42.

Amos era rinchiuso in una cella di pochi metri quadrati facente parte di un complesso a semicerchio in cemento. Si trovava nel -5, in un'area in cui non era mai stato e non aveva nemmeno mai avuto l'interesse di andare considerando che vi erano solo le prigioni. Invece, mentre Michael lo stava trascinando inerme sul pavimento azzurro, lasciando dietro a sé una lunga scia di sangue e terra, scoprì che non era sede solo dei detenuti, ma anche... del generatore elettrico. Ciò che aveva tanto cercato: il punto debole dell'intero campo. Ma lui ora era solo un pezzo di carne dietro le sbarre, impotente.

L'unica luce presente era un neon azzurrognolo al centro del corridoio che conduceva all'uscita.

Da quando l'avevano gettato lì dentro e lasciato solo, era crollato. Aveva pianto, urlato e picchiato più volte contro quella parete grigia asettica.

Le due Kejsi nella testa lo stavano trucidando.

La mente non faceva altro che riportarlo indietro a quando la teneva tra le braccia quella notte, col caminetto acceso, mentre diventavano una cosa sola.

"Amos, non ci sono mai stati altri prima di te e mai nessuno ci sarà dopo."

Era entrata in lui, era diventata una sua parte, le aveva dato tutto. Si fidava ciecamente di lei. Il sorriso, gli occhi, i baci, lo stavano tormentando.

"Eri messa peggio di me, eppure hai trovato la forza e il coraggio di aiutare uno sconosciuto."

"Per quanto mi riguarda è stata la scelta migliore della mia vita."

L'aveva trovata in fin di vita, pensando non avrebbe nemmeno superato la notte. Aveva pregato disperatamente affinché l'auto si mettesse in moto per portarla in salvo.

"Dio, ti prego, se cerchi l'occasione giusta per fare un miracolo, questo è il momento."

L'immagine di lei svenuta dal dolore sul sedile accanto, mentre fuori dal finestrino il mondo andava in fiamme, era ancora impressa nella sua mente.

"Ti porto via di qua! Non mollare, ragazza, non mollare!"

Se n'era preso cura con pazienza e perseveranza, nonostante le difficoltà, ed era riuscito a curarla.

"Non intendevo fossi un brutto spettacolo, Kejsi... cioè per me... cioè... ti terrà al caldo, ecco."

"Grazie per il regalo, lo apprezzo molto. Come tutto ciò che hai fatto per me e per Ityu."

La poteva ancora vedere, quando si era infilata sotto le coperte vicino a lui la prima volta. Non era riuscito a dormire quella notte, per paura di perderla. Avrebbe dato la vita per proteggerla.

"Ti amo, Amos, ti amo già da tanto dentro di me e ti stavo aspettando."

Aveva costruito una casa per lei, con le sue mani. Si era ripromesso di prendersene cura, per sempre. Di non farle mai mancare niente, di esserci nel male e nel bene.

Ora, era solo dolore.

Dov'era quella ragazza che si rifiutava persino di uccidere il suo carnefice? Che non voleva nemmeno tenere un coltello in mano?

"Perché insisti a proteggerli? Questa gente non merita di vivere."

"Non saremo noi a decidere cosa si meritano."

Arrivò a un'unica conclusione: quella ragazza era morta. E lui sarebbe morto con essa.

Come aveva fatto a guardarlo con tale indifferenza? Pensava di essere amato, ma ora quella fiducia si era sgretolata. Forse era stata solo una grande illusione. Pensava di essere l'uomo sbagliato per lei, aveva paura di non essere abbastanza, di non essere ciò di cui aveva veramente bisogno. Era tutta solo una grande bugia?

Sbatté la testa contro il muro e strinse gli occhi, rigando le guance di lacrime. I singhiozzi e i sussulti continuavano a farsi strada nel petto. Non ci voleva credere che fosse finito tutto così. Non dopo quello che aveva fatto per lei.

"Pagherò qualsiasi somma per riaverla indietro, puoi prendere tutto quello che ho!"

"Due settimane, ogni sera sul ring."

"È un suicidio. Nessuno è mai sopravvissuto a due settimane sul ring. Nessuno."

"Non posso andarmene... è mia moglie."

Aveva lottato per lei, era quasi morto per lei e aveva ucciso per lei.

Solo per lei.

"Non fraintendermi, Amos, ma potresti morire nel farlo. Come farai a trovarla da morto?"

"So che non morirò. Ho visto un disegno, un disegno più grande di me, la mia vita non finirà su un ring."

E ora... l'indifferenza più totale, nemmeno il minimo sforzo di credere anche alla sua versione dei fatti.

Aveva perso tutto. L'amore di Kejsi, gli amici, la libertà. Non gli era rimasto più nulla. Ora attendeva solo l'ultima cosa certa: la morte.

Si accasciò sul pavimento. Il corpo era rimasto senza forze, il cuore era già morto. La tentazione di provare odio verso ciò che era diventata era lì a tendergli la mano. La rabbia verso la verità che si era palesata davanti agli occhi contendeva il posto con il dolore. Avrebbe voluto prenderla con la forza e dirle tutto ciò che pensava. Avrebbe voluto sfogarsi, sentirsi dire la verità dalle sue labbra. Sentirsi dire che in fondo lui non era mai valso davvero per lei.

Avrebbe voluto un perché, un motivo, giustizia. Ma sapeva che non ci sarebbe stato mai nulla. Aveva fatto la sua scelta e non avrebbe potuto nulla per farle cambiare idea. Sarebbe morto lì dentro, con occhi indifferenti e gelidi di Kejsi impressi nella mente a dargli il colpo di grazia.

Arrivò a toccare il fondo. Il fondo della sua anima, eliminando tutto ciò che c'era di buono in lui. Voleva fargliela pagare. A tutti.

Prese il ciondolo d'oro che aveva sul collo, se lo tolse e lo gettò via.

«Figliolo, coraggio. Dobbiamo uscire alla svelta da qua!»

Remo allo sparo aveva chiuso gli occhi e si era rintanato nella spalla di Marco per nascondere le lacrime.

Era sempre stato uno spaccone, un deficiente. Faceva finta che niente fosse importante, ma Nicola e Marco erano l'unica famiglia rimastagli. Nicola era sempre stato al suo fianco, spesso rimproverandolo, ma tutto ciò che sapeva lo doveva a lui. Lo aveva sempre protetto, insegnandogli ogni cosa come un fratello maggiore. Era stato lui a regalargli il cane, ancora un cucciolone tra l'altro, vivace e iperattivo proprio come il padrone. Il pastore tedesco, un po' più vecchio, si era preso sempre cura del giovane cucciolo proprio come Nicola si era preso cura di lui.

Non aveva il coraggio di riaprire gli occhi e guardare il fatto compiuto.

Ma Marco lo scrollò e lo costrinse a guardare. Come aprì le palpebre, non poté credere a quello che vide. A terra non c'era Nicola, bensì Dario insieme al suo sottoposto.

Kejsi gli aveva sparato prima che potesse farlo lui e ora stava puntando il fucile contro di loro.

«Siete con me o contro di me?»

I tre si guardarono. Nicola era vivo, ma la situazione era ancora molto simile a uno stallo da film Western.

«Dipende. Tu da che parte stai?», chiese Nicola col fiatone.

Non si era ancora ripreso dalla coscienza di essere ancora vivo.

Kejsi si girò verso di lui, il vento le scompigliò i capelli che le finirono sul viso. Non riuscirono però a nascondere i suoi occhi luminosi. Gli sorrise dolcemente.

«Con Amos. E sempre lo sarò.»

«Dottor Grady! Che ci fa lei qua?», chiese Amos sbalordito e incredulo.

«Ho scelto. Se devo morire almeno sarà una morte che ho deciso io», disse facendogli un occhiolino.

«Come ha fatto a superare le guardie e prendere le chiavi?»

Il dottore mostrò la cintura piena di siringhe, alcune vuote.

«Pentothal. Ti addormenta immediatamente, ma dura solo venti minuti quindi non abbiamo tempo da perdere!», disse tirandolo su per un braccio.

Amos era sporco e pieno di sangue. Si tirò su a fatica, ma il pensiero era uno e uno soltanto.

«Devo salvare i miei amici, sono in pericolo.»

Il dottore abbassò lo sguardo mestamente.

«Ho sentito la conversazione fra Kejsi e Dario. Ormai non c'è più niente da fare, sono già partiti.»

Amos insistè: «No. Mi rifiuto! Si può ancora fare qualcosa! Non possiamo abbandonarli così!», a quel punto Grady drizzò la schiena e lo prese per le spalle cercando di rinsavirlo. Benché anziano era ancora in forma fisica e la sua altezza notevole gli era d'aiuto.

«Sono morti. Sono tutti morti, Amos. Dobbiamo uscire dal campo ora o morirai anche tu e dopo quello che ho fatto... anch'io», disse perentorio il dottore.

Amos scoppiò in lacrime. Si sentiva in colpa, in colpa per aver condannato tutti a morte. Aveva promesso salvezza a Vittorio e Vanessa, aveva promesso loro una nuova vita, un cambiamento.

Aveva visto Vittorio accasciato a terra sul ring chiedere morte per pietà, ma lo aveva aiutato a rialzarsi, a crescere, a diventare uomo. Aveva visto Vanessa abbandonare la corazza, lasciare la strada insieme a tutte le sue maschere, per tornare da colui che amava veramente: Vittorio.

Loro lo avevano aiutato rischiando la propria vita. Credevano in lui. Ed erano morti. Erano morti credendo in lui... per mano di Kejsi. La persona in cui lui gli aveva detto di credere e in cui aveva creduto.

Si asciugò in fretta le lacrime, strinse i denti e le labbra si irrigidirono. La rabbia e la vendetta gli si dipinsero in volto, trasformando il rosso del sangue in un rosso simbolo di battaglia come per gli antichi Indiani d'America.

«Giacomo nasconde una bomba iper tecnologica al -6, non possiamo andarcene senza prima averla distrutta... e ucciso Giacomo.»

Grady sospettava da tempo che il segreto -6 contenesse orrori e ora – purtroppo – ne aveva la certezza.

«Così moriremo anche noi, non possiamo farcela da soli. Dobbiamo uscire da qui e subito! Tanto più se abbiamo il culo sopra una bomba!», lo spronò Grady. «Ti metterò in un sacco da cadaveri e ti porterò fuori dal campo dove seppelliscono i corpi, ho già preparato tutto. Nessuno sospetterà.»

«No, hai ragione. Non possiamo da soli. Ho un'idea.»

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