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«L'ho incontrata.»

La voce meccanica rimbombava dentro l'orecchio di Chuuya, fastidiosa, molesta. Il bendato l'aveva chiamato al cellulare per informarlo dell'incontro del giorno prima con Fumiko, ma al rosso ben poco in realtà importava. Forse perché non voleva sapere più niente di lei, di sua sorella, e della sua maledizione nel perdere o non avere mai ciò a cui tiene; anche la sua vita, quella fiammella dentro di sé alimentata da se stesso, quello che Chuuya sapeva non sarebbe durato ancora a lungo, continuando così. A pensare e ripensare che forse le sue azioni non erano state la scelta giusta, e che ora doveva pensare solo al presente, e non al passato.

E sentiamola la voce che in quel passato mi catapulta sadicamente.

«Quindi?»

«Chuuya, non credo che abbia davvero intenzione di ucciderci. Non ha davvero minacciato nulla, se ci pensi. Perché dovrebbe aiutarci e poi farci fuori?»

«Perché a volte, Dazai, la vendetta è l'unica cosa che ti rimane nella vita. E a volte non basta nemmeno quella.» ebbe un attimo di silenzio, poi continuò «Si cerca una scusa per giustificare le proprie azioni, o una grazia da un'entità superiore, per non sentirsi in colpa con la propria anima e fare ciò che si pensa sia giusto. Sono tutti nostri nemici, in un modo o nell'altro, e siamo tutti uguali. Siamo tutti maledetti.»

«Oh, ti è presa la vena malinconica adesso?» Dazai ridacchiò al telefono, facendo nascere una smorfia innervosita sul viso ora contratto di Chuuya.

«Piantala, idiota suicida, e pensa ad altro. Ho fatto seguire uno di loro.»

«Intendi...?»

«Sì, dannazione, e questo cellulare fa schifo. Voglio vederti in faccia mentre ti senti inferiore rispetto a me per non aver trovato informazioni interessanti.»

«Che cattiveria, Chuuya! D'accordo, allora ci vediamo al molo davanti la pescheria?»

Si sentì un respiro più lungo del normale. Chuuya stava pensando, e aveva appena allontanato il telefono dal volto. Appena ebbe chiaro in mente il luogo, glielo comunicò, e Dazai, in quel momento, sentì uno strano peso sul petto. Era giunta la fine.

«È un luogo sacro.» disse solamente, impassibile.

«È la loro maledetta casa. Da quando ti fai questi scrupoli?»

Dazai divenne serio, si guardò una mano e la strinse piano. Gli faceva ancora male tutto il corpo, non aveva forza a sufficienza per battere un'intera organizzazione, ma sapeva che Chuuya ci sarebbe riuscito. Sicuramente, Chuuya lo avrebbe salvato.

«Figurati. I danni morali ci danno più vantaggio. Ci vediamo lì.» riattaccò senza aggiungere altro.

Chuuya mise via il cellulare, e uscì di casa.

Qualche ora prima i suoi subordinati erano riusciti finalmente a rintracciare una di quelle persone che avevano preso di mira lui e Dazai in precedenza. Un gentile regalo da parte di Mori, il quale con un messaggio gli aveva fatto intendere che la pazienza era una cosa preziosa, e approfittarsi di chi ne aveva troppa non era mai saggio. È vero, era passato fin troppo tempo da quando avevano ricevuto l'incarico, ma si erano accumulate troppe cose, si erano riaperte cicatrici che tutti pensavano fossero state ricucite per sempre; a partire da Fumiko, sorella di colei che era stata sì la prima donna dirigente senza poteri, ma anche traditrice della Port-Mafia e fuggitiva. E poi la Francia, il periodo che meno era rimasto impresso nella mente di Chuuya, ma che allo stesso tempo gli aveva lasciato pochi e intensi ricordi.

Il primo fra tutti l'incontro con Shusaku. Un uomo devoto e saggio, ma che come ogni essere umano covava e cova ancora dentro di sé rancore per il mondo e paura per la morte delle persone.

Era chiaro e abbastanza simbolico il luogo in cui si stava dirigendo, e in cui avrebbe trovato il suo partner, Fumiko, e i suoi nemici; con il piede calciava un sassolino che, nel silenzio del tardo pomeriggio avvolto dalla nebbia, rimbombava fra i vicoli come fosse stato il segnale d'allarme, la campanella per avvisare che stava arrivando. La giacca fra le mani e lo sguardo dritto davanti a sé erano il ritratto della sicurezza e della concentrazione.

Quando arrivò davanti all'ingresso di un cimitero lontano dal centro di Yokohama, quello in cui avevano visto recarsi un obiettivo, attese qualche secondo prima di attraversare la sua soglia, e solo allora sentì dei passi vicino a lui. Stranamente posati e gentili, non erano nemmeno nascosti come al solito, quei passi stavano avvicinando al suo corpo il proprio fisico femminile, in movimenti sinuosi e respiri delicati. Fumiko gli si mise di fianco, e con lui aspettò lì di entrare.

Ma il suo aspetto era diverso. Era Shizuka, con un mantello sulle spalle e un cappuccio sulla testa. E adesso Chuuya si spiegava il suono di quei passi.

«Sei venuta a salutarmi?»

«Ho deciso che questa sarà l'ultima volta che utilizzerò la mia abilità. Dopo sparirò come spariscono le ombre di chi non esiste più.»

«Ma tu esisti, Fumiko.» Chuuya si voltò verso di lei, si mise la giacca e le abbassò il cappuccio.

E avessi sentito prima il suo tocco così sincero.

«Perché, Chuuya?» la donna accennò un sorriso e tornò in sé.

Il capelli neri come il petrolio erano liberi sul suo viso, la sua frangia corta si mischiava alle ciocche più lunghe che le coprivano le gote chiare, e gli occhi sembravano accesi come mai prima d'allora. Girò completamente il suo corpo e si avvicinò a lui, togliendogli il cappello e accarezzandogli fili di capelli color arancio.

«Shizuka era buona. Non meritava di morire.»

«Nel nostro mondo nessuno merita davvero di morire» Chuuya si scostò, riprendendosi il cappello in mano e facendo un passo indietro «è una fuga, la morte, non è per tutti. Beate le persone che riescono a trovarla come ha fatto lei.»

Fumiko fece una smorfia contrariata, prese un coltello dalle sue tasche e se lo puntò contro.

«Allora io ne sono degna? Sono degna di morire come mia sorella? Sono degna di un tuo colpo mortale, Chuuya? Perché altrimenti io non so perché sono qui, non lo so proprio. Nel corso di questi mesi ho cercato e ricercato la causa del tradimento di Shizuka, e tutto ciò a cui ho pensato è stato lui, Ihara, e il suo braccio destro. L'uomo che ha adescato mia sorella, le ha fatto credere che la Port-Mafia non fosse un posto sicuro, le ha fatto dubitare della certezza della tua sopravvivenza e della mia. Io voglio sapere...» abbassò il capo, e subito dopo la lama «... Voglio sapere perché Ihara ha fatto tutto questo, perché quel bastardo l'ha spinta a tradire tutti. Perché io non posso accettare che l'abbia fatto per il suo bene.» rialzò lo sguardo, questa volta deciso, penetrante.

«Perché lei è morta. E la morte non è un bene.»

Chuuya rimase a guardarla senza muovere un muscolo, e attese che la lama fosse abbastanza lontana dalla gola della donna prima di risponderle.

«Dazai pensa che moriremo tutti. Comincio a crederlo pure io, sai? Eppure, credo che non sia il tuo vero desiderio farlo. Hai una vita davanti, sei libera.» alzò le spalle, e si girò verso l'entrata del cimitero.

Erano le tre del pomeriggio, ma non c'era traccia del sole, anzi la nebbia, quel pomeriggio, faceva da padrona a quello scenario. Il rosso pensò che si adattasse perfettamente al luogo in cui si erano recati, e lo trovò quasi assurdo. Ma ciò che trovava ancora più assurdo è che percepiva nuovamente quel silenzio e quel vuoto i quali giorni prima, più volte, sembravano averlo imbrogliato e intrappolato dentro un mondo illusorio fatto di nulla.

So che si tratta di un'abilità, deve essere così. Vogliono lasciare tutto pulito, vogliono passare inosservati. Il loro è un progetto ambizioso, ma forse contraddittorio per quello a cui puntano. Il mondo che Shusaku vuole e che Ihara cerca di costruire non può reggersi su qualcosa che non c'è.

«E tu che ne sai di libertà, Chuuya?» pronunciando quelle parole, Fumiko aveva appena passato una bomba inesplosa fra le mani del mafioso.

Gli scappò quasi una risata a quella domanda che sembrava più un'affermazione su di lui, ma decise di prenderla sul serio tanto quanto la donna aveva iniziato a fare fin dall'inizio.

«Anche se nessuno nella Port-mafia è libero, io riconosco chi lo è. E tu, in fondo, sei come tua sorella. Alla fine, è per questo motivo che adesso lei non c'è più. La libertà che cercava non poteva trovarla dentro la nostra organizzazione, e ha finito con l'arrendersi a una speranza donatale da chi è bravo con le parole e con le rassicurazioni.» allargò le braccia e subito dopo mise le mani in tasca «Tu non fai parte della Port-Mafia, per questo sei libera.»

Fumiko non rispose. La voce di Chuuya, le sue parole, lo sguardo davanti a sé erano tutte cose che, in quel momento, per la donna, simboleggiavano una stabilità e una sicurezza che probabilmente non avrebbe più avuto. Anche se le parole forzavano la sua gola per uscire, lei stava cercando di trattenerle per godersi quel breve istante di calma, aspettando da un momento all'altro l'arrivo del seccatore ricoperto di bende. Si voltò anche lei nella stessa direzione di Chuuya, indossò il cappuccio e con la coda dell'occhio lo osservò. Stava esitando, o si stava solo preparando?

«Siamo già dentro.» una voce, quasi come fosse fuori campo, irruppe nel silenzio assordante di quel cimitero vuoto.

«Dentro il loro gioco.» concluse la stessa impassibile voce.

I due che fissavano l'ingresso si girarono verso il tenebroso bendato, che con passo svogliato avanzava verso di loro. Aveva gli occhi rivolti verso il basso, le mani in tasca, e l'aura di chi forzato deve fare qualcosa che non ha voglia di fare; sembrava che la nebbia si fosse preparata al suo arrivo lasciando intravedere uno spiraglio di luce attraverso degli alberi vicini, ma allo stesso tempo perfino esso pareva evitare il contatto con quella nera figura avvolta da un altrettanto nero cappotto.

«Perché il cimitero, eppure, mi chiedo.»

«Hanno deciso di regolare qui le loro questioni morali.» Chuuya prese la parola agitando una mano «con comodo, comunque, Dazai.»

Quindi stava aspettando lui prima di entrare?

Fumiko rimase con le labbra serrate. Non avrebbe potuto più mostrare il suo astio verso Dazai una volta dentro quel luogo, fra le tombe di persone invisibili; era l'ultima volta che sarebbe stata sincera con loro, l'ultima per quel giorno, e per i giorni che non sapeva nemmeno potevano seguire.

Il bendato spostò il suo sguardo sulla donna, e accennò un lieve sorriso; poi, come avesse visto improvvisamente un fantasma, la curva delle sue labbra sparì totalmente, lasciando posto a un'espressione sgomenta, sorpresa, leggermente turbata.

«Tua sorella mi porge i suoi saluti?» domandò immobile Dazai.

«Siamo in un cimitero, Shizuka è morta e non entrerò con voi finché non ve la imprimerete come un marchio dentro la vostra mentre.» rispose la donna, riprendendo le sembianze della sorella.

«È macabro, lo sai?» il bendato alzò le spalle e la superò, varcando per primo la soglia di quel luogo e voltandosi poi a guardare i due fuori, come a richiamarli.

«Mi dispiace, Fumiko, ma niente può riparare a ciò che le è capitato. Nemmeno un ricordo fittizio di una persona che non c'è più.» Chuuya imitò il compagno, seguendolo dentro il cimitero «Qui si respira un'aria diversa. Forse, Fumiko Enchi, è quella che cerchi tu.»

La donna tornò se stessa. Sorrise, si tolse il cappotto della sorella, lo lasciò adagiare a terra e prese in mano le sue armi taglienti: in una forza e tenacia, nell'altra coltelli affilati. Non era stato Chuuya a convincerla né l'uomo accanto a lui. Ma quella brama di vendetta con cui si era presentata a entrambi; aveva l'insana voglia di accontentare quel suo desiderio quasi violento, ed esitare avrebbe solo ritardato il piacere di un'uccisione per lei diventata la ragione di sopravvivenza.

Anche lei, allora, con gli occhi neri dalla bellezza audace, e lo sguardo composto di una raffinatezza decisa, fece il primo passo verso le tenebre della morte che, silenziose e nascoste, la stavano aspettando da tutta la vita.

Quando sarò morta non dovrà assolutamente farmi il funerale. È più che sufficiente che faccia portare la mia salma in mare aperto, e la faccia scaraventare in acqua...

Il sentiero nell'ombra,
Enchi Fumiko.

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Buonasera e ben ritrovati in questo nuovo capitolo.
Vi sono mancata? A me siete mancati voi, quindi sfogate il vostro stress per l'attesa in commenti e opinioni su quello che presto capiterà e non vi preoccupate di intasare le mie notifiche. Anche se qua non c'è azione o sentimento da commentare (tranne quello di una persona per un'altra persona... Trovatela).

Avrei voluto andare subito al sodo, ma il dialogo fra Chuuya e Fumiko è andato per le lunghe, e le descrizioni pure, quindi per non rendere questo capitolo una cosa infinita, ho deciso semplicemente di renderlo un capitolo di passaggio.
Perché presto arriverà la fine. Ma in realtà non sarà la fine (sì ho pensato a Tiziano Ferro ciao).

Va bene, a presto.

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