Capitolo 4
Evelyn seguì i cartelli che indicavano l'edificio delle scienze umane, stringendo la tracolla dello zaino e cercando di tenere a bada l'agitazione. La sua mente era ancora occupata dall'incontro con Matthew, e non riusciva a smettere di ripensare alla scena. Avrebbe dovuto accettare il suo aiuto? Era stata troppo fredda nel rifiutare? O forse era meglio così, dato che non lo conosceva affatto?
Camminando lungo il vialetto alberato che portava all'edificio, Evelyn si soffermò a osservare l'atmosfera vitale in cui il campus era immerso. Gli studenti affollavano i vialetti, alcuni camminando in gruppo, altri da soli con le cuffie nelle orecchie. Le risate e le conversazioni si mescolavano con il rumore del vento tra le foglie, creando un sottofondo rassicurante.
L'edificio delle scienze umane si ergeva maestoso nel cuore del campus, con la sua struttura moderna e sobria. La facciata, simile a quella dello stabile delle arti sociali, era completamente rivestita di vetro, permettendo ai raggi del sole di filtrare all'interno, creando giochi di luce che danzavano sulle superfici lucide. Le grandi finestre riflettevano il cielo azzurro, un contrasto netto con le ombre leggere delle alberature che fiancheggiavano i vialetti. Le linee architettoniche dell'edificio erano eleganti e minimali, con il cemento chiaro che si stagliava contro il verde circostante. Il tutto sembrava in perfetta armonia con la naturalezza del campus, dove il moderno e il naturale si fondevano in un equilibrio quasi perfetto.
Evelyn si fermò per un istante davanti alla porta principale, l'asfalto sotto i suoi piedi che emetteva il suono ovattato dei suoi passi. Alzò lo sguardo, cercando di fissare lo spazio davanti a sé, per raccogliere i pensieri e calmare l'agitazione che sentiva salire dentro di sé. Il vento era leggero, ma portava con sé il profumo della terra umida e dell'erba appena tagliata. Fece un respiro profondo e, senza indugi, spinse la porta automatica di vetro, entrando nell'edificio.
L'interno era altrettanto luminoso e spazioso. Il pavimento di marmo bianco rifletteva la luce naturale che entrava dalle ampie vetrate, e l'aria fresca era percorsa da un delicato sentore di caffè e carta. L'atrio, con il soffitto alto e le pareti color crema, era arredato con pochi ma eleganti elementi: qualche pianta in vaso, panchine moderne e alcune installazioni artistiche sparse lungo le pareti. L'intera area sembrava progettata per invitare gli studenti a sentirsi a proprio agio, come se fosse uno spazio pensato non solo per l'apprendimento, ma anche per la riflessione e il relax.
Evelyn si diresse verso le scale, cercando con lo sguardo le indicazioni che le avrebbero mostrato la strada verso la sua aula, la 302. Mentre saliva i gradini, uno dopo l'altro, i suoi pensieri continuarono a frullare nella sua testa. Ogni passo sembrava allontanarla un po' dalle preoccupazioni del mattino e avvicinarla a una nuova esperienza, ma al contempo il nervosismo per il primo giorno di lezione non se ne andava del tutto. Era come se ogni angolo dell'edificio fosse progettato per sembrare invitante, ma lei si sentiva ancora un po' fuori posto.
L'aria che saliva dalle scale era fresca, quasi pungente, e il rumore dei suoi passi rimbombava nell'atrio silenzioso, interrotto solo dal sussurro delle voci lontane degli studenti che si trovavano già a lezione. La stanza che avrebbe dovuto raggiungere non era lontana, eppure Evelyn si trovava a camminare come se stesse attraversando un lungo corridoio verso l'ignoto, cercando di mantenere la calma.
Infine, la porta dell'aula 302 si stagliò davanti a lei. Il cartello sul lato della porta, stampato in caratteri semplici, segnava chiaramente la destinazione. Evelyn fece un passo in avanti, sentendo il cuore battere più forte per l'emozione. Aveva una sensazione di estraneità, ma anche una strana eccitazione, mentre si preparava a fare il suo ingresso. La materia non le era nuova, aveva frequentato un corso simile anche l'anno precedente, ma non poteva essere certa di ciò che l'avrebbe aspettata.
Aprì la porta con cautela e si trovò in un'aula più piccola e accogliente rispetto a quella di Sociologia. Le sedie erano disposte in cerchio, e le pareti erano decorate con poster colorati che raffiguravano mappe del mondo e fotografie di comunità indigene. L'atmosfera era decisamente più informale.
Evelyn fece scorrere lo sguardo sulla stanza e si illuminò quando riconobbe Ava seduta in un angolo. I capelli castano chiaro di Ava erano sciolti come suo solito, e il suo viso dolce era parzialmente nascosto mentre giocherellava con una penna, apparentemente persa nei suoi pensieri. Evelyn si avvicinò, sentendo una sensazione di sollievo.
«Ava!» esclamò a bassa voce, cercando di non attirare troppo l'attenzione.
Ava alzò lo sguardo e le sue guance si arrossarono leggermente, come se fosse sorpresa di essere stata notata. Tuttavia, un piccolo sorriso le illuminò il viso. «Evelyn! Non sapevo che fossimo nella stessa classe.»
«Neanche io,» rispose Evelyn, posando lo zaino accanto alla sedia accanto a quella di Ava. Si lasciò cadere sul suo posto, rilassandosi per la prima volta da quando aveva lasciato la lezione precedente. «Che fortuna trovarti qui. Mi sentivo già un po' nervosa per questa lezione.»
Ava annuì lentamente, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Anche io, a dire il vero. È sempre un po' strano il primo giorno, non sai mai cosa aspettarti.»
Evelyn le sorrise, trovando conforto nella sincerità della sua amica. Tuttavia, sentiva ancora un peso sul petto, un misto di imbarazzo e voglia di raccontare. Si guardò intorno, notando che c'erano ancora pochi studenti nella stanza, e abbassò un po' la voce.
«Ava, posso raccontarti una cosa? È una sciocchezza, ma... non riesco a smettere di pensarci.»
Ava inclinò leggermente la testa, incuriosita. «Certo, dimmi. Tutto bene?»
«Sì, sì, niente di grave,» rispose Evelyn, stringendo le mani sul bordo della sedia. «È solo che, mentre venivo qui, ho avuto un piccolo incidente nel corridoio. Sono andata a sbattere contro un ragazzo.»
Gli occhi di Ava si spalancarono leggermente. «Oh, tutto a posto? Non ti sei fatta male, vero?»
«No, no, sto bene,» disse Evelyn con un sorriso rassicurante. «È stato più imbarazzante che altro. Lui è stato gentile, mi ha raccolto il telefono e mi ha chiesto se volevo che mi accompagnasse qui. Ma io... beh, ho rifiutato.»
Ava rimase in silenzio per un momento, riflettendo. Poi le sue labbra si curvarono in un lieve sorriso comprensivo. «Ti sei sentita a disagio, vero?»
Evelyn annuì, grata che Ava avesse capito subito. «Esatto. Non volevo sembrare invadente o approfittare della sua gentilezza. Ma ora continuo a chiedermi se ho fatto bene o se sono stata scortese.»
Ava appoggiò il gomito sul tavolo, fissando un punto davanti a sé. «Non penso tu sia stata scortese. A volte, quando non conosciamo una persona, è normale sentirsi un po' in imbarazzo. Ma forse... poteva essere un'occasione per scambiare qualche parola in più e conoscerlo meglio.»
«Lo so,» ammise Evelyn con un sospiro. «Ma non sono brava con queste cose. E poi, non volevo sembrare troppo... non so, interessata?»
«Evelyn,» disse Ava con dolcezza, «essere gentili e accettare l'aiuto di qualcuno non significa sembrare interessati. A volte è solo questione di fidarsi un po' di più.»
Le parole di Ava fecero riflettere Evelyn. La sua amica aveva ragione, come al solito. Non c'era nulla di male nel lasciarsi aiutare, e forse avrebbe dovuto essere più aperta.
«Grazie, Ava,» disse Evelyn con un sorriso sincero. «Mi fai sempre vedere le cose da una prospettiva diversa. Se lo avessi raccontato a Madison probabilmente mi avrebbe costretta a rintracciare quel Matthew per chiedergli di uscire,» aggiunse, sorridendo leggermente.
«Eh, sì, ma sai che è fatta così. Per questo siamo amiche, no?» rispose Ava con un sorriso timido.
Le due continuarono a parlare a bassa voce mentre l'aula si riempiva lentamente. Evelyn si sentiva più rilassata con Ava al suo fianco, come se l'ansia del primo giorno fosse un po' meno pesante.
Quando il professor Collins entrò in aula, l'atmosfera cambiò subito, come se fosse stato lui a portare un po' di calore. Era un uomo sulla quarantina, con un aspetto rilassato e carismatico che sembrava quasi fondersi con il carattere dell'aula di antropologia. Il suo abbigliamento era casual, ma curato: indossava una camicia a quadri rossi e blu, arrotolata fino ai gomiti, e jeans scuri leggermente sgualciti, come se fosse stato più impegnato a insegnare che a preoccuparsi per l'aspetto. La camicia, pur nella sua semplicità, sembrava adattarsi perfettamente alla sua personalità, che esprimeva un equilibrio tra il professionale e il personale.
Aveva i capelli castano scuro, che iniziavano a ingrigire ai lati, e una leggera barba che accentuava l'espressione decisa del suo volto. I suoi occhi, di un verde intenso, si illuminavano quando sorrideva, ma c'era anche un fondo di serietà che lasciava capire che, quando si trattava di lavoro, sapeva essere esigente e rigoroso. La sua pelle chiara portava i segni di un uomo che aveva vissuto all'aperto, forse per escursioni o viaggi, ed emanava una certa energia che sembrava attrarre la concentrazione di chi lo ascoltava.
Nonostante l'aspetto apparentemente informale, il professore possedeva una presenza carismatica che catturava subito l'attenzione. Non aveva bisogno di alzare la voce, eppure la sua voce profonda e calma riempiva la stanza. Mentre si spostava tra i banchi, distribuendo appunti e introducendo il corso, Evelyn poté notare come il suo atteggiamento fosse equilibrato tra la spontaneità e il rispetto per il gruppo. Quando parlava, sembrava voler suscitare un'interazione sincera con i suoi studenti, eppure non temeva di scendere nei dettagli teorici quando necessario. Ogni parola che pronunciava era chiara e ben ponderata, eppure non risultava mai troppo distante o accademica.
Il professor Collins si fermò davanti alla cattedra e fece un gesto ampio con la mano, quasi invitando gli studenti a seguirlo in un'avventura di scoperta, mentre sorrideva per rompere la tensione che si poteva respirare all'inizio di un nuovo corso. C'era una calma naturale che emanava dal suo atteggiamento, come se avesse già attraversato mille altre lezioni, ma fosse sempre pronto a fare di questa una nuova esperienza, unica e stimolante per ogni studente.
«Benvenuti al corso di Antropologia Culturale,» esordì con una voce che, sebbene calma, aveva un sottile tono di passione, come se ogni parola fosse un invito a esplorare il mondo da una prospettiva nuova. «L'antropologia non è solo una disciplina che studia popoli lontani e tradizioni esotiche. È anche lo studio di noi stessi, del nostro modo di vivere e di interagire con gli altri. Oggi iniziamo un viaggio che non riguarda solo la teoria, ma anche la pratica del pensiero critico. Preparatevi a mettervi in discussione, a rivedere i vostri pregiudizi e a vedere la cultura sotto una luce diversa.»
Ogni parola che pronunciava sembrava una finestra che si apriva sulla materia, e le sue mani si muovevano con naturalezza, come se la sua mente fosse costantemente in movimento, cercando di rendere ogni concetto più accessibile, anche quando parlava di teorie complesse. Non c'era arroganza nelle sue parole, ma un invito alla curiosità, un invito a scoprire. La sua energia, mista a una calma rassicurante, rendeva l'aula più accogliente e meno intimidatoria.
«Non pensate che questo corso riguardi solo nozioni da memorizzare,» continuò, fissando ogni studente con uno sguardo che cercava di catturare la loro attenzione. «Quello che imparerete qui sarà un nuovo modo di vedere il mondo, un modo che vi permetterà di capire meglio le culture, le tradizioni e, soprattutto, come queste influenzano le nostre scelte quotidiane. Ogni scelta che facciamo è legata a una visione del mondo, e la nostra cultura gioca un ruolo fondamentale nel modellarla. Il nostro compito sarà imparare a riconoscere questa influenza, anche quando sembra invisibile.»
Con un sorriso quasi impercettibile, il professore fece un passo indietro e si appoggiò alla cattedra. Le sue parole erano sempre più avvolgenti, come se stesse intessendo una narrazione che avrebbe accompagnato gli studenti per tutto il semestre. La sua presenza in aula sembrava creare un senso di comunità, come se, pur essendo lì per imparare, gli studenti fossero invitati a partecipare a una conversazione collettiva, a una riflessione che non li escludeva mai.
«Ricordate,» concluse, «l'antropologia è ovunque. La troverete nella musica che ascoltate, nei libri che leggete, nel cibo che mangiate. Vi invito a portarvi in aula non solo la vostra mente, ma anche il vostro cuore. Solo così potremo davvero comprendere le culture degli altri, e scoprire quelle che abitano dentro di noi.»
Quando finì di parlare, il professor Collins non sembrò cercare l'attenzione, ma piuttosto invitare i suoi studenti a trovare le proprie risposte. Il suo sguardo incrociò quello di Evelyn, che si sentì per un attimo come se avesse trovato un rifugio sicuro nella sua presenza calma e rassicurante. La sua figura sembrava quasi paterna, ma non nel senso protettivo e distante. Era un insegnante che credeva nel potenziale di ogni studente e che dava loro il permesso di pensare liberamente, senza paura di sbagliare.
Il suo modo di insegnare non era autoritario, ma stimolante. Evelyn capì che in quella lezione, e in tutte quelle che sarebbero seguite, non si trattava solo di imparare teorie, ma di mettersi alla prova, di interrogarsi e di crescere. Il professore non era solo una guida, ma un facilitatore del pensiero, e quella lezione sembrava l'inizio di un viaggio più grande, uno che avrebbe costretto ogni studente a vedere il mondo con occhi nuovi, proprio come lui faceva ogni giorno.
Il professor Collins proseguì con alcune indicazioni oggettive riguardo al programma del corso che sarebbe terminato con un esame di valutazione al fine del primo semestre e che avrebbe determinato il loro proseguire o meno nella seconda parte del corso.
Evelyn si immerse completamente nelle parole del professore, prendendo appunti con cura. Non voleva perdere neanche una singola nozione: era decisa a dare il massimo in tutto e la sua dedizione allo studio era una dei suoi più grandi pregi. Accanto a lei, Ava scriveva diligentemente, il viso concentrato e attento.
Quando la lezione terminò, Evelyn si sentì stimolata e piena di nuove idee. Mentre raccoglieva le sue cose, si girò verso Ava con un sorriso.
«Penso che questo corso mi piacerà davvero,» disse.
«Anche a me,» rispose Ava, con gli occhi che brillavano di entusiasmo. «È così interessante pensare a quanto sia complesso il nostro modo di vivere e di vedere il mondo.»
Le due amiche uscirono dall'aula, immerse in una fitta conversazione riguardo alla lezione appena conclusasi.
«Sai,» disse Evelyn mentre camminavano lungo il corridoio che conduceva all'uscita dell'edificio, «mi è piaciuto come il professore ha legato la cultura alla nostra vita quotidiana. Non mi aspettavo fosse così interessante.»
Ava, che camminava al suo fianco, annuì pensierosa. «Sì, è stato bello. Non avevo mai pensato alla cultura in quel modo.»
Guardando l'orologio, Evelyn si rese conto che era quasi ora di pranzo. «Cosa ne pensi di aspettare Madison alla caffetteria? Ho bisogno di una pausa e di mettere qualcosa sotto i denti.»
«Mi sembra una buona idea,» rispose Ava. «Magari vediamo se Madison è riuscita a fare nuove amicizie.»
«Probabile,» disse Evelyn, «lei è un po' come un camaleonte. Si adatta a qualsiasi situazione.»
«È vero,» rise Ava, pensando alla sua amica, sempre così sicura di sé.
Arrivate alla caffetteria, l'ambiente caldo e accogliente le invitava a rilassarsi. Si sedettero a un tavolo vicino alla finestra e aspettarono Madison.
«Chissà dove sarà finita,» disse Evelyn, sfogliando un volantino sul tavolo. «Non riesce mai a stare ferma.»
Ava sorrise. «È così. Quando è entusiasta di qualcosa, non riesce a fermarsi. Ma è anche capace di essere molto riflessiva quando vuole.»
Non passarono molti minuti prima che Madison entrasse, sorridente e piena di energia. «Ragazze!» esclamò, sedendosi. «Pensavo di dovervi cercare ovunque!»
«Non siamo poi così difficili da trovare,» rispose Evelyn, sorridendo. «Ma prima di dirti cosa è successo, toast per tutti!»
Ava si girò verso Madison. «Hai già deciso cosa fare per i corsi?»
Madison alzò un sopracciglio. «Non avete altro di cui parlare? Comunque, credo che seguirò semplicemente il programma previsto per il corso di comunicazione.»
Evelyn tornò con tre bottiglie d'acqua e tre toast ancora fumanti e sorrise. «Ecco il nostro carburante. Ma adesso, Madison ti devo raccontare cosa mi è successo questa mattina.»
Madison, incuriosita, la guardò. «Racconta!»
Evelyn e Ava si scambiarono uno sguardo complice e poi Evelyn iniziò a raccontare del suo incontro con Matthew, mentre il profumo di caffè e il vociare del campus si mescolavano nell'aria.
«Questa giornata sarà lunga,» esclamò Madison con un lampo negli occhi. «E io sono pronta!»
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