne estrasse la chiave di riserva, constatando con piacere che Levi non aveva avuto l'ardire di nasconderla di nuovo. Era ancora incazzata dalla volta precedente.

Aprì la porta con un gesto sicuro del polso, entrando e scalciando di lato le vans consumate.

"Levi?" chiamò guardandosi attorno. Era certa che Livia non ci fosse, secondo i suoi calcoli in quel momento doveva esssere a fare volontariato all'asilo che frequentavano i nipoti delle sue amiche e, secondo il suo orologio, aveva ancora un paio d'ore prima del suo ritorno.

Si tolse la giacca e la abbandonò su uno dei divani in salotto, inoltrandosi poi nel corridoio, guardandosi attorno alla ricerca di tracce del passaggio di Levi.

La casa era tirata a lucido anche più del solito, come se non fosse abbastanza frequentata per essere disordinata. Nell'appartamento di Emily non era mai successa una cosa del genere: dietro di lei abbandonava inconsciamente un caos di oggetti e pezzi di carta scarabocchiata, idee per possibili opere o appunti di cui si dimenticava totalmente l'esistenza dopo pochi minuti. Essa trovava sempre il modo di far apparire estetico e studiato il suo disordine creativo, ma pur sempre disordine rimaneva. Non riusciva nemmeno ad immaginare che un luogo abitato potesse essere così ordinato, asettico.

"Levi?" lo chiamò di nuovo, arrestandosi al di fuori della sua camera. Rimase di fronte alla porta in silenzio, aspettando pazientemente una risposta. Non voleva invadere il suo spazio personale gratuitamente, non era lì per quello. Voleva solo accertarsi che stesse bene, così sarebbe potuta tornare alla sua routine, più serena, senza pensieri intrusivi che le urlavano addosso i peggiori scenari possibili. Era lì per puro egoismo? Forse, ma, in fondo, si disse, al mondo c'era di peggio. Si perse nei suoi pensieri, aviluppati e confusi con le spirali di legno chiaro dell'uscio che aveva di fronte.

Si riscosse all'improvviso quando lo sentì parlare dall'altro lato, il tono basso e ovattato dalla porta che li separava.

"Cosa?" gli chiese, facendo un passo in avanti, ritrovandosi a sfiorare il legno, la frangetta che le pizzicava la fronte.

La porta si aprì di colpo verso l'interno, facendola sussultare all'indietro, con una mano che era corsa istintivamente verso il cuore in tumulto.

"Cosa ci fai qui?"

"Merde" espirò Emily, puntandogli un dito contro il petto "sei un cazzo di coglione, lo sai, sì?"

Si fissarono in silenzio per un istante in cui Emily abbassò lentamente il braccio, cercando di smaltire la scossa di adrenalina e il terrore sordo che le si era arrampicato lungo le viscere.

"Mi riesce piuttosto bene, sì, ce l'ho presente" Levi la osservò con un accenno di sorriso, il viso tirato dalla stanchezza. Solo in quel momento Emily lo guardò più attentamente, rendendosi conto dei lineamenti incavati e degli occhi scuri di sonno, contornati da occhiaie marcate come una linea di matita. Le sembrò più ingobbito del solito, piccolo nella stanchezza di chi non è riuscito a chiudere occhio.

"Ehi," gli si avvicinò cautamente, come se non fosse stato altro che un foglio su un balcone allo scoppiare di un temporale "che cazzo è successo?"

Levi si ritirò istintivamente, facendo poi un passo all'indietro, guardandosi attorno per evitare i suoi occhi. Emily non aveva idea del perché, ma il suo sguardo urlava "colpevole!", proprio come quando si era messo in testa di uscire con Damon nonostante tutti gli avessero detto di non farlo. Non prometteva nulla di buono, lo sapeva già.

Alla fine fece qualche altro passo indietro e le voltò le spalle, senza risponderle, avviandosi verso il letto dove si lasciò cadere a sedere pesantemente, rimbalzando appena sulle vecchie molle che cigolarono pigramente.

Emily lo seguì, sedendosi accanto a lui con la stessa mancanza di grazia.

Si osservarono in silenzio per un paio di secondi, poi Levi spostò lo sguardo sulle mani che si stava torturando, impedendole definitivamente di cercare una risposta nei suoi occhi.

Emily trattenne a stento un sorriso carico di dolcezza e apprensione.

Bene, era arrivato il momento di rimboccarsi le maniche, scoprire la verità e rimproverarlo con affetto, consigliandogli la giusta via, ben consapevole che avrebbe seguito quella opposta. Era Levi, tutto ingenuità e attrazione per i disastri. Un ragazzo perfettamente nella norma, solare, attirato nel loro gruppo di sgangherati problematici da quella sua fatale attrazione che non sapeva gestire. Era dolce, meritava di più, Emily lo sapeva. Meritava amici ordinari, fidanzati ordinari fra cui avrebbe trovato un marito ordinario con cui costruire una famiglia ordinaria -per come si poteva di quei tempi- in una vita ordinaria. Ma no, Levi amava gli estremi, i tormentati. Era sempre stato il ragazzo atletico e popolare, eppure si era subito avvicinato a Veronica, scegliendola nel gruppo di reietti. Poi aveva accolto nella sua vita anche Emily, quasi adulta, squatrinata, un po' troppo entusiasta e troppo spesso ubriaca. Poi c'era stato Damon, che era di fatto tempesta e instabilità. E poi si era legato ad Elisa, innamorata dell'amore ma che se ne teneva ben alla larga, vivendolo con tormento, perché non sapeva conciliarci la sua sessualità. E adesso chissà chi era, l'ennesimo casino che l'aveva attirato nella sua orbita senza che Levi nemmeno se ne accorgesse.

Emily lo amava così tanto che avrebbe voluto liberarlo, allontanarlo da tutti loro e da tutte quelle cose che gli incasinavano la vita, ma non poteva farlo, perché Levi era Levi e a quanto pare le cose luminose sono destinate ad inseguire il buio.

"Ragazzino, si può sapere che succede? Perché diavolo hai il telefono spento? Cerchi di farmi venire un attacco di cuore? Pensavo avessimo chiarito questa cosa."

Levi alzò di colpo lo sguardo nel suo, gli occhi spalancati dalla sorpresa, mortificati ancora prima di rendersi completamente conto di cosa gli avesse appena detto. Dolce Levi, tutto cuore di burro in cui le parole affondavano come coltelli e ci passavano attraverso. Faceva quasi male fisico vederlo con gli occhi sgranati, pieno di sensi di colpa. Un po' gliene attaccò anche a lei, facendole venire voglia di chiedergli scusa, inginocchiarsi di fronte a lui e prenderlo fra le braccia e cullarlo finché non si fosse addormentato, proteggendolo da tutto il male che non sapeva di farsi.

"Il telefono spento?" le chiese e poi si piegò sul comodino per prenderlo, lasciando andare un'imprecazione dolorante quando vide il cavetto del caricatore cadere mollemente a terra.

"Cazzo, sono un idiota."

"Vedo che siamo finalmente sulla stessa lunghezza d'onda" tirò il tono, tirò il sorriso, fece del suo meglio per essere se stessa e ignorare il dolore sordo che sentiva ad ogni battito del suo cuore.

"Merda, scusami" si passò le mani sul viso, fermando la punta delle dita sulle palpebre. "Sono così stanco..." mormorò, con la voce piccola, incrinata.

Emily gli si fece più vicina, posandogli la spalla contro il braccio, la tempia contro la spalla. Ispirò il suo odore e i suoi sensi di colpa.

"Ehi, va tutto bene, succede. Sono solo io che sono diventata un po' iper protettiva ma va tutto bene. Ok?"

Levi annuì, rimanendo ottusamente in silenzio, piegato come lo stelo di un fiore disidratato.

Emily rimase al suo fianco, strofinandogli lentamente la guancia contro la spalla, cercando di consolarlo per come poteva. Sapeva come comportarsi solo quando le persone parlavano e poteva dirgli qualcosa, avanzare ipotesi, consigli, illudersi di risultare in qualche modo utile. Consolare solo con i gesti era un'arte che non sapeva padroneggiare. Era sempre stata goffa e scoordinata nei movimenti, il tipo di persona che ha sempre le ginocchia coperte di lividi e non per i motivi giusti.

Levi si fece piccolo contro di lei, abbandonandosi quasi di peso sopra la sua testa. Lo sentiva respirare lentamente, bruciante di sonno dove le loro pelli si sfioravano. Emily vagò alla ricerca della sua mano, trascinandosela in grembo, dove la strinse e se la rigirò con dolcezza fra le dita, cercando le parole giuste.

Alla fine optò per la cosa più semplice.

Lo allontanò leggermente, ritrovandosi faccia a faccia, con il viso così vicino al suo che avrebbe potuto baciarlo. Forse sarebbe stato più semplice per tutti loro se fosse quella la versione giusta della storia. Ma non lo era. Emily stiracchiò un sorriso, cercando in lui i tratti infantili che la stanchezza aveva tirato fuori, mettendo da parte tutte le brutture. Gli passò una mano sulla fronte, scostando delle ciocche mosse e disordinate, gonfie e annodate fra loro.

"Che ne dici di dormire un po'?"

Levi le lanciò un'occhiata piena di confusione, come se non si aspettasse quello da lei in quel momento.

"Non dobbiamo parlare per forza," lo rassicurò "se non vuoi non lo facciamo e basta, nessuno ti obbliga. Mi basta sapere che stai bene, e se non vuoi parlarmi della tua vita va bene così, non sono mica tua madre."

Guadagnò un suo piccolo sorriso, che le fece sfarfallare il cuore di gioia e di soddisfazione.

"Va bene," Levi si schiarì la gola, cercando di cacciare in fondo il nodo che gliela stava stringendo con forza "ma solo se rimani con me."

Emily agrottò le sopracciglia allo stremo, tirando le labbra in un sorrisetto, costruendo al meglio la sua espressione per fargli capire che era ironica, che voleva soltanto farlo sorridere.

"Pensavo avessimo appurato che non sono tua madre."

"Perché, tu dormi ancora con tua madre?"

"Touchè" gli riconobbe con un sorriso aperto e luminoso, con il cuore un po' più leggero.

Levi ricambiò il sorriso, poi come un bambino, con gesti impacciati e stanchi, si districò dalla sua stretta, infilandosi sotto il piumone. Le alzò un lato della coperta, osservandola mentre gattonava a sua volta sotto, accanto a lui. Subito la cinse in una stretta da dietro, infilandole il mento nell'incavo fra il collo e la spalla, passandole un braccio attorno ai fianchi.

Rimasero in silenzio per un po', ognuno perso nei proprio pensieri, cullato dal respiro dell'altro.

"Milly?"

"Sì?"

"Non è che non voglio parlartene, è che non vorrei fosse così. Di nuovo. Con questo tempismo del cazzo."

Emily si bloccò, lo sguardo incatenato alla sedia della vecchia scrivania mentre cercava di elaborare quelle parole.

"Va bene così, a volte" si decise a dire, schiacciando un po' di più il viso contro il cuscino. Profumava di lui e di ammorbidente, lo stesso che usava sua madre da una vita.

"A volte è un casino e ci vuole tempo. Basta che tu sappia che sono qui, sempre. Se vuoi parlare, passare del tempo insieme o anche solo per farti un pisolino in compagnia. Tanto lo sai, non lavoro e non studio, sono la perfetta compagna di pennichelle: sempre libera e disponibile per infilarmi sotto una coperta."

"Davvero?"

"Davvero. Credo vada bene prendersi una giornata per essere tristi per tutte le cose che non vanno e rimanere sotto le coperte. I sentimenti se non li vivi poi vanno a male quindi vivili e poi, boh, troveremo una soluzione. C'è sempre una soluzione, no? La maggior parte delle volte fanno schifo, ma si sopravvive comunque" allungò una mano sopra il fianco per prendere quella di lui e se la portò al petto, passandosi ogni dito fra le sue. Era quasi strano accarezzare le dita di qualcuno che non fosse Essa, soprattutto se erano le dita di un ragazzo. Non lo faceva mai, Levi in crisi era la sua unica eccezione. Le sue mani però erano affusolate, delicate, sapevano di dolcezza in un modo che non apparteneva nemmeno a quelle di Essa.

Levi le strofinò leggero il naso contro la nuca.

"Allora suppongo che vada bene così, e più tardi ci preoccuperemo di lui" le mormorò con la voce ammorbidita, la stanchezza e il calore che iniziavano a sciogliergli la tensione e la rigidità dai muscoli.

"Certo" gli strinse la mano, assottigliando lo sguardo verso lo schermo del cellulare di Levi che si era appena illuminato.

Lui.

***

Quando si svegliò il sole era già scomparso oltre le tende, lasciando la stanza in una soffusa penombra illuminata dal bagliore dei lampioni esterni.

I privilegi del vivere in un buon quartiere, pensò ancora assonnata Emily, guardandosi attorno, le palpebre ancora pesanti per il sonno e i pensieri tanto leggeri da non riuscire ad afferrarli tutti.

Non osò muoversi, con il terrore di svegliare Levi. Lo sentiva contro la schiena, il fiato caldo che le solleticava la spalla attraverso i buchi della lavorazione del maglione. Mentre dormiva era scivolato lungo il cuscino, piegandosi contro di lei, la fronte appoggiata in cima alla sua colonna vertebrale. La sua mano era sgusciata dalla sua presa, andando a depositarsi chiusa a pugno poco sotto la pressione della fronte.

Alzò lo sguardo verso il comodino dove riposava il telefono attaccato al caricatore. Allungò il braccio per prenderlo e controllare l'ora, ma si blocco a metà movimento. E se avesse visto qualcosa che non doveva? Non voleva violare la sua privacy, neanche per sbaglio, neanche per controllare l'ora dopo un pomeriggio di pennichella passato insieme a lui. Si strinse di nuovo il braccio al petto, abbandonando l'idea. Non avrebbe scoperto che ora era, per il momento, e andava bene così.

Il cigolio della porta sui cardini attirò la sua attenzione, facendole voltare la testa in quella direzione. Livia era vicina allo stipite, una camicia color perla perfettamente stirata che la faceva quasi sembrare un fantasma nella penombra della stanza. Emily non l'avrebbe mai ammesso, ma quella visione, per un istante, le fece correre un brivido lungo la schiena.

"Emily?" sussurrò Livia, individuando a stento il suo profilo nella matassa di corpi e coperte di cui faceva parte. "Sei tu?"

"Sì. Io... sono passata per controllare come stesse. Non rispondeva al telefono."

"Grazie" il profilo di Livia annuì mentre si portava le mani di fronte a sé e se le rigirava. In fin dei conti Levi aveva preso qualcosa anche da lei, oltre al colore degli occhi. "Non sapevo cosa fare per lui. È difficile."

"Lo immagino" cercò di metterci tutta la comprensione possibile, ma sentiva l'imbarazzo macchiarle il tono di voce. Era strano parlare con Livia in quel modo, di Levi. Di solito si intrattenevano in conversazioni senza fine sull'uso del linguaggio inclusivo, sulle nuove frontiere dell'uso del femminile al posto del classico maschile generico. Parlavano di lingua e cultura, non del cuore a pezzi di Levi. Non sapeva cosa dirle, in fondo non era una madre, era a stento una figlia e un'amica. Al suo posto non sapeva nemmeno lei cos'avrebbe potuto fare.

"Questa sera ho una cena con mia sorella" fece una piccola pausa, sistemandosi istintivamente una ciocca di capelli che le era scivolata in mezzo agli occhi. Lo stesso movimento che aveva visto compiere centinaia di volte a Levi. "Tu resti qui, vero? Con lui."

Emily annuì, ricordandosi dopo un istante di troppo che Livia non riusciva a distinguerla chiaramente.

"Certo," le confermò con dolcezza "avverto la mia ragazza e posso rimanere fino a che lei non torna."

"Sei una brava ragazza, Emily" nel tono di Livia c'era una piccola crepa, sottile sottile, quasi impercettibile, ma che lasciava fluire abbastanza affetto e calore da farle stringere fra le dita l'orlo della coperta. Alla fine, la vita ce l'aveva fatta, era riuscita a crepare anche quella donna tutta d'un pezzo.

"Vi ho ordinato la pizza," aggiunse dopo un istante, cercando di ricomporsi "dovrebbe arrivare fra poco."

Emily la percepì lanciare una lunga occhiata a Levi, che riposava inquieto al suo fianco. La mano che le posava contro la schiena si era aperta e richiusa sul suo maglione, stringendone una parte nel pugno nervoso, percorso da piccoli tic.

"Grazie," le sussurrò sorridendo alla sua sagoma "e buona serata. Non si preoccupi per Levi. Andrà tutto bene."

Livia annuì.

"Ci vediamo più tardi, allora."

"A più tardi."

La donna le voltò le spalle, chiudendo la porta che scricchiolò sofferente. Emily rimase in silenzio, cercando di decifrare i suoni dei movimenti di Livia per la casa. Altro beneficio della casa di Levi: accuratamente insonorizzata. Non era difficile credere che la sua prima volta con un ragazzo fosse passata completamente inosservata: in quella casa i muri erano come divisori magici che separano un universo dall'altro.

Decise di farsi forza e sgattaiolare fuori dalle coperte, possibilmente senza svegliare Levi, per non rischiare di perdersi il campanello. Non se n'era resa conto fino a quel momento, ma desiderava ardentemente quella pizza. Non ricordava nemmeno cosa aveva pranzato prima di uscire di casa. Non vedeva l'ora di raggiungere Levi e spegnere la preoccupazione, di tempo gliene aveva dato fin troppo.

Fece del suo meglio, strattonando appena il maglione per liberarlo dalla sua stretta ferrea, ma si rese conto in fretta che la sua missione era destinata a fallire: il sonno di Levi era troppo inquieto per durare.

"Che succede?" mormorò, con il tono impastato di sonno e confusione.

"Niente, tua madre ci ha ordinato la pizza prima di uscire. Volevo alzarmi e controllare di non mancarla."

"Pizza?" le chiese confuso. "Scusa, che ora è?"

"Non lo so" gli rispose lei tirandosi seduta. Gli lanciò un'occhiata dall'alto prima di continuare. Sembrava stare meglio, ma non c'era abbastanza luce per esserne certa. "Non ho controllato il tuo telefono, non volevo rischiare di vedere cose che non dovevo vedere."

"Oh, già" le rispose, alzandosi seduto con lo sguardo basso. "Probabilmente è stato meglio così? Grazie."

Il suo tono incerto le strinse un po' il cuore, spingendola ad alzarsi definitivamente e stiracchiarsi la schiena dopo tutte quelle ore di immobilità.

"Io intanto vado di là, tu se vuoi puoi cambiarti. Se la pizza arriva prima ti avverto, va bene?"

"Sì, grazie."

Emily gli sorrise, sentendo l'improvviso bisogno di scompigliargli i capelli come si fa con i bambini particolarmente carini.

"Apposto" si girò e si avviò verso la porta, facendo finta di non notare lo slancio fulmineo con cui Levi si era lanciato sul suo cellulare e il sorrisetto che gli aveva impercettibilmente tirato le labbra.

Lui.

***

"Allora," Emily posò il tovagliolo sul tavolino dopo essersi pulita le dita e si voltò verso Levi, puzecchiandogli un fianco con la punta di un piede "lui, eh?"

In sottofondo Harry Potter stava brillantemente risolvendo la situazione con l'unico incantesimo del suo repertorio.

Levi fissò la scena ancora un istante prima di incrociare il suo sguardo, come se fosse alla disperata ricerca di una scusa per non guardarla ma al tempo stesso sapesse benissimo che non l'avrebbe trovata sullo schermo.

"Già" borbottò, stringendosi nelle spalle, scivolando ulteriormente con il sedere lungo lo schienale del divano. Lui la pizza l'aveva finita da un pezzo, vorace come un lupo che non tocca cibo da giorni, e in effetti Emily non dubitava che la realtà fosse piuttosto simile.

"Dovrai dirmi qualcosa in più, petit garçon. So che sotto sotto muori dalla voglia di parlarne. Fregatene dei tuoi limiti morali: sono io, ti pare che ti giudico? Al massimo ti faccio pure i complimenti perché era ora!"

"Non sono limiti morali..."

"Ti vergogni? Davvero? Te l'ho appena detto che non potrei mai giudicarti. Probabilmente potrei adorarti ancor di più se mi raccontassi qualcosa che la gente considera vergognosa, sai che adoro quel genere di cose" ammiccò con le sopracciglia, sporgendosi in avanti con il busto verso di lui.

Levi esagerò una smorfia per nascondere il sorriso, alzando gli occhi al cielo.

"Pensi sempre al sesso?"

"Ho cose più importanti a cui pensare, ma rispetto la gente che ha il tempo di coltivare le proprie fantasie più inconfessabili" si strinse nelle spalle, abbozzando un sorrisino divertito.

"Non è il mio caso" Levi tirò il sorriso fino a farlo diventare una linea dritta e un po' triste, abbassando il mento quasi cercasse di nascondersi in sé stesso.

"E allora qual è?" gli chiese Emily con il tono ammorbidito dalla tenerezza, tirandosi le gambe al petto.

"Un po' meglio dell'innamorarsi di un etero."

"Non promette bene."

Levi alzò lo sguardo nel suo, ricostruendo il suo accenno di un sorriso triste. "Già."

Emily rimase in silenzio, aspettando che fosse lui a trovare il modo giusto per dire ciò che voleva.

"Beh," Levi si strinse il labbro inferiore fra i denti, facendo un respiro profondo "non è uno da relazione. O da coming out. Ma almeno non è etero, quindi forse è un inizio."

"Ah, cazzo. E lui ti piace tanto?"

"Dico solo che ringrazio il cielo di aver coltivato un minimo di dignità in questi anni, se no a questo punto sarei assolutamente patetico. Già lo sono un po' anche così."

"Non pensavo ti piacesse così tanto qualcuno" Emily si abbandonò all'indietro, sprofondando nel morbido divano di pelle. Osservava Levi e si chiedeva come avesse potuto non rendersene conto, lui era sempre stato così luminosamente esplicito a riguardo. Forse aveva sottovalutato i segnali, troppo preoccupata da tutti gli altri allarmi rossi che imploravano salvezza. Poi si illuminò.

"È il ragazzo del bar, vero?" si sporse in avanti di scatto, scivolando in avanti e ritrovandosi seduta sui talloni. Levi sobbalzò appena, facendo del suo meglio per dissimulare.

"Io-"

"Anzi, no" lo interruppe, sedendosi più comodamente "sarebbe da stronza chiederti di fargli outing. Lascia stare. Merde, come ho fatto a non rendermene conto? Eppure l'ho visto che faccia hai fatto. Riconoscerei quello sguardo fra un milione" straparlò in un borbottio quasi indistinto, guardando il vuoto attorno a sé come se riuscisse a vedere dei pezzi che finalmente iniziavano a riunirsi proprio di fronte ai suoi occhi. L'aveva visto rivolgere quello sguardo a Damon almeno un milione di volte, eppure non si era resa conto di quanto fosse grave la situazione. Sospettava un'infatuazione, non una di quelle relazioni dubbie che ti prosciugano l'anima per l'incertezza. Ciononostante ora riusciva a vedere il quadro per intero, con tutte le sue torbide sfumature. Il soggetto non sembrava di buon auspicio.

Levi rimase ad osservarla in silenzio, quasi si aspettasse l'arrivo di una di quelle prediche che non ti dimentichi per tutta la vita.

Emily si calmò, posando nuovamente lo sguardo nel suo, notando finalmente la sua espressione contrita.

"Ehi, cos'è quella faccia?" gli chiese con apprensione, lasciando sfumare completamente l'entusiasmo per la recente scoperta.

"Non trovi che io sia stupido?"

Emily si sgonfiò d'improvviso, lasciando cadere le spalle verso il basso. Lo guardò mortificata a sua volta, sentendosi un po' morire dentro.

"No, ma che dici? Ragazzino, perché?"

"Beh, sai, forse alla fin fine è peggio di un etero. Non dici sempre che le cose a metà sono avvelenate?"

"Sì, ma, oh santo cielo, non è mica colpa tua, Levi! Non puoi sentirti male perché ti piace un ragazzo nel closeting e tu frequenti una banda di dichiarati. Io... mi sento una merda se ti ho fatto pensare che ti avrei giudicato male per una cosa del genere. Non è colpa tua, Lee. È una sua scelta, ed è giusto che sia così, anche se mi si spezza il cuore all'idea che qualcuno viva ancora la vita a metà in questo secolo. Certo, è veleno, ma posso solo dispiacermi per lui, non certo per qualcosa che ti riguarda" gli spiegò quasi trafelata, con l'unico pensiero di rassicurarlo, togliergli dalla testa la merda di cui si era convinto e cercare di rimediare a qualcosa che magari aveva detto con leggerezza, senza sapere delle ripercussioni che poteva aver avuto su di lui.

"È che lui mi piace così tanto," quasi la interruppe in un sussurro "così tanto che razionalmente me ne tengo alla larga, ma in cuor mio desidererei anche una di quelle cose a metà, per quanto possano essere velenose e dolorose e sfibranti e destinate a schiantarsi contro un muro di mattoni e terrore." Non la guardava, con il viso ripiegato di lato, ma Emily lo sapeva che aveva gli occhi scintillanti di lacrime. Lo sapeva e basta, come sapeva che quelle parole le stavano spezzando il cuore.

Rimase a fissarlo in silenzio, cercando le parole giuste mentre lo osservava lottare contro il respiro irregolare. Prese a contare i suoi respiri, ad inspirare ed espirare con lui, finché in qualche modo la calma non invase nuovamente entrambi.

"Non voglio farmi male, Milly. Sono così stanco di farmi male" le disse in un sussurro, talmente all'improvviso che la sorpresa le mozzò il respiro. "Ma lui non può farmi altro."

E lo sapeva, aveva ragione, ma Emily avrebbe voluto consolarlo a qualsiasi costo. Avrebbe addirittura ignorato qualsiasi buonsenso solo per dirgli che no, non poteva fargli solo del male, magari poteva cambiare, renderlo felice, diventare la persona giusta per lui, ma si rendeva conto che alla loro età la gente cambia di rado, inizia ad essere tardi, ormai il cervello aveva perso la sua plasticità.  A quell'età se eri un casino difficilmente ti saresti trasformato, se avevi paura di essere te stesso non l'avresti persa. Magari un giorno, una crisi di mezz'età poteva salvarti, scuoterti, riportarti alla vita, ma a trent'anni sono tutti un po' arresi all'idea che ormai sono se stessi. Adulti fatti, ma soprattutto finiti.

Quindi rimase in silenzio, con le dita che le tremavano mentre se le passava lungo il bordo della felpa.

"Forse dovrei scoparci, finire di farmi spezzare il cuore e andare avanti. Tanto ormai va già una merda. Magari se tocco il fondo finirà di andare così male."

Emily si riscosse dal suo torpore, incrociando finalmente il suo sguardo. Le ore di sonno sembravano cancellate da tutta quella stanchezza emotiva che era diventato tanto abile a tenere a bada. Era bravo, ma non perfetto, e stava ancora andando a pezzi.

"E sei certo che ti spezzerebbe il cuore?" gli chiese con l'innocenza di una bambina, sperando per un secondo nel mondo, nelle mille possibilità che i film vogliono illuderti esistano.

"Non è nei suoi piani, non lo vorrebbe, ma l'ha detto chiaro e tondo: lui non vuole seccature, e ritiene che 'essere come noi' sia una seccatura al giorno d'oggi. Lo capisco, ero anch'io così" e spero che anche lui possa cambiare, lo pensò, ma non lo disse, ed Emily ci lesse tutto il suo dolore.

"È per questo che ieri stavi una merda?"

"Non esattamente. Diciamo solo che la mia psicologa mi ha detto che dovrei imparare a prendermi le mie responsabilità emotive e me la sono filato alla velocità della luce, come al solito" ridacchiò con amarezza, torturandosi le mani con studiata lentezza, premendo con forza l'incavo fra una nocca e l'altra. "Però adesso va meglio, sul serio" alzò lo sguardo, urlandole con gli occhi perché ci sei tu.

"A lei ne hai parlato di questa situazione?" gli chiese con pazienza, cercando con cura meticolosa le giuste parole per non interrompere quel filo intimo e delicato di confidenze, il cuore che le batteva forte e scheggiato contro lo sterno fino a farle male.

"Non esattamente. Non capirebbe. Per gli etero è diverso. Può capitare anche a loro, ma la cosa si risolve quasi sempre. Per loro è facile innamorarsi, per loro è più semplice perfino affrontare il mondo quando la persona che amano non è quella che vorrebbe per loro. E poi il mondo li perdona, no? Perché si amano. Ma noi no. Noi veniamo distrutti, siamo invertiti, sbagliati, contronatura. Il nostro non è vero amore, per loro è perversione. Se noi sfidiamo il mondo per amore viene visto come un un affronto, un tentativo di minaccia. Se lo fanno loro ricevono il perdono e la benedizione perché quello sì che è vero amore. Quindi no, non gliel'ho detto, perché non ha la minima idea di cosa significhi vivere con il terrore di amare. Loro lo fanno liberamente, senza neanche pensarci. Non ci preoccupiamo anche quando pensiamo di aver superato il coming out e compagnia, perché lo sappiamo che in questo mondo non siamo destinati ad amare in pace, e non negarlo. Anche tu, in fondo al cervello, ogni volta che prendi per mano la tua ragazza hai quel sottilissimo spillo che ti pungola e ti fa chiedere se va bene, se sei al sicuro o qualcuno ti farà del male o se magari stai distruggendo la carriera della tua ragazza. Lo so che è schifosamente cinico, ma è vero. Lo sai anche tu. Se così non fosse non staremmo vivendo in questo mondo, in questo modo. Non penserei neanche una cosa del genere, se così non fosse. Penserei solo ad amare e non mi sentirei dire in faccia che i miei sentimenti sono solo una seccatura, un evento rivoluzionario che potrebbe turbare la tranquilla pace sonnacchiosa e bigotta di questo mondo. Non sarei rivoluzionario, semplicemente amando. E io non voglio né essere un rivoluzionario né una seccatura. Voglio solo essere io" le lacrime gli scivolarono lungo le guance, lente, sfinite, gonfie di risentimento e tristezza.

Emily sentì anche l'ultimo frammento di cuore frantumarsi, le fiamme della rabbia passiva alzarsi alte fra le macerie. Perché Levi aveva ragione, e chissà da quanto ci pensava, da quanto si teneva dentro quelle parole, affilate e accuminate come vetri rotti. Faceva male da morire, perché in fondo quei pensieri li covavano tutti in fondo al cuore, lascinadoli a macerare e pungere la carne viva. Aveva ragione, ed Emily odiava quella semplice constatazione, semplicemente perché non era giusto. Non volevano essere rivoluzione per il semplice fatto di esistere, volevano soltanto vivere, ma non gli era concesso, non alla luce del sole. O ti nascondi o rendi ogni tuo respiro rivoluzionario. Nessuna via di mezzo. Nessuna possibilità soltanto di essere.

Emily si allungò a raggiunse la sua giacca, frugando dentro le tasche. Le fece male e bene al tempo stesso vedere le spillette pride dell'associazione di cui si occupava. Le ricordarono con forza che erano fieri di chi erano e delle loro definizioni, ma che in un altro mondo non sarebbero servite, per quanto ci fossero affezionati in questo. Ritornò al suo posto, allungando a Levi un fazzoletto e tenendosene uno per sé, stretto con forza in una mano. Quando era uscita quel pomeriggio si aspettava una ricaduta, una situazione difficile, ma non quello. Si illudeva ogni volta che quel dolore sarebbe passato, che prima o poi non avrebbero più sofferto per chi erano, ma ancora non era successo. Per l'ennesima volta erano seduti l'uno accanto all'altra con in mano fazzoletti carichi di lacrime e stanca rabbia.

"Ve bene," si drizzò, infiammata, facendo del suo meglio per scacciare le lacrime dal tono "fanculo gli etero, fanculo le rivoluzioni e fanculo pure alle seccature. Noi non siamo nulla di tutto ciò e ok, va bene soffrire perché questo sistema eteropatriarcale ci ha ficcato in testa che dobbiamo soffrire, ma dopo dobbiamo riprenderci. Perché non è giusto, va bene? Non lo è. E dobbiamo ricordarcelo e insegnarlo al mondo, perché questo deve cambiare. In futuro la gente non deve più piangere soltanto perché esiste, non deve essere rivoluzionaria soltanto perché non si nasconde e non dovrebbe nemmeno esistere questa scelta. Quindi, noi che possiamo, noi che ce la sentiamo, possiamo fare qualcosa, e la faremo. Ci prenderemo il resto della nostra vita per scacciare il sistema eteropatriarcale dalle nostre teste e da quelle degli altri, perché fa sinceramente schifo e la gente starebbe meglio senza, ma non lo capisce. Quindi noi ci proveremo, e speriamo di conoscere il giorno in cui il nostro amore non sarà rivoluzionario ma solo amore, perché questo è. E questo sei tu, Levi. Sei solo tu. Mi hai capito? A prescindere da quello che ti dicono e da quello che pensano. Sei tu, e se ne hai bisogno te lo ripeterò ogni singolo giorno della mia vita, perché è vero, e le cose vere vanno dette. E poi, magari, se le ripetiamo abbastanza a lungo il mondo inizierà finalmente a crederci e a capirci, chissà, ma intanto facciamolo per noi. Va bene? Tu sei soltanto tu, Levi, e io ti adoro follemente in ogni tua singola sfaccettatura. Chiaro?"

"Chiaro."

"Ti amo, Levi Allevi, in un modo completamente platonico e non romantico, ma se ti dovesse servire ti donerei qualsiasi organo e picchierei chiunque, anche uno stronzo alto il doppio di me."

"Anch'io, Emily Dumont" Levi le sorrise debolmente, ma con tenacia, come l'alba che sorge ogni giorno. Allungò una mano verso la sua ed Emily la strinse subito, con sollievo, posandosela sulle ginocchia.

"Bene, cazzo, me lo merito. Sono a dir poco spettacolare."

Levi ridacchiò, gli occhi ancora illuminati dai residui di lacrime ma più limpidi, in qualche modo più sereni. Forse aveva preso una decisione o forse per un istante era riuscito a dimenticarsene, Emily non ne aveva idea, ma ne era grata al punto da non porsi domande. Rise con lui, felice di esserci.

Spazio autrice
Ultimo capitolo dell'anno.
Vi auguro l'arrivo di un anno migliore, anche perché prima o poi le cose belle della vita devono arrivare, no? Quindi perché proprio non quest'anno? Iniziamolo bene, come con i quaderni che poi proseguivano per la loro strada.

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