43.

Dopo aver rassicurato i ragazzi da che parte stava, guardò quello che aveva appena fatto: Dario disteso in una pozza di sangue.

Il suo cane corso gli stava leccando il viso, guaendo, sperando che il suo padrone si risvegliasse. Non sembrava più un cane pericoloso, ma solo un animale a cui era stato appena tolto il suo più grande punto di riferimento. Si distese accanto al suo padrone, sporcandosi anche lui di sangue, continuando a toccare la guancia di Dario con il musetto, in attesa che si rialzasse. In una disperata attesa di qualcosa che non sarebbe mai più avvenuto.

In quel momento si ricordò ciò che le aveva risposto Giacomo, quando gli aveva detto che anche se non si sarebbe sporcata le mani di sangue direttamente avrebbe sostenuto chi lo faceva, girando la testa dall'altra parte come una vigliacca.

"Sai cosa rispondo alle persone che mi dicono così?

Gli dico: sporcati le mani di sangue, lavale nel sangue.

Sono sicuro che prima o poi capirai quanto ho detto. Come so che sai quale sia la cosa giusta da fare anche se non lo vuoi ammettere."

Aveva tolto una vita a una persona, anzi, a ben due persone. In pochi secondi aveva tirato via il respiro a un'anima lasciando solo morte e strascichi di dolore. Perché anche la persona più orribile, aveva qualcuno cui teneva a essa e che ora soffriva a causa della sua scomparsa.

Guardò le sue mani, erano pulite, ma lei ci vedeva solo sangue. Solo un rosso vermiglio che le imbrattava e per quanto le sfregasse non andava via. Non sarebbe mai andato via.

Alla fine aveva ragione Giacomo. Non era mai riuscita a vincere la sua previsione. Aveva ucciso. Era diventata un'arma. Era questo il prezzo da pagare, ora lo capiva.

Si piegò sulle ginocchia, le gambe le tremavano, portò una mano al ventre e le venne un conato di vomito. Poco dopo perse coscienza e svenì.

Quando si risvegliò era distesa sotto delle coperte dentro il Van. Si toccò la fronte e la sentì fresca, le avevano appoggiato un pezza bagnata per darle sollievo. Come cercò di alzarsi, vide Sara seduta sul lettino a fianco con la gamba fasciata.

《Come stai? Ti senti meglio?》

Sembrava serena nel chiederglielo, come se lei stesse perfettamente, come se un proiettile non le fosse mai arrivato addosso.

《Sto bene... sì. Tu come stai?》

Sara prese un legno adattato a stampella e glielo mostrò.

《Zoppa. No, scherzo. In realtà il proiettile mi ha solo colpita di striscio, Marco dice che mi dovrei riprendere in fretta. A quanto pare Dario non aveva veramente intenzione di uccidermi, solo spaventarmi.》

Il dubbio la colse alla sprovvista. E se Dario non avesse mai voluto uccidere qualcuno? Se era soltanto scena per farsi rispettare? No, non poteva essere. Ma i sensi di colpa le facevano venire dubbi e timori, facendole perdere lucidità.

《Da quanto non ti vengono le mestruazioni?》, esordì Sara all'improvviso, interrompendo i suoi pensieri.

《Mestruazioni? Pensi sia incinta?》, si mise a ridere 《 sono ben altri i miei problemi.》

Ma Sara insistette a chiederglielo.

《Non mi vengono già da un bel po', ma dopo tutte le radiazioni che ho preso mi stupirei se fossi ancora fertile. Qualsiasi cosa abbia non è certo un bene. Non so nemmeno come tu faccia a pensare una cosa simile》, disse dura Kejsi sperando di chiudere lì la faccenda. Anche se fosse stata incinta, sapeva che il bambino non sarebbe potuto venire alla luce vivo dopo tutte le radiazioni a cui era stata esposta.

《La natura a volte può cose che nemmeno ci immaginiamo. Anch'io ne dubito fortemente. Eppure non mi sembravi tipa da svenire per un paio di cadaveri, sei un soldato no?》

Sara non aveva malignità in volto. Era convinta, come del resto tutti gli altri, che non fosse una persona sensibile o facilmente impressionabile. Era cosciente della reputazione che si era guadagnata e di come gli altri la guardassero: come una macchina, non come una donna.

L'unico che la conosceva veramente, l'unico che poteva capirla, ora era rinchiuso in una prigione tumefatto, in chissà quali condizioni. Probabilmente pensando che lei lo avesse tradito. Il pensiero non fece altro che aggiungere tristezza a un'anima già sufficientemente sconvolta e mesta.

La forza di rialzarsi da quel letto le mancava. Si sentiva sulle spalle il peso di troppe persone, di troppe azioni, di cose che sapeva avrebbe dovuto ancora fare. La maschera che aveva tenuto addosso fino a poco prima l'aveva esaurita, prosciugata di tutte le sue energie. Si era mangiata le sue emozioni comprimendole in uno spazio poco visibile persino a sé stessa e ora, erano riemerse con tutta la loro violenza.

Doveva reagire. Doveva. Ma si sentiva debole e tremendamente sola. Il pensiero che Amos, il suo compagno, al momento la stesse odiando la dilaniava. Gli erano rimasti impressi in modo indelebile i suoi occhi che chiedevano disperatamente di credergli. Occhi che chiedevano pietà e aveva dovuto ferirli. Dargli il colpo di grazia.

Si ridistese sul letto e girò l'anello di legno intorno al dito, cercando di trattenere le lacrime.

《Che facciamo ora? È evidente che non possiamo restare e non sono più disposta a restare lontana da mia figlia. Solo tu ci puoi aiutare.》

Nel Van non c'era nessun altro, solo Sara. Come mai avessero scelto proprio lei per parlarle le era sconosciuto. Pensava avessero mandato dentro un soldato, come Marco ad esempio, e invece si ritrovava davanti la madre della sua figlia adottiva.

Il pensiero di Nino e Sofia la scossero dal torpore. Decise di alzarsi del tutto. Si mise in piedi, si sistemò la coda e la cinta dei pantaloni.

《Andiamo dagli altri.》

Come aprì la porta del Van Ityu le saltò addosso sincerandosi che stesse bene. Lei si abbassò per abbracciarlo. Lo strinse forte a sé, come se fosse l'unico rimasto a poterla capire e infondere coraggio. Nel farlo le scese una lacrima, che però nascose furtivamente nel folto pelo del cane. Non era il momento di mostrare le sue debolezze.

《Lo abbiamo tenuto fuori per lasciarti riposare senza disturbo》, disse Vittorio preoccupato di un'azione avversa da parte di Kejsi.

Erano ancora tutti intimoriti da lei. Tutti, a parte Sara, e forse ora capiva perché se la fosse trovata a fianco al suo risveglio.

Drizzò la schiena e chiese che le venisse riconsegnato il fucile. Tutti si guardarono perplessi tra loro, ma poi Nicola si avvicinò e glielo porse.

《Questo è tuo》, le disse sorridendo e Kejsi ricambiò.

Ityu le si posizionò a fianco sull'attenti. Anche lui sembrava aver cambiato atteggiamento, da giocoso ora era sull'attenti.

《Ascoltate bene. C'è un solo modo per entrare nel campo ora... e non sarà piacevole.》

L'idea di Amos era semplice. Lui sarebbe dovuto rimanere dentro il campo, mentre il dottor Grady sarebbe dovuto uscire e scappare in città dal Boss. Al posto del suo cadavere avrebbe dovuto nascondere più armi possibili all'interno del sacco. Solo così quando gli uomini del Boss sarebbero arrivati lui avrebbe potuto staccare la corrente del cancello elettrificato.

Giacomo non avrebbe sospettato della sua rimanenza nel campo.  Una volta scoperta l'aggressione del dottore e la cella vuota avrebbe pensato alla fuga. Ed era proprio ciò che Amos voleva.

《Mi spieghi come diamine farai a non dare nell'occhio rimanendo qua dentro? Guardati!》, disse Grady dopo aver ascoltato il piano di Amos.

《Prenderò la divisa di una delle guardie che hai steso. Poi le legheremo e le bloccheremo in cella per guadagnare tempo. Prenderemo anche delle ricetrasmittenti, così potrai avvisarmi quando starete per entrare nel campo e io staccherò la corrente.》

Il dottore sospirò, poi dopo aver riflettuto qualche istante annuì. Gli porse un paio di siringhe e gli disse:《tienile, ti potrebbero servire. Stai attento. Se noi arriviamo al campo e tu non sei qua per spegnere la corrente sarà un bagno di sangue... lo sai vero?》

Amos lo sapeva. Sapeva cosa c'era in gioco e la responsabilità che gravava sulle sue spalle, ma non aveva altra scelta. Se non agiva sarebbero morti tutti lo stesso. Giacomo non si sarebbe fermato, specie ora che aveva in mano Sara.

Pensando a Sara gli venne subito in mente Sofia. Dov'era la piccola? Doveva trovarla. Doveva proteggerla. Di lì a poco sarebbe potuta diventare il mezzo per forzare Sara a collaborare. Chissà cosa le avrebbe fatto subire Giacomo, fin dove si sarebbe spinto.

Indossò la divisa, si pulì il viso con un po' d'acqua, pettinò all'indietro i capelli e mise un berretto da ufficiale per nascondere meglio il viso tumefatto. Era di nuovo in partita e questa volta niente e nessuno lo avrebbe rallentato o fermato. Nemmeno il bene per Kejsi.

Aiutò il dottore a caricare più armi e bombe possibili nei sacchi porta cadaveri. La parte peggiore fu quella di inserire parti di cadaveri veri in modo da rendere la forma del sacco più naturale e l'odore nauseante.

Ora le loro strade si dividevano. Abraham Grady fuori, Amos dentro.

La barella su cui aveva appoggiato i corpi traballava sul terreno sterrato. Si era ben guardati dal far rumore, mettendo sul fondo del sacco cotone, in modo che le armi non sbattessero contro il metallo. Ma ora l'ansia di essere scoperto e ucciso sul colpo, con tutte le conseguenze, era forte. Molto forte.

Si avvicinò alla torretta del cancello e un soldato si avvicinò per controllare.

《Oggi non è la giornata per portare fuori la spazzatura. Come mai sei qua vecchio?》

L'ennesimo sprezzante aggettivo che gli veniva addossato gli fece sparire la paura e indossare altrettanta aria di sfida. Era stufo di come veniva considerato lì dentro, e se ora tutto andava bene sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbe sentito addosso quell'appelativo.

《Questi sono in decomposizione non sente come puzzano? Mi spiace, ma io nel laboratorio non li tengo. Se non mi fa uscire glieli lascio qua!》

Il ragazzo si avvicinò per aprire la zip metallica del sacco. Abraham incominciò a sudare freddo, se decideva di aprirlo del tutto era finita.

《Ahh che schifo! Vai, vai via da qua!》

Il dottore si sbrigò a uscire. Gli sembrava di aver appena superato un intervento chirurgico al cardiopalma.

《Aspetta! Fermo!》

Abraham si fermò, impietrito. Si girò mettendo su la sua miglior faccia da Pocker.

《Il sacco sotto ha una forma strana per essere un cadavere.》

《Una forma strana? Be' è un cadavere, decomposto e maciullato che forma vuoi che abbia?》

《Non lo so. Ma devo controllare.》

Le pulsazioni accelerarono. Era riuscito a uscire, ce l'aveva fatta e ora finiva così? Doveva continuare a fingere, non poteva mollare.

《Ma certo, se ci tiene a vomitare il pranzo si accomodi pure. Tutto per lei!》

Il ragazzo si avvicinò alla barella e aprì il sacco.

《Che cosa sono queste vecchio!? Cosa stai cercando di fare!!》

《Queste sono armi e ne hai una puntata dietro di te. Quindi ti consiglio di stare fermo e non muoverti. Mi accompagnerai fino a dove seppeliamo i cadaveri e poi sarai libero.》

Il giovane digrignò i denti, ma si vide costretto a seguirlo. Come furono fuori portata visiva il dottore gli fece un'ignezione di Pentathol, lo legò e lo gettò in mezzo agli altri corpi non ancora sotterrati.

《Così impari a non rispettare gli anziani.》

Dire quella frase, anche se il ragazzo non poteva sentirlo, gli diede un'enorme soddisfazione. Finalmente stava riprendendo in mano la sua vita. Finalmente era libero e aveva una direzione, un obiettivo... uno scopo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top