5 - Porto
"Era un piccolo porto, era una porta
aperta ai sogni."
- Umberto Saba -
Lucy
Luce.
Mi sento stranamente tranquilla e spensierata; mi metto a letto e con l'indice destro mi sfioro le labbra. È come se avessi appena baciato qualcuno...
Ho questa sensazione, di aver baciato un ragazzo che non conosco, ma che allo stesso tempo ho già conosciuto, è strano. Sono confusa. Tanto per cambiare.
Mi arriva un messaggio da un numero che non ho in rubrica:
Sono stato molto bene con te, perdente. ☺
- Mal -
Chi è Mal? E dove sono stata stasera? Non gli rispondo, perché non so neanche chi sia. Ormai è chiaro che abbia avuto un'altra delle mie amnesie.
Mi addormento e sogno un ragazzo dagli occhi azzurri. Nash? È bellissimo, ci baciamo in una sala da biliardo. È un sogno? O è successo davvero?
Mi addormento e sogno un ragazzo dagli occhi azzurri. Nash? È bellissimo, ci baciamo in una sala da biliardo. È un sogno? O è successo davvero?
Ma poi il bellissimo sogno si trasforma in un incubo: sono in camera e sto guardando fuori dalla finestra i ciliegi in fiore nei campi poco lontani, è un bellissimo panorama e io mi sento bene, rilassata e spensierata. Ma improvvisamente percepisco gelo nel corpo e tutto si fa freddo, ho la pelle d'oca e i peli delle braccia si rizzano come colpiti dall'elettricità; percepisco una presenza dietro le spalle, il cuore inizia a scalpitare. Mi volto di scatto, ma non c'è nulla di strano, solo lo scaffale di libri, sul quale è poggiata una foto incorniciata di me con mio zio all'età di cinque anni, sorridiamo e lui tiene una mano poggiata sulla mia spalla. Mi rigiro verso la finestra e guardo il panorama floreale. «Lucyyy» sento chiamarmi, qualcuno sta urlando il mio nome con voce soffocata, in effetti sembra più un richiamo sfocato, potrebbe essere il vento, ma peccato sia in camera e non ce ne sia. Controllo le vetrate, ma sono tutte chiuse.
«Lucyyy» sento nuovamente pronunciare il mio nome, adesso sto cominciando a preoccuparmi, il cuore batte all'impazzata. «Chi c'è?» domando con voce strozzata e tremante, ho paura. Mi guardo attorno finché sul letto scorgo un bambino seduto, è quasi invisibile. Mi guarda e ha gli occhi come abissi e la pelle bianca, come un cadavere: «Sei stata tu! Tu sei colpevole! Mi hai ucciso tu! Assassina, assassina, assassina!» scoppio a piangere, perché dei ricordi tornano vividi nella mia mente. Mi sveglio di soprassalto completamente sudata, le lenzuola del letto devono essere cambiate, è tutto bagnato. Mi alzo con una strana sensazione di colpevolezza. Riconosco il bambino del sogno, è quel bambino, e come potrei dimenticarlo? Non posso, rimarrà per sempre legato al mio passato, non lo potrò mai cancellare dalla memoria.
Mi sveglio con questa domanda nella testa e un mix di emozioni che non so decifrare. È domenica mattina, e sono le dieci; non sono nota per essere una mattiniera, amo stare sdraiata sul letto fino a tardi a guardare il soffitto, per avere un po' di tempo per pensare.
Scendo in cucina a fare colazione con fette biscottate e marmellata, mentre mia madre mi prepara un caffellatte. Mi siedo sul dondolo in giardino e sorseggio la bevanda calda.
«Che fai oggi?» mi domanda lei, seguendomi fuori.
«Vado al porto e studio» rispondo, vaga.
«Va bene. Rivedrai quel ragazzo molto carino?»
Che ragazzo? Che sia quel Mal? «No, mamma, non oggi.»
Sono perplessa e il panico mi sta salendo dallo stomaco alla gola, perché non solo ho avuto un'altra amnesia, ma ieri a quanto pare sono uscita con qualcuno. E mia madre lo sa.
Mi vesto e mi dirigo nel posto prestabilito, con lo zaino in spalla; cerco un angolino appartato che faccia al caso mio, e individuo un masso adatto al mio scopo. Mi ci siedo sopra, come se lo avessi già fatto e qualcosa mi avesse mossa verso di esso.
Un ragazzo, a qualche passo da me, mi sta fissando intensamente. Lo riconosco subito, è Nash!
Nascondo la testa tra le braccia e mi sforzo di fingermi immersa nella lettura. Scorgo con la coda dell'occhio qualcuno avvicinarsi e spero tanto sia lui. La persona in questione poggia una mano sulla mia spalla. Mi giro di scatto, col cuore in gola, ma scopro che invece è "soltanto" Karin.
«Ehi, ciao!» Mi abbraccia delicatamente e io ricambio alla stessa maniera. «Che sorpresa! Non sapevo fossi qui.»
«Sì, be', ho deciso all'ultimo di venire a prendere un po' d'aria fresca e del sole» rispondo, abbozzando un sorriso.
«Hai fatto bene. Ti aggreghi a noi? Sono con Melanie e Jim!»
«Forse dopo, grazie...»
Non ne ho affatto voglia, ma nel frattempo ho notato che Nash non c'è più. Dov'è andato? Mi guardo attorno per cercarlo, ma non lo vedo da nessuna parte.
Sospiro, e Karin mi lancia un'occhiata interrogativa. «Tutto bene?»
«Sì, tranquilla. Sono solo... un po' stanca. Non ho dormito bene» mento.
«Ok! Se cambi idea fammi uno squillo.» Mi dà un bacio sulla guancia e si allontana.
Mi sdraio e piego le braccia dietro la nuca. Assorbo il calore del sole, che mi scalda anche il cuore. Cerco di rilassarmi e mi concentro sul mio respiro. Ma all'improvviso un'ombra ricopre il mio viso e percepisco l'entusiasmo della luce sparire dalla mia pelle.
Me lo sfrego, è ancora tiepido.
Apro gli occhi e mi faccio uno scudo inutile con la mano: il sole è coperto da una figura alta e slanciata. La persona in questione si piega sulle ginocchia e avvicina il viso al mio.
Quegli occhi... Nash!
Stropiccio i miei, perché ho il dubbio che sia un'allucinazione. Non lo è, lui è davvero qui.
«Ciao» mi osserva, dolce.
L'ansia mi blocca le corde vocali e il cuore schizza in gola. Mi sento come un masso, senza vita e pesante, non riesco a muovermi. Lui si siede accanto a me e si sposta dalla traiettoria dei raggi del sole, che così ricominciano a scaldarmi. Finalmente riesco a mettermi seduta, lo osservo e aspetto che lui dica qualcosa.
Guarda il mio zaino: «Sei venuta per studiare?»
«Sì» riesco a dire, con la voce roca, ma abbasso lo sguardo perché il suo mi mette soggezione. Quelle iridi azzurre, così limpide, mi inchiodano ogni volta.
«Cosa devi studiare?» mi domanda curioso, passandosi una ciocca di capelli tra le dita.
«Filosofia» bisbiglio. Sto facendo la figura della ragazza timida e impacciata. Devo riprendere il controllo!
«Ah, interessante. Che filosofo state facendo?»
«Eraclito.»
«Mi piace molto.»
Davvero? È pure studioso e intelligente! «E cosa ti piace di lui?» gli chiedo, con curiosità.
«Il suo concetto di trasformazione e divenire: l'Universo è un continuo alternarsi di opposti, come il giorno e la notte, il caldo e il freddo. Tutto cambia costantemente» spiega lui; gli occhi fissi nei miei.
Io mi sciolgo nell'udire la sua voce calda, come una carezza.
«E quindi tu...» continua, «tu non sarai mai più bella di adesso.»
«C-cosa?» Oh, mio Dio!
«Ti trovo bellissima, Lucy, se ancora non lo avessi capito.»
«Grazie» riesco a rispondere, non so come. Sono pietrificata.
Arrossisco, vorrei seppellirmi sotto una pietra del porto.
Nash
Luce.
È mezzogiorno, e il sole è altissimo nel cielo. Il porto è quasi vuoto, anche Karin se n'è andata; probabilmente si è accorta che Lucy era occupata... con me.
«Siamo rimasti soli» le dico sorridendo, guardandomi attorno.
«Sembra proprio di sì.»
È nervosa, perché noto come stringe l'orlo del vestito tra le mani. «Io e te... soli» osservo, mentre lei diventa paonazza.
Le accarezzo il viso con un semplice gesto della mano e lei posa la testa su di essa. Quasi non ci credo di essere riuscito a rimanere solo con lei. È così bella, e delicata.
E se la baciassi?
Lucy
Il mio corpo comincia a cedere sotto il suo tocco delicato. Mi prende la mano e la posa sul suo cuore: pulsa freneticamente, al ritmo con il mio.
Mi afferra l'altra e la intreccia alla sua. I capelli lunghi e biondi si muovono al vento, ribelli. Accidenti, è così bello!
Si avvicina, diminuendo lo spazio che ci divide, sento il suo respiro profondo sul mio viso, poi, quasi posandoci le labbra, mi sussurra all'orecchio: «Se continui a guardarmi così, sarò costretto a baciarti».
Non l'ha detto davvero! Affondo il viso nelle mani, avvampando. Scrollo la testa. Non capisco...
Lui però me lo solleva, poggiandomi due dita sotto il mento, e le sue labbra precipitano sulle mie. Si sciolgono e si amalgamano insieme, diventando un tutt'uno. Le socchiudo, la sua morbida lingua cerca la mia e, appena l'afferra, la abbraccia con desiderio. La sua mano è poggiata dietro la mia nuca e appena ci stacchiamo, mi abbraccia con trasporto, come voglia farmi sentire il suo affetto e il battito forte del suo cuore.
«Mi piaci», confessa con una voce piumata che mette le ali alle sue parole, per volare, infine, nelle mie orecchie.
Lo guardo, sorpresa per la sua inaspettata dichiarazione. Scrollo la testa e lui mi fissa, mettendomi a disagio.
«Non mi credi?»
«È impossibile... perché? Perché io?» Se hai una schiera di ragazze che ti muoiono dietro? avrei voluto aggiungere.
«Perché mi piace lo sguardo innamorato che hai mentre leggi, i tuoi occhi sono meravigliosi, sei delicata, empatica... mi piaci e basta, Lucy. Ecco perché.» Alza le spalle e sorride, come se avesse detto una cosa ovvia.
Sono sbalordita. Stento a credergli. Lo osservo: gioca con un filo d'erba che ha strappato tra le pietre e guarda il cielo. Mi scalda il cuore, sembra così innocente e sincero.
Forse gli piaccio davvero... Il mio cuore rischia di non reggere questa consapevolezza.
«Vogliamo camminare un po'?» mi domanda a un tratto.
Per fortuna! Non vedevo l'ora di alzarmi, il nervosismo mi sta logorando. Così balzo in piedi e lui mi segue; faccio una giravolta su me stessa, in preda all'imbarazzo. La gonna del vestito ruota attorno a me.
Ormai le strade sono quasi deserte, la gente è tutta a casa per il pranzo. Mi prende la mano sinistra e se la poggia sulla spalla, mentre si avvicina a me e afferra quella destra con la sua. Inizia farmi volteggiare, come se stessimo danzando su una musica inesistente, che solo noi possiamo sentire.
Ridiamo, guardandoci negli occhi. Potrei vivere così per sempre.
«Rimani a pranzo con me.» La sua sembra una supplica.
Non posso dire di no se me lo chiede così. Faccio cenno di sì col capo. «Prima fammi avvisare mia madre» gli dico, e lui mi regala un sorriso a trentadue denti.
La chiamo al telefono e le dico che rimango a mangiare da Karin. Per fortuna non mi fa problemi. Ora però devo avvisare anche la mia amica, altrimenti non mi reggerà il gioco in caso di imprevisti.
Le mando un rapido SMS e lei mi risponde con una serie di cuori e faccine estasiate. Sorrido.
Nash mi porta in un ristorantino vicino al porto. «Offro io, prendi tutto ciò che desideri.»
Ordino degli gnocchetti alle ortiche con crema di scampi; lui, invece, degli spaghetti alle vongole. Poi prendiamo due caffè. Mentre sorseggio il mio, lui scorge da sotto la mia manica il tatuaggio.
«Cos'hai sul polso?»
«Oh, questo?» chiedo, e sollevo la manica per farglielo vedere meglio. «L'infinito... un otto orizzontale.»
«Significato profondo» afferma, fissando il simbolo con curiosità.
«Ci sono molto legata.»
«Perché?»
«Mia nonna diceva sempre che l'amore è infinito, non ha né inizio né fine, e che quindi queste due parole indicano la medesima cosa... Ma probabilmente per te non ha senso.» Abbasso gli occhi sulla tazzina vuota. Penserà che sia una sciocca!
«Non deve averlo per gli altri, quel che conta è che lo abbia per te, finché ti rende felice crederci.»
La sua risposta mi sorprende. Così trovo il coraggio di continuare.
«Da piccola credevo che esistesse un principe azzurro per ogni ragazza sulla terra...»
«E non è così?»
«Ho imparato a capire che l'amore utopico non esiste e che l'uomo perfetto non può esserci su una terra che di perfetto ha ben poco.»
«Mmmh.»
Non sa come replicare, però fa una cosa tanto inaspettata quanto dolce: mi prende le mani e si sporge verso di me, stampandomi un bacio a fior di labbra.
E io salto un respiro.
Nash
Dopo aver pagato, la riaccompagno a casa. Abbiamo le mani intrecciate e, di tanto in tanto, le bacio le labbra con dolcezza.
Sembra un sogno, e se è così non voglio svegliarmi. Ho le farfalle nello stomaco, non credo ancora di esserci riuscito.
Le ho strappato un appuntamento senza che la cosa fosse programmata. Ho sentito il bisogno di farlo e l'ho fatto. E lei ha accettato, ed è qui con me... e non si ritrae ai miei baci. Mi prenderò del tempo per gongolare appena sarò di nuovo solo.
La osservo entrare in casa e salutarmi dalla porta.
Ci vediamo domani a scuola, ragazza infinito. «A domani, Lucy.»
Lucy
Domani non ci sarò, vorrei dirgli, ma lascio perdere perché è inutile che lo sappia; tanto è probabile che farà finta di non conoscermi comunque.
Lo ringrazio per il pranzo e sciolgo la mia mano dalla sua; mi avvio verso l'entrata di casa e gli lancio un ultimo sguardo, salutandolo con la mano. Ciao, ragazzo dagli occhi come il cielo.
Prima di entrare, però, lui mi prende di sorpresa e mi afferra il braccio, facendomi quasi cadere. Mi gira, e con uno scatto mi spinge con la schiena sulla porta, e mi regala un bacio appassionato.
La sua bocca è vorace sulla mia, è come se non volesse lasciarmi andare.
E tu non farlo, non lasciarmi mai.
Mi sento male; mi piace da morire, lui è dannatamente bello e con tutta probabilità non immagina neanche quanto sono pazza di lui. Un velo di brividi mi ricopre dalla testa ai piedi, sono spossata.
Si stacca da me con estrema lentezza, i suoi occhi brillano di una nuova luce. Mi accarezza il labbro inferiore con il pollice e poi si allontana, camminando a marcia indietro.
Apro la porta ed entro, poi mi fiondo in camera mia e apro la finestra. E lui è lì, che guarda in alto, come se sapesse che mi sarei affacciata. Non posso fare a meno di sorridere. Lui ricambia e mi manda un bacio con la mano, poi ci soffia sopra per farlo arrivare fino a me.
Lo vedo allontanarsi tra gli alberi, con passi felini; è dannatamente elegante quando cammina, tutto di lui mi affascina, è perfetto. Sparisce dalla mia vista e io richiudo la finestra. Sospiro, con gli occhi chiusi. Sono uscita a pranzo con Nash, e lui mi ha baciata. Sto volando!
Mi infilo qualcosa di più comodo, lavo i denti con movimenti meccanici, e mi stendo sul letto, pensando a lui.
Ho una ridicola cotta per Nash che dura da dieci anni, precisamente da quando ne avevo sei, quando lo incontrai la prima volta in quel parco con Elisabeth. Già allora avevo capito subito che qualcosa ci legava e che tra noi la questione non sarebbe finita lì.
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