Capitolo 9

La musica pulsava ancora attraverso ogni fibra dell'edificio, un ritmo martellante che sembrava sincronizzarsi con i battiti del cuore, amplificando la sensazione di caos che pervadeva l'ambiente. Le risate squillanti, le grida scherzose e le conversazioni sovrapposte creavano un sottofondo assordante, quasi ipnotico. Evelyn e Harper si muovevano con difficoltà tra la folla, cercando di farsi spazio e zigzagando tra studenti che ballavano a caso, corpi che si urtavano e mani che si tendevano a sorreggere bicchieri traboccanti di bevande colorate.

Ogni passo sembrava una sfida. Evelyn sentiva la pressione di spalle e gomiti contro di lei, un contatto costante che la faceva irrigidire. Harper, invece, avanzava con sicurezza, il suo sguardo attento che scandagliava la sala, come se quel trambusto non la sfiorasse minimamente. Intorno a loro, il pavimento appiccicoso tradiva la presenza di qualche bicchiere rovesciato, mentre l'aria era satura di un misto di profumi dolciastri di cocktail, sudore e deodoranti troppo forti. Evelyn cercava di mantenere un'espressione neutra, ma il disagio traspariva nei suoi occhi ogni volta che qualcuno le passava troppo vicino o la urtava senza scusarsi.

«Dove diavolo si è cacciata Madison?» sbuffò Harper, lanciando un'occhiata verso un gruppo di ragazzi che ridevano rumorosamente accanto a un tavolo. «Doveva rimanere con noi, non sparire così.» Il suo tono era tagliente, quasi seccato, come se la situazione la divertisse e irritasse allo stesso tempo. Evelyn si limitò a stringersi nelle spalle, cercando di non far trasparire la sua crescente frustrazione. Con il volto teso e l'aria sempre più irritata, cercava di mantenere la calma. 

Ogni passo che faceva in quel luogo sembrava amplificare il disagio che le pesava addosso come una zavorra. Il sudore altrui le sfiorava la pelle ogni volta che qualcuno le passava troppo vicino, e il volume assordante della musica martellava nelle sue orecchie, rendendo quasi impossibile pensare chiaramente. Cercò di respirare profondamente, ma persino l'aria sembrava pregna, densa di profumi e odori poco invitanti: alcol, sudore e una lieve nota di tabacco che le pizzicava il naso. Quello che più le dava fastidio, però, era la sensazione crescente di essere fuori posto, un'anomalia in un mondo che sembrava procedere a un ritmo frenetico e incontrollabile, totalmente diverso dal suo.

Dopo aver attraversato il salone principale e un paio di stanze laterali, le due amiche arrivarono finalmente a un'area più ampia, dove la situazione non era affatto migliore. Un gruppo numeroso di persone era radunato attorno a un tavolo al centro della stanza, intento in un gioco alcolico che pareva una scusa per ridere e urlare. Le risate scoppiavano fragorosamente a intervalli regolari, sovrapponendosi alla musica e agli schiamazzi generali, creando una cacofonia quasi insopportabile. Bicchieri pieni e vuoti si accumulavano in disordine su ogni superficie disponibile, alcuni rovesciati, con liquidi colorati che colavano lungo i bordi del tavolo e lasciavano macchie appiccicose sul pavimento. Evelyn si ritrovò a fissare la scena con una crescente irritazione, chiedendosi come Madison potesse trovare divertente qualcosa di così caotico e sregolato.

«Eccola lì,» disse Harper, indicando con un cenno del mento Madison, seduta su un divano vicino al tavolo centrale. Intorno a lei c'era un gruppo rumoroso, ragazzi e ragazze che gesticolavano animatamente, tutti visibilmente su di giri. Le guance di Madison erano arrossate, forse per l'alcol, forse per l'eccitazione della serata, e rideva a crepapelle, piegandosi leggermente in avanti per reggersi il fianco, mentre uno dei presenti stava terminando un racconto che sembrava irresistibilmente esilarante. Una bottiglia semi-vuota era posata accanto a lei, e il bicchiere che teneva in mano rifletteva le luci stroboscopiche intermittenti che riempivano la stanza.

Evelyn si fermò un istante, osservandola con un misto di sollievo e irritazione. Da una parte, era contenta di aver finalmente trovato Madison, ma dall'altra il suo atteggiamento spensierato, quasi inconsapevole del caos che la circondava, le dava sui nervi. Non riusciva a capire come potesse lasciarsi andare così, completamente immersa in quel gioco alcolico con persone di cui probabilmente ricordava a malapena i nomi. C'era qualcosa di insensatamente libero in quella scena, un contrasto così netto con il modo in cui lei affrontava le situazioni: con prudenza, misurando ogni passo. Si sentiva improvvisamente un'estranea non solo alla festa, ma anche accanto a Madison, che rideva come se non avesse mai conosciuto un problema al mondo.

Evelyn sospirò, stringendo le braccia al petto come se stesse cercando di proteggersi da quella sensazione di disagio crescente. "È questa la priorità di Madison? Scherzare e ridere con sconosciuti, senza nemmeno chiedersi dove fossimo finite io e Ava?" pensò, un'irritazione sorda che si mescolava al senso di colpa per non riuscire a lasciarsi andare allo stesso modo.

«Madison!» chiamò Harper, avvicinandosi con il suo solito passo deciso, le braccia leggermente ondeggianti come se stesse già preparando una ramanzina bonaria. La sua espressione era un misto di sollievo e leggero rimprovero, come se avesse già intuito in che stato avrebbe trovato l'amica.

Madison alzò lo sguardo, e ci mise un secondo di troppo a focalizzare le due figure davanti a lei. Quando finalmente riconobbe Harper ed Evelyn, il suo volto si illuminò in un sorriso largo, quasi esagerato, che lasciava intravedere un'improvvisa eccitazione. Gli occhi, un po' lucidi, brillavano sotto le luci intermittenti, e le guance erano visibilmente arrossate. «Ragazze! Finalmente siete arrivate!» esclamò, la voce più alta del necessario, mentre alzava un bicchiere vuoto in segno di saluto, facendolo traballare come se fosse ancora pieno. Il gesto fece scivolare qualche goccia residua sui pantaloni di un ragazzo accanto a lei, che rise senza curarsene.

Evelyn notò come Madison sembrasse ondeggiare leggermente anche da seduta, un equilibrio precario che contrastava con la sua abituale compostezza. Il suo modo di parlare aveva una lentezza marcata, quasi come se ogni parola richiedesse uno sforzo calcolato per uscire con la giusta intonazione, ma senza successo. Era chiaro che aveva bevuto troppo.

«Ci stavi evitando o cosa?» chiese Harper, mezzo ridendo, mezzo accusandola, mentre si avvicinava per poggiare le mani sui fianchi. La sua voce aveva un tono giocoso, ma c'era anche un accenno di rimprovero che Madison sembrò non cogliere.

La ragazza scoppiò a ridere, un suono incontrollato e prolungato, mentre si passava una mano tra i capelli in un gesto impacciato che finì per scomporle i ricci solitamente impeccabili. «Io? Evitarvi? Harper, non dire sciocchezze! Stavo... stavo solo... oh, ma che importa? Siete qui adesso! Venite, unitevi!» Si guardò intorno, cercando di afferrare un bicchiere dal tavolo senza nemmeno alzarsi. Le dita sfiorarono una bottiglia di plastica, che rotolò via tra le risate soffocate degli altri del gruppo. «Ops,» mormorò con un sorriso colpevole, alzando le spalle con un'innocenza disarmante.

«Madison, sei... sicura di stare bene?» chiese Evelyn, cercando di mascherare l'irritazione crescente dietro un tono pacato. Ma le braccia incrociate sul petto e lo sguardo severo tradivano il suo disagio. Vederla così la metteva in difficoltà, quasi la faceva arrabbiare: come poteva lasciarsi andare a quel punto, senza preoccuparsi minimamente di loro?

«Sto benissimo!» dichiarò Madison, enfatizzando ogni sillaba con un piccolo movimento della testa. «Evelyn, devi rilassarti! Sempre così... così seria! Guarda... guarda Matthew, è rilassato!» Ghignò, indicando il ragazzo che faceva da assistente nel corso di Sociologia: rideva forte con un altro del gruppo, chiaramente altrettanto alticcio. «Vieni, gioca anche tu! È... è divertente!» concluse con un sorriso traballante che però non riusciva a nascondere del tutto la confusione nei suoi occhi.

Evelyn si voltò verso Harper, che sembrava indecisa se rimproverare Madison o lasciarsi trascinare nel clima festoso. Harper allungò una mano per prendere un bicchiere, un'espressione a metà tra il divertito e il disilluso. Evelyn sospirò. Sapeva che nessuna delle due avrebbe lasciato la festa presto.

«Che gioco sarebbe?» chiese Harper, il suo interesse improvvisamente stuzzicato mentre osservava il gruppo con un sopracciglio alzato. Si era già spostata verso il tavolo, curiosa e vagamente sospettosa, ma pronta a lasciarsi coinvolgere.

Uno dei ragazzi al tavolo, un tipo alto dai capelli scuri spettinati e un'aria troppo sicura di sé, si voltò verso di loro con un sorriso storto, chiaramente compiaciuto della propria spiegazione. «Si chiama Kings. Sai, un classico dei giochi alcolici universitari,» iniziò, con il tono di chi crede di stare introducendo qualcosa di rivoluzionario. «Funziona così: mettiamo un mazzo di carte al centro e ogni carta ha un significato diverso. Ogni volta che peschi, devi fare quello che dice la carta.»

Harper alzò un sopracciglio, la curiosità ora evidente. «E quali sarebbero le regole?»

Madison intervenne, ridendo e scuotendo la mano come se fosse tutto ovvio. «Oh, è facile, Harper! Tipo, se peschi un due, sono 'due per bere': scegli due persone e devono bere. Se è un cinque... aspetta, cos'era il cinque?» Si grattò la testa, chiaramente confusa, prima di scoppiare a ridere senza motivo apparente.

«Il cinque è... aspetta,» mormorò un'altra ragazza al tavolo, stringendo gli occhi mentre cercava di ricordare. Poi alzò un dito con aria trionfante. «Oh sì! Il cinque è 'tutti per terra!' L'ultimo che tocca il pavimento beve!» Al termine della frase, scoppiò a ridere e indicò un ragazzo che sembrava ancora confuso dall'ultima partita.

«Esatto!» intervenne il ragazzo alto, cercando di riportare l'attenzione su di sé. «E poi ci sono i jolly. Tipo il re: se trovi il quarto re, devi bere tutto quello che c'è nel bicchiere al centro, dove tutti versano un po' della propria bevanda.» Fece un gesto verso un bicchiere di plastica al centro del tavolo, il contenuto di un colore poco invitante e dall'odore acre che sembrava una miscela di alcolici improbabili. «È il grande finale.»

Evelyn guardò il bicchiere con una smorfia, l'odore le aveva già dato la nausea. «E se uno non volesse giocare?» chiese, non riuscendo a trattenere il tono critico.

Madison rise ancora, agitandosi sul posto. «Evelyn, nessuno ti costringe, ma è... è per divertirsi, dai! Non è niente di che!» La sua voce era un po' più alta del normale, e sembrava incapace di smettere di ridere. «C'è anche la carta del sette! È tipo... il maestro delle mani o qualcosa del genere, no? Devi alzare la mano e aspettare che tutti facciano lo stesso, e l'ultimo che lo fa deve bere!» Spiegò con entusiasmo, mimando il gesto come se stesse mostrando qualcosa di geniale.

«E poi c'è l'otto: fa rima con...» cominciò a spiegare il ragazzo alto, ma Harper lo interruppe, ridendo. «Okay, ho capito, un gioco per ubriacarsi ancora più in fretta.»

Madison annuì energicamente, i capelli che ondeggiavano un po' disordinati mentre rideva. «Ma è divertente! Matthew è un campione con la carta del re. Ha fatto bere quel coso orribile a tre persone di fila negli scorsi turni!» indicò un ragazzo al lato opposto del tavolo, che alzò il bicchiere in segno di saluto con un sorriso soddisfatto.

Evelyn incrociò le braccia, le dita strette attorno ai gomiti, come a contenere il disagio che le cresceva dentro. Non era solo il gioco, con le sue regole assurde e il bicchiere al centro che sembrava più un esperimento chimico che una bevanda, a infastidirla. Era Madison. La vedeva ridere senza sosta, con i capelli un po' arruffati e le guance arrossate, agitarsi senza un vero scopo, trascinata dall'euforia del momento. Non c'era traccia della ragazza pratica e attenta che lei conosceva, quella che si era sempre dimostrata una leader naturale nei momenti di difficoltà. Al suo posto c'era qualcuno che sembrava aver dimenticato ogni senso di misura, che non si preoccupava di come gli altri la percepissero o delle conseguenze delle sue azioni.

Si sentiva tradita, anche se sapeva che era una reazione irrazionale. Madison non aveva fatto niente di male, tecnicamente. Eppure, vederla così, senza un briciolo di controllo, la irritava profondamente. Era come se avesse smesso di preoccuparsi di chi aveva intorno, inclusa lei. Evelyn strinse le labbra, sentendo una rabbia silenziosa mescolarsi al disagio. Non capiva se fosse più arrabbiata con Madison per averla lasciata in disparte o con se stessa per essersi fatta convincere a venire a quella stupida festa.

Harper, invece, sollevò un sopracciglio, curiosa. «Hmm, sembra interessante.»

Evelyn, da parte sua si sentì ancora più abbandonata a se stessa e continuò a osservare la scena con cipiglio critico, sentendosi come un'estranea in un mondo che non le apparteneva. Il suo sguardo si posò su Madison: era evidente che avesse bevuto molto, e ciò rendeva i suoi comportamenti più spontanei, ma anche più incontrollati.

Intorno al tavolo, i ragazzi lanciavano battute, alzavano bicchieri e gridavano regole confuse del gioco alcolico che stavano portando avanti. Gli occhi di Evelyn, per un breve istante, si posarono su Matthew, seduto con il busto leggermente inclinato in avanti, come se fosse sul punto di svelare un segreto divertente. Il bicchiere mezzo pieno che teneva in mano rifletteva la luce tremolante delle decorazioni, mentre lui sfoggiava quel sorriso disinvolto e sicuro che Evelyn ricordava dalla loro breve chiacchierata dopo il loro scontro di qualche giorno prima.

C'era qualcosa in quella scena che le dava fastidio, una sensazione di estraneità mista a irritazione. Matthew, che le era parso così posato e riflessivo in quell'occasione, ora sembrava un'altra persona, perfettamente a suo agio in quel caos disordinato, quasi contagiato dall'energia irrazionale della festa. Evelyn si sentiva invisibile, fuori posto, come se in quel momento tutti i suoi sforzi per integrarsi fossero inutili.

«Ehi, Evelyn,» disse Madison, rivolgendosi a lei con un tono affettuoso, come se stesse cercando di invitarla a entrare nel vortice di divertimento che si stava sviluppando attorno al tavolo. La sua voce era squillante, e gli occhi brillavano di una lucentezza che solo un bicchiere di troppo poteva spiegare. «Siediti con noi, ti divertirai!»

Evelyn la guardò per un attimo, il cuore che batteva più forte del solito. Madison sembrava completamente spinta dal gioco, lontana dalla ragazza tranquilla con cui aveva imparato a convivere, quella che aveva ascoltato le sue preoccupazioni e l'aveva rassicurata sul fatto che la festa non era nulla di cui preoccuparsi. Ora, però, era un'altra persona, travolta dall'alcol, e le sue parole, che avrebbero dovuto suonare invitanti, le risultavano quasi fastidiose.

«Io passo,» rispose Evelyn, la voce più fredda di quanto avesse voluto. La sua decisione era ormai presa, ma non poteva fare a meno di sentirsi un po' distante, come se quella festa fosse un palcoscenico su cui si trovavano tutti, tranne lei. Non aveva voglia di partecipare a quel gioco in cui tutti sembravano essere dentro, tranne lei. Il suo sguardo scivolò velocemente sul tavolo, sui volti divertiti e sul caos che sembrava contagioso, ma si fermò subito su Madison, che stava ridendo e alzando il bicchiere in segno di sfida. Un sorriso ebbe il tempo di apparirle sulla bocca, ma lo spense quasi immediatamente.

Harper, invece, non perse tempo a prendere posto accanto a Madison, raccogliendo una carta dal mazzo con entusiasmo e lanciandola a chi era seduto più vicino a lei. Evelyn rimase in piedi, leggermente in disparte, avvertendo la solita sensazione di non appartenere a quel mondo, di non avere voglia di cedere alla pressione che sembrava invadere la stanza. Il gruppo continuava a giocare, a ridere, a sfidarsi tra risate e battute, ma a lei sembrava che il rumore si stesse facendo insostenibile. La sensazione di estraneità cresceva, e ogni risata che sentiva non faceva altro che confermare la sua scelta di non unirsi a loro.

Più li osservava, più si sentiva a disagio. L'odore di alcol nell'aria, le battute rumorose, l'assenza totale di controllo... tutto le dava sui nervi. Ma ciò che la infastidiva di più era Madison, che sembrava essersi completamente dimenticata di lei. Evelyn era sempre stata lì per lei, ma ora si sentiva messa da parte, come se la loro amicizia fosse meno importante di un gioco stupido e di qualche bicchiere di troppo.

Con un sospiro esasperato, Evelyn si voltò verso Harper. «Io me ne vado,» annunciò, il tono deciso.

Harper si fermò a metà di una risata e la guardò con sorpresa. «Te ne vai? Ma abbiamo appena iniziato!»

«Sì, beh, voi avete appena iniziato,» ribatté Evelyn, cercando di tenere la voce bassa per non attirare troppa attenzione. «Io non voglio stare qui. È solo... non è per me.»

Madison la guardò per un attimo, confusa, ma poi distolse lo sguardo, tornando al gioco come se nulla fosse. Evelyn sentì una fitta di delusione, ma si sforzò di ignorarla.

Senza aspettare una risposta, si allontanò, il cuore che le batteva forte per l'irritazione. Ogni passo verso l'uscita sembrava liberarla, ma allo stesso tempo le lasciava un senso di vuoto. Non era solo arrabbiata con le sue amiche; era arrabbiata con se stessa. Perché aveva permesso che la trascinassero lì? E perché si sentiva così ferita dal comportamento di Madison?

Uscì dalla confraternita senza guardarsi indietro, respirando a pieni polmoni l'aria fresca della sera. Le stelle brillavano sopra il campus, e per un momento si fermò, cercando di calmare la mente.

Forse avevano ragione: non era solo il posto che non faceva per lei. Era lei che non sapeva come adattarsi.

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