Capitolo 3
Il cielo era appena rischiarato da una luce tenue e rosata quando Evelyn aprì gli occhi. La stanza era immersa in un silenzio ovattato, interrotto solo dal respiro regolare delle sue compagne. Madison dormiva rannicchiata sotto il piumone, i ricci capelli biondi sparsi sul cuscino come in una pubblicità di shampoo. Ava, più composta, aveva il viso rivolto verso il soffitto e le mani elegantemente incrociate sul petto, come se anche nei sogni mantenesse la sua innata eleganza. Harper, invece, era scomposta, con una gamba che pendeva dal letto e una cuffia ancora infilata in un orecchio, evidentemente caduta nel sonno ascoltando musica.
Evelyn si mosse con cautela per non svegliarle. Si alzò dal letto e si infilò i suoi leggings neri preferiti e una maglietta sportiva grigia. Prese le scarpe da corsa che aveva lasciato vicino alla porta la sera prima, sapendo che quella mattina avrebbe avuto bisogno di scaricare la tensione. Il primo giorno del secondo anno di college era un momento che aspettava da settimane, ma non poteva negare il nodo di ansia che le stringeva lo stomaco.
Attraversò il corridoio silenzioso della confraternita, il suono delle sue scarpe appena udibile sul pavimento di legno. Aprendo la porta principale, fu accolta da una leggera brezza fresca che la fece rabbrividire per un istante. Il campus era ancora deserto, e un'atmosfera di calma irreale lo avvolgeva.
Evelyn iniziò a correre lungo il sentiero che costeggiava i prati del campus, il suono ritmico delle sue scarpe che battevano sul terreno l'accompagnava come una melodia rassicurante. Sentiva l'aria fresca riempirle i polmoni, spazzando via ogni pensiero ansioso. Il campus, che durante il giorno era pieno di studenti e risate, era ora un'oasi di tranquillità. Gli alberi ondeggiavano leggermente al vento, le foglie iniziavano a tingersi di tonalità autunnali. Si beò di quella quiete mattutina, cercando di liberare la mente da tutti i pensieri che la affollavano.
Si spinse fino al piccolo lago che si trovava dietro l'edificio principale. L'acqua era immobile, un perfetto specchio per il cielo sopra di lei. Si fermò per qualche istante, osservando il riflesso delle nuvole, e tirò un profondo respiro. Era pronta ad affrontare il nuovo anno, o almeno voleva convincersi di esserlo.
Dopo circa mezz'ora di corsa, sentì che il corpo si era completamente risvegliato e che la sua mente era più chiara. Decise di tornare verso la confraternita con passo più lento, sudata ma soddisfatta. Aveva tutto il tempo per preparasi con calma e arrivare con largo anticipo alla prima lezione di quel semestre: Sociologia Generale, materia per lei nuova, visto che si poteva accedere al corso solo a partire dal secondo anno di studi.
Salite silenziosamente le scale della confraternita, proseguì lungo il corridoio del secondo piano fino a entrare nella sua stanza. Evelyn trovò le sue compagne ancora immerse nel sonno. Harper si era rigirata, lasciando cadere una delle cuffie sul pavimento, mentre Ava sembrava essersi rannicchiata sotto le coperte per sfuggire al fresco della mattina. Madison era immobile, come sempre impeccabile anche nel sonno. La ragazza sorrise, aprendo piano l'armadio per prendere il necessario per la doccia: un asciugamano bianco piegato con precisione, un piccolo beauty case e le sue ciabatte di gomma rosa pastello.
Attraversò il corridoio in silenzio, il pavimento di legno che scricchiolava appena sotto i suoi passi. Il bagno comune del piano, situato a metà del corridoio, era già illuminato da un neon soffuso. Era un ambiente pulito e minimale, progettato per soddisfare le esigenze delle ragazze della confraternita senza troppi fronzoli: dieci cabine doccia con porte opache per garantire la privacy, un lungo bancone con specchi illuminati e lavandini perfettamente allineati, e una sezione con asciugacapelli montati al muro. Sui ripiani accanto ai lavandini, ogni ragazza aveva a disposizione un piccolo spazio per riporre i propri prodotti essenziali.
Evelyn si avvicinò a una delle cabine doccia, aprì il rubinetto e attese che l'acqua raggiungesse la temperatura giusta. Il rumore dello scroscio riempì il bagno, accompagnato dal leggero vapore che iniziò a salire, appannando il vetro dello specchio più vicino. Entrata nella doccia, si lasciò avvolgere dalla piacevole sensazione dell'acqua calda sulla pelle, che faceva scivolare via la stanchezza della corsa e lavava via i residui di ansia per il primo giorno di lezioni.
Con gesti abitudinari, prese il suo bagnoschiuma preferito, dal delicato profumo di lavanda, e lo applicò, chiudendo gli occhi per qualche istante. Quella routine era un momento di pace, un piccolo rituale che la aiutava a raccogliere le energie per affrontare la giornata. Terminata la doccia, si avvolse nell'asciugamano e tornò al bancone dei lavandini per asciugarsi i capelli.
Mentre si osservava allo specchio, Evelyn notò il rossore naturale delle sue guance, reso più evidente dal calore della doccia. Si prese un momento per sistemare i capelli ancora umidi, lasciandoli sciolti sulle spalle, e aggiunse un tocco di crema idratante al viso.
Tornata rapidamente alla stanza 204, indossò un paio di jeans chiari e una camicia bianca semplice, completando il tutto con un cardigan beige. Inizialmente pensò di lasciare i capelli sciolti, che le cadevano morbidi sulle sue spalle, ma poi, presa dall'abitudine, li chiuse in una semplice coda alta che le donava un aspetto fresco e ordinato. Si guardò allo specchio per un momento, aggiungendo un leggero tocco di mascara. Voleva apparire matura e sicura di sé, anche se dentro di lei si sentiva un po' nervosa.
Le sue amiche non si erano ancora svegliate, e dato che non avevano lezioni in comune quella mattina, decise di andare a prendersi un caffè al bar del campus.
Il bar era una piccola gemma nascosta nel cuore del campus, con una grande vetrata che lasciava entrare tutta la luce del mattino. Evelyn adorava quell'atmosfera accogliente: il profumo del caffè appena macinato, il brusio sommesso delle conversazioni e il suono familiare della macchina del caffè.
Entrando, notò subito un gruppo di ragazzi seduti vicino alla finestra. Ridevano rumorosamente, come se il resto del mondo non esistesse. Al centro del gruppo c'era un ragazzo che Evelyn non aveva mai visto prima. Aveva i capelli castani un po' disordinati, un sorriso contagioso e un atteggiamento che trasudava sicurezza senza apparire arrogante. Indossava una felpa scura con il logo del college e parlava con gli altri con una gestualità vivace che attirava l'attenzione.
Evelyn distolse lo sguardo rapidamente, concentrandosi sulla fila per ordinare. Non era il tipo da soffermarsi troppo sugli sconosciuti, eppure per un istante si chiese chi fosse quel ragazzo e cosa ci facesse lì. Era chiaro che fosse uno studente, ma era strano che fosse una matricola, vista la disinvoltura con cui si atteggiava insieme ai suoi amici, ma non ricordava nemmeno di averlo mai visto in tutto l'arco dell'anno precedente.
"Un caffè americano, per favore. Da asporto," disse al barista con un sorriso cortese.
Mentre aspettava, non poté fare a meno di sentire il gruppo continuare a ridere alle sue spalle. Il ragazzo al centro sembrava essere il fulcro della conversazione, e il suono delle sue risate era sorprendentemente piacevole, quasi musicale. Evelyn scosse la testa, rimproverandosi per essersi distratta.
Preso il caffè, uscì dal bar e si diresse verso l'edificio della sua prima lezione. Il campus era ormai in fermento, con studenti che iniziavano ad affollare i viali principali. Gruppi di amici camminavano chiacchierando animatamente, mentre altri erano immersi nei loro telefoni o negli appunti. Il sole del mattino, ora più alto nel cielo, illuminava tutto con una luce calda e dorata, facendo risplendere le foglie sugli alberi che costeggiavano il percorso.
Evelyn prese il sentiero lastricato che attraversava il giardino centrale, un ampio spazio verde con panchine e tavoli da picnic dove studenti erano già seduti a sfogliare libri o sorseggiare caffè. Il giardino era uno dei suoi luoghi preferiti del campus, con aiuole curate che esplodevano di colori stagionali e una fontana al centro, il cui zampillo creava un piacevole suono di sottofondo. Mentre camminava, cercava di ignorare il leggero tremolio del bicchiere di caffè che teneva in mano, segno del nervosismo che ancora non era del tutto svanito.
Proseguendo, passò accanto alla biblioteca principale, un imponente edificio neogotico con alte vetrate e intricati dettagli in pietra. La sua maestosità le dava sempre una sensazione di soggezione, come se rappresentasse il cuore intellettuale del campus. Evelyn fece una nota mentale di tornarci più tardi: sapeva che avrebbe avuto bisogno di consultare qualche libro per il corso di Sociologia Generale.
L'edificio delle arti sociali, dove si teneva la lezione, si trovava alla fine del sentiero principale, un po' defilato rispetto agli altri stabili. Era moderno, con pareti di vetro e acciaio che riflettevano il paesaggio circostante. Man mano che si avvicinava, il brusio degli studenti aumentava. Evelyn notò i cartelli affissi vicino all'ingresso, annunci di eventi e seminari organizzati dai vari dipartimenti. Un gruppo di ragazzi distribuiva volantini per un incontro serale, e uno di loro le sorrise, ma Evelyn si limitò a un cenno educato, troppo concentrata sull'inizio delle lezioni per fermarsi.
Varcò l'ingresso e fu accolta da un'atmosfera vivace ma ordinata. I corridoi erano rivestiti di pannelli chiari, e le porte delle aule erano numerate in modo chiaro, rendendo semplice orientarsi. Evelyn si fermò per un momento a controllare l'orario e il numero dell'aula sul suo telefono, poi si diresse con passo sicuro verso il secondo piano. Il rumore delle sue scarpe contro il pavimento risuonava nel corridoio, mescolandosi con le voci degli studenti che si affrettavano a raggiungere le loro lezioni.
Quando finalmente raggiunse l'aula di Sociologia Generale, si fermò per un momento davanti alla porta, inspirando profondamente. Poi la spinse con decisione e varcò la soglia, pronta ad affrontare il primo passo del suo nuovo anno accademico.
L'aula era spaziosa e luminosa, con ampie finestre che davano su uno dei cortili principali del campus. Evelyn entrò qualche minuto prima dell'inizio, scegliendo un posto vicino al centro, abbastanza avanti da poter seguire bene la lezione ma non così tanto da sembrare ansiosa.
Mentre sistemava il quaderno e il laptop sul bancone che faceva da appoggio, notò che gli altri studenti iniziavano a riempire l'aula. Alcuni si salutavano calorosamente, altri si sedevano in silenzio con lo sguardo fisso sui loro telefoni. Evelyn si guardò intorno, cercando volti familiari, ma non riconobbe nessuno. Questo la fece sentire leggermente fuori luogo, ma sapeva che era normale all'inizio di un corso.
Quando il professore entrò, un uomo sulla cinquantina con occhiali dalla montatura spessa e un'aria autorevole, l'aula si calmò immediatamente. Era alto e magro, con capelli grigi ben pettinati e un abito sobrio ma elegante. Si sistemò dietro la cattedra, posizionando con precisione una pila di fogli e una bottiglia d'acqua.
«Buongiorno a tutti,» iniziò con una voce ferma ma accogliente, che riempì facilmente l'aula. «Io sono il professor Harrington, e questo è il corso di Sociologia Generale. Prima di tutto, voglio darvi il benvenuto nel mondo delle scienze sociali e, giusto per capire chi sia il mio pubblico, vorrei fare l'appello.»
Si interruppe per un attimo, prendendo poi in mano un foglio e iniziando a elencare tutti i nomi dei presenti e non. Quando fu il turno di Evelyn, la ragazza si limitò ad alzare la mano, senza farsi notare troppo.
Terminata la lunga lista di studenti, il professore riprese il suo discorso introduttivo al corso: «Per alcuni di voi potrebbe essere la prima esperienza con questa disciplina, mentre altri potrebbero averne già una base. In entrambi i casi, il nostro obiettivo sarà quello di esplorare insieme come le società funzionano, e soprattutto, perché funzionano così.»
Evelyn alzò lo sguardo dal quaderno, catturata dalla sua presenza. Il professore aveva un modo di parlare che non era semplicemente accademico, ma coinvolgente, quasi teatrale.
«La sociologia,» continuò, «non è solo lo studio delle istituzioni, dei comportamenti collettivi o delle strutture sociali. È anche un modo per capire noi stessi. Vi siete mai chiesti perché certi gruppi di persone agiscono in un certo modo? Perché alcune norme sociali vengono accettate e altre rifiutate? E soprattutto, che ruolo avete voi in tutto questo? Questi sono i tipi di domande che affronteremo.»
Fece una pausa, lasciando che le sue parole si sedimentassero. Poi prese un gesso e scrisse tre parole sulla lavagna: Osservare, Analizzare, Connettere.
«Questi saranno i pilastri del corso,» spiegò. «Prima di tutto, impareremo a osservare il mondo che ci circonda. Non semplicemente guardare, ma osservare davvero, con occhi curiosi e critici. Poi, passeremo all'analisi, esaminando i dati, i comportamenti e i modelli che emergono dalle nostre osservazioni. Infine, faremo il passo più importante: connettere. Capire come tutto ciò si intreccia con le grandi dinamiche sociali, economiche e culturali che definiscono la nostra epoca.»
Evelyn prese appunti con precisione, scrivendo parola per parola le tre fasi e aggiungendo accanto brevi descrizioni. Era affascinata dall'approccio metodico ma umano del professore.
«Durante il semestre,» proseguì Harrington, «lavoreremo su diversi temi chiave: stratificazione sociale, relazioni di potere, norme culturali e cambiamenti sociali. Faremo anche un'esplorazione approfondita delle disuguaglianze, analizzando come si manifestano e perpetuano nella società moderna. E per rendere tutto questo concreto, vi chiederò di lavorare su casi di studio reali. Saranno esempi tratti da contesti storici e attuali, e sarà vostro compito decifrarli usando gli strumenti sociologici che acquisirete qui.»
Un mormorio di interesse attraversò l'aula. Evelyn notò che anche altri studenti stavano prendendo appunti febbrilmente.
«Questo corso non sarà solo teoria,» concluse Harrington con un sorriso appena accennato. «Voglio che impariate a pensare da sociologi. Voglio che, alla fine del semestre, abbiate una nuova lente attraverso cui guardare il mondo. E, chi lo sa, magari questa lente vi aiuterà a fare la differenza.»
Evelyn sentì una leggera scarica di adrenalina. Era solo il primo giorno, ma già si sentiva motivata a dare il massimo. Harrington aveva quel tipo di carisma che ti faceva sentire parte di qualcosa di importante, e la ragazza non vedeva l'ora di scoprire dove quel corso l'avrebbe portata.
La lezione si concluse con un suono breve ma deciso del campanello. Il professor Harrington chiuse il quaderno degli appunti e si sistemò gli occhiali sulla punta del naso.
«Per oggi è tutto,» disse con la sua voce autorevole ma gentile. «Prima di lasciarvi, un piccolo compito: osservate. Guardate attentamente il mondo che vi circonda questa settimana e prendete nota di almeno tre situazioni che trovate interessanti dal punto di vista sociale. Non serve scrivere un'analisi approfondita, solo le vostre impressioni. Ci serviranno per la prossima lezione.»
Gli studenti iniziarono a raccogliere le loro cose, e l'aula si riempì di un leggero brusio. Evelyn, seduta al centro, chiuse il suo quaderno con cura e infilò la penna nella tasca esterna dello zaino. Mentre si alzava, si prese un momento per guardare fuori dalla finestra: il cortile era ormai animato, il sole illuminava le panchine dove gruppi di studenti ridevano e parlavano.
Con calma, infilò il laptop nella sua custodia, controllando di non dimenticare nulla. Non aveva fretta; preferiva aspettare che la folla all'uscita si diradasse. Quando finalmente uscì dall'aula, sentì una leggera soddisfazione. La lezione era stata interessante, il professore stimolante, e il compito assegnato non le sembrava troppo impegnativo.
Mentre camminava lungo il corridoio, Evelyn tirò fuori il telefono per controllare il suo orario. Aveva un'altra lezione quella mattina, ma non ricordava esattamente dove si tenesse. Aprì l'app del campus e iniziò a scorrere gli appuntamenti della giornata.
«Vediamo,» mormorò a se stessa, «Antropologia culturale... edificio delle scienze umane... aula 302.»
Alzò lo sguardo per orientarsi e controllare i cartelli appesi nel corridoio, ma nel farlo non si accorse della figura che le veniva incontro.
Boom!
Il suo corpo andò a sbattere contro qualcuno, e il suo telefono scivolò dalle mani, atterrando con un suono secco sul pavimento. Evelyn fece un passo indietro, confusa, e si trovò di fronte un ragazzo.
«Oh, mi dispiace tanto!» esclamò lei, abbassandosi istintivamente per raccogliere il telefono.
«Tranquilla, colpa mia,» rispose il ragazzo con un sorriso, chinandosi anche lui per aiutarla. Aveva un tono gentile, e la sua voce aveva una sfumatura divertita.
Quando i loro occhi si incontrarono, Evelyn si sentì leggermente spiazzata. Era il ragazzo che aveva notato quella mattina al bar. Lo stesso sorriso aperto, i capelli castani leggermente spettinati, gli occhi luminosi che sembravano ridere da soli.
«Ti ho distratta, vero?» aggiunse, porgendole il telefono. «Spero non si sia rotto.»
Evelyn prese il telefono, controllando rapidamente lo schermo. «No, sembra tutto a posto. Grazie... ehm...» esitò, sperando che lui si presentasse per non fare la figura dell'idiota.
«Matthew,» disse lui, con un piccolo cenno del capo. «Tu sei nuova in Sociologia, vero? Ti ho vista in aula prima.»
«Sì, esatto,» rispose Evelyn, ancora un po' imbarazzata. «E tu? Segui il corso anche tu?»
«Non proprio,» spiegò Matthew, infilandosi le mani nelle tasche. «Sono un assistente per il professor Harrington. Ogni tanto partecipo alle lezioni per accumulare qualche credito extra.»
«Ah, capisco,» disse Evelyn, cercando di mascherare il suo nervosismo con un sorriso. «Beh, piacere di conoscerti, Matthew. E scusa ancora per lo scontro.»
«Piacere mio, Evelyn,» rispose lui.
Lei si irrigidì per un attimo. «Come fai a sapere il mio nome?»
Matthew rise. «Harrington ha chiamato il tuo nome durante l'appello. E poi hai preso appunti per tutta la lezione, difficile non notarti.»
Evelyn si sentì arrossire leggermente. «Oh, giusto. Beh, spero di non essere stata troppo evidente.»
«Tutt'altro,» replicò Matthew, con un sorriso rassicurante. «È raro vedere qualcuno così attento fin dal primo giorno. In bocca al lupo per Antropologia. L'edificio delle scienze umane è proprio dall'altra parte del cortile. Ti ci posso accompagnare, se vuoi.»
Evelyn esitò per un momento, stringendo il telefono tra le mani. Poi, con un sorriso educato, scosse leggermente la testa.
«Oh, grazie mille, ma non voglio disturbarti,» disse, cercando di mantenere un tono leggero e sicuro. «Penso di potermela cavare da sola. Devo solo seguire i cartelli.»
Matthew la osservò per un attimo, il suo sorriso non svanì, ma c'era un accenno di sorpresa nei suoi occhi. «Sei sicura? Non è un problema per me.»
«Sì, sì, davvero,» insistette Evelyn, sentendo le guance scaldarsi. «Grazie comunque, sei stato gentile.»
«Va bene,» rispose Matthew, facendo un passo indietro per lasciarle spazio. «Allora buona fortuna per la prossima lezione, Evelyn. Ci vediamo in giro.»
«Grazie, buona giornata anche a te,» replicò lei con un sorriso rapido prima di voltarsi e dirigersi verso l'uscita del corridoio, stringendo la tracolla dello zaino.
Mentre si allontanava, Evelyn sentì il cuore battere un po' più veloce del normale. Ripensò per un istante alla conversazione: Matthew sembrava gentile, ma l'idea di accettare il suo aiuto l'aveva resa troppo nervosa. «Magari la prossima volta,» pensò tra sé, mentre seguiva i cartelli verso l'edificio delle scienze umane.
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