38.
《Kejsi ti devo raccontare una storia...》
Beth era andata a trovarla nella capanna trovandola intenta a giocare con Ityu e Nino. Il lupo ormai considerava il piccolo come il cucciolo del branco e lo avrebbe difeso come se fosse figlio suo. Lasciava che gli tirasse le orecchie e la coda sopportando pazientemente. Si era messo a pancia all'aria lasciando che gliela gratasse e scalciando con la zampa ripetutamente per il solletico.
《Oh, ciao Beth! Una storia?》
Si sedette accanto a lei nel letto guardandola con occhi pieni di tristezza.
《Sì. Devo. Solo così potrai capire...》
Kejsi aggrottò la fronte e le disse di continuare.
《Questo campo... lo sai anche tu che non ha risorse illimitate. Può ospitare solo un tot numero di persone, se così non fosse l'intero sistema crollerebbe. Ci sarebbe di nuovo guerra per il cibo, non ci sarebbero cure mediche, i nostri sforzi per coltivare i campi sarebbero vani, tutto andrebbe perduto...》
Si assicurò di avere la sua attenzione e poi continuò.
《Tempo fa delle persone ci hanno attaccati. Provenivano da una città vicina, erano persone malfamate della peggior specie. Gente che non esitava a uccidere per accaparrarsi un pezzo di pane. Il loro capo, lo chiamavano "il Boss", lui era il peggio fra tutti. Un uomo orribile, viscido, egoista, un bugiardo e traditore. Sfruttava le persone per i suoi comodi personali già da molto prima dello scoppio della bomba e poi, ancora di più, non avendo alcuna legge a porvi freno.
Un giorno si presentò con altri uomini -armati- alle porte del nostro campo. Far entrare persone del genere avrebbe incrinato il delicato meccanismo che sostiene il nostro sistema. Pensa, cosa avrebbero fatto queste persone qua dentro? Avrebbero ucciso senza problemi. Avrebbero preso tutto quello che potevano. Avrebbero fatto i loro comodi e una volta mangiato tutto il cibo sulla tavola ci avrebbero lasciato a "sparecchiare".
Quel tipo di persone sfrutta tutto ciò che può avere senza pensare agli altri, senza pensare al domani. Vogliono tutto e lo vogliono subito. Distruggendo ogni cosa che toccano.
Quando gli abbiamo spiegato la politica del nostro campo si sono arrabbiati e sono passati alle armi. Hanno ucciso molti dei nostri, ma ci siamo difesi e grazie alle reti elettrificate non sono riusciti a entrare.》
Kejsi, che aveva ora sulle sue gambe il piccolo Nino, a sentire quella storia le vennero i brividi. Dove c'è un tesoro c'è anche l'avido e l'invidioso. Ora capiva il comportamento cinico e freddo di Giacomo. Se non fosse stato attento a chi entrava, se non avesse adottato delle regole ferree all'interno, non avrebbe potuto proteggere nessuno. Dove vige l'ordine e la sicurezza di solito c'è anche una mano ferrea dietro. Lì, c'era Giacomo.
《Perché mi racconti questa storia ora, Beth?》
《Per preparati a quello che dovrai vedere.》
Non le diede ulteriori risposte, le disse di lasciare Ityu e Nino lì, e seguirla.
《Hai conosciuto la nostra Sara vero?》
Come faceva a saperlo? Lo avevano seguito? Come diavolo faceva a sapere che lui sapeva? La paura si impossessò di lui.
《Dal tuo viso leggo chiaramente che sì, l'hai conosciuta. Vedi caro uomo Lupo, eri più utile te a me, che io a te.
Sospettavo dal principio che il Boss ti avesse mandato qua apposta per estrapolare informazioni su come entrare dentro. Peccato che modi non ce ne siano.
Non mi sorprende che abbia mandato qualcun altro a rischiare la vita al posto suo.》
《E allora perché diavolo mi hai trattato come fossi uno di voi? Non ho informazioni da darvi sulla città. La tua donna è già alquanto ben informata direi...》
La Serpe rise e con le labbra gli mandò un bacio, facendole schioccare per irritarlo.
《Sei sicuro di non avere alcuna informazione da darmi? Pensaci bene.》
《Non ho nulla da darti oltre a ciò che già sa la tua donna. Mi hai scoperto, hai scoperto gli intenti del Boss, non c'è altro.》
Giacomo si mise a ridere di gusto piegando la testa all'indietro mentre Michael e la Serpe sogghignavano.
《Tu pensi di essere molto furbo vero? Povero stupido... secondo te perché ti ho promosso a soldato? Perché ti ho lasciato uscire dal campo? Pensavi davvero di avermi ingannato e avermi fatto credere di essere tornato come semplice e devoto maritino?》
Alle ultime parole lo sguardo di Amos si riempì di rabbia. In poche frasi era riuscito a insultarlo su più livelli: come uomo, come soldato e come marito.
《Hai creduto di fare il tuo gioco. Il gioco del Boss. Ma hai fatto il mio di gioco. Dove si trova la nostra Sara allora?》
《Non ho fatto il tuo gioco e non conosco nessuna Sara.》
《Sai ho il dono di fiutare le bugie e le tue hanno un odore maledettamente fastidioso. Mi urtano il naso.
Sai dove sta andando Dario in questo momento?》
Dario in questo momento era rinchiuso nella stanza virtuale ricoperto di sangue. Ma almeno questo, forse, ancora non lo sapeva e stette al suo gioco.
《Non lo so dove stia andando...》
Giacomo sorrise a trentadue denti e gli si avvicinò.
《Nella pettorina del tuo cane abbiamo inserito un microtrasmettitore. Non hai esplorato la città. Ti sei allontanato e ora noi abbiamo quella posizione.
Scommetto la mia testa servita su un piatto d'argento che lì ci troverò Sara. Tu che dici, sei sicuro di non conoscerla? Dario ci si sta dirigendo proprio ora.》
Lo stava provocando sicuro di sé.
《Già da tempo sospettavo che quel vigliacco senza spina dorsale la proteggesse in modo da non farmela trovare. Abbiamo perlustrato tutta la città ma non l'abbiamo mai trovata, nessun indizio, nessun nome. Tutti sembravano non conoscerla. Il Boss pensava di avere la sua vendetta, ma ha fatto un grande sbaglio. Mandare te.》
Il sangue gli si bloccò nelle vene. La paura ormai aveva la meglio, la rabbia e i sensi di colpa lo pervadevano. Per una volta Giacomo aveva sbagliato; il Boss veramente non conosceva Sara, anche se sarebbe stato felice di avercela tra le mani. Chissà con cosa avrebbe progettato di barattarla, ma lui non l'aveva. Il Boss non centrava nulla e se non fosse stato lui a mandarcela da Vanessa e Vittorio ora quella donna sarebbe stata al sicuro. Invece ora era in pericolo a causa sua, così come la vita di Vanessa e Vittorio. Li avrebbero trovati, li avrebbero uccisi e chissà per quali scopi avrebbero usato Sara.
Si sentì uno stupido, un maledetto stupido. Voleva prendersi a pugni e farsi sanguinare. Aveva consegnato i suoi migliori amici e una scienziata dalle conoscenze potenzialmente mortali nelle mani del suo peggior nemico.
Aveva un vantaggio, solo uno: Dario. Non era diretto ancora da nessuna parte perché stava per perdere una gamba. Sul momento si pentì di avergliela legata con la cintura, salvandolo. Ma quanto meno ora aveva un piccolo vantaggio, un po' di tempo per inventarsi qualcosa e tirarsi fuori da quella situazione.
Raccolse il poco di razionalità che aveva ancora in corpo per rispondergli.
《A cosa ti serve Sara? Cos'è quella piramide? Sono collegate vero?》
Giacomo si lisciò le mani sulla giacca compiaciuto, i suoi occhi neri si illuminarono in una scintilla poco rassicurante.
《Finalmente inizi a usare la testa. Sara è una donna che stimo molto, che ho sempre stimato, ma non aveva la giusta visione delle cose. Aveva progettato uno strumento in grado di alimentare le città con energia pulita, ma non sarebbe mai riuscita a metterlo in commercio. Avrebbe sgominato la concorrenza dell'industria energetica senza pietà, sicuramente l'avrebbero uccisa. Per quello io l'ho protetta rubandole il progetto e impedendole di diventare l'ennesima martire della scienza.
Non era quello il tempo giusto, ma ora, grazie a me, lo è diventato.》
《Vorresti metterti ora a dare energia alle città? Ora che non ci sono più città a cui dare energia?》
《La tua stupidità mi sorprende, proprio ora che pensavo ti fossi svegliato...
Alimenterà le nostre città, un giorno, quando verranno ricostruite, ma non ora. Ora dobbiamo fare una pulizia, come dire, di "fino". Bisogna ripulire l'ultima spazzatura rimasta.》
Aveva intuito a cosa si riferisse la parola "spazzatura": a tutta la gente rimasta fuori dal campo, a tutte le persone che lui considerava senza valore. Erano loro la "spazzatura". Persone, esseri viventi, cuori battenti.
《Abbiamo convertito il suo progetto da energia pulita ad arma pulita. Riusciremo a eliminare l'ultima spazzatura rimasta sul pianeta senza danneggiare l'ambiente e con precisione.
Potremo ricominciare.》
Era un'arma. Non sapeva ancora il suo funzionamento, ma avrebbe distrutto tutti i pochi sopravvissuti rimasti condannandoli a morte certa. Ecco cos'era quella piramide: un'altra sorta di bomba, un'altra omicida, un'altra tragedia.
《Allora a cosa vi serve se avete già l'arma?》
Giacomo smise di ridere e diventò serio.
《Nel rubarle il progetto un file si è danneggiato, un file che solo lei può ricreare. Senza il quale le bombe non possono essere innescate a distanza.》
Ecco perché la cercavano così insistentemente, senza di lei nemmeno l'acuto cervello di Giacomo e il suo branco di scienziati riuscivano a sopperire alla sua mente. Una sola donna li teneva in pugno.
《Non riuscirete mai a convincerla ad aiutarvi!》
《Ne sei davvero così sicuro?》
No. Non lo era. C'era la piccola Sofia nel campo e Sara avrebbe fatto di tutto per proteggerla. Un'espressione amara gli si dipinse in volto. Cosa sarebbe successo adesso? Aveva le armi puntate contro, lo avrebbero ucciso? E Kejsi? Cosa avrebbero fatto a lei?
Tutto stava precipitando. Tutti i suoi piani, tutte le sue sicurezze, andate in fumo. Aveva un piccolo vantaggio, ma se non riusciva a uscire da lì non sarebbe mai riuscito a sfruttarlo.
《È davvero radioattivo il laboratorio?》
《Sì, ed è proprio per questo che servono delle tute speciali. La nuova bomba va ad agire specificatamente sul DNA umano. Se la tuta non è settata sul tuo DNA in pochi minuti saresti morto.》
《Ti raggiungo fra un attimo, devo andare in bagno...》
Nel sentire Beth raccontare quella storia le era salita agitazione a fior di pelle. Non ne comprendeva bene il motivo, ma aveva una brutta sensazione. Lo sentiva nell'aria, l'odore di catastrofe.
Si inginocchiò davanti alla tavoletta bianca del minuscolo bagno della baracca. Qualcosa dentro di lei non andava.
Fissò il fondo di quel buco, l'acqua incolore. L'odore nauseante di disinfettante le penetrava nelle narici. Fu un istante, un riflesso. Le si contrasse lo stomaco violentemente e la testa piombò in avanti a bocca spalancata per liberare i conati di vomito.
La fronte fredda era intrisa di minuscole goccioline di sudore, il colore della sua pelle era sparito. Sembrava un foglio bianco sul quale la vita aveva deciso di cancellare i colori che prima lo permeavano. Su di esso, restavano solo i segni dell'usura dei pennelli che una volta lo avevano impresso.
Dopo aver perso il controllo del suo corpo, intento a svuotarsi, si arpionò con forza alla tavoletta per evitare di cadere. Era uno sforzo estremo, quasi un gesto d'orgoglio nel voler rimanere in piedi nonostante la più totale mancanza di forze per farlo.
Cercò di concentrarsi sul suo respiro e di calmare il battito impazzito. La bocca aveva un sapore strano, acido, ma allo stesso tempo poteva avvertire sulle labbra una sensazione diversa, quasi dolce: un liquido viscoso dal gusto ferroso, cremoso come gelatina.
Aprì -lentamente- gli occhi tenuti serrati dallo sforzo, poco a poco, per sincerarsi di quello che era appena successo.
Lo sguardo si perse nel fondo di quel buco, ora colorato di un rosso mattone. L'odore nauseabondo e maleodorante la invitava solo a ripetere ciò che aveva appena fatto.
Il rosso non era solo sul fondo, goccioline di un rosso più acceso erano schizzate sulle pareti bianche dell'interno della tavoletta. Le fissò, scendere lentamente, per ricongiungersi all'abisso.
Si portò le dita affusolate alla bocca. Tastò la "crema" che aveva sulle labbra. Il rosso le si trasferì sui polpastrelli, insieme a grumi gommosi sanguinolenti.
Tastò con l'indice e il pollice la consistenza di quei grumi screziati. Li strinse fino a spaccarli, poi aprì le mani lasciandoli cadere, come sconvolta da un'improvvisa consapevolezza.
Si pulì la bocca con la carta igienica e tirò lo sciacquone.
Tutto era di nuovo bianco.
Ma non le sue mani.
Si guardò allo specchio, era pallida, senza colore. Gli occhi gli si inumidirono e le lacrime scesero trasparenti sulla sua pelle cinerea, diventata un tutt'uno con le sue iridi.
Si lavò, prese l'asciugamano e si tamponò il viso. Le lacrime lasciarono posto a un'espressione severa, impassibile, immortale.
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