1.
Il cane da lupo cecoslovacco non attese un secondo; saltò subito fuori dal bagagliaio della vecchia Jeep atterrando su un tappeto di foglie secche e scricchiolanti.
Era una di quelle tipiche giornate nuvolose d'autunno: gli alberi colorati di giallo e d'arancio, le strade ricoperte di foglie e il cielo grigiastro. Kejsi adorava questo tempo, in tutto l'anno era quello che riusciva a darle più sfumature ed emozioni rispetto alle altre stagioni.
Il caldo dell'estate non lo sopportava, i fiori della primavera non facevano certo per lei e il bianco dell'inverno era bello, sì, ma troppo monocromatico per i suoi gusti; si addiceva certamente più a Ityu, il suo lupo, che a lei. Invece, la terza stagione era perfetta: come il sole dava il meglio di sé al tramonto, la natura esibiva il meglio di sé prima di morire nei colori dell'autunno.
Kejsi lasciò lo zaino nel bagagliaio e prese le chiavi e il telefono, se li infilò nelle tasche dell'impermeabile e si incamminò. Ityu annusava l'aria profumata di sottobosco impaziente di andare.
In quella zona, a quell'ora, di solito non c'era mai nessuno, solo qualche vecchio cacciatore rintanato nella sua altana o qualche boscaiolo impegnato ad accatastare la legna. La strada dove solitamente passeggiavano era lunghissima, attraversava enormi campi di betulle e ai lati era costeggiata da due grossi canali di irrigazione.
Appena Kejsi vide un furgone in fondo alla strada, fischiò per richiamare Ityu.
Spesso capitava che qualche lavoratore passasse a gran velocità, incurante dei possibili animali che potevano attraversare.
Il furgone però non stava affatto venendo verso di loro. La ragazza si accorse che poco più in là c'erano degli uomini su una piccola gru impegnati a tagliare i tronchi di una betulla.
«Bello, errore mio. Puoi correre, vai.»
Ityu – obbediente – in attesa del suo ordine, iniziò a trotterellare felice annusando in lungo e in largo mentre Kejsi cercava di osservare meglio quegli uomini. Era sicura che anche loro si fossero accorti di lei perché si erano tutti girati a fissarla.
«Ho un impermeabile giallo e sono bionda, va bene, ma cos'è? Sono l'ultima donna rimasta sul pianeta?», disse fra sé e sé sicura che a quella distanza non avrebbero potuto sentire. Appena gli passò davanti li vide sorridere sotto i baffi, uno le fischiò dietro, ma lei non si girò nemmeno a guardarlo.
«Possibile che anche qua devo incontrare questi idioti, Ityu? Ti pare possibile?»
L'animale in risposta le si strusciò sulla gamba scodinzolando. Ityu era il suo migliore amico, era solo un cane, ma Kejsi era sicura che riuscisse a capire tutto quello che gli diceva. La complicità tra di loro era semplicemente unica. Dove andava Kejsi, andava Ityu.
Sentì il telefono vibrare in tasca, era Rebecca che chiedeva per l'ennesima volta aiuto per la relazione che avrebbero dovuto consegnare la settimana seguente.
Anche se controvoglia, stava per risponderle quando Ityu partì ad abbaiare incessantemente. Non l'aveva mai sentito guaire così e non riusciva a calmarlo.
«Che cosa ti prende?»
Non fece in tempo a dire altro. Sentì un boato passarle sopra la testa e subito vide degli aerei in formazione delle frecce tricolori.
«Hai visto? Wow! Ma cosa ci fanno qua?»
Era molto strano che quegli aerei passassero in quella zona della città. Kejsi non ne aveva mai visti di così grandi. Prese il telefono dalla tasca e cominciò a filmarli, ingrandendoli sullo schermo. Di certo non potevano essere delle frecce, erano decisamente troppo grandi!
Continuò a seguirli finché sparirono dietro le colline e ne rimase solo il rumore, ma come fece per inviare il video si accorse che il telefono non prendeva più linea.
Stava mettendo via il dispositivo elettronico quando Ityu tornò ad abbaiare, questa volta più sguaiatamente.
Furono brevi istanti. Kejsi si girò nella direzione in cui erano spariti poco prima gli aerei. Una palla di fuoco altissima si era alzata nel cielo, ma lei non la vide. La luce aveva un'energia luminosa troppo forte per essere tollerata dalla retina. Il primo stadio: l'intenso abbagliamento e questo la rese cieca. Subito dopo, iniziò a sentire un vento caldo che stava velocemente andando a intensificarsi; successivamente il rumore di interi stormi di uccelli allontanarsi e Ityu impazzire. Una bomba.
Si girò rapida correndo alla cieca. Kejsi lì c'era cresciuta e sapeva che vi era un canale d'irrigazione. Cadde e rotolò giù nell'acqua melmosa del canale, ma quanto meno il rivolo d'acqua le era di riferimento. Urlò il nome di Ityu che la seguì prontamente, si aggrappò alla sua pelliccia e lo trascinò in avanti fino all'entrata del tunnel di cemento interrato, dal quale usciva l'acqua, lo spinse dentro e poi si infilò lei strisciando.
Avrebbe potuto essere una cosa molto più semplice, ma completamente cieca, non riusciva a vedere nulla di quello che stesse in realtà facendo. Inciampava e annaspava nell'ansia, perché sapeva di non avere tempo; sarebbe successo tutto molto in fretta. Infatti, si riuscì a togliere solo l'impermeabile, la maglia e il reggiseno.
La temperatura, insieme al vento, stava man mano salendo sempre di più. A tastoni cercava di capire disperatamente cosa fare per salvarsi e proteggere Ityu. La verità era che non pensava affatto, quello era semplice e puro istinto di sopravvivenza. Nei suoi ventitré anni di vita non si era mai nemmeno avvicinata al dover affrontare una situazione simile.
«Ityu, avanti! Avanti!», urlò la ragazza nel tentativo di incitare il cane ad andare più veloce.
Ityu continuò a strisciare verso il centro del tunnel ora più veloce di prima e Kejsi, poco indietro, lo seguiva trascinandosi sui gomiti.
Furono secondi. Arrivò la seconda onda: quella di pressione. Sentì il vento incanalarsi violentemente come un proiettile dentro il tunnel, facendole sbattere la testa contro il cemento; le sue orecchie si tapparono e la sua fronte si riempì di sangue. L'evento peggiore venne immediatamente dopo: l'ondata di calore. Sentì le sue gambe andare in fiamme; tutto ciò che era infiammabile – come legno, plastica o tessuti – prese fuoco. Sentì i jeans bruciarsi, fondersi alla pelle; il sangue della ferita ribollirle sulla fronte, ustionandole il viso. Portò il suo corpo sopra a quello di Ityu, cercando di proteggerlo più che poteva, e urlò a squarciagola dal dolore.
Forse era finita.
Forse stava per finire tutto.
Forse quelli erano gli ultimi secondi di vita che aveva e l'unica cosa che era in grado di fare era urlare, e l'unica cosa in grado di sentire era il dolore.
Di certo non sarebbe stato quello il meglio di sé che potesse dare prima di morire e, infatti, quella non era la sua fine. Non ancora.
Quelle furono le prime due ondate. La terza durò circa novanta secondi, ma sarebbe stata quella che avrebbe fatto più danni, trascinandosi avanti i suoi effetti negli anni: le radiazioni gamma.
All'interno del tunnel, Kejsi svenne per il dolore. Ma era viva, era ancora viva e, anche se non lo sapeva, era pronta a lottare per continuare a restare in vita e ad affrontare un mondo che non aveva ormai più nulla di familiare.
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