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Una giornata di sole era rara, in quel periodo. Caldo, ma con un vento fresco che non soffocava; caldo, e qualche nuvola bianca sulle teste delle persone. In realtà, però, poco prima il cielo si era scatenato: un acquazzone, che dopo dieci minuti aveva lasciato spazio al sole. Tanta folla, tanta gente proveniente da tutto il mondo, e tutti affascinati dall'atmosfera che tanto si vociferava romantica; quella francese, quella parigina. Un luogo così diverso dal Giappone, tanto magico e stimolante per tutti, quanto fastidioso per altri. Perché, fastidioso?
Nessuno ha mai detto, in realtà, che la romantica e passionale atmosfera sia in effetti positiva per chi si ritrova improvvisamente, o forse no, a viverla.

Per un visitatore, forse, vedere tutte quelle persone ridere e fare arte per la strada, mentre altri si fanno foto e visitano i monumenti più famosi, può sembrare simbolo di gioia e serenità. Un mondo diverso da quello orientale, per le persone, per l'aria che si respira, per ciò da cui si viene circondati.
Per un visitatore, tutta quella gente doveva sembrare davvero fortunata a vivere lì. Ed era difficile credere che, invece, anche lì si nascondesse l'oscurità.

Perché, in fondo, l'oscurità stessa cerca di non sfiorare la luce; rischia di venire sopraffatta ed essere sconfitta, non è conveniente, non è saggio. Nemmeno per il più stupido dei malviventi, nemmeno per quello che si fa sempre beccare dalla polizia; tutti coloro che abitano nei luoghi evitati da tutti sanno quanto la luce può far male.
Ma spesso è meglio chiudere gli occhi e rifugiarsi in un posto apparentemente piacevole, invece di affrontare quella realtà e rimanerne per sempre colpiti.

Il viaggio in Francia era stato come una fuga da un paese troppo chiuso verso ciò che lui considerava giusto. Una scappatoia per trovare la soluzione al problema della gente che vedeva andare avanti a vivere senza trovare però uno scopo finale soddisfacente. Amava le persone e amava la sua fede, e grazie a quella era riuscito ad andare avanti con le proprie idee, rifiutando il rifiuto stesso della società giapponese.
Era lì, in Europa, dove sapeva avrebbe finalmente visto ciò che gli serviva. Non lo faceva solo per se stesso, non agiva per il solo scopo di essere riconosciuto e non giudicato, il suo obiettivo andava al di là di un semplice riscatto verso la palude la quale adesso era sicuro fosse il Giappone.
Alla fine era lì che era nato, e non poteva rinnegare la sua patria; questo non significava, quindi, che l'avrebbe abbandonata al suo misero destino, o che avrebbe abbandonato anche coloro i quali invece avevano creduto in lui. Due persone che gli avevano affidato ciò che avevano di più caro, il loro figlio, che da loro aveva preso bellezza e capacità; e per lui, in realtà, stava facendo tutto questo. Non per sé stesso, e nemmeno per il mondo intero: semplicemente per un bambino che aveva visto nascere da solo e crescere insieme a lui, e che adesso era diventato in realtà uno dei più forti giovani che avesse mai visto con i suoi occhi.

La cieca fiducia che riponeva in lui era il motivo per cui ancora viveva; e avrebbe vissuto finché ne fosse stato capace per perseguire il sogno di quel giovane uomo, che non era mai stato né un bambino, né un uomo.

Era la personificazione della giustizia nella quale Shusaku Endo credeva.

Lui gli aveva insegnato, e da insegnante era stato superato; e ora si ritrovava ad obbedirgli come fosse lui il figlio, e non il padre. Anche se, in realtà, padre non lo era mai stato, e mai aveva provato ad esserlo.

«Dovrei comprargli qualche regalo?» l'uomo camminava assorto, mentre mille pensieri gli passavano per la testa.

Come sarebbe potuto tornare in Giappone, e come avrebbe potuto riprendere la sua vita lì? Era tentato, era tentato anche fin troppo; aveva lasciato che il suo protetto gestisse una sua organizzazione, reclutasse la sua gente, gli aveva lasciato la sua eredità. E allora a che sarebbe servito stargli ancora a fianco? Era perfino più bravo di lui con le persone, era in grado di capirle meglio di chiunque altro. Lui era solo un freno, per il ragazzo, qualcuno da rispettare e nulla di più. Era tentato, molto, ma non abbastanza da lasciarsi sopraffare da quell'idea; perché aveva già deciso che la sua vita sarebbe appartenuta a quel giovane, e a qualsiasi costo lui lo avrebbe accompagnato nel suo cammino. Si sarebbe sacrificato per lui, se fosse stato necessario. Perché in lui aveva visto una flebile speranza, che molto tempo prima aveva cercato in sé stesso e non aveva trovato.

Si trovava a Parigi solo da qualche mese; in quel periodo aveva imparato molto, migliorato il suo modo di vedere le cose anche se, d'altra parte, altre erano peggiorate notevolmente.
Era un credente e si fidava ciecamente della figura di Dio: era guidato solo dalla sua religione, dal perdono, dalla bontà e dalla ricchezza d'animo. Ma purtroppo aveva visto troppo spesso superficialità e ipocrisia, e, rimanendone deluso, aveva cambiato atteggiamento. Rimaneva sempre devoto al cristianesimo, ma aveva deciso di seguire qualcuno per cambiare il mondo marcio in cui viveva.

In ogni caso, il tempo che stava passando in Francia era un toccasana per la sua salute: era stanco delle stesse persone e stanco della stessa mentalità. Andava nelle chiese cristiane, pregava, conosceva i sacerdoti e coloro che erano stati accolti da quest'ultimi.

Con un passo deciso si diresse verso uno di quei luoghi. Entrò, e si mise seduto su una panca in silenzio. Silenzio... Quante volte aveva pensato a quella parola?
Mentre si ripeteva mentalmente una preghiera, fu allora che lo vide.

Un bambino che probabilmente avrà avuto dieci anni, trascinato a forza in una di quelle chiese per fare una donazione. Una donna con indosso un kimono lo teneva dal braccio, facendo leva per farlo camminare; ma il bambino si dimenava, scalciava e urlava. Shusaku lo osservò sorridendo; in fondo non si poteva costringere qualcuno a fare qualcosa che non voleva fare. Soprattutto se quel qualcuno era un bambino.

Si avvicinò al piccoletto con fare gentile, senza preoccuparsi di ciò che stava facendo prima e, sorridendo prima alla donna, gli rivolse qualche parola per calmarlo.

«Ciao, io sono Shusaku.» gli mise una mano sulla spalla, poi si abbassò alla sua altezza per farsi guardare.

«Perché fai i capricci?»

«Perché questo posto non fa per me.» il bambino rispose con una smorfia infastidita, guardando un punto fisso altrove.

«E che posto farebbe per te?»

«Yokohama.»

Senza dire altro, la donna lo strattonò lievemente «Chuuya, sii educato!»

«Ma lasciami in pace, vecchia!»

A quel punto finalmente il bambino dai capelli rossi riuscì a liberarsi e scappò via correndo. La donna, mortificata, fece un impercettibile inchino verso Shusaku e andò nella stessa direzione del bambino. Shusaku, però, la fermò prima che potesse allontanarsi.

«Potrei provare a parlargli?»

Dopo che un cenno sospirato gliene diede conferma, l'uomo seguì i passi del piccolo grazie alle orme lasciate a causa della pioggia precedente.
Quando lo trovò, però, rimase senza parole. Osservandolo da dietro un angolo di un vicolo stretto e isolato, quel bambino stava camminando sui muri dei palazzi come fosse senza gravità, distruggendoli con dei passi pesanti e borbottando furioso fra sé.
Shusaku uscì allo scoperto, continuando a guardarlo fino a che il rosso non si fu accorto di lui. Quindi tornò con i piedi per terra, lo sguardo confuso e una posizione di guardia.

«Ti chiami Chuuya, giusto?» l'uomo riprese il tono dolce iniziale, ma allo stesso tempo diventò anche più severo «Perché sei così arrabbiato?»

«Voglio tornare a casa mia. Voglio tornare a Yokohama.»

«A Yokohama c'è un ragazzo di qualche anno più grande di te che mi sta aspettando. Sai, la rabbia che tu provi in questo momento assomiglia molto a quella che lui provava ogni giorno della sua infanzia. Era costante, e come te voleva spaccare tutto. Ma...»

«Ma?» Chuuya era diventato curioso, seppur rimanendo circospetto.

«Ma lui non era forte come te. Hai un'abilità incredibile, e ne fai uso in questo modo. Perché?»

«Non doveva venire a saperlo, vada via.» di nuovo, si era chiuso nella sua corazza filtrata da rabbia e presunzione.

«Non lo dirò a nessuno. Ma tu, Chuuya, promettimi una cosa.» Shusaku fece una pausa, durante la quale si avvicinò al rosso «Arrabbiati pure quanto vuoi, ma non usare mai la violenza contro qualcuno. Sei forte, ma non imbattibile.»

«E perché dovrei ascoltare uno sconosciuto come lei e la sua richiesta?»

«Perché un giorno ci rincontreremo. E quando capiterà, allora saprò se l'hai rispettata o no.» sorrise, gli diede una pacca sulla spalla, e si girò dandogli la schiena.

Era sottinteso che il discorso fosse finito lì. Ma negli occhi di quel bambino c'era una luce che non gli permetteva di andare via, pur non vedendola. Sentiva come una bolla attorno a lui, che lo tratteneva là, con le spalle verso Chuuya, fermo ad aspettare qualche altro segno. Aveva già visto troppo, e sapeva che non sarebbe finita lì, la loro discussione. Quel poco che era riuscito a scorgere l'aveva spaventato. Perché era un credente, sì, e perseguiva i suoi ideali sulla pace e il perdono. Ma era anche umano, e come tale aveva paura. Che, un giorno, si sarebbe ritrovato davanti a quel bambino, cresciuto, e lo avrebbe dovuto sconfiggere come fosse stato il male del mondo. Aveva soprattutto paura, però, di provare proprio quella sensazione. Non stava bene con se stesso, ma cosa doveva farci? Come avrebbe dovuto reagire?

«E se non la rispettassi?» eccola, la domanda che attendeva.

Eccola la freccia che lo stava colpendo dritto alla schiena, che non gli permetteva di muoversi, che gli faceva paura. Ecco, allora, che si rese conto di non poter dire la verità, a quel bambino. E che, in futuro, non lo avrebbe potuto perdonare.

Perché c'erano persone che dovevano vivere, e altre che dovevano morire.

Forse non era lui che avrebbe messo in pratica la sentenza. Ma sentiva di essere il giudice che l'avrebbe data. E quello, più di tutto, lo terrorizzava.

«Se capiterà, lo saprai.»

Non si voltò per vedere l'espressione attonita di Chuuya; non si voltò per guardare gli occhi e il corpo vibrante di quel bambino all'apparenza violento e senza controllo. Non si voltò, ad osservare le potenzialità di un assassino divenire realtà.

Non si voltò.

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Ho trovato un momento in cui non sto per morire causa febbre per pubblicare, mentre guardo la finalina Olanda-Cina, perché ci tenevo davvero a non far passare troppo tempo dall'ultimo aggiornamento e a farvi leggere questo capitolo che penso sia uno dei miei preferiti (insieme ad altri mille, ma vabbe).

Questo capitolo è ovviamente un approfondimento su Shusaku Endo, il braccio destro di Ihara Saikaku. Spero vi sia piaciuto, ho molta voglia di leggere commenti interessanti sul capitolo per sapere qual è l'impressione che ora avete di Shusaku.

Quindi, che ne pensate?

Inoltre, piccolo momento spam, vi ricordo che per chi avesse voglia di aiutarmi a passare una fase di un concorso indetto da WP_Advisor a cui sto partecipando, non dovete far altro che scrivere un commento-recensione su Doppio Nero (minimo cinque righe), introducendo codesto commento con "Salvo la storia Doppio Nero perché...." e scrivendo i motivi.
Il concorso è #advisorawards e il capitolo su cui andrete a "votare" è Dream Always Awards (numero 7, commento in riga).
Vi ringrazio in anticipo se lo farete, altrimenti nulla, vi adoro lo stesso <3

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