Capitolo 8
L'ingresso dell'edificio della confraternita sembrava l'entrata di un altro mondo, un universo parallelo fatto di luci, suoni, e un'energia pulsante. La porta spalancata, come una bocca pronta a inghiottire chiunque si avvicinasse, incorniciava un flusso continuo di persone. Ognuno sembrava avere un'aria di sicurezza disarmante: c'erano ragazze con abiti scintillanti che riflettevano le luci come specchi in movimento, ragazzi con camicie semiaperte e un sorriso sicuro, e persino alcuni che avevano optato per un look più casual, ma con dettagli che catturavano l'occhio, come scarpe appariscenti o accessori vistosi. Evelyn e Ava, strette una accanto all'altra, si muovevano lentamente, quasi trattenendo il fiato per la tensione. Nonostante i loro tentativi di avanzare con calma, furono spinte all'interno dalla folla che li circondava, come una corrente che non potevano fermare. Gli altri sembravano appartenere a quel mondo caotico, muovendosi con una disinvoltura che faceva sentire le due ragazze come visitatrici in un territorio sconosciuto.
Appena varcata la soglia, furono investite da un'ondata di rumore che sembrava annullare ogni altra percezione. La musica, che fuori era già martellante, qui si trasformava in un vero e proprio muro sonoro. Ogni battito di basso faceva vibrare l'aria e sembrava rimbombare nello stomaco, mentre il ritmo incalzante di una hit pop trascinava il pubblico in un'unica, pulsante energia. Le pareti vibravano al punto che Evelyn si chiese se l'intero edificio non stesse ballando insieme agli studenti. Luci stroboscopiche illuminavano la stanza con flash intermittenti di blu, rosso e viola, rendendo i movimenti delle persone frammentati, quasi surreali, come in una sequenza a scatti. Tavoli lungo le pareti erano ricoperti di bicchieri, bottiglie e vassoi con snack ormai dimenticati, creando un mosaico disordinato che sembrava raccontare la storia della serata. Gli studenti si accalcavano in ogni angolo, formando gruppi che ridevano fragorosamente o cercavano di urlarsi nelle orecchie per sovrastare il frastuono. Al centro del salone, una folla danzante si muoveva in sincronia con la musica, un mare di corpi che ondeggiava sotto i riflessi intermittenti delle luci.
Harper, la più entusiasta del gruppo, entrò con passo deciso, come se fosse la padrona di casa, e il suo sorriso sicuro sembrava irraggiare la stanza più dell'illuminazione intermittente. Il suo vestito nero con le borchie argentate rifletteva i colori delle luci, rendendola quasi magnetica agli occhi degli altri. Ogni gesto era un richiamo: un cenno del capo, un sorriso smagliante, una mano alzata per salutare un gruppo di studenti vicini al bancone. «Ehi, ragazzi!» gridò Harper, la sua voce carica di entusiasmo che superava momentaneamente il frastuono della musica. Era come se conoscesse tutti o volesse dare quell'impressione, fermandosi brevemente a parlare con un paio di ragazzi che sembravano ugualmente a loro agio in quell'ambiente.
Madison, invece, si fece spazio con una grazia disinvolta che bilanciava perfettamente l'esuberanza di Harper. Non appena individuò una ragazza bionda che sembrava in cerca di qualcuno, il suo viso si illuminò. «Lizzie!» gridò, attraversando la folla con la naturalezza di chi si muove in un ambiente familiare. Raggiunta la compagna di corso, la strinse in un abbraccio caloroso, ignorando il caos intorno a loro. «Non ti vedevo dalla scorsa festa di fine anno!» aggiunse, il tono più alto per competere con la musica martellante. Le due si misero subito a chiacchierare, avvicinandosi per coprire la distanza creata dal rumore, scambiandosi sorrisi e risate. Sembrava che nulla, nemmeno il ritmo travolgente e i corpi in movimento attorno a loro, potesse spezzare il filo invisibile della loro conversazione.
Evelyn e Ava, invece, si fermarono appena oltre l'ingresso, scambiandosi uno sguardo pieno di incertezza, come se cercassero nell'altra un'ancora di salvezza. Evelyn sentiva l'aria vibrare intorno a lei, una sensazione quasi tangibile, fatta di musica assordante, risate fragorose e l'odore di dolci alcolici mescolati a quello di profumi costosi. Ogni dettaglio della festa sembrava urlare energia e caos, e questo contrastava con il nodo che le stringeva lo stomaco. Non sapeva se fosse pura ansia o semplice inesperienza, ma qualcosa le faceva desiderare di essere altrove, in un luogo più calmo e controllabile.
Ava, accanto a lei, non sembrava cavarsela meglio. La sua presa sulla borsa era così stretta che le nocche erano diventate bianche, un gesto quasi istintivo per cercare un senso di sicurezza in mezzo a quel disordine. I suoi occhi si muovevano nervosamente nella stanza, scrutando la folla in cerca di un volto familiare o di un angolo meno affollato dove potersi rifugiare. Ogni tanto il suo sguardo incrociava quello dell'amica, e in quei brevi momenti, le due sembravano scambiarsi una muta promessa: non lasciarsi sole in quella confusione.
«Ti avevo detto che sarebbe stato... intenso,» mormorò Ava, anche se la sua voce si perse tra la musica e le risate.
Evelyn annuì lentamente, ma il suo sguardo tradiva un velo di disagio. «Sì, forse. Anche se...» esitò, stringendosi un po' nelle spalle mentre osservava la folla agitarsi al ritmo della musica. «Non lo so, Ava. Non sono sicura che questo sia il mio genere di divertimento.» La sua voce era bassa, quasi un tentativo di ammettere a se stessa ciò che provava davvero.
Il suo sguardo si soffermò su un gruppo di ragazzi che ridevano rumorosamente vicino a un tavolo pieno di bicchieri. Ogni movimento intorno a lei sembrava amplificato: la musica che pulsava incessantemente nelle orecchie, il calore soffocante della stanza, l'odore acre di alcol mescolato a troppi profumi. Evelyn sentiva un peso indefinibile crescere nel petto, una sensazione che non riusciva a scacciare. Si chiese, non per la prima volta, perché avesse deciso di seguire Harper e Madison in quell'avventura.
Ava le lanciò uno sguardo comprensivo. «Sai, non dobbiamo restare per forza. Possiamo trovare un angolo tranquillo, o anche andarcene se vuoi.»
Evelyn scosse la testa, un piccolo sorriso tirato sulle labbra. «No, non voglio rovinare la serata a nessuno. Starò bene... o almeno ci proverò.» Ma le sue parole suonavano più come una promessa a se stessa che una reale convinzione.
Ava fece un piccolo sorriso nervoso. «Forse Harper ha ragione. Potremmo provare a divertirci.»
La compagna rise sommessamente, per poi ribadire: «Sì, ma magari inizia tu. Io mi limito a guardare per ora.»
Nel frattempo, Harper era già tornata da loro con due bicchieri rossi in mano, gli occhi che brillavano di entusiasmo. «Non potete stare qui come due statue,» esclamò, porgendo i bicchieri con un gesto deciso. «Evelyn, Ava, siete qui per vivere, non per sopravvivere!»
Evelyn la guardò con un sopracciglio alzato, le braccia incrociate e un'espressione che tradiva la sua resistenza. «E questo cos'è?» chiese, indicando il bicchiere come se fosse un oggetto sospetto.
«Punch,» rispose Harper con nonchalance, un sorrisetto malizioso sulle labbra. «Probabilmente innocuo. Forse.»
Evelyn sospirò, sentendo il peso dell'insistenza della compagna di stanza. Afferrò il bicchiere, ma con l'aria di chi si prepara a un esperimento scientifico più che a un brindisi. Lo osservò attentamente: il liquido rosso scuro rifletteva le luci colorate della festa, quasi invitandola a mettere da parte i dubbi. Nonostante questo, il suo sguardo restava scettico. «Probabilmente innocuo, eh?» mormorò, ma la sua voce non nascondeva il sarcasmo.
Ava, invece, si strinse nelle spalle, scuotendo la testa con un'espressione ferma. «Passo. Preferisco rimanere lucida.» La sua voce era calma, ma ferma, un contrasto netto con l'entusiasmo di Harper e il silenzioso tentennamento di Evelyn.
«Come vuoi,» disse Harper, facendo spallucce senza perdere il suo buonumore. Si voltò rapidamente e si allontanò, dirigendosi con passo deciso verso un gruppo di ragazzi che la accolsero con sorrisi e risate. Sembrava a suo agio, come se fosse nata per dominare quel tipo di scena.
Evelyn rimase ferma, il bicchiere ancora tra le mani, mentre Ava le lanciava un'occhiata di comprensione. Dopo un attimo, Evelyn decise di fare un tentativo. Portò il bicchiere alle labbra con una lentezza studiata e prese un piccolo sorso, pronta a sputare il contenuto se fosse stato insopportabile. Con sorpresa, scoprì che il punch era dolce, quasi ingannevolmente piacevole, e il sapore fruttato mascherava qualunque cosa ci fosse dentro.
«Non è così male,» disse, tentando un sorriso per rassicurare Ava. Tuttavia, il tono di voce era incerto, come se stesse cercando di convincere più se stessa che l'amica. Il bicchiere restava stretto tra le sue dita, ma Evelyn non sembrava pronta a un secondo sorso. Le sue spalle erano ancora rigide, come se il caos della festa stesse pesando su di lei più di quanto volesse ammettere.
Ava fece un mezzo sorriso, ma il suo sguardo rimase fisso sulla folla. Evelyn si sentì responsabile per entrambe. Sapeva che Harper e Madison erano nel loro elemento, ma loro due avevano bisogno di tempo per adattarsi.
Mentre avanzavano con cautela nella stanza, Evelyn notò Ryan, il ragazzo tanto acclamato da Jake, vicino a un angolo, circondato da amici. Era vestito in modo semplice, con una camicia sbottonata sopra una t-shirt bianca, ma il suo sorriso rilassato lo faceva risaltare tra gli altri. Evelyn lo osservò per un momento, come se fosse stato una cavia da laboratorio, cercando di capire che cosa ci potesse trovare il suo amico, tanto equilibrato e dedito allo studio, in un tipo come quello. Erano così diversi.
«Evelyn,» disse Ava, tirandola leggermente per il braccio e riportandola con la mente alla giusta frequenza. «Dove vuoi andare?»
«Non lo so,» ammise la ragazza. «Ma forse possiamo trovare un angolo tranquillo.»
Ava annuì con sollievo, e insieme si diressero verso un lato meno affollato della stanza, cercando un posticino che offrisse un po' di tregua dal caos. Evelyn si fermò vicino a una mensola decorata con trofei sportivi, osservando distrattamente come i riflessi delle luci colorate si specchiavano sui metalli lucidi. Si sentiva fuori luogo, come una spettatrice in un mondo che non le apparteneva. Ava le lanciò un'occhiata di comprensione, rimanendo accanto a lei in silenzio, quasi come un atto di solidarietà.
Non passarono inosservate. Un ragazzo dai capelli scuri, un ciuffo disordinato che sembrava studiato, e con un sorriso sfacciato dipinto sul volto si avvicinò con un'andatura rilassata. Indossava una camicia leggermente sbottonata che lasciava intravedere una catenina sottile. Teneva un bicchiere in mano e i suoi occhi si posarono su Evelyn con un interesse evidente.
«Ehi, nuove arrivate?» chiese, con un tono che era un misto tra curiosità e una sicurezza che rasentava l'arroganza.
Evelyn esitò, presa alla sprovvista. Le sue dita giocherellavano nervosamente con il bicchiere che teneva ancora in mano. Non era abituata a quel tipo di attenzione, soprattutto da parte di estranei, e le parole sembravano bloccarsi in gola. Sentiva gli occhi del ragazzo su di lei, scrutatori ma non minacciosi, e il suo sguardo oscillò verso Ava in cerca di supporto.
Proprio in quel momento, Harper intervenne come un fulmine, materializzandosi accanto a loro con un'energia travolgente. La sua presenza, sicura e vivace, sembrò riempire lo spazio intorno a loro, e la sua voce tagliò l'aria come una lama affilata. «Ehi, Trent, lascia respirare le mie amiche, ok?» disse, sfoderando un sorriso che tradiva un pizzico di sfida, il tono scherzoso ma con una nota inconfondibile di avvertimento.
Trent alzò le mani in segno di resa, ma il suo sorriso disinvolto rimase intatto. «Tranquilla, Harper, non stavo facendo niente di male. Solo scambiando due parole. È un reato adesso?» chiese, inclinando leggermente la testa, con un'aria di ostentata innocenza che non convinceva nessuno.
«Dipende,» replicò Harper, incrociando le braccia e spostando il peso su una gamba, in una posa che trasudava autorità. «Se per "scambiare due parole" intendi intimidire qualcuno che non ti ha nemmeno chiesto di avvicinarti, allora sì, potrebbe esserlo.»
Trent rise piano, scuotendo la testa come se trovasse divertente la risposta. «Oh, Harper, sei sempre così protettiva. Non pensi che queste due belle ragazze siano in grado di parlare per sé? Magari stai rubando loro l'opportunità di rispondere.» La sua voce aveva un tono volutamente provocatorio, mentre i suoi occhi guizzavano nuovamente verso Evelyn, che sembrava desiderare ardentemente di fondersi con la parete dietro di lei.
Harper non si fece intimidire. Fece un passo avanti, costringendo Trent a indietreggiare leggermente. «Entrambe possono parlare per se stesse, certo,» disse, la sua voce diventando più tagliente. «Ma se stai cercando di metterle a disagio o di giocare a fare il furbo, allora sì, intervengo. Perché sai cosa? Le persone come te non fanno altro che sprecare il tempo di chiunque altro.»
Il sorriso di Trent si affievolì leggermente, ma la sua arroganza rimase intatta. «Wow, Harper, sempre pronta a saltare alla gola della gente. Magari dovresti rilassarti un po'. È una festa, no? Non ho cattive intenzioni.»
«Cattive intenzioni o no,» ribatté Harper, sollevando un sopracciglio, «le mie amiche non hanno bisogno di te per divertirsi. E, per tua informazione, il tuo approccio non è per niente originale.»
Trent fece una smorfia, un'ombra di irritazione attraversandogli il viso. «Va bene, come vuoi. Non c'è bisogno di fare un dramma. Ma lascia che ti dica una cosa: prima o poi qualcuno troverà il modo di abbassarti la cresta.»
Harper rise, un suono breve e pieno di sarcasmo. «Oh, Trent, è bello sapere che almeno sogni in grande. Ora, se non ti dispiace, hai già occupato abbastanza del nostro tempo. Vai a infastidire qualcun altro, preferibilmente qualcuno a cui interessa.»
Trent la fissò per un momento, poi scrollò le spalle con disinvoltura forzata. «Come vuoi, pantera. Divertitevi.» Si voltò e si allontanò, ma non prima di lanciare un ultimo sguardo a Evelyn, che non si era mossa né aveva parlato durante tutto lo scambio.
Harper, senza perdere un colpo, si voltò verso le sue amiche con un'espressione soddisfatta. «Ed ecco fatto. Un altro idiota rimesso al suo posto. Evelyn, Ava, state bene?»
Evelyn annuì lentamente, stringendo ancora il bicchiere tra le mani. «Sì... grazie, Harper. Non so se avrei saputo cosa dire.»
«Non dovevi dire niente,» replicò Harper con un sorriso rassicurante. «Per questo ci sono io. Nessuno mette a disagio le mie coinquiline.» Poi rivolse loro un sorriso deciso, quasi divertito. «Vedete? Questo è il motivo per cui non potete starvene in disparte. Attirate l'attenzione senza nemmeno provarci!» La sua voce aveva un tono scherzoso, ma la determinazione nei suoi occhi non lasciava dubbi sul fatto che si prendesse sul serio.
Ava rise nervosamente, stringendo la tracolla della sua borsa come per aggrapparsi a qualcosa di familiare. «Non credo sia proprio un complimento,» mormorò, cercando con lo sguardo un punto della stanza meno affollato, dove poter riprendere fiato. I suoi occhi riflettevano un misto di ansia e desiderio di scomparire, sentimenti che Evelyn non faticava a riconoscere.
Evelyn sospirò, passandosi una mano tra i capelli per mascherare l'irritazione. Si sentiva al centro dell'attenzione più di quanto avrebbe voluto, e ogni fibra del suo essere desiderava tornare nella tranquillità della loro camerata. Harper, con la sua energia travolgente e la sua costante sicurezza, sembrava incapace di capire quanto quella situazione potesse essere opprimente per chi, come lei e Ava, preferiva osservare piuttosto che essere osservato.
«Harper,» iniziò Evelyn con voce bassa ma ferma, «non tutti si divertono allo stesso modo. Non significa che non vogliamo essere qui, ma... non è esattamente il nostro ambiente.»
Harper inclinò la testa, studiandole per un momento. Poi il suo sorriso si ammorbidì, perdendo quella punta di sfida. «Ragazze, capisco che non siate abituate, ma a volte è bello spingersi oltre i propri limiti. Fidatevi, il trucco è smettere di preoccuparsi di cosa pensano gli altri.»
«Forse, ma non stasera,» intervenne Ava, scuotendo leggermente la testa e incrociando le braccia come se volesse proteggersi dall'energia che la circondava. Il suo tono era calmo, ma il tremolio appena percettibile nella voce tradiva il disagio. «Penso che tornerò in stanza. Non voglio rovinare la festa a nessuno, ma... non me la sento.»
Evelyn la fissò, sorpresa, lasciando che le sue parole si sedimentassero. La voce di Ava, solitamente morbida e pacata, ora sembrava carica di un peso che andava oltre il semplice disagio per la folla. Evelyn sapeva che l'amica non era il tipo da lasciarsi coinvolgere facilmente, ma non si aspettava una ritirata così veloce. «Ava, aspetta,» disse d'istinto, allungando una mano verso di lei.
Per un istante, la ragazza si fermò, guardandola con un sorriso stanco, uno di quelli che si usano per rassicurare gli altri quando si è invece in preda all'incertezza. «Non è che non voglia divertirmi,» spiegò, abbassando lo sguardo come se le parole pesassero più di quanto volesse ammettere. «È solo che... tutto questo non è per me. Troppo rumore, troppa gente, e mi sento come se stessi cercando di essere qualcosa che non sono.»
Evelyn annuì lentamente, comprendendo il sentimento. Anche lei si sentiva spesso fuori posto in ambienti del genere, ma l'idea di lasciare Ava da sola, con quella malinconia negli occhi, la metteva a disagio. «Se vuoi, possiamo tornare insieme,» propose, la sua voce sincera, quasi supplichevole.
Ava scosse la testa con un sorriso gentile, stringendole la mano in segno di gratitudine. «No, resta tu. Harper e Madison hanno trascinato anche te qui, e non voglio che te ne privi per colpa mia. Sarai al sicuro con loro. Io... ho solo bisogno di un po' di quiete.»
Evelyn esitò, il pensiero di lasciarla andare da sola ancora presente nella sua mente. Ma l'espressione di Ava era ferma, determinata nella sua delicatezza, e lei capì che non sarebbe riuscita a farle cambiare idea. Con un cenno leggero, Ava si voltò, sparendo tra la folla con un passo calmo, ma deciso.
Rimasta sola con Harper, Evelyn si guardò intorno, cercando un volto familiare tra il caos. Harper le diede una pacca sulla spalla. «Evelyn, rilassati. Madison sarà da qualche parte a flirtare o a spettegolare. Troviamola e poi pensiamo a divertirci un po'.»
«Sì, meglio trovarla,» mormorò Evelyn, non convinta. Harper le lanciò un'occhiata interrogativa, ma non insistette, guidandola attraverso il salone affollato. Evelyn, intanto, cercava di ignorare la sensazione di essere fuori posto. Aveva accettato di venire alla festa per non deludere le sue compagne, ma ogni minuto che passava sembrava confermare quanto quel mondo fosse distante dal suo.
Mentre si facevano strada tra la folla, Evelyn si ripromise di rimanere per il tempo necessario a trovare Madison. Poi avrebbe deciso se restare o fare come Ava, scegliendo la quiete del loro dormitorio.
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