13. Universo

"Merda."

Levi espirò, cercando disperatamente con le mani un appiglio sugli armadietti dietro di sé. Le gambe gli tremavano, minacciando di farlo finire a terra da un secondo all'altro.

Si aggrappò alla maniglia di un'anta, sollevandosi appena prima di perdere completamente l'equilibrio.

Non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, il suo corpo reagiva per lui, lo teneva in piedi, cercava appigli, stringeva e desiderava ignorando completamente il suo cervello. C'era una divisione così netta che non aveva idea di come si sentisse, sapeva solo cosa voleva. Viveva per il presente, ignorando tutte le conseguenze che sarebbero venute a bussare alla sua porta in meno di qualche ora. Non aveva avuto il tempo di riflettere o ragionare, aveva soltanto reagito, forse perché sapeva che la risposta che gli avrebbe suggerito la sua mente non gli sarebbe piaciuta. Quella situazione invece gli piaceva da matti, con il fiato corto e le ginocchia che gli tremavano al punto da piegarsi sotto il suo peso. Non si sentiva così vivo da così tanto tempo che non si fece nemmeno lo scrupolo di provare ad opporsi con la logica, anzi, si aprì ancora di più, desiderando scomparire o bloccare il tempo nell'eternità di quell'istante.

Gli armadietti freddi dietro la schiena, l'aria densa di vapore e profumo di bagnoschiuma, il fremito per la consapevolezza che era un cazzo di sbaglio in un cazzo di luogo pubblico. Avrebbe perso la testa anche senza avere le sue labbra addosso, le mani che vagavano sotto la maglietta cercando la via per toglierla. Avrebbe perso la testa anche solo trovandoselo di fronte, semplicemente a fissarlo con quel suo solito sorrisetto che in quel momento era disteso sul suo collo, con il velo di barba che lo pizzicava e gli faceva dimenticare come respirare in modo regolare.

Marco riuscì a sfilargli la maglietta, schiacciandolo con il suo corpo contro gli armadietti, come se avesse intuito che ormai non riuscisse più a reggersi sulle gambe.

Il gelo gli pervase la schiena, togliendogli il fiato per un istante, facendogli ispirare tutta l'aria in un sussulto.

Marco lo baciò, spingendosi sulle punte dei piedi per raggiungerlo, puntando tutto il peso del suo corpo contro di lui.

Pelle bollente e metallo gelido. Levi sentì la propria pelle pizzicare sotto i brividi.

Sentiva la vita scorrere nelle vene, inebriato da tutte quelle sensazioni che erano rimaste sepolte nella memoria. Ne voleva di più, sempre di più, vedendo sbiadire ogni secondo tutti i progressi che aveva fatto in quegli ultimi mesi. Voleva con rabbia, pretendeva di potersi lasciare andare a quelle sensazioni perché le meritava, come pegno per essere sopravvissuto a tutta la merda che gli era capitata negli ultimi anni. Meritava di estranearsi dalla sua mente per un po', stringersi contro qualcuno, graffiargli la schiena per tenerlo ancora più vicino, stare bene mentre era qualcun altro ad occuparsi di lui.

Desiderava con tutto l'ardore con cui aveva odiato il mondo in quei mesi, lasciandosi bruciare da quell'unico pensiero.

Levi gli risalì le spalle e poi il collo, piazzandogli le dita fra i capelli, tirando quei ricci che l'avevano ossessionato dal primo istante in cui l'aveva conosciuto. Lo sentì lamentarsi contro le sue labbra e dominò a stento l'istinto di tirare più forte. Nonostante lo volesse al punto da sentire dolore fisico riusciva ancora ad imporsi dei limiti, controllarsi per sfiorare il burrone senza caderci dentro. Forse, da qualche parte, c'era ancora una speranza per lui, fra il bisogno di artigliargli la base della schiena e l'imposizione di non farlo.

Le mani di Marco stavano vagando sui suoi fianchi cercando di calargli i pantaloncini quando la suoneria del suo cellulare l'aveva riportato alla realtà, bloccando sul nascere il sospiro impaziente che aveva sulle labbra.

La suoneria personalizzata di sua madre stava suonando per la prima volta dopo settimane.

Il cervello gli si azzerò.

Mollò la presa dai suoi ricci e rimase immobile fra le sue mani, con i pantaloncini calati a metà su un fianco.

Marco gli si allontanò appena, con le pupille dilatate e febbrili, che saettavano da un dettaglio all'altro del suo viso cercando una risposta.

"Tutto apposto?"

Levi scivolò dalla sua presa senza rispondergli, inciampando sui suoi stessi piedi per la fretta, recupernado in poche falcate tremanti la panchina su cui aveva abbandonato il borsone.

Si lasciò cadere seduto di peso, frugando ansioso alla ricerca del cellulare sotto i vestiti e tutte le stronzate inutili che si accumulano quando non si fa pulizia da un pezzo. La sua mente in quel momento doveva avere un aspetto non dissimile.

Si portò il cellulare all'orecchio, riuscendo a stento a schiacciare l'icona verde per quanto gli tremassero le dita. Strinse la presa sul cellulare, schiacciandolo contro la guancia per cercare di dargli una stabilità e al tempo stesso trovare un appiglio per se stesso.

"Pronto?" gli tremava anche la voce, piccola ed incerta come quella di un bambino che si rende conto di essersi perso. Non c'era una singola cosa che in lui non tremasse in quel momento, per un motivo o per l'altro.

Alzò a fatica lo sguardo, cercando una direzione in cui puntarlo, anche se sapeva già dove sarebbe stato calamitato.

Marco lo osservava dall'altro lato degli spogliatoi, con le loro magliette ai suoi piedi e la confusione mista alla frustrazione a scolpirgli i lineamenti. Era incredibile quanto potesse risultare attraente anche in un momento del genere, ricordandogli che in quella sua testa c'erano così tanti problemi che non riusciva a smettere di desiderarlo nemmeno mentre aspettava di sentire la voce di sua madre dopo settimane in cui non aveva sue notizie.

"Levi?"

Un colpo al cuore. Un istante di silenzio e poi un respiro profondo per ritrovare il fiato.

"Sì, sì, sono io."

"Tutto bene, tesoro?"

"Certo, sì, ho solo appena finito allenamento, mamma, tutto bene. Piuttosto tu, come stai?"

Il silenzio regnò per un istante, riportandolo ai primi giorni dopo la morte di suo padre, quando nessuno in casa sua riusciva a dire una parola.

"Bene. Si sta molto bene da tua zia."

"Ah..." si sentì sgonfiare e si vergognò un istante dopo per aver lasciato trasparire la delusione.

Con sua madre aveva sempre avuto un rapporto strano, troppo stretto e conflittuale al tempo stesso. Non lo credeva possibile, ma gli mancava. Voleva condividere di nuovo la quotidianità con lei, ma non aveva alcun diritto di farla sentire in colpa se lei non se la sentiva.

Quella casa era troppo grande per loro due e al tempo stesso troppo piccola per contenere tutta la memoria di suo padre. Nell'aria c'era ancora il suo profumo e sui mobili la sua ombra un po' sbiadita.

Levi sentì una stretta allo stomaco e cercò di ricacciarla indietro, come se fosse una lacrima fastidiosa che gli offuscava la vista.

"Cioè, scusa io non-"

"Vorrei tornare a casa, tesoro" sua madre lo interruppe quasi con dolcezza, senza però abbandonare il suo solito tono autoritario.

Levi rimase con le labbra socchiuse, fissando il muro bianco e spoglio accanto a sè, in silenzio, ben attento ad evitare lo sguardo di Marco o a lasciarsi scappare un sospiro.

"Davvero? Cioè, ne sei sicura? So che- insomma-" le lacrime gli bloccarono la voce in gola e si maledì perché quella conversazione non meritava spettatori. Il suo crollo emotivo perché gli mancava la mamma non meritava spettatori.

"Sì. Mi manchi" sua madre non gli era mai sembrata così vecchia e stanca come in quel momento, piccola ed arresa contro il mondo. Sapeva che aveva superato i settant'anni da po', ma lei non lo aveva mai dimostrato. Era sempre stata attiva, con qualcosa da fare, sempre in mezzo alle persone, ad imparare o insegnare qualcosa.

Era una donna rigida, tutta d'un pezzo, il tipo di donna orgogliosa che non sa dire "mi manchi". La vita però aveva finalmente trovato il modo di spezzarla, e quella constatazione gli fece scricchiolare il cuore come l'erba ghiacciata sotto le suole delle scarpe al mattino. Un suono sordo che ricorda il dolore nella sua forma più primitiva.

"Ci vediamo a casa?" le chiese con la voce piccola e tremante, mente due lacrime gli scendevano lente sulle guance. Abbassò d'istinto il mento, cercando in qualche modo di schermarsi nonostante fosse a campo scoperto, completamente vulnerabile.

"Certo" percepì l'accenno di un sorriso in quella voce, una nota tenera che aveva desiderato per tutta l'infanzia e che in lei non aveva mai trovato.

Sua madre era stata capitano inflessibile dell'esercito, suo padre era stato luogo di sorrisi storti. Al suo coming out sua madre gli aveva detto che non desiderava per lui quella vita, che per lui desiderava una vita semplice, felice. Suo padre gli aveva sorriso un po' mesto e gli aveva detto "va come deve andare." Mai prima di quel momento aveva anche solo pensato che sua madre potesse ammorbidirsi, diventare lei quella che cerca un sorriso di consolazione perché il mondo va come va e tu non puoi fare altro che girarci insieme.

"Allora ti aspetto" le sussurrò e poi chiuse la chiamata in fretta, consapevole di avere un singhiozzo che gli stava risalendo lungo la gola. Nonostante sua madre nella vita non gli avesse risparmiato neanche una sofferenza, Levi sentiva il bisogno di farlo con lei, almeno con la piccola donna stanca che l'aveva chiamato per fargli sapere che sarebbe tornata a casa a breve. L'avrebbe protetta dal proprio dolore, perché già di suo ne portava abbastanza sulle spalle. Non era molto, ma a modo suo voleva proteggerla, fare per lei tutto quello che un tempo aveva desiderato che qualcuno facesse per lui.

Scoppiò a piangere veloce ed incontrollato come un temporale estivo, con la testa piena di pensieri che si rincorrevano febbrili e senza senso. Si chiese quanto fosse cambiata, se avrebbe continuato a sgridarlo perché allacciava sempre male i bottoni delle camicie, se in quella loro nuova vita ci fosse finalmente un po' di spazio per quella tenerezza che lega le madri ai figli.

Marco si sedette silenziosamente al suo fianco, posandogli una mano sul ginocchio, rallentando il flusso nervoso dei suoi pensieri.

Rimase in silenzio vicino a lui finché non si fu sfogato, accarezzandogli leggero il ginocchio, disegnando segni concentrici mentre il mondo sembrava rovesciarglisi addosso per poi ritrovare il suo assetto.

Quando si fu calmato, Levi si concesse di odiarsi profondamente per un istante per essersi concesso quel momento di inappropriata debolezza. I pugni stretti contro i fianchi e la vergogna a martoriagli gli organi interni.

Marco forse se ne accorse perché gli si fece più vicino, accostando la spalla nuda e tiepida alla sua. Levi non lo guardava in faccia, ma percepiva l'accenno del suo sorriso aleggiare nella sua visione periferica.

"Non è che per caso hai un preservativo?"

Levi alzò di colpo lo sguardo nel suo, sentendo qualcosa rimescolarsi dentro mentre scacciava l'odio e la vergogna. Lo guardò dritto negli occhi, lasciandosi riscaldare dalla genuinità di quel sorriso e di quella sua uscita, dal modo in cui Marco sapeva essere dolce in modo implicito, senza mai dirtelo sul serio.

Levi accennò un sorriso a sua volta, rilassando i muscoli tesi delle spalle.

"Mi sa di no. Temo che l'universo avesse altri piani oggi."

"Tu dici? Non credevo di meritare addirittura un'azione da parte dell'universo. Devo stargli proprio sul cazzo se ha messo in moto un simile piano solo per rovinarmi una sveltina" il suo sorriso si espanse ancora un po' quando si rese conto di essere riuscito nel suo intento, ammorbidendogli gli spigoli dei lineamenti.

Levi lo adorò, desiderando dedicargli un tempio tutto suo in cui venerare le sue piccole accortezze emotive. Poi qualcosa in lui scattò, ricordandogli come andava sul serio la vita.

"A volte è gentile e si mette in mezzo prima che qualcuno possa finire di fare una cazzata."

Levi osservò il sorriso di Marco intiepidirsi ma non spegnersi, odiandosi un po' per aver scelto quel momento per fare la conversazione che stava cercando di evitare da un bel pezzo.

"Non che sia colpa tua. Mi piaci da pazzi ma so esattamente cosa vuoi e mi va bene, solo che sono troppo emotivamente instabile per dartelo. Ora come ora potrei innamorarmi di chiunque mi dia un minimo di attenzioni, e tu non vuoi seccature" gli tremò un angolo delle labbra, ma non ci fece caso, facendo del suo meglio per non perdere il sorriso. Non voleva rendere quel discorso ancora più pesante, sentiva solo il bisogno di dirgli la verità. Meglio approfittare fino in fondo del momento di vulnerabilità, non era certo di potersene concedere un altro tanto facilmente.

Marco lo soppesò per un istante, valutando le sue parole e la sua espressione. Sembrava un ragazzo superficiale e a tratti insensibile, al contrario era molto bravo a leggere le persone, a prendere decisioni in base a quello che percepiva in loro. Aveva una sensibilità fine e studiata, non sprecava una stilla del sentimento sbagliato in nessuna situazione.

"È per questo che hai tante amiche femmine?" gli chiese con quel sorriso tiepido che cominciava nuovamente ad ammorbidirsi.

Nonostante tutto la sua mano era ancora posata sul suo ginocchio e Levi non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma in qualche modo che non poteva definire riusciva ad aiutarlo. Poteva concentrarsi sulla pressione di quelle cinque dita e scacciare tutte quelle domande a cui non sapeva rispondere e che lo ossessionavano nelle serate peggiori.

"Probabile" gli restituì il sorriso con una nota di tristezza che veniva dalla profondità dei suoi pensieri, quel tipo di tristezza che macchia tutto di un velo leggero.

Levi si appoggiò con la testa contro il muro alle loro spalle, lasciandosi andare ad un sospiro. Rimpianse amaramente quelli che fino alla mezz'ora precedente invadevano lo spogliatoio. Chissà se sarebbe stato così stupido e irresponsabile nei confronti del suo stesso cuore da cedere di nuovo.

Marco gli si accostò appena, con un'innaturale delicatezza.

Levi si girò nella sua direzione, fronteggiandolo a pochi centimetri dal suo viso, chiedendosi cos'altro avrebbe partorito quella sua mente creativa ed imprevedibile.

"Posso fare un ultimo affronto all'universo?" gli sussurrò, ben consapevole di quanto fosse suadente, con le palpebre socchiuse e il viso piegato di lato.

Levi annuì appena senza rendersene conto, gli occhi incollati ai suoi, evitando accuratamente che il messaggio giungesse fino al suo lato razionale. Di nuovo non voleva fermarsi o dare retta alla ragione. Lo desiderava e basta, e in fin dei conti era una cazzata di molto minore al suo solito. Poteva concedersi quell'ultimo capriccio, chiudere gli occhi e illudersi che non fosse una stronzata nata al momento sbagliato dalle circostanze sbagliate.

Si lasciò andare, piegando appena il viso di lato, andando incontro a Marco, che gli aveva posato le mani fra il collo e le guance.

Si lasciò baciare con una dolcezza inaspettata. Dimenticandosi volontariamente di tutto eccetto della pressione della sua pelle nuda e tiepida contro la propria.

Chiese silenziosamente all'universo perché non potesse essere semplicemente così fra loro.

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