14. Responsabilità

"Settimana intensa, la sua, signor Allevi."

"Direi di sì."

"E come si sente dopo tutte queste esperienze?" la psicologa si sistemò la montatura degli occhiali, un enorme paio giallo limone, mentre scriveva distrattamente qualcosa su un foglio.

Levi distinse un punto di domanda e pensò che alla fine bastava quello a riassumere la situazione. In fondo lui cosa ne sapeva di come stava dopo essersi preso in faccia il dolore del suo ex, averci quasi dato dentro con il ragazzo che gli piaceva in quel momento e poche ore dopo aver riaccolto sua madre nella loro vuota e silenziosa casa di famiglia? Sapeva a malapena come stava prima, quando il suo unico problema era la gestione del lutto.

"Dipende dal momento in cui me lo chiede."

Se qualcuno mi sta sbattendo contro un muro, o se qualcuno mi sta sbattendo in faccia i miei errori.

"E in questo momento?"

"Credo vada bene. Nonostante tutto non ho ancora perso la testa, è un buon segno, no?"

"Ancora?" la sua psicologa alzò gli occhi dal foglio, piegando il viso di lato mentre incrociava il suo sguardo. Levi trovava sorprendente il fatto che una donna tanto bizzarra e sbarazzina riuscisse ad acquisire in un battito di ciglia un'espressione così seria, posata. Mentre lo osservava e lo interrogava era la professionalità fatta persona. "Crede forse che la perderà?"

Levi la fissò in silenzio per un minuto, cercando di chiamare a raccolta abbastanza pensieri coerenti per formulare una risposta. Rimpianse di non prestare abbastanza attenzione alle sue parole, Damon glielo diceva spesso che rivelavano più di quanto lui non intendesse. Era sempre stato bravo a rispondere con prontezza, senza calibrarne troppo il peso e il significato. Non aveva mai avuto problemi, in fin dei conti in quanti fanno caso alle parole precise che si usano, al giorno d'oggi? Eppure quelli che erano riusciti a metterlo nel sacco erano proprio loro, quelle anime che ricercano i dettagli come gli assetati ricercano la fonte, consapevoli della loro importanza.

"Non sono più certo di nulla," si strinse nelle spalle, unendo la punta delle dita sopra le ginocchia "ma non mi stupirebbe. Non sono mai stato bravo a gestire lo stress. Non sono abituato ad avere tanta responsabilità... emotiva? su di me. Ci sono tante persone che si aspettano qualcosa da me, e me lo aspetto pure io, e non so se potrò accontentare tutti. C'è chi mi scansa, chi mi vuole più vicino, a chi manco e chi non ne vuole sapere di me. A volte mi serve un istante in cui rimettere insieme le idee, cercare di capire che cazzo farne di me, come gestirmi e come gestire gli altri, ma il più delle volte non lo so e basta. Vorrei essere utile, ma non so bene come esserlo, non sono tanto bravo in queste cose. Damon dice che sono bravissimo a risolvere i problemi che creo, piuttosto che a non crearli, e credo che lui mi abbia capito più di tutti. A volte è più semplice agire di merda con la consapevolezza che poi si può chiedere scusa" tirò un sorriso triste sulle labbra, spostando lo sguardo sulle sue mani intrecciate. L'anello che aveva al pollice scintillava, riflettendo un raggio di sole che entrava dalla finestra. La primavera si stava facendo ogni giorno più viva, il sole riusciva a raggiungere gradulamente anche i posti più bui e nascosti, anche quella stanzetta di un orribile e inappropriato arancione.

"Non pensa che la sua prima responsabilità sia verso se stesso?"

Levi contemplò la domanda con astio, come se non fosse altro che un modo velato per sbattergli in faccia il fatto che in realtà per gran parte della vita non fosse stato altro che un egoista, troppo impegnato a difendere se stesso per considerare le conseguenze che ciò aveva sugli altri. Razionalmente sapeva che la psicologa non stesse alludendo ciò, ma in fondo al cuore si sentiva in colpa. Non era forse vero che era stato un irresponsabile emozionale? Si era sempre lavato le mani delle ripercussioni che potevano subire gli altri dal suo comportamento, non considerandolo un suo problema. Aveva trasformato il "sei responsabile solo delle tue azioni, non di come le interpretano gli altri" la sua religione, tirandola fino allo stremo, trasformandola in un elastico pronto a rompersi e a schioccargli in faccia.

Solo una volta aveva considerato le conseguenze del suo comportamento sugli altri, ed era stato doloroso come una pugnalata nelle viscere. Aveva fatto la cosa giusta, ma stava ancora cercando di dimenticare.

Non faceva per lui. Era un egoista che aveva sviluppato dei sensi di colpa dopo che gli avevano aperto gli occhi.

In qualche modo desiderava non aver mai incontrato Damon, poter continuare la sua vita chiedendo scusa dopo aver calpestato cuori e sentimenti senza farci caso. Gli mancava la leggerezza della visione narcisista del mondo che aveva, dove c'era solo lui e quello che gli faceva bene. Dove chiedeva scusa soltanto per riavere al proprio fianco le persone e non perché gli si stringesse il cuore all'idea di aver fatto soffrire qualcuno che amava. Era tutto più semplice, meno intenso.

Era diventato una persona migliore, ma a che prezzo?

"Il mio problema non è quello. Il mio problema è che ho sviluppato i sensi di colpa. Faccio quello che ho sempre fatto, ma adesso ne vedo le conseguenze. Sono la mia priorità, ma ho imparato che non considerare gli altri al mio pari mi porta a stare comunque male. Quindi cosa dovrei fare? In ogni caso qualcosa mi ferirà. Non posso scegliere me o gli altri, perderei a prescindere dalla scelta" Levi tirò un sorriso triste ed arreso, cercando in qualche modo di alleggerire il peso che gli si era posato sul petto. Succedeva sempre quando affrontava quel lato del suo carattere, la sua natura egoista di cui non riusciva mai a liberarsi fino in fondo. Sapeva metterla da parte, ma quella sarebbe tornata a galla ogni volta, lo sapeva per esperienza. Provava ad essere migliore, ma in qualche modo finiva sempre per tornare a ferire chiunque lo circondasse, soffrendone poi a sua volta. Era diventato una creatura di mezzo, inadatta alla vita.

La psicologa lo osservò picchiettando la penna contro un palmo aperto della mano. Aveva lo sguardo distante in un pensiero, le labbra strette come se stesse decidendo se dire o meno una cosa.

Dopo un intero minuto di silenzio incrociò nuovamente il suo sguardo, con la decisione dipinta in fondo agli occhi. Aveva scelto la sua strategia.

"A volte a cercare di salvare capra e cavoli si finisce con il non salvare nulla. È importante prendere una decisione e crederci fino in fondo. L'ha detto lei stesso: non può impedire che tutti soffrano. Quindi faccia una scelta, a volte salvi la capra e a volte i cavoli, ma si ricordi di non affondare lei per primo: così non riuscirebbe a salvare nessuno.

"Fa bene ad aver paura, non esiste una risposta giusta a quello che le frulla per la testa. Esiste solo una decisione che può prendere e la sua capacità di conviverci. Lavori su quella piuttosto che su un vano tentativo utopistico di non far soffrire nessuno. Non può farlo. Può prestare la massima attenzione su uno di questi aspetti, ma nulla più. A volte deve solo decidere quale di queste situazioni le farà meno male, scegliere quale cuore spezzare in vista del futuro. È una cosa che tutti affrontiamo ogni giorno: è impossibile non ferire mai nessuna delle persone che amiamo. A volte si può evitare, altre no, ma non possiamo andare allo sbando solo perché non sappiamo gestire la cosa" fece una pausa, appoggiando le spalle contro lo schienale della poltrona. Si sistemò nuovamente gli occhiali, spingendo la parte centrale della montatura sul ponte del naso.

Poi riprese con un tono più morbido, macchiato di una tenerezza che di solito non gli concedeva. Solitamente usava un tono contenuto, asciutto, diretto. Diceva quello che doveva, ascoltava, appuntava e valutava criticamente la situazione prima di esporgli un nuovo punto di vista, senza alcuna emozione in mezzo. Eppure gli aveva dimostrato che in fin dei conti non le era indifferente, che per quanto a volte potesse sembrare insensibile era solo professionale.

In quel momento, la visione di quella donnina ironica e apparentemente fredda come il ghiaccio gli scaldò il cuore. In fin dei conti le era più affezionato di quanto non volesse ammettere.

"Vedo che le piace ragionare in modo cinico quindi le presento questa proposta: la cura emozionale di sé e del prossimo messa su una scacchiera. Deve prestare attenzione alle sue mosse se vuole salvare i pezzi importanti, ma prima di tutto deve capire chi sono i suoi pezzi importanti. Lei lo sa?"

Lo sapeva?

Levi non ne era certo, ma a quella domanda non aveva potuto fare a meno di fronteggiare diversi sguardi nella sua mente. Occhi di tempesta. Occhi scuri d'insicurezza. Occhi come i suoi, ma dal taglio rigido e implacabile. Occhi sorridenti e calcolatori.

Erano i suoi pezzi importanti, quelli? Era in grado di accettare che nella vita li avrebbe fatti soffrire, per quanto li amasse?

In quell'istante desiderava soltanto scacciarli, nascondersi nella sua stanza, lontano da tutte le responsabilità emotive che doveva imparare a prendersi. Non voleva essere responsabile di alcun dolore. Voleva soltanto che vivere fosse più semplice, perché forse non era capace di figurarsi l'emotività altrui per scegliere al meglio le sue mosse. Si sentiva come un elefante in un negozio di porcellane. Gli sembrava che l'unica soluzione per non causare alcun danno fosse immobilizzarsi e trattenere il respiro. Non riusciva ad accettare che l'unico modo per andare avanti fosse imparare a camminare sui cocci che lui stesso aveva causato. Cocci dei sentimenti altrui, delle persone che amava. Era davvero questo, vivere?

Lanciò un'occhiata disperata al suo orologio da polso, sentendosi in parte rincuorato dal fatto che l'ora fosse finita. Poteva andarsene, fuggire da quella seduta e da quella donna che riusciva a sconvolgerlo come nessuno era mai riuscito prima di lei.

"Non lo so, forse. Ci penserò. Ora però l'ora è finita. Devo andare" si alzò in tutta fretta, lanciandosi la giacca su un braccio prima di raggiungere la porta in due falcate. Sentiva lo sguardo della psicologa su di sé, gli bruciava la schiena, penetrando fino alle ossa, incendiandole.

Lo fermò con la mano sulla porta e gli chiese: "La rivedrò fra due settimane?"

Levi voleva urlarle di no, scappare da quel posto e dai suoi pensieri. Invece rimase dritto in piedi, a fronteggiare la porta, cercando la forza di fare quello che doveva per il suo bene, per quanto sarebbe stato dannatamente difficile. Era così che si sentiva Damon ogni giorno? Levi iniziava a capire perché sembrasse sempre così stanco. Era sfiancante lottare contro gli altri, ma mai quanto contro se stessi.

"Sì" le rispose invece, ignorando il cuore che gli batteva in gola come un tamburo. Sì, sarebbe tornato, l'avrebbe affrontata di nuovo e forse poteva imparare come accettare le sue responsabilità. Non ne era certo, ma ci voleva provare. Forse era stupido, ma nel profondo voleva rendere Damon fiero di lui perché, in fin dei conti, rimaneva la persona che non tollerava di deludere. Voleva renderlo felice, accontentarlo in qualsiasi modo, anche superando i suoi limiti, e sapeva di poterlo fare, perché lui non avrebbe mai preteso qualcosa che Levi non potesse fare. Voleva fare qualcosa per giustificare la fiducia cieca che aveva avuto in lui per tutti quegli anni. Voleva meritarsi il suo affetto, il suo perdono. Voleva ritrovare un nuovo equilibrio fra loro e lo sapeva, voleva troppo, ma era l'unico modo che aveva per andare avanti.

Si congedò velocemente dalla psicologa e poi uscì dal suo studio, ritrovandosi da solo nel piccolo corridoio vuoto. Sentì il bisogno di sfogare la sua frustrazione, ma sapeva di non poterlo fare in quel posto.

Si infilò la giacca in fretta e uscì dall'edificio, accompagnato dallo scricchiolare delle suole sulle piastrelle anonime.

Raggiunse la sua auto, lasciandosi cadere al posto del guidatore. Incrociò le braccia sul volante, posandoci sopra la fronte, sentendosi al tempo stesso terribilmente vuoto e con troppo dentro.

Iniziare un percorso di terapia era un fottuto sport agonistico, ma nessuno te lo dice, all'inizio. Sembra tutto così semplice, non ci credi nemmeno che parlando tu possa risolvere i tuoi problemi. Infatti tu parli, e poi una persona rovescia completamente le tue convinzioni e le tue emozioni. Trova il modo di presentarti una nuova prospettiva, resettare le idee sbagliate. Ti guidano nella costruzione di nuovi modi di pensare, di agire, e sì, parli soltanto, ma le parole hanno un potere immenso. Le parole possono cambiare una vita, dannarla o salvarla. Levi stava iniziando a smettere di sottovalutarle.

Sentì le lacrime pungergli gli occhi, ma non riuscì a piangerne neanche una. Perché gli veniva da piangere? Perché riusciva a sentirsi così sbagliato nell'arco di pochi minuti? E poi, lo era davvero o era solo l'effetto di un pessimo periodo?

Non era certo di volere quelle risposte, non era certo più di nulla. Sapeva solo che i suoi punti dolenti continuavano a fare male, per quanto la psicologa continuasse a tirarli in ballo per poterli rielaborare. Con alcuni iniziava a funzionare, con altri sortiva soltanto l'effetto di rigirare il coltello nella piaga. Il come affrontare la propria emotività e quella degli altri rientrava ancora nel secondo caso. C'erano così tanti fallimenti inflitti come tagli sulla sua schiena che era impossibile cercare di curarne uno senza sfiorarne dolorosamente un altro. Era stato un disastro troppo a lungo.

Lentamente si appoggiò di peso contro il sedile, passandosi stancamente le mani sugli occhi chiusi, salendo fino ad insinuarsi fra i capelli.

Un tempo avrebbe guidato fino a casa di Marco per cercare una distrazione, ma cercava di non essere più quella persona. In quel momento invece accese il motore con gesti lenti e misurati, dirigendosi poi verso casa sua. Tornava da sua madre, nella casa in cui sapeva di poter limitare le sue stronzate. Avrebbe lasciato il telefono in un'altra stanza e forse avrebbe passato del tempo con lei, fornendosi una scusa per non pensare, o forse si sarebbe chiuso in camera sua, fissando il soffitto come quando era ragazzino, sentendosi ancora una volta sbagliato, oppure avrebbe potuto fare una cazzata delle sue, chiamando la persona sbagliata, o magari avrebbe chiamato la persona giusta. Ancora non lo sapeva, però voleva tornare a casa, solo quello, il resto era un problema del futuro.

Spazio autrice
Siamo sopravvissutə alla prima parte delle feste, continuiamo così!
È il momento di stilare la lista dei buoni propositi e godersi gli ultimi giorni di elettricità festiva. Nella mia lista c'è la voce "smettere di distruggere emotivamente i miei personaggi", ma non credo che la rispetterò.
Aggiornerò ancora molto a breve (mi sento indietro e frustrata, e poi sta arrivando una delle mie parti preferite quindi bisogna muoversi) ma intanto vi faccio gli auguri di buone feste e i complimenti per essere sopravvissutə.
Continuate così,

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