~74~

«Elise, oh Elise! Te l'avevo appena comprato!»

Tra le spesse pareti di una delle sale più alte del quartier generale della Port-Mafia, un uomo dai capelli color della pece e gli occhi di chi vede ogni inganno sembrava perdere attimi della sua vita a ragionare dietro una bambina, dall'apparenza candida e innocente.

«Signore.»

Qualcuno, però, aveva bisogno di attenzioni. Dal fondo della stanza si era aperta la porta e faceva capolino una delle guardie dal completo nero e lo sguardo assente; poi, dopo quel richiamo per Mori, una risata si sentì riecheggiare in tutto il piano. Se disperata o divertita spettava ai presenti dirlo, ma nulla pareva promettere qualcosa di rassicurante. Lontane ma di estrema e spaventosa potenza le risa continuarono per minuti senza fine. Mori fissava l'uomo che, cercando di non dargli le spalle, si voltava indietro a zittire l'ospite che si mostrava solo irrispettoso e non accennava a smettere.

«Rintarooo!» la voce di Elise superò quasi le risate stanche che andavano sempre più a scemare «Chi è che urla?»

«Cara Elise, potresti andare nella tua stanza? Ho del lavoro da svolgere adesso.»

Mori sorrise incerto, incurvando la schiena come se stesse rischiando in qualche modo di venir colpito da quella bambina bionda con uno dei suoi oggetti d'intrattenimento; Elise, però, se ne andò, lasciandolo solo nella sala che diventò ancora più buia e nera.

Le risate cessarono di colpo.

E anche il tono di Mori, di colpo, mutò.

«Fallo entrare.»

L'aria che fino a quel momento era stata stracolma di grida non folli, ma dal timbro ironico e drammatico, si riempì del suono dei passi quasi strascicati del nuovo ospite. Non era passato che un giorno da quando lo avevano catturato, e già sembrava essere diventato un'altra persona: gli occhi, sua principale e meravigliosa caratteristica, non brillavano alla luce delle poche lampade accese, anzi ci si inabissava solo a guardarli; e il colorito pallido della pelle sua perfetta non gli dava più un aspetto immacolato come un angelo, ma trasandato come fosse moribondo. Solo i capelli lisci e un po' più lunghi di quando ogni persona lo cercava, in tutto il loro vagare a ciocche dove preferivano, rimanevano di un intatto color oro, prezioso ma quanto più di finto potesse esserci dentro quel palazzo.

Mori dal canto suo pareva l'opposto. Splendente in tutta la sua cupa forma e i suoi cupi colori; rafforzato dall'immagine di un anima che non esisteva quasi più. Lo fece avanzare quanto bastava per guardarlo da vicino, ammirarne la bellezza.

Ed è lì che rivide il sorriso di Ihara Saikaku, residuo della risata dei minuti precedenti. Ed è lì che si rese conto della potenza e della fragilità di quel giovane uomo che in sole ventiquattrore aveva perso ogni cosa.

«Signore...» la voce appena sussurrata era l'unica cosa presente in quel corpo.

Nemmeno lo sguardo aveva un vero peso, fisso negli occhi del capo della Port-Mafia.

«Per la mia gioia finalmente ci incontriamo, Boss!» Mori allargò le braccia in modo esagerato, e mostrò i denti in un sorriso soddisfatto «Levami una curiosità, però. La tua banda di amici doveva pur avere un nome, no? Ogni grande gruppo capitanato da un grande leader si deve identificare, in qualche modo. Altrimenti ci si scioglie, così,» schioccò le dita, rimettendo poi le mani in tasca, «come se non si fosse mai esistiti.»

Ihara teneva la testa alta, dritta verso il suo nemico, e la sua espressione si era rabbuiata di colpo. Le ciocche dorate gli cadevano sul viso, e non accennava a volerle spostare di un solo millimetro, come se attraverso quelle avesse potuto filtrare meglio le parole di Mori Ogai, e avesse quindi resistito di più all'impulso di uccidere chi aveva accanto. Stranamente, non aveva manette o catene a tenerlo legato e fermo.
Era lì immobile e innocuo dentro il suo completo nero ricoperto di polvere, la giacca sgualcita, la cravatta slacciata.

«Ma certo, pensa pure quanto vuoi. Non ti costringerò a parlare. Per il momento.» fece una pausa, e ordinò alle guardie di lasciarli soli.

«Anche perché, come potrai immaginare, aspettiamo altre due persone. Due ospiti importanti per lo spettacolo che presto o tardi si terrà in questa città.»

«E servivo io a smuovere l'anima persa di due uomini senza alcuna speranza?»

Da quelle parole, Mori comprese più di ogni altra cosa quanto poco tempo, ormai, gli stesse concedendo il suo avversario sconfitto. Malgrado l'incredibile voglia di giocare ancora un po', persino lui aveva capito che il limite tra stupidità e furbizia poteva essere sottile, in quella circostanza, e che un passo falso significava sprecare l'occasione che cercava di ricreare da mesi.

«Chi meglio di te sa vedere le anime perdute e le sa far ritrovare?»

Il ragazzo non rispose, indirizzando il suo sguardo altrove e rimanendo in silenzio.

***

Chi è che ti ha salvato?

Oppure stai ancora aspettando?

Dazai si sentiva la schiena a pezzi; quello scomodo letto non gli era parso tanto dannoso quanto in quelle ore di dormiveglia. Come pensava non era riuscito a prendere sonno in modo decente, rigirandosi in quel letto e sperando di pungersi con qualche spillo bagnato di morfina. Si era lamentato tanto con Chuuya di essere puntuale e riposare dopo, per raggiungere Mori e Ihara, e adesso sembrava essere lui bisognoso di riposo, di calma.

Perché temo ciò che capiterà adesso? Forse ho sonno perché mi rifiuto di affrontare...

I suoi pensieri si interruppero di colpo. Un calcio aprì con violenza la porta non così resistente del capanno, e lì apparve, illuminando l'interno con la luce del nuovo giorno, il compagno del bendato. Dazai rimase paralizzato alla vista di Chuuya: primo, perché si aspettava ritardasse o non si presentasse proprio al quartier generale; secondo, perché non credeva di trovarselo là davanti in quel posto, senza preavviso, senza pure il sentore che potesse entrare in quel modo.

«Chuuya, stai...»

«Chiariamo un attimo le cose, Dazai. Io faccio quello che mi pare.» il rosso lo fermò dal principio, richiudendo dietro di sé con altrettanta forza la porta e avanzando dopo verso il partner con passi pesanti.

Non si avvicinò che di qualche metro. Erano distanti, si fissavano ma sembravano come se stessero improvvisando una scena. Dazai sorpreso di vedersi davanti Chuuya, e Chuuya incredulo di aver trovato le forze per essere lì.

«Tu non mi ordini di dormire o di non dormire. Hai capito?»

A Dazai scappò una breve risata e incrociò le braccia piacevolmente colpito. Almeno così si sarebbe svegliato un po'.

«Me l'hai già detto. Soffri di amnesia, Chuuya?»

«Te lo voglio ripetere, Dazai. E in più...» abbassò il tono di voce, e fece ancora qualche passo verso il bendato.

Prima di parlare, passarono una decina di secondi; Chuuya sembrò cambiare totalmente atteggiamento, e quasi contro il suo volere si decise finalmente a riprendere il discorso.

«Qualsiasi cosa accada oggi cerchiamo di fare quel che dobbiamo. Non so perché il boss voglia che partecipiamo al suo incontro con Ihara, dato che il nostro lavoro lo abbiamo già svolto e non c'è nessun motivo per il quale avrebbe bisogno di noi, adesso.»

Ma Dazai rispose quasi immediatamente. Anche lui, seguendo Chuuya, aveva assunto un'espressione meno divertita e provocatoria, allo stesso tempo sembrava prendere con più leggerezza la questione tirata fuori da Chuuya.

«A me sembra ovvio il motivo per quale ci ha chiamati. Sono state riesumate questioni passate non facili da dimenticare...» Dazai avanzò verso il compagno, e la loro distanza si accorciò prepotentemente «È un avvertimento che stai dando a me, o qualcosa che vuoi soltanto tenere a mente, Chuuya?»

Il rosso digrignò i denti e si trattenne dal prenderlo a pugni. Dentro di sé, però, sapeva che Dazai avesse ragione.

Lo so, e vorrei tanto che non fosse così. Vorrei non dover convivere con la devastante sensazione di arrivare sempre a un passo accanto a lui, e poi però stargli sempre troppo indietro per raggiungerlo. E a volte, forse ancora peggio, odio dover comprendere che quando credevo di averlo preceduto, era lui ad aver preceduto prima me.

«Lo sai che ci sono cose che non ci siamo ancora detti. Io stesso, devo rivelarti dei dettagli su Ihara che non ha mai palesato con le sue infinite vacue parole,» Dazai alzò le spalle, stanco, «o forse sì, e non lo stavo ascoltando. Non voglio rendere inutile questo nostro incontro qua, quindi anch'io voglio darti un consiglio per quando lo incontreremo nuovamente.»

Fu come una folata di vento, lo spostare del suo corpo accompagnato dal cappotto; come il rumore di una lama che sferza l'aria, Dazai rapido si accostò al corpo del suo compagno, facendo coincidere la propria spalla sinistra con la rispettiva di Chuuya, e abbassò lievemente il capo fino a far raggiungere alle proprie labbra l'orecchio sinistro del rosso. Poi tirò su il braccio che sfiorava l'altro corpo e adagiò la mano sulla spalla di Chuuya. Pian piano gliela strinse e a quel suo movimento accompagnò la propria voce.

«Non ti scava solo dentro, ti ruba ogni pezzo che ti compone. Non pesca dai tuoi ricordi il più doloroso; lui lo ricrea facendoti credere che sia tuo.» la voce di Dazai divenne un sussurro che non diede modo a Chuuya di ribellarsi a quei gesti; divenne il rimasuglio dell'aria spezzata in precedenza con una spada invisibile, e Chuuya gli sprazzi di sangue della vittima appena colpita.

«Ihara non sa niente di te. Ma ti fa credere di conoscere ogni tuo profondo pensiero contorto, e se glielo lascerai fare, allora quello sarà il momento in cui tu avrai perso.»

Chuuya voltò il viso di scatto verso Dazai, ritrovandoselo a pochi centimetri da sé. Non batté una palpebra, nella sua impassibile risposta.

«Perché me lo stai dicendo, Dazai?» anche il colore della sua voce imitò quello del compagno, bassa e diretta, un'ombra di un'arma affilata.

«Forse tu mi odi.» la mano continuava a tenere stretta la spalla di Chuuya «Forse quando non avremo più vincoli a tenerci legati, tu proverai a uccidermi...» fece una pausa, ma dopo qualche attimo continuò «... fallendo, ovviamente.» a quelle parole, Chuuya schioccò la lingua infastidito.

«Ma fino a quando saremo intrappolati nella stessa gabbia, alla ricerca della chiave per liberarci, sopravviveremo insieme. A costo di morire insieme. E tu saprai ciò che so io.»

Chuuya gli rispose quasi in automatico, come fosse un verso di una poesia.

«E io saprò ciò che sai tu.»

Dopo quell'ultima frase, Dazai mollò la presa sulla spalla e lo superò, uscendo dal capanno nel modo opposto con il quale Chuuya era entrato. Sentì poi i passi del compagno seguirlo in silenzio, come se nessuno dei due, in realtà, avesse voluto rovinare quella piccola bolla d'ossigeno che si erano regalati dopo settimane. Forse, entrambi, avevano compreso inconsciamente il volere di Fumiko: insieme, da soli, potevano anche distruggersi. Dovevano, anzi, era il loro destino continuare a scomporre e ricomporre i propri pezzi, fino a perderne talmente tanti di piccoli da non poter più ricostruire niente. Ma di fronte ai nemici dovevano sembrare una cosa unica e unita, un pilastro senza crepe, un capanno senza punti di fuga, caldo e in grado di avvolgere in una morsa soffocante la loro preda ignara e ingenua che, in cerca del cibo, è finita in una trappola. Avevano bisogno l'uno dell'altro, ma non l'avrebbero mai ammesso pur con tutti i loro avvertimenti spassionati e violenti.

Chi è che ti ha salvato?

Oppure stai ancora aspettando?

Arrivarono in perfetto orario fuori dalla sala di Mori. Nessuno dei due se lo sarebbe mai aspettato, eppure eccoli lì, puntuali come dei soldati. Dazai fece il primo passo, senza nemmeno lanciare un'occhiata a Chuuya che, ancora un po' seccato per non aver riposato abbastanza, fissava un punto a vuoto intorno a lui. Non appena Dazai aprì la grande porta e il Doppio Nero entrò, ciò che si ritrovarono davanti fu lo splendido viso stravolto del loro capo.

Solenne, profondo e sconvolto, ecco come Mori Ogai, in quel momento, accoglieva la sua arma vincente che avanzava nella sala dalle sembianze di un buco nero. Il suo volto, ancora immobile a fissare con gli occhi quelli di Ihara, con estrema lentezza si mosse e riuscì finalmente a raggiungere con lo sguardo Dazai e Chuuya.

«Boss?» Dazai esordì con tono freddo.

«Vi aspettavamo.»

E con il coro inquietante creato da un ragazzo angelico ma moribondo e da un uomo folle e pure divertito, quell'incontro dalle tinte cupe e le circostanze incerte non era che soltanto agli inizi.

Allora, è lui che ti ha salvato?

~~~

Ue uee.

Guardate, nemmeno lo commento questo capitolo. Lascio fare tutto a voi. E nemmeno mi scuso per il ritardo, lascio parlare voi.

Cioè proprio basta. Voi siete i miei lettori, voi dovete commentare. Mica io. Ecco, visto che mi sto dilungando inutilmente?
Adesso stop.

Cieo.

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