17 - Luna e stella

"Ognuno di noi è una luna:

ha un lato oscuro che non mostra mai a nessuno."

– Mark Twain –

Moon – Siggerr

Moon

È passato del tempo da quella serata in terrazza, circa due settimane. Io e Malek ci vediamo sull'autobus, scambiandoci saluti sfuggenti e qualche volta dandoci il buongiorno. Noto, però, che le occhiate si fanno sempre più intense man mano che le giornate passano. Mi desidera ancora, proprio come me.

Nell'ora successiva alla ricreazione, gli scrivo un messaggio:

Tra cinque minuti davanti al bagno?

La risposta non tarda ad arrivare.

Non vedo l'ora. –

Chiedo alla professoressa Marinette di poter uscire e ho il consenso. Sono agitata, non ci sfioriamo da ormai troppo tempo, come se mi fossi dimenticata la sensazione che ho provato quando le sue mani mi hanno toccata e ustionato la pelle dal desiderio.

Lui mi sta aspettando poggiato di spalle alla finestra, con le gambe distese e incrociate. Ha impresso nel corpo quel suo modo di fare spavaldo e indifferente, anche se so, nel profondo, che con me non riesce a esserlo; lo noto da come mi osserva da lontano e dal modo in cui mi cerca con lo sguardo.

Mi avvicino lentamente, come una sposa all'altare. Passo dopo passo, sento le gambe tremare e perdere sicurezza. Arrivo di fronte a dove è posizionato e lui mi scruta dall'alto in basso, ponendomi una semplice domanda di cui non riesco a comprendere il senso: «Moon?»

Annuisco, inarcando le sopracciglia, e attendo che dica altro. Annulla la distanza che ci divide con l'eleganza di un felino, mi posa la mano calda sulla guancia e fa un sospiro, come voglia imprimersi nell'anima il mio odore. Mentre compie il gesto chiude gli occhi, per assaporare questo momento così delicato e innocente.

Mi lascio andare anche io, perché il suo tocco mi inebria completamente.

Mi prende per mano e mi accompagna nel bagno delle signorine, poi mi spinge in uno scompartimento della toilette, e lì cadono i muri. Inizia a baciarmi con passione, come se aspettasse quel momento da settimane.

Infila la mano tra i miei capelli sciolti e ci passa il naso per sentirne il profumo. Lo passa anche sul collo, stavolta per sentire l'odore che rilascia la mia pelle. Facciamo l'amore con le labbra, mordicchiandoci di piacere e dolore per essere stati lontani così a lungo, senza sfiorarci nemmeno una volta. Mi sfugge una lacrima di felicità sulla guancia. La sua mano accarezza la mia anima e la marchia.

«Mi sei mancato tanto» sussurro.

«Anche tu...» Socchiude gli occhi con dispiacere, accarezzandomi i capelli ai lati del viso.

«Perché ci stiamo nascondendo?»

«Lo sai, Moon. Le voci sul tuo conto a scuola non sono state... belle. Le altre ragazze possono essere cattive, hanno la lingua lunga. Non voglio che ti taglino fuori dalla vita sociale o che si dicano delle altre cattiverie su di te; non lo sopporterei, non stavolta. Ho già preso a pugni Markus in un'occasione, non voglio doverlo uccidere.»

«Lo hai preso a pugni?»

«Sì, me lo hai rinfacciato tu stessa appena l'hai capito. Non te lo ricordi?»

Sembra sorpreso e... sospettoso.

No che non lo ricordo... Amnesia! Di sicuro. «No...» arriccio le labbra.

Che debba dirgli del mio "problema"?

Buio.

Malek

Di nuovo questa incertezza, questi vuoti di memoria.

Man mano i tasselli si uniscono e comprendo cosa stia succedendo, anche se l'ho visto accadere solo nei film di fantascienza: nel corpo di Moon ci sono due persone. Lucy, che non so chi sia, e la mia Moon.

Devo aiutarla! Ma lei lo sa? Non posso attendere sempre che lei torni da me, o chiederle ogni volta se è lei o l'altra.

Ha un problema e io devo darle una mano a uscirne fuori. Anche adesso, vedo che sta cambiando espressione. Meglio che me ne vada, prima che le prenda un colpo vedendomi chiuso con lei in uno scompartimento del bagno!

Le do un rapido bacio sulla guancia e mi fiondo fuori, prima che possa diventare Lucy.

Lucy

Luce.

Da quando ho fatto l'amore con Nash, lui non mi guarda più; o meglio, lo fa, ma sempre in modo sfuggente, come non voglia farsi scoprire.

Oggi ho l'ennesimo appuntamento dallo psicologo e non conosciamo ancora il motivo delle mie complicazioni. Cos'ho? Sono forse pazza?

In autobus c'è Nash e lo vedo con la coda dell'occhio mordersi le labbra mentre mi fissa. Tiene gli occhi incollati alla mia bocca.

Gli si avvicina una ragazza e si siede accanto a lui, i loro visi sono a un soffio di distanza. Lei gli tocca il petto ridendo in modo sguaiato, come una gallina.

Forse a lui piace. Forse mi sono immaginata tutto quello che è successo? Non sarebbe così strano, visto le mie amnesie.

Distolgo lo sguardo da lui, perché vederlo accanto a un'altra mi fa male. Lì dovrei esserci io.

Malek

Non è Moon. Ormai ho imparato a riconoscere le due versioni che albergano nel suo corpo.

Lo capisco dagli occhi; lei mi avrebbe guardato in modo sfacciato e strafottente, divorandomi con il solo sguardo. Lucy, invece, mi osserva senza muovere un muscolo.

Una ragazza, una mezza oca, si siede accanto a me e lei distoglie lo sguardo. Sembra ferita. Moon non si comporterebbe così.

Probabilmente verrebbe a darmi un pugno, sorrido.

Lucy

Dopo la delusione, è la rabbia a prendere il sopravvento.

Perché mi fa questo? Perché ci prova con un'altra sotto i miei occhi? Non lo riconosco. Questo non è Nash, non può esserlo, perché significherebbe che tutto quello che ho vissuto con lui è stato solo un'illusione. E non posso accettarlo. Non voglio crederci: quello non è Nash.

Mi alzo e, dopo aver prenotato la fermata, scendo. Sento degli occhi puntati su di me e per un attimo mi sento come un albero spoglio delle sue foglie.

Questa situazione è ridicola. Ho perso la verginità con uno stronzo. Mi arrabbio con me stessa, le lacrime ormai mi rigano il viso da diversi minuti. Lancio un urlo acuto di rabbia. Alcuni passanti mi osservano, senza parole, anche perché molti mi conoscono sin da bambina.

La cara dolce ed educata Lucy; vaffanculo! Sì, avete capito bene, vaffanculo! Sono una credulona e penso sempre che il mondo sia buono, troppo buono per esserlo davvero. Ma da oggi dico basta!

«Che succede?» chiede mia madre vedendomi varcare la soglia di casa distrutta e con gli occhi gonfi.

«Niente, ho litigato con Karin» le rispondo in modo frettoloso.

Non me la sento di raccontarle la verità, sarebbe come ammettere di essere un'ingenua, quindi preferisco mentirle. Dopo aver mangiato mi rintano in camera e mi getto sul letto, lasciandomi cadere di peso; soffoco la mia disperazione nel cuscino, lo stringo a me, ci poggio più forte che posso il viso fino a farmi mancare il respiro. Lo prendo a pugni e, infine, lo lancio verso un angolo della stanza con tutta la rabbia che possiedo.

«Lucyyy, tra dieci minuti partiamo, preparati!» mi chiama mia madre dal piano di sotto.

Mi alzo dal letto sbuffando e cerco di ricompormi; vado in bagno, apro il rubinetto del lavandino e mi passo dell'acqua fredda sul viso. Magari, vedendomi rossa in faccia, a mia madre potrò dire di essermi lavata con troppa irruenza, sempre che ci creda. Mi pettino i capelli e li raccolgo in una treccia. Sono pronta e scendo.

«Andiamo, forza!» dico, con noncuranza. Ormai non ho più paura, questa è forse l'ottava seduta dal dottore. Mi sono abituata. Spero soltanto che prima o poi mi dica che diavolo ho!

Arrivate, suoniamo al campanello e saliamo le scale; la solita segretaria ci apre il portone, e noi ci accomodiamo in sala d'aspetto. Una donna anziana attende con noi.

È troppo magra, ha i capelli castano scuro, probabilmente tinti, gli occhi dello stesso colore e folte sopracciglia in parte disegnate con la matita. Porta del rossetto scuro con finitura opaca, che le rende le labbra più carnose di quelle che sono in realtà; ha un grosso e vistoso porro sul naso che la fa sembrare una strega.

Lo psicologo viene a chiamarmi come ogni volta. Poggia la mano sulla mia spalla con morbidezza e mi guida all'interno dello studio. So già dove dirigermi: mi sdraio sul lettino con movimenti meccanici e chiudo gli occhi.

«Tutto bene, Lucy?» mi domanda prima di iniziare.

«Diciamo di sì...» rispondo, senza aprire gli occhi. Voglio solo che cominci, così posso tornare a casa a distruggere tutto ciò che mi ricorda Nash.

Lo sento sospirare. «Va bene, iniziamo.»

Comincia a raccontare: «Oggi ti trovi nella tua stanza, accanto alla tua libreria, e uno dei tanti volumi cattura la tua attenzione. Lo prendi, incuriosita. Si apre in una pagina precisa, la numero trentaquattro, dove è stato messo un segnalibro. Il titolo è: Gemelli e doppie personalità. Leggi il testo: "I gemelli sono in continua interazione tra loro e si condizionano a vicenda sia a livello fisico che psichico. C'è una differenza nel caso siano monozigoti o dizigoti. Quella tra i gemelli è una comunicazione stretta, totale. Nel disturbo dissociativo dell'identità, definito anche come Disturbo della Personalità multipla, due o più identità si alternano nel controllo della persona. Il soggetto non riesce a ricordare informazioni che in condizioni normali possono essere facilmente rammentate, come gli eventi quotidiani, importanti informazioni personali e/o eventi traumatici o stressanti, che l'inconscio tende a nascondere"».

Sento il mio corpo muoversi un po' sul lettino, come se stessi scomoda, ma la voce calma e pacata del dottore mi induce a rilassarmi di nuovo.

«Sei stufa di leggere e vai in giardino. Apri la porta e una brezza profumata ti accoglie nella natura, dandoti il buongiorno. Di fronte a te si estende un grande prato verde smeraldo, ti sfili le scarpe per avere più contatto con il mantello della terra e infine ti ci stendi; il profumo della natura che ti circonda ti inebria. Adesso ascolta il tuo corpo a contatto con l'erba soffice, ti pizzica sulle braccia nude, ma è comunque piacevole; trasferisci tutto il peso delle emozioni negative e della vita nel braccio sinistro. Lo senti diventare pesante, gonfiarsi come un palloncino, ma pieno d'acqua: un macigno, ti senti sprofondare nella terra. Con un ago adesso lo pungo e tutta la negatività fluisce dal piccolo foro e vola via lontano da te, rendendo man mano il braccio più leggero, finché non senti entrare in lui tutta la positività e i tuoi desideri di felicità. Ti senti impalpabile, la mano si libra e voli nel cielo. Non c'è più gravità, il tuo arto ti guida, sei felice. Voli, voli, voli! E quando sei in cima al mondo, lo osservi e ne rimani inebriata, vedi la tua vicina di casa annaffiare le piante, un cane correre con velocità, dei bambini giocare ad acchiapparella, una ragazza leggere su un albero, hai il controllo del mondo con i tuoi occhi; ridiscendi sulla terra e rientri in casa; ti vai a fare la doccia e guardi la mano che ti ha permesso di fare questa esperienza unica. Ora, piano piano, torni alla coscienza, arrivi alla deriva e ti svegli.»

Silenzio. Apro gli occhi. Vedo di fronte a me il mio braccio a mezz'aria. Non può essersi alzato per davvero...

Guardo il dottore con espressione sorpresa e lui mi assicura che invece è proprio così: si è staccato dal lettino, mosso dalle sue parole.

«Come ti senti, Lucy?»

«Ho bisogno di confidarti qualcosa...»

«Vuoi parlarne?» mi chiede con tono gentile.

«Sì» deglutisco. Sono un po' confusa. «La ragazza che leggeva era la stessa della biblioteca, ero io, di nuovo.Mentre ero in trance, a un certo punto mi sono distaccata dal tuo racconto e mi è venuto in mentre altro.»

«Cosa?»

«Una macchina rossa, due persone che litigavano e un bambino morto sulla strada.»

«Tu eri presente?»

«Sì.»

«E cosa facevi?»

«Io... litigavo con qualcuno...»

«Non ti ricordi con chi?»

I miei occhi iniziano a vorticare in tutte le direzioni, qualcosa sta accadendo.

Buio.

Moon

Luce.

«Cazzo, no!» sputo fuori.

Un medico mi sta fissando con fare sorpreso. È lo psicologo. Non ricordavo di avere in programma una seduta oggi. Ci sono stata tre volte in tutto.

«Lucy, dobbiamo parlare di un problema serio.» Si leva gli occhiali e si stropiccia gli occhi con due dita.

«Sono Moon, comunque. Te l'avrò ripetuto almeno dieci volte, se includiamo anche gli altri appuntamenti!»

«Scusami, hai ragione.»

Vedo che sta cercando di apparire tranquillo, ma è teso. Lo capisco dalle spalle improvvisamente troppo dritte sullo schienale della sedia da ufficio.

«Sai cos'è la Sindrome della Personalità multipla, Moon?» I suoi occhi glaciali sono preoccupati.

«Qualcosa che riguarda i fuori di testa» rispondo secca.

«Non li definirei così, no. Sono persone che hanno subito dei traumi molto gravi e che per questo hanno creato una scissione.»

«Gente che dovrebbe andare in psichiatria, quindi» rido, ma la mia risata è isterica.

«Non sei una fuori di testa, Moon.»

«E io cosa c'entro?»

«Be', ecco, tu... soffri di questa patologia.»

Scatto sul lettino. «Io? Sei sicuro? Non mi stai prendendo per il culo?» Il cuore mi martella nel petto.

«Temo di no.»

«Andrò in manicomio?»

«No, Moon, no. Si può guarire.»

Si può guarire. Posso porre fine a queste stramaledette amnesie che mi stanno sconvolgendo la vita. «Allora vedi di fare il tuo lavoro» dico, con sicurezza.

«Lo farò sicuramente, promesso.»

E io spero davvero che mantenga la sua parola.

Sto per aggiungere dell'altro, ma all'improvviso mi sento strana e confusa; il dottore mi osserva con le sopracciglia aggrottate, mentre rimango con la bocca mezza aperta pronta a parlare.

Buio.

Lucy

Luce.

Sono seduta sul lettino e il dottore mi sta fissando. Sbatto le palpebre un paio di volte, con la sensazione di essermi persa qualcosa.

«Lucy? Sei di nuovo tu?» mi chiede con tono calmo.

Che significa "di nuovo"? «Sì... io... è successo qualcosa. Lo sento. Ho avuto un'amnesia, vero?»

Il medico fa un lungo sospiro e annuisce. «Le tue amnesie hanno un nome: Sindrome della Personalità multipla. Poco fa stavo parlando con l'altra personalità che vive in te. Si fa chiamare Moon.»

Vengo freddata da quella notizia. Ho una malattia... sono davvero pazza come pensavo. Ma prima che possa chiedere spiegazioni, lui mi anticipa come a volermi rassicurare.

«Lucy, non devi avere paura. Ho già spiegato a Moon che si può guarire, e ti do la mia parola che ce la metterò tutta per aiutarti. Fidati di me.» I suoi occhi di ghiaccio mi attraversano da parte a parte.

Non ho altra scelta: se voglio stare bene, devo fidarmi. Posso guarire.

Il mio sguardo è risoluto quando gli rispondo: «Ok, mi fido di te».

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