23.

Il Boss se ne uscì lasciando entrare Vanessa e Vittorio che erano rimasti fuori dalla porta increduli di essere ancora vivi.

Si precipitarono dentro la stanza preoccupati per Amos, ma lui sembrava stare bene. Gli raccontò tutto ciò che gli aveva detto il Boss e anche loro rimasero altrettanto stupefatti scoprendo che la vera incarnazione del male fosse in realtà qualcun altro.

《Vittorio, tu per tutta la città sei già morto quindi potrai venire con noi, nessuno si chiederà dove tu sia finito. In quanto a Gaspare e Mina è meglio che non sappiano nulla, il semplice fatto di conoscere quelle informazioni li metterebbe a rischio rimanendo qua. Dobbiamo partire oggi stesso.》

Entrambi affermarono con un cenno del capo, ma poi il ragazzo si bloccò.

《Come farai con Kejsi? Se non fosse più la stessa persona? Se cercasse di convertire anche te?》

《No, non Kejsi. È intelligente, probabilmente avrà capito che le conveniva rimanere nel campo attendendo l'occasione giusta per scappare. Una volta che sarò lì, insieme, potremmo farcela.》

Vittorio e Vanessa si guardarono, sperando che avesse ragione, ma con molti dubbi al riguardo. Se Kejsi fosse cambiata, sapevano che Amos sarebbe crollato.

《Ce la fai a camminare?》

《Le gambe sono l'unica cosa che funziona ancora. Tranquilli. Non posso presentarmi al campo strisciando.》

Lasciarono un biglietto a Mina e Gaspare e nel freddo silenzio della mattina se ne andarono cercando di non farsi notare da nessuno.

Si diressero in periferia per cercare un mezzo che fosse ancora in grado di partire.

《C'era un garage pieno d'auto una volta, poco lontano da qua, potremmo provare a vedere se qualcuna ancora parte...》

Disse Vittorio e tutti lo seguirono.

Il garage era chiuso con un lucchetto, il ragazzo si abbassò per cercare di scassinarlo, ma Amos prese il fucile gli disse gentilmente di spostarsi e sparò al lucchetto.

《Scusa, ma abbiamo fretta.》

Vittorio alzò gli occhi al cielo e Amos rise, era proprio il fratellino minore a cui dare i nervi per puro divertimento.

Con gran sorpresa trovarono decine di auto perfettamente intatte e parcheggiate. Vanessa puntò a un furgoncino color sabbia che avrebbe potuto ospitarli comodamente con tutte le loro cose, ma Amos fu attirato da un'auto coperta da un telo nero.

Con un gesto rapido della mano lo tolse e gli si illuminarono gli occhi.

《Oh, sì! Hai visto Ityu!? Che ti dicevo!》

Una Spider decappottabile rosso fiammante venne alla luce appena Amos tirò via il telo.

《Non dobbiamo dare nell'occhio.》

Precisò Vanessa scocciata.

《Siamo in periferia, qua non c'è mai nessuno. L'ho promesso ad Ityu e noi viaggeremo su questa. Voi prendete pure il furgoncino, una volta in prossimità del campo ci accamperemo insieme. Nel mentre seguitemi.》

《Ma se nemmeno ci vedi da un occhio e sei piegato in due! Cosa vuoi metterti a guidare! Poi non so se ti sei accorto che non è estate...》

《Dici bene. Da un occhio, l'altro ci vede benissimo e poi seduto ci so stare, sono ancora capace di guidare un'auto. Se non ci ha uccisi lo scontro di ieri, non lo farà un po' di arietta fresca. Avanti Ityu salta su!》

Vanessa sbuffò mandandolo in malora, era testardo come un mulo e quando si metteva in testa qualcosa doveva farla e basta, nemmeno la morte lo riusciva a tenere a freno.

Ityu saltò eccitato sul sedile passeggero, Amos accese il motore e l'auto rombò. Prima di partire cercò un cd nel vano porta oggetti in onore di Kejsi: Paranoid - Black Sabbath, perfetto.

L'eccitazione era visibile in entrambi. A Vanessa sembravano due bambini eccitati per un giocattolo nuovo e con sdegno salì sul furgoncino. Vittorio era attratto anche lui dalla Spider, ma Vanessa lo stava già guardando male, con le saette negli occhi, intimandolo a salire. Smise di guardarli imbambolato e salì sul furgoncino.

Amos partì sgommando e Ityu ululò. Subito dietro Vanessa a velocità ridotta.

In pochi minuti erano fuori dalla città, stava andando sparato a 250 km/h in mezzo a quello che era diventato un deserto di ghiaccio, eppure più si avvicinavano al campo più la temperatura sembrava mitigarsi lasciando posto a un deserto meno freddo.

Dopo i primi minuti di esaltazione dove Ityu ululava al vento e Amos lasciava che esso gli scompigliasse i capelli, chiuse la capotta e accese il clima.

《Guardali. Hanno fatto la bravata e se ne sono appena pentiti. Che idioti...》

Vittorio la stava ascoltando cercando di nascondere la voglia che aveva di far parte di quegli "idioti". Avevano fatto la bravata, ma si erano tremendamente divertiti, solo che lei l'avrebbe fulminato seduta stante se gliel'avesse fatto notare.

Beth entrò nella baracca di mattina presto svegliando Kejsi e i bambini. Come li vide insieme a lei però, si addolcì subito e si pentì di essere stata così brusca.

《Ciao Beth, tutto bene?》

《Sì, sì. Sai, oltre a insegnare scienze mi occupo anche dei laboratori e abbiamo avuto un'emergenza che richiedeva la mia presenza, mi dispiace averti lasciata sola, anche se vedo che in realtà non sei stata proprio sola. Ciao bambini come state?》

Si abbassò sorridente per salutarli, ma Kejsi era ancora allarmata.

《Qualcosa di grave? Centra il -6?》

《No tranquilla, tutto risolto.》

La sua risposta sbrigativa non la tranquillizzò, ma non volle nemmeno insistere davanti ai bambini che sembravano molto felici di vederla.

《Ah, Giacomo ha chiesto di vederti...》

La cosa non le sembrò strana, Giacomo era sempre ansioso di dirle qualcosa, affidarle qualche nuovo compito o semplicemente guardarla da cima a fondo, dentro e fuori.

《Ha detto che è urgente, penso io ai bimbi, tu vai. Ti aspetta alla torretta.》

Kejsi si soffermò un attimo sulla parola "urgente", ma se c'era una cosa che tutti sapevano era che Giacomo non mentiva mai.

《Durante la notte abbiamo avuto dei problemi alla sicurezza, le reti elettrificate si sono spente, abbiamo avvistato degli individui pericolosi fuori dal campo che hanno approfittato della nostra debolezza per entrare. Se qualcuno ci riuscisse, dall'interno sarebbe difficile difenderci. Capisci quindi l'importanza di arrestarli prima che entrino dentro il campo. La rete elettrica tornerà in funzione stasera, ma fino ad allora i turni delle torrette sono raddoppiati e l'ordine è quello di sparare a vista a chiunque si avvicini troppo.》

L'ordine di sparare a vista fece tremare il cuore di Kejsi. Sarebbe mai riuscita a farlo davvero se ce ne fosse stato il bisogno? Le sue mani sì, ma il suo cuore aveva paura.

Arrivarono a pochi chilometri dal campo e Amos inchiodò facendo frenare di colpo anche il furgoncino di Vanessa.

《Guidi come un pazzo razza di deficiente! Prossima volta dovrebbero spaccarti le gambe non la faccia!》

Imprecò Vanessa ottenendo semplicemente una risata da parte sua. L'euforia però svanì in fretta, ora si sarebbero dovuti separare e nessuno aveva la certezza che Amos sarebbe riuscito a tornare.

Cercò di sembrare sicuro e coraggioso, ma un pizzico di timore gli si leggeva chiaro nel volto.

《Bene qui ci separiamo. Non so quanto tempo ci vorrà prima di poter uscire di nuovo dal campo, sempre che ci riesca ad entrare. Controllate tutti i movimenti e cercate di non dare nell'occhio.》

Con l'ultima frase Vanessa alzò il sopracciglio, facendogli capire che non sarebbe stato un problema, era lui quello che dava nell'occhio.

《Spero di tornare il più presto possibile. Se così non fosse sapete cosa fare. Al momento mi fido solo di voi. Non cacciatevi nei guai.》

《E tu vedi di non strafare. È già tanto se ti reggi in piedi, non puoi andare avanti ad imbottirti di antidolorifici per far finta che non sia mai successo nulla.》

Gli disse Vittorio e Amos gli fece un cenno affermativo col capo sorridendo. Si abbracciarono, Ityu leccò la faccia dei due ragazzi e poi tornò vicino alla gamba di Amos pronto ad andare.

Amos diede un ultimo sguardo ai due che stava lasciando indietro, poi guardò Ityu a fianco a sé e infine guardò il deserto che aveva davanti, delimitato solo da un cielo grigio, che fra poco lo avrebbe condotto dalla sua donna e dal suo destino.

Si incamminò.

Quel giorno sulla torretta provava un profondo senso di ansia, non riusciva a stare tranquilla. Non capiva se era per il comando che le aveva dato Giacomo o altro di cui non riusciva a comprendere il motivo.

Lo sgabello dove era seduta stava diventando sempre più scomodo e non riusciva a fermare il piede che batteva ripetutamente sul legno del pavimento dal nervosismo.

Incominciò a sfregarsi le mani e nel farlo sbatté sul liscio dell'anello. Si bloccò. Guardò la sua mano: l'anello era ancora intatto e perfettamente lucido, anche se aveva qualche graffio. Non se lo sarebbe mai tolto, come non l'avrebbe mai riparato. Quell'anello portava la sua storia, le sue stesse cicatrici, le ricordava che Amos era sempre lì accanto a lei. Dentro lei.

Si era distratta nei suoi pensieri quando sentì il clic del cane dalla torretta a fianco alla sua. Prese subito il fucile in mano e saggiò l'orizzonte dal mirino di precisione.

《Mio Dio, è davvero enorme...》

Disse Amos trovandosi a qualche centinaia di metri davanti al campo che si estendeva per chilometri. Le reti che lo confinavano erano altissime e spesse, limitate in cima da filo spinato. Il tutto gli era stato detto avere alto voltaggio, così alto da essere mortale. Vide anche le torrette poste circa a 100 metri le une dalle altre. Quel posto era una fortezza, dall'esterno un attacco sarebbe davvero stato un inutile bagno di sangue che non avrebbe portato alcun risultato.

Quel campo incuteva timore.

Si strinse lo zaino sulle spalle, guardò il vicino Ityu che lo stava seguendo tranquillo e con calma fece per avvicinarsi. Come lo fece notò che le figure sulle torrette, irriconoscibili a quella distanza, si stavano muovendo agitate.

《Non spareranno. Non dovrebbero. Il Boss ha detto che non sparano mai prima di capire chi sei e non lo fanno vicino al campo...》

Si disse fra sé e sé per calmarsi, ma quelle figure agitate gli fecero venire qualche dubbio. Forse, visto che era visibilmente mal ridotto anche da lontano gli avrebbero sparato a vista considerandolo inutile. I dubbi iniziarono a diventare paure. Non poteva morire lì nel nulla, in mezzo a quel deserto, senza essere riuscito nemmeno ad entrare, solo perché aveva il viso mal ridotto. No, non poteva.

Cercò di camminare tenendo la schiena il più dritta possibile, si mise un berretto e coprì il viso con una mano come per proteggersi dal sole. Forse così avrebbe mascherato meglio le ferite, pensò.

Continuò a camminare fintanto che le sagome, anche se irriconoscibili, apparirono distinte.

Fu tutto molto veloce, vide un fucile puntato verso di sé ed ebbe il cuore in gola.

Guardò attraverso il mirino di precisione, c'era qualcuno all'orizzonte, mise a fuoco meglio e non era solo. C'era un lupo vicino a lui.

《Amos...》

Le uscì il suo nome con un filo di voce, quasi incredula.

Il compagno della torretta vicina stava per sparargli, ma Kejsi fu più veloce, puntò al fucile del compagno e sparò. Quello si vide saltare via l'arma dalle mani con violenza e cercò nell'immediato di capire quali fossero le intenzioni di lei.

Kejsi sparò in aria colpi ripetuti per avere attenzione e urlò a gran voce a tutti di fermarsi e non sparare. Si precipitò giù dalla torretta e incontrò Giacomo che era corso a vedere cosa fosse successo.

《È mio marito fermali!》

Giacomo diede l'ordine e tutti abbassarono i fucili. Kejsi ordinò di aprirle il portone e sotto consenso di Giacomo le venne aperto.

Corse fuori senza attendere un secondo. Lui era lì.

Amos si buttò a terra cercando di coprire Ityu. Aveva sentito partire i colpi di fucile e pensava di stare per morire, prima o poi l'avrebbero colpito.

Eppure dopo un po' sentì solo silenzio e nessuno l'aveva ancora centrato. Alzò la testa e vide le sagome tutte ferme, avevano smesso di agitarsi. Guardò meglio e vide una figura fuori dalla rete che gli stava correndo in contro. Che avessero mandato qualcuno fuori apposta per ucciderlo? No, impossibile. Guardò meglio era... era...

Lo vide steso a terra nel tentativo di proteggere Ityu.

Urlò il suo nome a gran voce per farsi sentire.

Era lei.

Si alzò subito da terra e con quanta forza aveva ancora in corpo le corse incontro e lo stesso fece Ityu abbaiando forte.

Il lupo fu il primo a raggiungerla e le saltò sopra scoppiando di felicità, gli era mancata da morire, tanto che si sentirono dei guaiti uscirli dal ventre. Kejsi si accucciò verso il suo cane e lo abbracciò piangendo. Anche lui le era mancato, mancato tremendamente.

Come arrivò Amos si alzò fiondandoglisi addosso e gettandogli le braccia al collo. Lui la strinse forte a sé come non aveva fatto mai.

La teneva stretta quasi da mettersela dentro la carne, così che non se ne sarebbe potuta andare via mai più.

Cadde sulle ginocchia trascinandola a terra con sé, senza mai staccarla dal suo abbraccio. Nascose il viso nel suo seno ed inspirò il suo profumo. Casa. Non voleva mostrarle le ferite che aveva in volto, ma Kejsi glielo prese tra le mani, dolcemente, per guardarlo negli occhi.

Non riuscì a nascondere lo sgomento e gli occhi lucidi dal dolore.

《Che ti hanno fatto? Chi è stato?》

《Il mondo è diventato pieno di persone poco carine, non te l'hanno detto?》

Le disse cercando di sorridere per non preoccuparla, ma il dolore non si poteva nascondere nemmeno dietro al suo bellissimo sorriso. Non le voleva e non le poteva dire come si era fatto quelle ferite né il perché. In fondo poi non importava più, ora l'aveva lì con sé.

Kejsi accarezzò con delicatezza ogni sua ferita con i polpastrelli vellutati delle sue dita, riusciva a percepirne il dolore passato, riusciva a sentirselo addosso. Poggiò le sue labbra sulle ferite richiuse con ago e filo. Amos chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dai baci di lei.

Gli baciò la fronte lungo la ferita con tenerezza, Amos riusciva a percepire le sue labbra morbide ed umide lenirgli la ferita come se fossero il più potente degli antidolorifici. Lei scese più in basso, poggiando con delicatezza le sue labbra calde sulle sue palpebre fredde e nere per via dei lividi.

Ad Amos vennero i brividi, ma non voleva riaprire gli occhi, era troppo bello sentirla di nuovo così vicino.

Kejsi scese ancora, lungo la linea a fianco del naso, baciando ogni suo centimetro di pelle.

Amos aprì la bocca per espirare, si stava sciogliendo nelle sue mani. Kejsi anche si fermò, con gli occhi chiusi, le labbra vicine alle sue ed espirò dentro di lui.

Amos potè sentire il respiro caldo di lei solletticargli le labbra gelide e rovinate, ed entrargli dentro, nel profondo, nell'anima. Non resistette più. La baciò.

Nonostante il dolore che aveva in bocca e sulle labbra, non voleva perdersi nemmeno un assaggio di quelle di Kejsi. Quel bacio ebbe il sapore del dolore e della vita. Le ferite nella bocca di lui lasciarono un gusto forte e dolciastro, ma lei non si bloccò. Erano uno solo. Uniti nel sangue e nel respiro.

Kejsi si soffermò qualche istante ancora sul suo labbro superiore, baciandolo delicatamente poi si staccò, inspirò prendendo l'aria che era dentro Amos ed aprì gli occhi.

Erano di nuovo insieme.

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