36.

Le porte del cancello elettrificato si stavano aprendo. Un sacco di persone erano venute lì per accoglierli.

Amos sbirciò dal retro del camioncino per vedere chi ci fosse. Il primo viso che vide fu inaspettatamente quello di Sofia. La piccola incrociò subito il suo sguardo e nei suoi piccoli occhi azzurri si poteva leggere tutto ciò che non diceva a parole. Era bastato un solo sguardo per capirsi.

Amos giurò -osservandola- che quella bambina sapesse molto più di quanto non diceva. I suoi occhi sapevano, sapevano molte cose e sembravano chiedergli, gridargli: aiuto.

Ma la piccola bocca rosea non si muoveva, erano solo le pupille a vibrare nelle sue. Subito, vicino a Sofia, apparve Kejsi con Nino in braccio. Lo stava tenendo sul fianco e con la mano libera gli stava accarezzando i soffici boccoli castani.

Gli spuntò subito un sorriso nel vederla. Era in abiti civili, indossava il suo vecchio maglione preferito; quello che era sparito il giorno che l'aveva persa e ciò gli provocò un misto di emozioni fra piacere e malessere. Ricordi belli e brutti si mischiarono dentro di lui in una frazione di secondi, tra la voglia di averla e la paura di perderla.

Aveva le guance rosse e i capelli color miele legati in una bellissima treccia laterale. Decise di mettere da parte il malessere e concentrarsi sul viso di sua moglie: era bella ed era felice, rilassata, gioiosa del suo ritorno e del ritorno di Ityu. Quest'ultimo stava già scondinzolando come un matto, ansioso di rivedere la sua padrona.

Il sorriso sparì in un istante quando scorse Giacomo. Gli si gelò il sangue, a vedere chi gli stava vicino. Riusciva a percepirne le squame arroccarsi sul suo collo per stringerlo fino a farlo soffocare.

La donna del Boss, la Serpe, era lì.

Si girò di scatto e fece mente locale. Se lo riconosceva o riconosceva Ityu era la fine. Sarebbero stati spacciati, tutti: lui, Kejsi, Ityu e l'intera città. Doveva inventarsi qualcosa e alla svelta.

Come le porte del cancello si richiusero dietro a loro e il camioncino si arrestò, approfittò della confusione generale delle persone che stavano accorrendo a salutarli. Prese di forza Remo, che stava mettendo in spalla alcune coperte, usandolo come scudo per coprirsi alla vista di Giacomo e la Serpe.

《Ei ei fratello! Piano! Ho capito che sei contento di vedere il tuo ghiacciolo, ma a meno che io faccia parte del bottino molla la presa.》

Ironizzò Remo, visibilmente divertito, mentre veniva strattonato come una pallina dalle mani di Amos. Il quale cercava di forzare un sorriso per sembrare simpatico e divertito anche lui.

Per fortuna sembrava che Giacomo fosse più interessato a Dario e al bottino da non badare a lui, o almeno così sperava.

Come arrivò vicino a Kejsi il suo sorriso dolcissimo si schiuse, ma Amos non perse tempo. Mollò Remo lasciandolo lì come un allocco e prese la sua donna in braccio insieme a Nino, ancora attaccato a lei. La baciò portandosela via senza lasciarle possibilità di replica, seguito tempestivamente da Ityu. Doveva allontanarsi da lì il più in fretta possibile e quale scusa migliore di quella ci sarebbe potuta essere.

Sofia li guardò tutti e tre allontanarsi senza degnarla di un saluto. Abbassò il viso verso terra e tirò su col naso. Gli occhi le erano diventati lucidi e le palpebre cercavano in tutti i modi di trattenere le lacrime, stringendosi ripetute volte. Si passò una manina sotto il naso e con le maniche della maglia cercò di asciugarsi il viso, per poi raggomitolarsi tra le sue stesse piccole braccia.

Nicola arrivò poco dopo e si inginocchiò vicino a lei, seguito da Marco e Remo.

《Quel ragazzo è strano, giuro che la prima cosa che ha guardato dal furgone sei stata tu bambina. L'ho visto sorridere, ma poi non so... sembrava l'avesse morso un serpente... non so perché si sia comportato così.》

Stava parlando alla piccola, ma il discorso era rivolto anche a tutti i suoi compagni. Amos se n'era andato in fretta e furia senza salutare e se per certi versi era comprensibile, da altri cozzava con l'atteggiamento tipico che era normale tenere con loro.

Nicola sospettava qualcosa, Amos non gliela raccontava giusta e lo sentiva sulla pelle che qualcosa non andava. Anche Remo solitamente scherzoso e superficiale si ritrovò a dargli ragione.

《Dovevi vedere come mi ha strattonato giù dal camion per poi lasciarmi lì come se non fossi mai esistito...》

《Lasciatelo in pace. Voleva solo tornare dalla sua donna.》

Tuonò Marco interrompendo i pensieri degli altri due. Nicola si grattò la nuca e dopo un po' alzò le spalle.

《Sarà, ma questa bimba l'ha lasciata qua da sola...》

《Non è mica sua figlia però.》

Disse Remo con la sua solita superficialità, facendo sgorgare le lacrime che la bimba era riuscita a trattenere fino un attimo prima. Marco gli diede una gomitata tra le costole intimandolo a tacere e Nicola si girò subito verso la piccola che però se n'era già corsa via.



《Amore calmo, calmo, c'è anche Nino qua!》

Appena furono fuori portata visiva la mise giù insieme al piccolo. Lasciandoli entrambi alle dolci feste di Ityu.

《Scusate, ma mi eravate mancati un sacco.》

Al sentire il plurale a Nino gli si illuminarono gli occhi. Oramai Kejsi era diventata a tutti gli effetti la sua mamma e avere pure un padre così forte e coraggioso ai suoi occhi, occhi di un bambino, non poteva che essere una grandissima fortuna aggiunta.

Pure Amos si stupì delle parole che gli erano uscite di fretta dalla bocca per rispondere a sua moglie. Nello stesso momento in cui le disse si rese conto di aver lasciato indietro Sofia. Un pugnale fatto di sensi di colpa gli trafisse il cuore, aveva lasciato sola la piccola. La bambina che lo stava guardando con occhi sgranati pieni di speranza e di fiducia riposta in lui. Si sentì un verme, un bugiardo, un uomo indegno di ricevere tutto quell'affetto.

Fu in quel momento che Kejsi lo baciò prendendo il suo viso tra le mani. Fu il bacio più freddo che si fossero mai scambiati fino ad allora e subito se ne accorse tirandosi indietro. Ma Kejsi lo anticipò.

《Vado a cercare Sofia, dalla tua fretta è rimasta lì da sola povera...》

《No. Tu vai a casa con Ityu e il piccolo. La vado io a prendere, ti raggiungo fra poco.》

Amos aveva uno sguardo ferreo e duro, uno sguardo che Kejsi non si meritava, ma lo lasciò fare.

Tornò indietro scrupoloso e attento che Giacomo e la Serpe non fossero più nei paraggi, e per fortuna se n'erano già andati. Se n'erano andati tutti tranne i suoi compagni. Quando lo videro arrivare gli vennero in contro.

《Ma tranquillo, non salutare, vai pure via come se non esistessimo... ma almeno non ignorare quella bambina che ti guarda come se fossi Dio sceso in terra!》

Nicola ci andava sempre giù duro nel dire ciò che pensava, non riusciva a tenerselo per sé. I sensi di colpa di Amos aumentarono, doveva assolutamente riparare.

《Dov'è la bimba?》

《Se n'è andata. Non sappiamo dove, stava piangendo.》

Nicola aveva le braccia incrociate davanti al grosso petto con tutta l'aria di fargli un bel rimprovero. Amos avrebbe voluto fargli capire. Capire perché aveva agito così, ma non poteva. In quel campo non poteva fidarsi di nessuno, nemmeno di... nemmeno di sua moglie.

Ancora una volta si ripeté che se non fosse riuscito a distruggere Giacomo quel dolore sarebbe continuato e lo avrebbe annientato, insieme a tutte le persone che lo amavano e che a lui erano più vicine.

《Invece Giacomo l'avete visto? Sapete dov'è andato?》

Nicola non accennava a volergli rispondere, ma ci pensò Marco che lo stava guardando in silenzio con occhi incredibilmente pieni di comprensione. Talmente comprensivi da fargli credere per un attimo che avesse capito tutto di lui: chi fosse, cosa ci facesse lì e perché facesse tutto questo.

《È andato via insieme a Dario, probabilmente nella loro sala riunioni...》

《Insieme a quella sventola da pauraaaa!》

Remo si stava riferendo alla Serpe, non c'erano dubbi. Era una donna bellissima, dalle forme pronunciate che avrebbero fatto impazzire buona parte degli uomini del campo. I suoi lunghi capelli rossi, insieme a quegli occhi verdi tendenti al giallo, avrebbero incantato chiunque. Incantato chiunque, per poi ucciderlo. La sua bellezza era solo veleno, un veleno mortifero che ben si intonava alle sue movenze sinuose e viscide.

《Remo, sei la stupidità fatta uomo. Donne come quella non fanno altro che portarti alla rovina, la bellezza non basta a rendere un uomo felice.》

Disse Marco con la sua solita saggezza.

《Beh per una notte penso che possa renderti parecchio felice però!》

Disse ridendo, ma Nicola intervenne.

《Marco ha ragione, stalle lontano Amos, quella ha le squame al posto della pelle.》

E aveva ragione, ma se quella era una serpe pericolosa, quanto più doveva esserlo Giacomo per tenerla in pugno. Un brivido gelido gli scese giù lungo la schiena.

Quella era l'occasione per scoprire cosa stessero tramando quei due. Perché stessero elargendo più tzar del solito in città e perché Dario avesse piazzato quello strano oggetto in cima al palazzo.

《Scusate ragazzi, mi dispiace per prima... ora devo andare.》

Fu un attimo, prima di girarsi e andare, incrociò lo sguardo di Marco. Scuoteva leggermente la testa con occhi vitrei facendo segno di "no". Qualsiasi cosa avesse capito quel ragazzo, perché qualcosa sicuramente l'aveva capita, gli stava reggendo il gioco e nonostante la paura di essere scoperto e rovinare tutto, Amos si addentrò nella base.

Entrò a testa alta, fingendo che la sua presenza lì fosse normale e la divisa di certo lo stava aiutando. Molti uomini armati gli passarono a fianco ma non vi badarono.

Si fermò poco prima della porta della sala riunioni per guardarsi intorno. Non vide nessuno. A quanto pareva tutta la gente importante si doveva trovare dietro quelle due spesse porte metalliche.

Adagiò l'orecchio, ma riuscì a sentire ben poco, senza contare che ogni due per tre si girava per controllare di non essere osservato.

《Quando allora?》

《Molto presto... siamo vicini al trovarla ne sono sicuro. Finché non l'abbiamo nelle nostre mani non possiamo procedere. Sono sicuro che si nasconda lì da qualche parte. Dario?》

《Ho seguito i suoi movimenti e sì, nasconde qualcosa, entro poco potrò partire. Tempo di armarmi e assoldare i miei uomini migliori.》

《Ero sicuro avrebbe funzionato, non osare tornare a mani vuote.》

Amos iniziò a far turbinare i suoi pensieri, Giacomo si stava riferendo a Sara? Stavano seguendo i suoi movimenti? Ma come? Se li stavano davvero seguendo perché non l'avevano già trovata? E poi "quando" a cosa era riferito? Cosa doveva succedere?

Quelle poche parole che era riuscito a udire gli avevano messo addosso più inquietudine di quanta già non ne avesse. Furono brevi istanti perché poi sentì le sedie stridere sul pavimento e dei passi avvicinarsi alla porta. Doveva andarsene e subito.

Percorse il lungo corridoio grigio di corsa, dirigendosi verso l'uscita pronto a scappare, ma si fermò una volta svoltato il primo angolo. La porta antincendio in vetro davanti a lui restituiva il riflesso esattamente sul corridoio.

Vide uscire Giacomo, la Serpe e Dario tutti insieme. Non si diressero verso l'uscita, ma bensì verso l'ascensore. La Serpe era avvinghiata a Giacomo come se fosse il suo ramo nella giungla. Lo baciò e lui baciò lei con gusto, come se stesse assaporando una mela rossa e succosa. Ad Amos venne da vomitare, sembravano due serpenti che con le loro lingue biforcute si stavano scambiando non solo saliva, ma anche veleno.

Vide la donna ridere in una maniera inquietante e Giacomo prenderle il mento con forza quasi come glielo volesse strappare via dal viso. Ma lei tirò fuori la lingua appuntita e gli leccò la mano come se ci godesse, prima di sparire entrambi seguiti da un impassibile Dario dentro l'ascensore. Quei due gli facevano paura, i loro comportamenti mettevano i brividi.

Si diresse all'ascensore per vedere a che piano andassero. In fondo l'ascensore lo potevano usare tutti, avrebbe potuto seguirli a debita distanza.

Stava scendendo e scendendo, finché non si fermò: -6.

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