35.
Calò la sera e tornò all'accampamento. Per strada aveva trovato un po' di rame e un po' di carburante e sperava bastassero a soddisfare i requisiti di Dario. Restare più a lungo del dovuto non era nei suoi piani, doveva tornare al più presto al campo e scoprire cosa stesse tramando Giacomo.
I suoi compagni avevano già acceso il fuoco e stavano tutti mangiando intorno a esso con i relativi cani.
《Oh, ma guarda chi si è fatto vivo.》
Nicola non aveva ancora mandato giù il fatto che li avesse abbandonati per andarsene per conto suo e teneva un tono piuttosto amaro.
Dario se ne stava appoggiato alla gomma del camioncino, spelando -con estrema lentezza- una mela verde con un coltellino a serramanico. Sembrava del tutto disinteressato alla sua presenza, come se il fatto che fosse arrivato o meno non gli cambiasse assolutamente nulla.
《Cos'hai trovato amico? Noi abbiamo fatto fortuna!》
Disse Remo visibilmente eccitato e ansioso di vantarsi. Ancora una volta il detto "tale cane tale padrone" risultò veritiero, il pastore tedesco di Remo era agitato esattamente quanto lui: stava giocando con un osso, ringhiando e facendo confusione; a differenza degli altri due che erano tranquilli, distesi a terra.
Marco invece, era stranamente taciturno. Aveva gli occhi bassi fermi a fissare il fuoco, sembrava totalmente perso nei suoi pensieri, desideroso di non essere disturbato o tirato dentro a una conversazione.
《In realtà la parte Ovest non era molto proficua, ho trovato un po' di benzina e un po' di rame.》
Dario si risvegliò dal rituale nel tagliare quella povera mela per fargli un gesto con la mano invitandolo a consegnargli il bottino.
Amos non riusciva a capire se fosse contento o meno del suo ritrovamento, la sua espressione continuava ad apparire completamente indifferente.
Si sedette accanto al fuoco con Ityu vicino agli altri e gli chiese cosa avessero trovato.
Nicola lo stava fissando, qualcosa in Amos non gli quadrava.
《Eh eh, abbiamo trovato cibo in scatola, delle coperte, una bicicletta, diversi tipi di metallo e udite udite Alcol! Un sacco di Alcol!》
Remo si stava vantando come se fosse Cristoforo Colombo e avesse scoperto l'America. Senza contegno.
Dopo un po' anche Nicola decise di farsi passare il broncio e godersi la compagnia.
《Remo si sta gasando un po' troppo, ma abbiamo trovato uno Scotch invecchiato vent'anni, mica poco...》
Sorrise e lo tirò fuori dallo zaino.
《Che dite, lo apriamo?》
《Aprilo aprilo! Questo postaccio ha bisogno di una consolazione e visto che ragazze non ce ne sono per tenerci al caldo...》
Marco si risvegliò dal letargo esclusivamente per rimproverare Remo.
《Non paragonare una donna a una bottiglia Remo.》
Era decisamente serio, tanto che Amos si stupì nel vederlo reagire così. Era il più saggio e riflessivo del gruppo, ma non si aspettava tale considerazione.
《Dai fratello lo sai che scherzo, non mi riferivo a te, te lo assicuro... in ogni caso non penso sia il momento di deprimerci. Su Nicola stappa quella benedetta bottiglia, voglio sapere che sapore ha una vecchietta di vent'anni.》
Nicola rise sotto i baffi e l'aprì. Bevve a collo finché non gli brucio la gola e poi passò la bottiglia a Remo che la trangugiò come fosse acqua, pensando fosse un normale Scotch, ma essendo molto più forte, quasi non sputò tutto fuori. Per non sprecare tanto ben di Dio gonfiò le guance e divenne rosso come un peperone.
Tutti si misero a ridere, pure Marco, a cui venne passata la bottiglia dalla quale però non bevve ma passò ad Amos.
《Prima tu fratello.》
Amos la prese e ne bevve un modesto sorso e poi fece una domanda potenzialmente indiscreta.
《Marco... avevi una ragazza?》
Gli sguardi di tutti e tre si rabbuiarono, persino quello di Remo. Aveva toccato un tasto dolente.
Marco alzò gli occhi lentamente verso di lui e respirò a fondo col naso.
《Sì, l'avevo.》
《E... non è al campo?》
《È morta tra le mie braccia allo scoppio della bomba...》
Quel maledetto giorno aveva segnato tutti e più ascoltava le storie degli altri più si rendeva conto di essere stato fortunato. Nel male quel giorno per lui era stata una rinascita, una vita dove poteva essere davvero sè stesso, una vita dove aveva un'altra persona vicino che lo amava.
《Mi dispiace...》
Non ebbe il coraggio di dire molto altro, il dolore sul viso di Marco era ancora vivido e chiedeva di essere lasciato in pace. Nicola pensò subito a smorzare l'atmosfera.
《Beh io andrò a dormire femminucce, conviene anche a voi o domani sarete degli zombie belli e buoni.》
Si alzò, diede una leggera pacca sulla spalla a Marco e andò verso la sua tenda con il proprio cane. Remo sbadigliò facendo bella mostra delle sue tonsille e andò anche lui a coricarsi levando dalla bocca l'osso al suo cane, che restio a mollarlo si fece inseguire scappando dietro le tende.
Rimasero soli Marco e Amos insieme a Dario che però se ne stava in disparte.
《Sai se domani ripartiamo?》
Chiese a Marco sottovoce riferendosi all'addestratore.
《Sì, a meno che non cambi idea all'alba. Comunque scusami ora vado anch'io.》
Stava per alzarsi ma Amos lo fermò.
《Ei... sappi che ti sono vicino, fratello.》
Lui gli sorrise leggermente e con un cenno della testa lo ringraziò.
Come Marco sparì nella sua tenda si girò verso Dario, che però si era volatilizzato, silenziosamente e senza dare nell'occhio.
Si alzò in piedi e si guardò intorno, Dario non era andato a dormire nella sua tenda.
Incominciò a insospettirsi. Da qualche parte doveva pur essere, non poteva essere sparito nel nulla. Si allontanò dalla luce del fuoco, lontano da essa c'erano solo ombre a forte contrasto, l'inverno monocromatico di quelle città desolate tendeva a rendere tutto molto spigoloso.
《Ityu, cerca.》
Il lupo iniziò a fiutare l'aria e lo condusse lontano dall'accampamento a qualche isolato di distanza dentro un altissimo palazzo.
《Perché mai dovrebbe essere venuto qua nel bel mezzo della notte eh?》
Ityu lo guardò con occhi sgranati come se volesse dargli una risposta, ma gli uscì solo un mugolio e andò avanti tracciando la pista. Il palazzo probabilmente era una vecchia sede d'uffici, le grandi scale in marmo rovinate e ricoperte di cenere e macerie conducevano a circa una decina di piani, ognuno dei quali aveva tre porte con affisse ancora le targhette dorate di chi ci lavorava dentro una volta.
Chissà quante persone stavano lavorando tranquille il giorno dello scoppio, quante avranno pensato a cosa fare per cena, a rispettare le scadenze, a programmare l'uscita in famiglia o con gli amici nel weekend. Chissà quante persone si sono viste spazzare via in pochi secondi il proprio futuro.
Si era perso nei suoi pensieri nel fissare quei nomi quando sentì un rumore provenire dall'alto. Fece segno a Ityu di fare silenzio e salì le scale facendo attenzione a non farsi notare da nessuno.
Come arrivò all'ultimo piano si accorse che la porta che portava al tetto era aperta. Si sporse lentamente per vedere cosa ci fosse fuori.
Il cielo scuro era pieno di nuvoloni e in lontananza dei fulmini azzurri carichi d'azoto illuminavano tutto il cielo a intervalli regolari, preannunciando una tempesta.
Si sporse ancora per vedere meglio e vide Dario vicino al cornicione intento a sistemare un oggetto strano. Sembrava una piramide metallica, la quale si illuminava d'azzurro sulla punta a intervalli regolari esattamente come i fulmini. Non aveva mai visto nulla del genere. Cercò di studiare ogni dettaglio possibile, l'istinto gli diceva che chiedere a Dario non sarebbe stata una buona idea. Forse era un radiofaro o un rilevatore di chissà che cosa, ma chiederglielo direttamente ammettendo di averlo spiato era troppo pericoloso.
Quando lo vide alzarsi in piedi dopo aver fissato quell'oggetto sul tetto, con un cenno fece segno a Ityu di scendere subito. Non potevano farsi trovare lì, dovevano tornare all'accampamento prima di lui.
Scese di corsa un paio di piani di scale quando sentì uno sparo. Guardò in alto, Dario aveva appena sparato a qualcosa. Fu quando sentì il rumore metallico della porta a capire, aveva rotto la serratura in modo che nessuno potesse più salire su quel tetto. Cos'era quell'oggetto? Perché lo aveva messo lì? A cosa serviva? A quanto pareva non sarebbe andato più a riprenderlo e nessun altro avrebbe dovuto raggiungerlo. Era qualcosa di importante non c'erano dubbi.
Si disincantò in fretta dalle sue riflessioni perché i passi di Dario si erano fatti veloci e pesanti, stava correndo giù dalle scale e di lì a poco se lo sarebbe ritrovato alle spalle. Doveva correre veloce e facendo meno rumore possibile, altrimenti si sarebbe accorto della presenza di altri passi.
Corse fin giù in punta di piedi insieme a Ityu che per fortuna aveva un passo felpato e silenzioso di natura. Come fu fuori corse a più non posso per non ritrovarsi nel suo campo visivo. Corse come non mai e si fiondò nella sua tenda insieme a Ityu fingendo di dormire. Pochi secondi dopo lo sentì arrivare e fermarsi davanti alla sua tenda. Trattenne il respiro, doveva far finta di dormire, non poteva permettersi di far sentire il fiatone della corsa. Cercò di concentrarsi il più possibile per regolarizzare i battiti del cuore e il respiro. Stava esplodendo, ma per fortuna Dario se ne tornò alla sua tenda in tranquillità. Era mancato poco, troppo poco.
Aveva lasciato la zip della tenda ancora aperta e quando si alzò per richiuderla incontrò gli occhi di Marco, ancora sveglio, che lo stavano fissando. Aveva visto tutto o si era svegliato all'arrivo di Dario? Si congelò nel suo sguardo cercando di capire quale delle due opzioni fosse quella giusta, ma Marco non fece trasparire nulla. Lo guardò per qualche secondo ancora in silenzio e poi chiuse la tenda.
Qualsiasi cosa avesse visto, qualsiasi cosa avesse capito, a quanto pareva non sarebbe andato a spifferarla a Dario. In fondo i suoi compagni erano uomini come lui, ognuno con la propria storia alle spalle, con un "lavoro" nel campo, ma ancora non aveva idea di quale fosse la loro ragione di vita. Tutti in quel mondo ne dovevano avere una, la loro qual era? Per cosa combattevano? A cosa tenevano più di qualsiasi altra cosa? Poteva fidarsi di loro?
Ancora non lo sapeva, ma presto lo avrebbe scoperto. Si ranicchiò accanto a Ityu e tra i pensieri si addormentò.
Il giorno dopo Dario li svegliò tutti alle sei del mattino, in malo modo, visto che ribaltò le tende di ognuno.
《Ho deciso che torniamo al campo e torneremo fuori fra due giorni. Probabilmente sarà più produttivo cambiare zona. Disfate le tende, fra mezz'ora si parte, sta per arrivare una tempesta.》
Ed era vero, le saette che la notte prima aveva visto in lontananza ora erano tremendamente vicine e non portavano nulla di buono.
Smontarono le tende in fretta e furia. Remo ci mise più del previsto, reduce dalla bevuta della sera prima e tendenzialmente di cattivo umore la mattina presto, stava imprecando ogni due per tre non riuscendo ad arrotolare il tendaggio.
Marco come il solito venne in suo aiuto mentre Nicola li guardava serio e spazientito.
《Quasi quasi ti lasciamo sotto la pioggia acida se non ti sbrighi. Possibile che non sai nemmeno smontare una tenda?》
《Eddai Nicola, vieni a darmi una mano piuttosto!》
《No, non puoi vivere ancora attaccato alla gonnella della mamma. Devi darti una svegliata Remo!》
A quanto pareva nemmeno Nicola aveva dormito bene, perché era parecchio nervoso. Amos lasciò da parte il suo orgoglio e aiutò Remo con la tenda incontrando nuovamente lo sguardo indecifrabile di Marco. Avrebbe dovuto parlarci prima o poi, se lo sentiva sulla pelle.
Dario suonò il clacson intimandoli a muoversi dicendogli che altrimenti li avrebbe lasciati lì e conoscendolo l'avrebbe potuto fare davvero. Anche Nicola decise di mettere il suo orgoglio da parte e aiutare Remo con le cose più pesanti. Volenti o nolenti, erano una squadra.
Saltarono tutti sul retro del camioncino con i rispettivi cani e partirono per tornare al campo.
Come uscirono dalla piccola cittadina Amos provò un profondo senso d'ansia e di nostalgia, come se stesse lasciando parte di sé in quel posto. Non riusciva bene a capirne il perché. Forse per il motivo che quello era stato il primo posto, anche se dopo tutto quel tempo, a ricordargli che c'era una vita prima della bomba, nomi di persone che non se lo sarebbero mai aspettato tutto questo. Come nelle Torri Gemelle, tutti stavano lavorando tranquilli, tutti facevano piani e costruivano castelli in aria, ma tutto era effimero, tutto era vano se rapportato a quello che sarebbe successo di lì a poco.
Tutto può cambiare in un istante, ma è solo quando succede che ci si rende conto di cosa ha davvero valore e cosa no. E Amos, ora, poteva dire di averlo capito.
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