20.

Era sulla torretta quando vide Giacomo, con a fianco l'immancabile Michael, rientrare nel tardo pomeriggio da quella che doveva essere la spedizione per ritrovare Amos oltre che alle solite risorse.

Si precipitò giù dalla scaletta a pioli e corse verso il cancello diretta al loro camioncino. Giacomo aprì la porta e scese giù saltando a piè pari togliendosi i Rayban scuri per svelare uno sguardo del tutto indecifrabile. Lui sembrava riuscire a leggere dentro a tutti, ma leggere dentro lui era praticamente impossibile, sembrava avesse un muro intorno alle sue emozioni, dal quale decideva lui cosa far trasparire e cosa no.

Dopo un po' le sue labbra, rovinate dalla profonda cicatrice, si piegarono di sbieco per poi aprirsi e dar voce al destino di Kejsi.

《Non abbiamo trovato nessuno. Qualcuno ci dev'essere stato di sicuro perché i corpi dei morti sono stati seppelliti, ma il tuo ragazzo se ne dev'essere andato via poco dopo, di lui non c'era più alcuna traccia》

Kejsi ancora una volta si trovò per metà in paradiso e per metà all'inferno, da una parte si sentì sollevata perché non avrebbe dovuto spiegare ad Amos cosa ci facesse lì, non avrebbe dovuto fare i conti con le reazioni che sapeva avrebbe avuto e non avrebbe dovuto vederlo andare via per sua scelta; d'altra parte non sapeva dove potesse essere andato e non c'erano modi per ritrovarlo se non che il caso o la fortuna lo riportassero da lei.  Sicuramente se n'era andato per cercarla, ma da lì a che fosse veramente vicino al trovarla c'erano probabilità infinitesime.

《Mi dispiace Kejsi, c'è altro che posso fare per te?》

Alla ragazza venne un desiderio di cui subito dopo si vergognò, provò il profondo desiderio di imbracciare il fucile e sparare, isolarsi dal resto del mondo e premere quel grilletto come se potesse liberarla da tutte le sue preoccupazioni, come se il tiro andato a segno e il bersaglio centrato potessero farla stare meglio. Fu solo qualche secondo, il tempo di rendersi conto di quello che aveva appena desiderato e vergognarsene, poi tornò a prestare attenzione a Giacomo.

《Che hai detto?》

《Se c'è altro che posso fare per te. Qualcosa che ti serve, che possa cercarti nelle prossime spedizioni?》

《I miei genitori. Non erano in casa allo scoppio della bomba, forse sono riusciti a scappare》

Quelle parole le uscirono spontaneamente come se fossero un riflesso condizionato. Si era imposta di non pensarci fino ad allora, non poteva fare niente per i suoi, continuare a pensarci le avrebbe portato solo altro dolore e non sarebbe riuscita a guarire, non sarebbe riuscita a vivere. Li aveva mentalmente seppelliti in attesa del momento adatto per farli rinascere e quel campo, Giacomo e Michael, sembravano le persone adatte per ridare quel tipo di speranza.

《Benissimo, dammi informazioni e descrizioni e ne terremo conto nelle spedizioni future》

Gli diede tutte le informazioni di cui aveva bisogno e tornò alla sua postazione in cima alla torretta dove si perse nei suoi pensieri.

La realtà, la ragione, le dicevano che non l'avrebbe mai più visto, che ormai l'aveva perduto, ma il cuore no, lui insisteva a battere forte e urlarle che no, non era finita, che tutto prima o poi torna, sia il bene che il male.

Si ricordò le parole di Aldo al matrimonio "Il matrimonio non unisce due corpi divisi, ma riunisce quell'unico corpo diviso ere or sono in due metà, ricongiungendo l'una all'altra". Era per quello che il suo cuore continuava ad urlarle di non smettere di sperare? Il suo corpo, il suo cuore, erano di nuovo una sola metà, ora cosciente di essere incompleta e di avere il proprio complemento lontano, chissà dove nel mondo, ma ancora presente e lei lo poteva sentire?

Provate a pensare di camminare con una gamba sola dalla nascita per trent'anni. Vi siete abituati, per voi ormai è la normalità, ma poi immaginate che qualcuno vi dia la possibilità di poter usare anche l'altra gamba. La vostra vita cambia, ora vi rendete conto che potete pure correre, saltare e andare più veloci. Vivete in maniera diversa, come mai prima pensavate di poter fare. Ora siete felici, siete abituati ad avere due gambe e a poter fare molte più cose. Ma pensate se qualcuno poi vi tolga di nuovo la capacità di usare la seconda gamba, vi riuscireste ad abituare di nuovo come vi eravate abituati alla nascita? O la consapevolezza acquisita di ciò che potevate fare con l'uso di quella gamba vi renderà insopportabile l'idea di averla persa di nuovo, non riuscendo più ad accettarne la mancanza?

Una volta che il tuo cuore si completa e prende coscienza di ciò che è, non può più accettare di continuare a battere diviso, finisce per ammalarsi e cessare di tenerti in vita come una torcia senza batterie finisce per scaricarsi e spegnersi.

Era persa nei suoi pensieri guardando il deserto sconfinato che aveva davanti a sé, era vuoto, nessuno all'orizzonte né vicino a sé, solo terra e cielo, cielo e terra. Si sentì sola come non mai, finché non sentì un rumore provenire da sotto la torretta, si sporse a guardare giù e vi trovò Nino intento a salire con le sue piccole gambine.

《Nino che ci fai qua?》

《Sofia si è arrabbiata con me》

《Come mai?》

《È un segreto, non te lo posso dire》

《E come faccio ad aiutarti allora?》

《Puoi giocare tu con me?》

Kejsi sorrise a quella richiesta così bella ed innocente, da quant'era che non giocava, le sembrava passata un'eternità da quando aveva fatto qualcosa per puro divertimento e non per obbligo o per uno scopo, era passato troppo, davvero troppo tempo.

《A cosa vuoi giocare Nino?》

Lo prese per le braccia e lo mise sulle ginocchia.

《Posso provare a sparare?》

Lo guardò perplessa, doveva sgridarlo e dirgli che alle armi non si sarebbe dovuto mai avvicinare, ignorando il mondo in cui Nino sarebbe cresciuto e vissuto o avrebbe dovuto spiegarne il funzionamento e la pericolosità insegnandogli ad utilizzare il fucile nel modo corretto?

《Bene Nino. Ti farò provare, ma questo non è un giocattolo, ti puoi fare male e fare male agli altri non potendo tornare più indietro. Quindi ora io ti mostrerò come funziona a patto che tu mi prometta di non usarlo mai se non con me presente e con il mio permesso. Capito?》

《Va bene Kejsi, te lo prometto》

Scaricò le pallottole e glielo fece tenere in mano, lo aiutò a sentirne il peso, a posizionarlo nella maniera corretta, gli spiegò tutti i principali componenti del fucile e il suo funzionamento. Vide Nino ascoltarla con attenzione e concentrarsi su ogni parola che gli diceva, Kejsi si sentì molto Amos nel dargli quel tipo di spiegazioni e rivide molto di lei in Nino.

Nel suo cuore aveva sempre desiderato una famiglia e trasmettere ai suoi figli tutto ciò che sapeva, renderli migliori di quello che lei era stata, dargli ciò che lei non aveva mai avuto, insegnarli tutto ciò che con gli anni aveva scoperto e in Nino vedeva questo, vedeva qualcuno a cui lasciare un'eredità, non materiale, ma intangibile, quella di gran lunga più preziosa.

《Kejsi perché piangi?》

Si asciugò in fretta le lacrime che le erano scese con le maniche della maglia e gli sorrise.

《Niente Nino, pensavo, a volte anche ai grandi capita di piangere》

Vide il bimbo abbracciarla cercando di confortarla come era solito fare con Sofia, le sue manine le stavano circondando il collo e il suo visino era vicino al suo petto. Quel bambino era solo, rimasto senza nessuno al mondo, senza alcuno che si prendesse cura di lui, eppure continuava a preoccuparsi per gli altri e a confortarli. Era qualcosa per altri che nessuno era per lui.

Fu allora che Kejsi decise che sarebbe diventata ciò che lui le aveva chiesto di essere. Una madre.

Finito il turno alla torretta era ora di cena, salutato Nino si diresse in sala mensa dove Beth le aveva tenuto come al solito il posto. Per cena quel giorno c'erano pollo arrosto e patate, le ricordò l'ultimo pranzo che aveva fatto prima che il mondo precipitasse e il saluto che aveva rivolto a sua madre appena entrata "ehilà comuni mortali", le sembrava ormai così distante la spensieratezza di quei giorni dove i problemi peggiori a cui pensare erano stilare una relazione o affrontare un esame di matematica, le sembrava di essere invecchiata dieci anni in quel mondo, anche se erano passati solo pochi mesi, tutte le sue priorità erano cambiate e tutte le sue abitudini dimenticate.

Ormai aveva scelto di restare, non si sentiva più un caso da studiare eppure Giacomo ogni volta non le levava gli occhi di dosso, come se da lei si aspettasse qualcosa, specie in mensa quando se lo ritrovava sempre di fronte  solo qualche tavolo più in là.

Decise che era ora di finirla e si alzò per dirglielo.

《Dimmi c'è ancora qualche parte del mio fegato che ti è sconosciuta che insisti fissarmi così a lungo?》

《La verità è molto più semplice, io ho il coraggio di guardare ciò che mi piace quando qualcosa mi piace》

Kejsi che tutto si aspettava tranne questo genere di risposta sentì dentro di sé un profondo senso di vomito. Come poteva parlarle in quella maniera nello stesso giorno in cui le aveva detto di non essere riuscito a trovare suo marito?

Ma non dovette farglielo presente perché Giacomo sembrò leggerle nei pensieri.

《Non penso sia un crimine provare piacere per qualcosa》

《Invece lo è se parli di me in questi termini》

《Io sono sincero, dico la verità, non vedo perché dovrei nascondere qualcosa che penso》

《Se sei tanto sincero, dimmi cosa c'è al piano -6 allora e perché non ci si possa andare》

Lo sguardo di Giacomo cambiò improvvisamente, rimanendo però imperscrutabile.

《Come mai questo improvviso interesse?》

《La domanda l'ho fatta io, non rigirare la frittata》

Il ragazzo si appoggiò con la schiena sulla sedia e incrociò le braccia al petto.

《È molto semplice, è un livello pericoloso dove solo personale specializzato può accedervi. Lì sono conservati campioni radioattivi della bomba a scopo di studio, se tu ci entrassi senza le adeguate protezioni moriresti dopo pochi secondi》

La curiosità di Kejsi venne momentaneamente placata, anche se ora l'idea di poter vedere coi suoi occhi quei resti l'attirava molto.

《Voglio vederli》

《Non è il tuo compito e non posso farti accedere. Non è posto per chiunque. Ci sono poche tute e sono tutte settate sul DNA dell'ospite, ci vogliono mesi per progettare una di quelle tute e notevoli investimenti, questo vuol dire che non possono venir costruite per chiunque abbia voglia di buttare un occhio》

Kejsi si sorprese nel sentire che ci fossero delle tute settabili sul DNA dell'ospite, non ne aveva mai sentito parlare e ne ignorava l'esistenza. Subito dopo si chiese che tipologia di esperimenti stavano conducendo al -6 da essere così pericolosi da richiedere quel genere di tute così complesse, ma Giacomo non le permise di porgli altre domande perché si alzò dal tavolo seguito a ruota da Michael.

Tutto quel campo era un mistero, una perla che spiccava nell'oscurità, i generatori del -4 continuavano a caricarsi ogni giorno grazie ai pannelli solari e le pale eoliche, ogni parte di esso sembrava costruita appositamente per affrontare la calamità che si era abbattuta su di loro. Quante possibilità c'erano che finisse in un posto così? Non era solo sopravvissuta, ma era finita in un luogo che prometteva nuova vita, che infondeva sicurezza da ogni lato lo si guardasse. Sembrava il seme che avrebbe fatto rifiorire il mondo.

Ma se invece stesse dormendo ogni notte con il culo sopra un'altra bomba senza saperlo? Quanto erano pericolosi i resti contenuti nel -6?

Kejsi avrebbe voluto chiederlo a Giacomo, ma sapeva che sarebbe stato fiato sprecato, lui non le avrebbe risposto, il fatto che non mentisse mai non voleva dire che rivelasse sempre la risposta a tutto ciò che gli veniva chiesto. Eppure sembrava particolarmente ben disposto a parlare con lei, talvolta cercandola di proposito, cosa che la lasciava confusa e insospettita. Perché tra tutte le ragazze del campo dava tante attenzioni proprio a lei? Non era certo per l'aspetto fisico, era qualcos'altro, qualcosa che ancora non riusciva a capire e che aveva paura di scoprire.

Tornò alla sua baracca per andare a dormire, Beth quella notte non avrebbe dormito con lei, non le aveva spiegato il perché, le era sembrata molto agitata e di fretta, ma le aveva detto che se voleva poteva prendere il suo letto e così fece. Si sistemò le coperte, il cuscino e chiuse la luce cercando di prendere sonno in fretta per non disperarsi nel dolore provocatole dall'assenza di Amos. Ogni notte l'attanagliava e cercava di trattenere le lacrime per non farsi sentire da Beth, quella notte avrebbe potuto sfogarsi, ma sapeva che se l'avesse fatto non sarebbe più riuscita a dormire né svegliarsi il giorno dopo. Doveva combattere, doveva resistere, non lasciarsi soffocare dal dolore, doveva mantenere vivida la speranza che aveva nel cuore.

I suoi pensieri stavano correndo in un turbine quando sentì la porta cigolare ed aprirsi, era troppo buio per vedere chi fosse, si preparò a prendere il fucile nascosto sotto il letto ed aprì la luce.

Con grande sollievo e allo stesso tempo stupore vide apparire le figure di Nino e Sofia.

《Kejsi, Sofia ha avuto un bruttissimo incubo e non riesco a calmarla, possiamo dormire con te?》

Kejsi sgranò gli occhi e osservò il volto della piccola: era rigato di lacrime; si era morsa le labbra fino a farle sanguinare e il lunghi capelli biondi le ricadevano sul viso, come se li usasse a mo' di scudo per proteggersi. Non aveva il coraggio di guardarla negli occhi, si teneva stretta a Nino senza mai accennare a staccarsi da lui. Nino a sua volta era anche visibilmente scosso, come se tutte le emozioni di Sofia riuscissero ad attraversarlo e a permearlo.

Kejsi alzò le coperte e li invitò a rifugiarcisi. Con sua grande sorpresa Sofia fu la prima a salire staccandosi da Nino che comunque la seguì a ruota. La piccola appoggiò la schiena al suo petto e si raggomitolò su sé stessa, mentre Nino si adagiò accanto a Sofia ma rivolto verso Kejsi.

Lei gli rimboccò le coperte e li strinse fra le sue braccia, Sofia sembrava già essersi addormentata, mentre Nino invece stava sbattendo le palpebre sempre più lentamente guardandola, visibilmente stanco. Stava per addormentarsi definitivamente, quando disse:

《Buonanotte mamma》

Quelle due parole diedero come una scossa elettrica al cuore di Kejsi che le sembrò ingrandirsi di un palmo per far spazio a due nuovi inquilini. Spostò i capelli di Sofia dietro l'orecchia e le diede un bacio delicato sulla fronte, poi col dorso della mano accarezzò la guancia di Nino e li strinse entrambi vicino al suo seno come per proteggerli. Lei faceva bene a loro quanto loro facevano bene a lei. Non era più sola e ora nemmeno loro lo erano.

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