Capitolo 23
La festa proseguiva in un'atmosfera vivace, con risate e brindisi che si fondevano alla musica in sottofondo, creando un'energia contagiosa che sembrava avvolgere ogni angolo della stanza. Madison, con un'aria teatrale e un bicchiere di punch stretto in mano, si era posizionata al centro del salotto, attirando tutta l'attenzione su di sé mentre mescolava con enfasi i foglietti nella scatola, come se da quella scelta dipendesse il destino della serata.
Ogni gesto era esagerato, accompagnato da commenti spiritosi e ammiccamenti che strappavano risate a tutti gli invitati. Quando infilò la mano per pescare il prossimo nome, si fermò volutamente un attimo in più, alzando lo sguardo per creare una tensione fittizia. «E ora, signore e signori, vediamo chi sarà la prossima vittima di questo gioco spietato!» esclamò, calcando volutamente le parole per il massimo effetto.
Il gruppo si radunò intorno a lei, alcuni con espressioni curiose, altri già ridendo in attesa del risultato. Il gioco, un mix di domande imbarazzanti e scommesse stravaganti, aveva ormai conquistato tutti, trasformando la serata in una serie di scenette esilaranti. Alcuni ospiti si prendevano in giro bonariamente per le loro risposte, mentre altri cercavano con poca convinzione di protestare contro scommesse impossibili, solo per cedere poi al clamore degli amici.
La stanza vibrava di entusiasmo, e ogni nuova estrazione portava con sé un'ondata di aspettative e scherzi. Era chiaro che, anche settimane dopo, molte di quelle storie sarebbero state ricordate e raccontate in modo ancora più esagerato. Evelyn, osservando la scena con un sorriso, si sentì per un attimo trascinata da quel clima spensierato, anche se il pensiero della scommessa che l'aveva vista protagonista continuava a pungere come un'eco insistente nella sua mente.
«Vediamo... prossimo nome!» esclamò Madison, con un tono trionfante, sollevando il foglietto tra le dita come se fosse una scoperta epocale. La sua teatralità strappò un coro di risate dalla folla, mentre molti si sporgevano in avanti, ansiosi di scoprire chi fosse il prossimo fortunato. «Evelyn!» annunciò infine, enfatizzando ogni sillaba come se avesse appena proclamato il vincitore di una lotteria.
Un mormorio di entusiasmo percorse la stanza, seguito da qualche applauso e alcuni commenti scherzosi. Evelyn, che fino a quel momento si era limitata a osservare il gioco con un misto di divertimento e distacco, sollevò lo sguardo dal bicchiere che teneva tra le mani. Era seduta sul divano accanto a Jake, che lanciò un'occhiata divertita verso di lei. Cercò di mantenere un'espressione neutra, ma non poteva ignorare il crescendo di attenzione che la circondava.
«Oh, finalmente! Tocca alla festeggiata!» esclamò Harper, battendo le mani come se avesse atteso quel momento per tutta la serata. Si avvicinò con un sorriso complice, i suoi occhi brillanti di malizia. «Allora, Evelyn... domanda o scommessa?»
Evelyn si sentì per un attimo al centro di un piccolo vortice. Tutti gli sguardi erano puntati su di lei, e l'aria sembrava carica di aspettativa. Harper la fissava con un sorriso che non prometteva nulla di buono, mentre Madison agitava il foglietto in mano, come per ricordarle che ormai non poteva tirarsi indietro.
Evelyn esitò, cercando di prendere tempo. Le opzioni si rincorrevano nella sua mente: una domanda poteva essere imbarazzante, ma una scommessa... beh, poteva essere anche peggio. Scambiò un'occhiata con Jake, che le sorrise e alzò le spalle come per dire "È solo un gioco".
«Scommessa,» disse infine, lasciandosi sfuggire un sospiro rassegnato. Cercò di sorridere, ma dentro di sé già si chiedeva se avesse fatto la scelta giusta. Il coro di approvazione che seguì la sua risposta fu così rumoroso che quasi si pentì all'istante.
La stanza esplose in un coro di approvazione, e Madison alzò il microfono come se stesse per annunciare un premio. «Ok, ragazzi, chi ha una scommessa per la nostra Evelyn?»
Per un momento ci fu silenzio, mentre tutti sembravano riflettere. Poi, una voce maschile, decisa e sicura, ruppe l'attimo di quiete.
«Ti sfido a conquistare Matthew e a farlo innamorare di te!»
Il silenzio calò improvviso, come se il tempo stesso si fosse fermato, e per un attimo tutto sembrò sospeso. Evelyn rimase immobile, paralizzata dalle parole che rimbombavano nella sua mente come un'eco beffarda. Il cuore le batteva così forte che quasi le sembrava di poterlo sentire nelle orecchie. Perché proprio quella scommessa? E, soprattutto, chi avrebbe mai potuto proporre una cosa del genere?
Le risate esplosero subito dopo, fragorose e contagiose, ma per Evelyn suonavano lontane, ovattate, come se provenissero da un'altra stanza o da un sogno confuso. Si girò lentamente, scrutando i volti degli invitati, ma ogni sorriso, ogni espressione sembrava mischiarla in un calderone indistinto di confusione e imbarazzo. Gli occhi le si posarono istintivamente sulla porta, cercando Matthew. Ma lui non c'era.
Doveva essersene andato prima che il gioco iniziasse. Evelyn sentì un misto di sollievo e frustrazione per la sua assenza. Sollievo, perché non avrebbe dovuto affrontarlo in quel momento così surreale; frustrazione, perché in fondo desiderava sapere cosa avrebbe detto lui, come avrebbe reagito a quella sfida assurda.
Si obbligò a tornare al presente, mentre i mormorii e le risate continuavano a riempire la stanza, ma il peso di quegli occhi su di lei era opprimente. Chiunque avesse lanciato quella scommessa doveva averlo fatto con intenzioni precise, ma perché? Per provocarla? Per metterla in difficoltà? O forse per un maldestro tentativo di spezzare la tensione con una trovata assurda?
«Chi ha detto una cosa così ridicola?» chiese Evelyn, la voce tesa, mentre Harper e Madison si scambiavano uno sguardo preoccupato.
«Dai, Evelyn, è solo un gioco,» disse Harper, avvicinandosi e posandole una mano sulla spalla. «Non devi accettare per forza.»
Ma il resto degli invitati, forse complice qualche bicchiere di troppo, non sembrava dello stesso avviso. Un coro di voci iniziò a scandire il suo nome: «Evelyn! Evelyn! Evelyn!»
La ragazza scosse la testa, guardando Harper con occhi imploranti. «Harper, questo è assurdo!»
«Lo so,» rispose Harper, cercando di calmarla. «Ma sai com'è... è il gioco. Se rifiuti, continueranno a tormentarti per settimane.»
Evelyn si passò una mano tra i capelli, il respiro accelerato. «Non posso farlo. È assurdo. È...»
Jake si fece avanti, cercando di intervenire. «Ragazzi, non sarebbe meglio pensare a una scommessa meno complicata?»
Ma le voci continuarono, sempre più insistenti, e il nome di Evelyn risuonava nella stanza come un tamburo incessante, ogni battito un colpo alla sua determinazione già vacillante. Evelyn si sentiva come una preda in gabbia, circondata da occhi curiosi e sguardi carichi di aspettativa. Il calore della stanza sembrava opprimerla, rendendo l'aria pesante e difficile da respirare.
Con il cuore che martellava nel petto, chiuse gli occhi per un istante, cercando disperatamente di ritrovare un minimo di controllo. Il suo mondo interiore era un turbinio di emozioni contrastanti: rabbia per essere stata messa in quella posizione, imbarazzo per essere il centro di un'attenzione così invadente, e un vago, fastidioso senso di sfida che non riusciva a ignorare.
Quando riaprì gli occhi, Harper era lì, con un'espressione che tradiva un mix di apprensione e incoraggiamento. Evelyn la fissò, cercando un'ancora, una via d'uscita, ma tutto ciò che trovò fu la certezza che qualunque cosa avesse deciso, non avrebbe potuto sottrarsi senza ulteriori commenti o pressioni.
Inspirò profondamente, cercando di mascherare il tremito nella sua voce. «Va bene,» disse infine, con un tono che sperava risultasse fermo, anche se dentro di sé si sentiva sul punto di crollare. «Accetto.»
La stanza esplose in un boato di approvazione, applausi e grida di incoraggiamento, ma Evelyn non sentiva altro che il ronzio nelle sue orecchie e il peso di quella decisione appena presa. Le risate e i brindisi si fondevano in un rumore indistinto, mentre lei si ritrovava intrappolata nel caos della propria mente.
Cosa aveva appena fatto? Perché aveva accettato una proposta così assurda? Il suo stomaco si attorcigliava al pensiero di ciò che sarebbe venuto dopo. Avrebbe trovato un modo per uscirne, si disse, anche se non sapeva ancora come. Ma una cosa era certa: la serata, che avrebbe dovuto essere un momento di svago e leggerezza, era appena diventata molto più complicata di quanto avesse previsto.
La festa riprese subito con un'energia rinnovata, come se l'audace scommessa avesse acceso una scintilla tra gli invitati. Le risate si fecero più fragorose, i movimenti più sfrenati sulla pista da ballo, e ogni angolo della stanza sembrava pulsare di un'irrefrenabile leggerezza. Ma Evelyn, al centro di quel turbinio, sentiva un peso insopportabile calarle addosso, trasformando l'atmosfera di gioia in una gabbia soffocante. Ogni sguardo, ogni risata, sembrava rivolgersi a lei, anche quando sapeva che non era così. La sua mente rimbombava delle parole della scommessa, ripetendole come un'eco crudele: "Conquistare Matthew e farlo innamorare di te."
Harper si era avvicinata, la sua presenza discreta e il sorriso che cercava di rassicurarla appena visibili nella luce soffusa. Evelyn, però, non riusciva a incontrare davvero i suoi occhi. Ogni fibra del suo corpo gridava per una via di fuga, e la voce dell'amica, seppur gentile, sembrava lontana, come filtrata attraverso una barriera invisibile.
«Ehi... stai bene?» aveva chiesto Harper, il tono carico di apprensione.
«Sto cercando di non pensarci troppo,» era stata la risposta di Evelyn, le spalle che si alzavano in un gesto di sconforto. Ma non era vero, non poteva smettere di pensarci.
La musica, le risate, il brusio delle conversazioni: tutto sembrava così distante, così estraneo. Evelyn guardava gli invitati divertirsi, Harper accanto a lei che continuava a cercare di confortarla, ma niente sembrava reale. Non voleva più essere lì, non voleva continuare a fingere che stesse andando tutto bene.
Quando Harper si allontanò per unirsi a Madison, Evelyn sentì di non poter più restare. Si fece strada attraverso la folla con un sorriso di circostanza incollato sul volto, il respiro sempre più corto, il bisogno di aria fresca che cresceva ad ogni passo. Finalmente raggiunse la porta, e il cambio d'ambiente fu come un sollievo improvviso.
L'aria fresca della notte le accarezzò il viso, pungente e ristoratrice. Evelyn inspirò a fondo, lasciando che la sensazione la calmasse, almeno un poco. Avrebbe voluto fare qualche passo, ma quelle scarpe scomode, a cui non era abituata, non glielo avrebbero certo reso semplice. Perciò, si limitò ad appoggiarsi a una colonna del portico, sedendosi a terra e cercando di calmare il battito del cuore che le sembrava inarrestabile.
Una voce familiare la raggiunse, spezzando il silenzio della notte.
«Evelyn?» La chiamò Jake, il suo tono un misto di preoccupazione e curiosità. Si avvicinò con passo deciso, ma discreto, come se volesse darle spazio, ma allo stesso tempo non volesse lasciarla sola. Evelyn sollevò lo sguardo, cercando di mascherare la sua emozione. Non voleva che Jake la vedesse così vulnerabile.
«Ehi,» rispose lei, asciugandosi velocemente le lacrime con il dorso della mano. La sua voce tremò appena, ma cercò di sembrare più calma di quanto si sentisse.
Jake si fermò davanti a lei, senza dir nulla per un attimo, come se valutasse la situazione. Poi, con un tono che tradiva il suo dispiacere nel vederla così, disse: «Non pensavo che saresti uscita fuori, tutto bene?»
Evelyn tirò su con il naso. «È solo che non ce la faccio a stare lì dentro, Jake. E poi...» fece una pausa, i suoi occhi fissi su un punto lontano, come se cercassero di nascondere qualcosa che le gravava nel petto. «Quella scommessa...»
Jake la osservò a lungo, cercando di leggere tra le parole non dette. Poi, con calma, si avvicinò un po' di più, come per creare una distanza sicura tra lei e il resto del mondo che sembrava ignorarla. «Non lasciare che una stupida scommessa decida per te. Non sono i giochi che ti definiscono, Evelyn. È la tua scelta, solo la tua. E tu... tu sei libera di fare ciò che vuoi.»
Evelyn alzò gli occhi verso di lui, sentendo il peso delle sue parole più di quanto volesse ammettere. «Ma non posso ignorarlo,» rispose a mezza voce. «La gente non lo lascerà cadere, Jake. Si divertono con questa cosa, e io...» Abbassò lo sguardo, sentendosi improvvisamente piccola. «Non voglio essere quella che non sa prendere nulla sul serio. Non voglio che pensino che non so divertirmi, che sono quella che non sa giocare.»
Jake la guardò intensamente, come se cercasse di capire davvero cosa le stesse passando per la testa. Poi, con un sorriso che era più una promessa che una risata, disse: «Guarda che non hai nulla da dimostrare a nessuno. Se la gente ride o parla dietro le spalle, non ti deve interessare. Tu non sei quella che segue la folla, e non dovresti mai dimenticarti di questo.»
Le parole di Jake risuonarono nella mente di Evelyn, ma il dubbio non svanì. Si passò una mano tra i capelli, cercando di scacciare il fastidio che le afferrava la mente. «Ma non posso fare finta di niente. È come se dovessi obbligarmi ad accettarlo, a far vedere che sono capace di affrontare tutto questo, anche se non voglio farlo.»
Jake sospirò, il suo sguardo più gentile che mai. «Evelyn, nessuna di queste cose cambierà chi sei davvero. Non c'è niente di male nel non voler partecipare a un gioco che non senti tuo. E non lasciare che qualcuno ti faccia sentire sbagliata per questo.»
Evelyn non riuscì a rispondere subito. Il suo respiro si era fatto più regolare, ma le sue emozioni erano ancora in tumulto. Si sentiva combattuta, tra la sua volontà di fuggire da quella situazione e il desiderio di non apparire debole agli occhi degli altri. Le sembrava che, se avesse rifiutato la sfida, tutti l'avrebbero vista come la "diversa", quella che non sa giocare il gioco. Eppure, dentro di sé, sapeva che Jake aveva ragione. Aveva il diritto di scegliere.
Rimanendo in silenzio, si appoggiò completamente alla colonna, le mani che si intrecciavano nervosamente. «E se poi mi sentissero come una che non sa farsi valere?»
Jake le si avvicinò ancora di più, mettendo una mano sulla sua spalla in segno di conforto. «Evelyn, fidati di me, non lasciare che gli altri ti dicano come dovresti vivere. Sei più di una scommessa, più di un gioco. Non devi far nulla che non ti faccia sentire bene con te stessa.»
Un sorriso appena accennato le sfiorò le labbra. «Forse hai ragione,» ammise Evelyn, anche se il suo cuore continuava a battere velocemente per l'incertezza che la tormentava.
Jake fece una smorfia, poi ridacchiò. «Chi se ne frega di cosa pensano gli altri? Tu sai chi sei. E il resto non conta.»
Evelyn non poté fare a meno di sorridere, anche se le sue mani tremavano ancora. Le parole di Jake la stavano lentamente sollevando dal peso che sentiva. Sapeva che non sarebbe stato facile, che non poteva fare a meno di preoccuparsi per l'opinione degli altri, ma almeno adesso sentiva che c'era un'alternativa. Un'alternativa che non implicava il cedere a una scommessa che non voleva.
Si alzò dal muro con un respiro profondo, guardando Jake negli occhi. «Ok, cercherò di non farmi influenzare troppo. Grazie, Jake.»
Lui le sorrise, il volto disteso e amichevole, per poi alzarsi, come a volerle lasciare lo spazio necessario a poter riflettere.
La ragazza, rimasta sola, si asciugò velocemente il viso con il dorso della mano e si ritrovò a pensare a Matthew. Quel pensiero la colse di sorpresa, quasi la spaventò. Non poteva immaginare come sarebbe stato affrontarlo ora, dopo quella maledetta scommessa. Che lo avesse già saputo?
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