Capitolo 6

La settimana volò via in un ritmo sorprendentemente frenetico, scandito da lezioni intense, discussioni accademiche appassionate e l'instaurarsi dei piccoli rituali quotidiani che davano forma alle loro giornate. Evelyn, sempre diligente, si era adattata rapidamente ai nuovi orari e alle dinamiche del campus, trovando conforto nella prevedibilità della routine. I nuovi corsi la intrigavano profondamente, ma non senza sfide. La quantità di lavoro assegnata dai professori iniziava a farsi sentire: letture da completare, appunti da rivedere, e progetti già in programma per le settimane successive.

Ogni lezione era un'occasione per immergersi in argomenti che le aprivano nuovi orizzonti, un viaggio intellettuale che la faceva sentire viva e stimolata. Durante le ore di Sociologia, Evelyn si sentiva affascinata dall'idea di osservare il mondo attraverso una lente critica. Le dinamiche sociali che prima accettava come scontate ora si rivelavano complesse, stratificate, come pezzi di un mosaico che attendeva di essere compreso. La prospettiva offerta dal corso le permetteva di interrogarsi su temi che mai aveva approfondito prima, come il ruolo delle norme culturali nella formazione dell'identità o l'impatto dei media sulla percezione collettiva della realtà.

Spesso si ritrovava a riflettere su ciò che osservava nella vita quotidiana: i rapporti tra i suoi compagni di corso, le interazioni tra i membri della confraternita, persino i piccoli rituali che scandivano le sue giornate. Ogni cosa assumeva un nuovo significato. Ad esempio, un semplice pranzo in mensa non era più solo un momento per mangiare, ma un microcosmo di gerarchie sociali e scambi simbolici. Evelyn si rendeva conto di come la Sociologia non fosse solo una disciplina accademica, ma una chiave per comprendere il mondo che la circondava e, in fondo, anche se stessa.

Il professor Harrington, con la sua capacità di trasformare concetti astratti in esempi concreti, era un elemento centrale di questa esperienza. Spesso, durante le sue ore, presentava studi di caso o aneddoti che rendevano la teoria tangibile. Evelyn aveva ancora fissa in mente la lezione in cui si era discusso di come il linguaggio influenzasse il modo in cui percepiamo il tempo e lo spazio. «Pensate a come una parola possa modellare la realtà,» aveva detto, camminando lentamente tra i banchi. «Il linguaggio è uno specchio della cultura, ma è anche lo strumento con cui la cultura si perpetua. Voi siete parte di questo processo, anche ora, mentre mi ascoltate e interpretate ciò che dico.»

Quella frase aveva lasciato Evelyn a riflettere per giorni. Si era resa conto di come ogni interazione, ogni parola, fosse carica di un significato più profondo, un riflesso delle norme e dei valori di chi la pronunciava. Quando usciva dall'aula, si sentiva come se portasse con sé un nuovo strumento, uno sguardo più acuto per esplorare il mondo e decifrarne le complessità.

Questo approccio le dava un senso di responsabilità e insieme un'opportunità: usare quella conoscenza per migliorarsi e, forse, per contribuire a cambiare qualcosa, anche nel suo piccolo. Per Evelyn, la Sociologia non era solo una materia, ma un invito a vedere il mondo con occhi nuovi e curiosi.

Dall'altra parte, le esercitazioni di Psicologia rappresentavano una fonte inesauribile di curiosità e riflessione. La materia, già affascinante di per sé, assumeva una nuova profondità grazie alla guida della professoressa Margaret Kane, una donna di mezza età con un'aura di autorevolezza naturale. Con i suoi capelli grigi raccolti in un ordinato chignon e un paio di occhiali dalla montatura viola e la catena in perline che portava spesso sulla punta del naso, la professoressa Kane era nota per il suo approccio pragmatico e stimolante.

La sua voce, calma ma penetrante, riempiva l'aula senza mai risultare forzata. «La Psicologia,» aveva detto durante la prima lezione, «è lo studio della mente e del comportamento umano, ma è anche un riflesso. Vi costringerà a guardarvi dentro, a mettere in discussione le vostre convinzioni e i vostri pregiudizi. Non è un viaggio facile, ma è uno dei più arricchenti che possiate intraprendere.» Evelyn aveva annotato quella frase con attenzione, sentendo che conteneva una verità profonda.

Le esercitazioni erano il momento che la ragazza preferiva. La professoressa Kane aveva usato durante tutta la prima settimana esperimenti pratici e casi studio reali per illustrare concetti complessi, rendendo la teoria immediatamente applicabile. Durante una di queste sessioni, aveva chiesto agli studenti di analizzare i tratti comportamentali di un individuo basandosi su pochi dettagli biografici, un esercizio che Evelyn aveva trovato affascinante e sfidante allo stesso tempo.

«Non limitatevi a ciò che è ovvio,» aveva detto la Kane, passeggiando tra i banchi. «Il comportamento umano è raramente lineare. Dietro ogni azione ci sono motivazioni, esperienze e a volte contraddizioni che richiedono uno sguardo attento per essere comprese.» Evelyn si era immersa nell'esercizio, scoprendo un'insospettabile passione per l'analisi critica e la comprensione del comportamento umano.

Un altro aspetto che l'aveva colpita era l'attenzione della professoressa Kane alla diversità e alla complessità culturale. «Non dimenticate,» aveva sottolineato solo alla seconda lezione, «che la psicologia non è universale. Le esperienze umane sono influenzate profondamente dal contesto culturale, e un bravo psicologo deve sempre tenere a mente queste variabili.» Questo tema si ricollegava alle nozioni di Antropologia Culturale che Evelyn stava studiando, creando un'interessante connessione tra i due campi.

Usciva da ogni lezione con la sensazione di aver imparato qualcosa di nuovo non solo sugli altri, ma anche su se stessa. La Psicologia, sotto la guida della professoressa Kane, stava diventando per lei non solo una materia di studio, ma una lente attraverso cui osservare e comprendere il mondo.

Nonostante l'impegno richiesto, trovava momenti di pace nella biblioteca del campus. Quel luogo, con le sue imponenti arcate neogotiche e l'atmosfera silenziosa, era diventato una sorta di rifugio personale. 

Era stato lì, immersa tra scaffali infiniti di libri, che aveva incontrato Jake per la prima volta, solo pochi giorni prima e, a partire da quel momento, avevano passato diverse ore insieme per rivedere alcuni appunti e discutere sui progetti che stavano portando avanti per i rispettivi corsi. Jake, con il suo aspetto rilassato e il sorriso aperto, sembrava una contraddizione vivente rispetto all'aura austera della biblioteca. 

«Tu cosa pensi dell'intelligenza emotiva?» le aveva chiesto a un certo punto quella mattina, interrompendo il silenzio con una domanda che sembrava quasi una sfida.

Evelyn, sorpresa, aveva appoggiato la penna e lo aveva fissato con curiosità. «Credo che sia sottovalutata,» aveva risposto dopo un momento di riflessione. «Molte persone si concentrano solo sull'aspetto cognitivo, ma la capacità di comprendere e gestire le emozioni è fondamentale, non trovi?»

Jake aveva annuito vigorosamente, il suo sorriso allargandosi. «Esattamente! È uno degli argomenti che voglio approfondire nella mia tesi. Sai che c'è un corso di Psicologia Sociale il prossimo semestre? Dovresti considerarlo, se non l'hai già fatto.»

Evelyn aveva sorriso, assicurandogli che avrebbe sicuramente preso in considerazione la cosa. Jake era così entusiasta del fatto di avere trovato qualcuno con cui condividere il suo interesse accademico, al punto che le aveva proposto di formare un gruppo di studio, o meglio, un duo.

«Magari possiamo aiutarci a vicenda,» aveva detto, con un tono che rendeva evidente la sua genuinità. «Non so te, ma a volte mi perdo tra tutte le letture. È come se stessi cercando di decifrare un puzzle senza vedere l'immagine completa.»

Evelyn aveva accettato, trovando piacevole l'idea di avere qualcuno con cui confrontarsi. Jake era diverso dalle persone che frequentava di solito: il suo approccio disinvolto e il suo modo di vedere la Psicologia come uno strumento per comprendere il mondo lo rendevano intrigante, così come i suoi continui sogni a occhi aperti sulla sua crush, Ryan.

Quel giorno la ragazza aveva preso coraggio: «Ti piace?» aveva chiesto, la sua voce calma e priva di giudizio.

Jake aveva riso piano, un suono breve ma genuino. «Piacere è un eufemismo. È come se ogni volta che entra in una stanza, tutto diventasse più luminoso. Ma non fraintendermi, non è solo una questione superficiale. È incredibilmente intelligente. L'ho visto affrontare discussioni che avrebbero fatto impallidire chiunque, e lo fa con una calma e una precisione che mi lasciano senza parole.»

«E lui lo sa?» aveva chiesto Evelyn, con un sorriso gentile.

Jake aveva scosso la testa, il suo tono diventato più riflessivo. «No. E non credo che lo saprà mai. Non fraintendermi, non ho paura di essere chi sono, ma a volte mi chiedo se le nostre vite siano semplicemente troppo diverse. Lui è sempre al centro dell'attenzione, mentre io... beh, io preferisco la biblioteca a una festa. Non riesco a immaginare che possa vedere qualcosa in me.»

Evelyn aveva provato una fitta di empatia per lui. Jake era così brillante e appassionato, eppure sembrava portare con sé un senso di insicurezza che lei conosceva fin troppo bene. Aveva posato una mano leggera sul tavolo, come a voler offrire un piccolo gesto di conforto. «Non sottovalutarti, Jake. A volte, le persone che pensiamo siano fuori dalla nostra portata sono quelle che più apprezzano la nostra autenticità.»

Jake le aveva rivolto un sorriso, questa volta più sincero, e aveva annuito. «Grazie, Evelyn. Non so come tu faccia, ma parli sempre come se avessi capito tutto della vita. È confortante.»

La ragazza aveva riso piano, scuotendo la testa. «Non credo di avere capito tutto, ma so cosa vuol dire sentirsi insicuri. A volte basta ricordarsi che non dobbiamo dimostrare niente a nessuno, se non a noi stessi.»

Quel momento in biblioteca aveva consolidato il loro legame. Evelyn si era resa conto che, al di là del Jake spigliato e loquace, c'era una persona profonda, capace di riflettere con sensibilità su se stesso e sugli altri. E, nonostante i suoi dubbi, aveva intuito che Jake era molto più vicino a quel Ryan di quanto credesse, non per il suo stile di vita, ma per la luce autentica che portava con sé.

Nel corso di quella prima settimana, si era seduta in biblioteca per ore, immergendosi nello studio con una dedizione che a volte faceva sorridere Ava. La sua compagna di stanza, più riflessiva e metodica, osservava spesso Evelyn con un misto di ammirazione e divertimento, notando quanto la sua amica sembrasse trovare energia proprio nelle sfide accademiche.

Tra una pausa e l'altra, le due ragazze scambiavano impressioni sui corsi, con Ava che condivideva le sue osservazioni acute e i suoi appunti perfettamente organizzati. Evelyn apprezzava quei momenti: erano un modo per consolidare ciò che imparava, ma anche per rafforzare il legame con Ava, che si rivelava sempre più una presenza rassicurante e complice nelle sue giornate.

La settimana non era stata priva di piccoli ostacoli, come il continuo tentativo di bilanciare studio e vita sociale. Madison, con il suo entusiasmo contagioso, era una voce costante di tentazione, sempre pronta a proporre attività che promettevano di alleggerire il carico di lavoro. «Un'ora al bar del campus non ti ucciderà, Evelyn,» insisteva, cercando di convincerla a prendersi delle pause più frequenti. Lei, però, si lasciava raramente distogliere dai suoi obiettivi, anche se a volte si ritrovava a sorridere pensando che forse Madison aveva ragione: un po' di leggerezza non avrebbe fatto male.

In tutto questo, il tempo sembrava scorrere più veloce del previsto. Ma, anche se il ritmo era intenso, c'era una certa soddisfazione nel sentirsi parte di qualcosa di più grande, in quel campus che ormai cominciava a sentire davvero come casa.

Quando finalmente arrivò il venerdì pomeriggio, Evelyn si concesse un momento di tregua. Era nella loro stanza con Ava, seduta sul bordo del letto con il laptop aperto e una pila di libri accanto a lei. L'amica, invece, era seduta alla scrivania con lo sguardo concentrato sulle sue note riguardo a qualche analisi letteraria particolarmente complessa. Harper era uscita subito dopo pranzo, lasciando dietro di sé un'esplosione di vestiti sparsi e profumo intenso, mentre Madison era rientrata da poco e si era gettata sul letto con un'espressione soddisfatta e un sacchetto di biscotti in mano.

«Non ci credo che ci abbiano già assegnato così tanto lavoro,» sospirò Evelyn, scorrendo la lista dei compiti per la settimana seguente. «Devo ancora trovare una terza situazione sociale interessante per il compito di Sociologia.»

«Non sei l'unica,» rispose Ava con un tono calmo. «Sto cercando di organizzare i miei appunti per Letteratura Contemporanea, ma continuo a sentirmi sopraffatta. Non riesco mai a decidere da dove iniziare.»

«Beh, forse dovremmo fare una pausa,» intervenne Madison, mordendo un biscotto con un sorriso complice. «Sapete cosa ci serve? Una distrazione. Una grossa distrazione.»

Evelyn alzò lo sguardo dal laptop. «Non sono sicura di voler sapere dove vuoi andare a parare.»

Madison ignorò il tono dubbioso dell'amica, come se il suo entusiasmo fosse una forza inarrestabile, e si voltò verso Harper, che proprio in quel momento rientrava in camera. I suoi capelli erano spettinati, in un disordine che sembrava calcolato, e il suo sorriso trasmetteva una carica quasi elettrica. Entrò con un'energia esplosiva, facendo sbattere la porta dietro di sé, e il tintinnio delle chiavi che teneva in mano attirò subito l'attenzione di tutte.

«Ho una notizia!» annunciò, gli occhi scintillanti di eccitazione mentre si fermava al centro della stanza, come se stesse per fare una dichiarazione solenne.

Madison fu la prima a reagire, appoggiando il biscotto che aveva tra le mani e piegandosi leggermente in avanti, già preparata a lasciarsi trascinare dall'entusiasmo di Harper. «Cosa? Racconta subito!» disse, la sua curiosità evidente.

Harper fece una pausa drammatica, godendosi chiaramente l'attenzione delle sue compagne di stanza. «Ho parlato con i ragazzi della confraternita maschile,» iniziò, alzando un sopracciglio come per sottolineare l'importanza della sua rivelazione, «e ho scoperto che stanno organizzando la festa di inizio anno più epica di sempre. E indovinate un po'? Noi siamo invitate come ospiti d'onore, dato che le due confraternite lavoreranno insieme per questa occasione.»

«Una festa?» chiese Evelyn, cercando di nascondere il lieve scetticismo nella sua voce. Stava ancora tentando di abituarsi al ritmo frenetico della vita nel campus, e l'idea di una grande festa la metteva un po' a disagio.

«Sì, una festa!» esclamò Harper, alzando le braccia come se fosse l'annuncio di un evento storico. «Sarà una serata incredibile, con musica, balli e—» fece un cenno significativo verso Madison, che aveva già un sorriso largo sul volto, «molte nuove persone da incontrare.»

Madison batté le mani, quasi saltando dalla gioia. «Oh, ma questo è perfetto! Un'occasione per socializzare e divertirci. Dobbiamo assolutamente andare!»

Evelyn si scambiò uno sguardo con Ava, che sembrava altrettanto dubbiosa. Con il suo solito modo riflessivo, si limitò a dire: «Non so... Le feste non sono proprio il mio forte. Preferisco qualcosa di più tranquillo. Abbiamo ancora molte cose da fare, non possiamo perdere una serata intera per una festa qualsiasi.»

Harper alzò gli occhi al cielo, come se la loro esitazione fosse un ostacolo facilmente superabile. «Ragazze, dovete uscire dalla vostra comfort zone! Non siamo più delle matricole. Questa festa è l'occasione perfetta per iniziare con il piede giusto.»

«Ma ho ancora il compito di Sociologia da completare,» osservò Evelyn, cercando di trovare una scusa plausibile per evitare di accettare subito.

«Per una sera non succederà nulla se ci prendiamo una pausa!» ribatté Harper con un sorriso deciso. «Dobbiamo divertirci un po'. E poi, lo sappiamo tutte che queste feste sono fondamentali anche per fare network.»

Evelyn sospirò, guardando Ava in cerca di supporto. Ma l'amica, pur riluttante, sembrava indecisa, come se parte di lei volesse lasciarsi convincere.

Harper sbuffò, incrociando le braccia. «Oh, per favore! È venerdì sera. Non possiamo passare tutta la vita a studiare. Dobbiamo anche divertirci ogni tanto, no?»

Madison annuì vigorosamente, appoggiandosi sui gomiti con un sorriso entusiasta. «Harper ha ragione. Non potete passare il semestre chiuse in questa stanza. Evelyn, Ava, dovete venire! È un'occasione per socializzare, conoscere gente nuova... e magari trovare qualche spunto per il compito di Sociologia,» aggiunse con un'occhiata furba verso Evelyn.

Evelyn esitò, mordendosi il labbro. «Non so...»

«Non c'è niente da sapere,» insistette Harper, spostandosi al centro della stanza come una conduttrice di spettacolo. «Vi do tre motivi per cui dovreste venire. Primo: è una tradizione del campus. Non potete saltare la festa di inizio anno senza sembrare degli eremiti. Secondo: è un'occasione per rafforzare i legami tra confraternite. E terzo... ci saranno musica, cibo e un sacco di ragazzi carini.»

Ava scosse la testa, divertita ma ferma. «Harper, sei incredibile. Non ci stai davvero lasciando scelta, vero?»

«Esattamente!» rispose lei con un sorriso trionfante.

Madison si alzò dal letto, tirando Ava per un braccio. «Dai, Ava. Un paio d'ore non ci uccideranno. E potrebbe essere divertente!»

Evelyn osservò la scena con un misto di riluttanza e rassegnazione. Non era sicura di voler passare la serata in una stanza piena di sconosciuti, ma allo stesso tempo sentiva la pressione delle amiche che sembravano così entusiaste.

Sospirò profondamente, sapendo già che resistere sarebbe stato inutile. Madison aveva una capacità straordinaria di trascinare chiunque nei suoi piani, e Harper era chiaramente entusiasta all'idea della festa. Cercò nuovamente Ava con lo sguardo, sperando che almeno lei rimanesse salda nella sua posizione, ma la compagna di stanza sembrava immersa in un intenso conflitto interno, il che la lasciava senza un vero alleato.

Alla fine, alzò le mani in segno di resa. «Va bene,» disse, con un tono che tradiva una certa rassegnazione. «Ma solo per un po'. E non aspettatevi che io balli o mi metta a socializzare troppo.»

Harper batté le mani, visibilmente soddisfatta di aver vinto la sua piccola battaglia. «Questo è lo spirito, Evelyn! E fidati, una volta che sarai lì, ti divertirai. Te lo garantisco.»

Evelyn alzò un sopracciglio. «Non credo che ci sia una clausola di rimborso se non mi diverto.»

Madison scoppiò a ridere. «Oh, Evelyn, hai proprio bisogno di una festa! Ti farà bene lasciare per un attimo da parte i libri e goderti il momento.»

Ava, che fino a quel momento era rimasta silenziosa, si sporse leggermente sul letto, guardando le altre con una piccola piega di dubbio sulle labbra. «Non sono ancora convinta,» disse a bassa voce, giocherellando con l'orlo del suo maglione. «Non voglio sentirmi fuori posto o fare qualcosa che non mi mette a mio agio.»

«Non sentirai nessuna pressione, te lo prometto!» disse Harper con un tono più morbido, cercando di convincerla. «Puoi stare con noi, parlare solo quando vuoi, e se ti annoi possiamo sempre tornare in camera. Ma almeno vieni a vedere com'è!»

Ava si prese un momento per riflettere, poi annuì lentamente, anche se con riluttanza. «Okay, ma voglio che sia chiaro: se diventa troppo caotico, me ne vado.»

«Affare fatto!» esclamò Harper, sollevata di aver convinto anche la più restia delle sue compagne di stanza. «Ora dobbiamo solo pensare a cosa indossare. Non vogliamo essere quelle che sembrano capitare per caso, giusto?»

Evelyn sospirò di nuovo, questa volta con un pizzico di umorismo. «Non so nemmeno cosa considerare 'adatto' per una festa del genere. Jeans e maglietta andranno bene, vero?»

Harper inarcò un sopracciglio e scosse la testa in modo teatrale. «Oh no, mia cara Evelyn. Questa è un'occasione per brillare, non per mimetizzarsi. Lascia fare a me, troveremo qualcosa di perfetto.»

Evelyn si lasciò cadere indietro sul letto con un sospiro drammatico. «Che Dio mi aiuti.»

Madison rise, mentre Ava abbozzò un sorriso timido. Harper, invece, sembrava già mentalmente impegnata a pianificare l'intero look della serata. Evelyn non poteva fare a meno di sorridere tra sé e sé. Forse Harper aveva ragione: uscire dalla propria comfort zone, ogni tanto, non sarebbe stato poi così male.

E così, mentre il sole cominciava a calare, la loro stanza si riempì dell'eccitazione e del caos di preparativi per una serata che prometteva di essere memorabile.

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