Tornare alla normalità è: due cadaveri per casa

Ci metto un po' a riprendermi.

Marco mi tiene stretta, abbracciata. Continua a lasciar andare parole dolci, compassate. Ha un tono caldo, rassicurante. Non si muove dal mio fianco.

Passiamo avvinghiati mezz'ora. "non smettere se ne hai ancora, non smettere...".

Io non ne ho più, di lacrime, dopo dieci minuti.

Ho solo voglia di dirgli grazie, ho solo voglia di fargli capire che non sono pazza, non sono una da rinchiudere giù con quegli altri. Ho solo voglia di dirgli che avrei voluto morire per non vedere più quel che c'era in quel corridoio, in quel bagno, per non doverlo lavare e pulire da sola.

Per non dovermi inventare qualcosa di diverso dal "Li metto tutti a dormire e pace!" per quei poveri cinque stronzi lì giù, segregati e mezzi narcotizzati nella sala televisione, con lo schermo piatto a led che sputa fuori le cartonerie di un canale per bambini.

"Lo so, hai avuto la fortuna che io fossi qui al momento giusto, Sonia. Noi, però, adesso, un'idea ce la dobbiamo far venire, ok?"

Lo guardo supplichevole.

Vorrei non doverci pensare, vorrei non dover sapere che devo. Chiudere la porta. Con un gesto semplice, lo stesso di ieri notte, lo stesso di ogni mattina dopo la fase "Igiene e vestiti..."

E se qui dentro fossimo solo io e Marco potrei farlo.

Lasciare i morribondi su a putrefarsi, prendere quel che c'è da prendere e fuggire via.

Non si può.

Ho sul groppo quei cinque disgraziati là giù.

"Avevi ragione, prima, scusa. Sarebbe vigliacco, orribile, lasciarli qui in balia del loro destino... tanto valeva ammazzarli prima."

Mi faccio forza, perno sul ginocchio con la mano e destra a terra ad aiutarmi. Mi metto in piedi. Guardo Marco dall'alto. Non controbatto, solo una carezza sul viso.

"Prima eravamo solo due teste di cazzo..."

Mi volto verso il corridoio... dovrò inventarmi qualcosa.

Entro, scavalco Vincenzone senza degnare il corpo di uno sguardo. Vado quasi a senso.

Ciclotimica? Non so.

Bipolare? Non credo...

Torno a intimarvi ad avere un minimo di empatia in più, se vi pare che sia troppo ondivaga nei miei stati umorali.

Il pavimento è conciato male, c'è una lunga scia di sangue che va fino alla porta, lurida di colpi schiantati anch'essa. Sembra quasi sia passato un decoratore a spugnarla di rosso. Seguo le gocce e le strisce di sangue fino in bagno.

Linda Buozzi la ritrovo come l'avevo lasciata. Rispetto a un paio d'ore fa... è già qualcosa.

Qui la situazione è meno grave: la pozza di sangue è circoscritta. Lavare non dovrebbe essere così impegnativo.

Mi do indietro rapidamente; averli nella stessa stanza m'inquieta comunque.

Erano morti, ma il mio cervello da qualche parte continua a ripetermi che si muovevano ancora quando gli ho sfondato la testa.

Tecnicamente per il mio cervello, nella zona più profonda, l'assassino sono io.

Non siamo più così facilmente abituati a leggere il mondo con semplici dicotomie come sopravvivi o crepa.

Torno indietro sui miei passi e mi muovo verso le due suite in fondo al corridoio: tre e quattro. La camera di Vincenzone ha la porta sfondata, quella di Linda Buozzi è solo stata scardinata.

Lo stipite potrebbe tornare a posto con due tre colpi buoni di martello e chiodo.

O magari, magari se siamo fortunati, semplicemente richiudersi così, che le mandate lunghe della serratura di sicurezza forse bastano a colmare il gap dal muro.

Forse sì.

C'è sangue in terra, sangue sul letto rovesciato, sangue sull'armadio e sui muri. Scannare una bestia come Vincenzone non è cosa da poco. Non va sottovalutata nemmeno la pressione arteriosa in questi casi. Ha spruzzato materia ematica dappertutto prima di crollare al suolo e morire.

Ehm, sì, mi avete capito, quella cosa lì.

Tipo: morire e tornare continuando a pisciare sangue.

Nel corridoio vedo Marco che si porta una mano alla bocca.

Guarda la Buozzi, capisce che le mie parole, il mio racconto, non erano menate di fantasia. Nemmeno quelle. Legge su quel cadavere tutti i colpi di cui gli ho parlato e tutto l'orrore che ho provato.

Non si rasserena, mi guarda aspettando istruzioni, la pistola di nuovo nella fondina.

"Senti, se devi sboccare, davvero, fallo ora in bagno prima che attacchiamo a lavare, ok?"

"Tranquilla, davvero, è passato."

Mi sorride.

Mi muovo verso di lui. Si aspetta un abbraccio. Io invece cammino oltre, vado verso Vincenzone, lo afferro da un piede poi mi volto e trovo il caro amico – scop(?)amico - fermo in mezzo al corridoio, quasi inebetito.

"Guarda che ora è morto, non si muove più da solo... - credo il mio sguardo viri al compassionevole ma severo quando continuo – questo pezzo qui pesa qualcosa come un quintale e tanto quindi, se volessi essere così gentile da...".

Lo vedo muoversi verso di me.

Finisco la frase.

"Ecco, grazie, cortese davvero!"

Cominciamo a tirare: in due non ci si ammazza. Negli sbuffi della fatica gli dico di tirare dritto fino alla suite numero quattro: lo chiudiamo lì con la Buozzi e poi si pensa.

Le strisce che lascia il corpo trascinato sono orribili. Lo vedo dipingere le piastrelle come un pennello che si scarica e perde il colore.

Quando siamo arrivati sulla soglia, non c'è nulla più da attaccare al pavimento. Accasciamo il cadavere nell'angolo più vicino alla finestra. La lasciamo aperta. Prendiamo la Buozzi: mani io piedi lui. Non la giriamo nemmeno.

Marco mi guarda incredulo quando gli propongo di alzarla così.

"Sonia: la spezziamo tutta..."

Gli faccio lo sguardo da sergente con le mammolette cadette del corso.

"Sai che gli cambia! Marco, sveglia: le ho spaccato la testa, da morta: è rimorta... alza, muoviti che non si offende."

Fa spallucce, alza: ha gioco facile con le ginocchia che si piegano. Lo vedo stringere gli occhi in una smorfia di disgusto quando a Linda cedono le spalle con un crack che ha del disgustoso.

"Pazienza... fidati, non ci denuncia nessuno..."

"Hai riprovato con i telefoni fissi?"

"Ma sei scema? Non serve... non andavano, non vanno!"

"Che cazzo ne sai? Un guasto momentaneo?"

"Sonia, su tre linee diverse e a tutti i cellulari in una situazione come questa?"

Mi ammutolisco, questa volta l'ho detta io grossa. Continuo ad andare di pezza energica sul pavimento. Saranno anche certificazione UE2013 in materia di sicurezza dei solventi e reagenti chimici, ma questi cosi sbiancano in un modo sospetto.

Non voglio sapere che succede a contatto tipo con la pelle o disciolti nella natura. No, non voglio saperlo.

Tutto quel che c'è da sapere è che il pavimento del corridoio è sulla buona via per splendere in nemmeno venti minuti.

A Marco ho lasciato il compito meno impegnativo: ripulire la pozza sul pavimento del bagno.

Poi si occuperà anche della porta; io mi sto facendo un culo della madonna già solo su questo pavimento.

Viene fuori dal bagno con il secchio in mano, la pezza nell'altra e una faccia smorta.

"Questa dove la butto?"

Mi fermo, mi alzo, lo osservo con tono severo. Porgo la mano. Mi fissa e ribatte con l'aria del bambino seccato dalle troppe pretese della mamma.

"Adesso vuoi dirmi per favore cosa cazzo c'è che non va?"

"C'è che siamo all'inizio di quella che nei film chiamano emergenza planetaria. Hanno isolato i telefoni e i cellulari. Qui sono le otto e non si è visto nessuno. Cominciamo a entrare nell'ottica che è meglio non buttare niente, ok? Nemmeno le pezze da terra!"

Accento quel "pezze da terra" per stressare quanto più possibile il concetto.

A che posa servire una pezza da terra lorda di sangue di questi morribondi io non lo so ma... metti il caso?

Tengo la mano sospesa verso di lui, non l'abbasso finché non si risolve a passarmi lo straccio.

"Ci sta dentro di tutto, ci stanno i denti di quella vecchia, credo."

Chiudo gli occhi.

"Scusa, Marco..."

Non voleva la vedessi? Non lo so ma di colpo mi sembra essere stato un gesto carino da parte sua, non una crassa stronzata. Prendo la pezza rossa di sangue. Mi chiedo se sia da battezzare infetta oppure no; ci frega poco, abbiamo i guanti.

La butto infondo, verso la suite quattro e riprendo il bruscone in mano per continuare.

"Ohi Marco, ti spiace pulire anche la porta? Io finisco qui."

Marco mi sorride, annuisce complice.

Ho il culo sulla parete in fondo, ormai. Il pavimento non splende solo perché le piastrelle sono opache. Niente più tracce del massacro di prima. A guardarli ora, gli ambienti della notte, sono lindi e pinti manco fossero passate Angelina e Simona, le ragazze della cooperativa di pulizie che ogni mattina risanano gli ambienti notte e tre albe al giorno danno una ripassata a quelli comuni, prima che l'utenza non si svegli.

L'utenza.

Parola del cazzo: m'è venuta fuori proprio quando ho cominciato a pensare ad Angelina e Simona elaborando il pensiero di loro come se ne stessi parlando non con voi, con i quali finora mi sono anche abbastanza sbottonata, ma con un qualche superiore o qualche potente della terra... che so Obama, Renzi o la Carfagna.

Fredda, impersonale e finta la parola "utenza".

Se sono girata al nero andante, li chiamo pazzi, mongoloidi. Oppure stronzi. Se sto bene, sono ospiti, sono disgraziati che soffrono, sono poveri cristi.

Utenza sa di bollette.

Fossero utenti, ci avrei perso poco a risolvere la situazione. All'utente non ci pensi che il cuore batta... un disgraziato lo senti che vive, uno stronzo, può dispiacerti, ma vive.

E comunque il pavimento è pulito e dell'ogiva che ho sparato non c'è traccia.

Sotto i piedi, dietro di me, la pezza che ho buttato qualche minuto fa. Guardo Marco che smanaccia le ultime passate. Ho quasi pudore ad aprirla la pezza da terra e frugarci dentro, col rischio che lui si volti.

Mi sembrerebbe di ferire quel pudore con cui non voleva la vedessi.

Io, invece, la apro.

La libero come un fagottino. Tra le macchie e i grumi di sangue e altre merde del di dentro, due o tre pezzi più duri. Uno tagliente, appuntito e grande quanto due falangi: una scheggia d'osso. E una sua gemella più piccola. Più staccato, proprio annodato stretto alle maglie del canovaccio, un molare. Intero. Non piombato.

Lo stacco.

Lo sciacquo.

Ci verso sopra quel disinfettante potentissimo e lo risciacquo di nuovo.

Lo asciugo sul camice, me lo infilo in tasca.

Quanti denti finti di finti santi sono seminati in questo mondo?

Hanno teche d'oro e d'argento. A me basta questo. Non so perché: una reliquia, un portafortuna per giorni migliori.

La prima volta che hai ucciso una persona.

Ed era già morta. 



**Nota dell'autore: Inutile ricordarvi che noi autori artigiani abbiamo un solo modo per far conoscere in giro le nostre storie. Il passaparola dei lettori che hanno amato le nostre parole è uno dei migliori. Qui su Wattpad ti basta inserire questa storia in elenco lettura - credo poi che se ti piace quel che hai letto, la cosa dovrebbe anche tornarti utile :)

Oltre a questo, potresti pensare di lasciar una stellina qui sotto... Quella ci aiuta a restare alti in classifica

Se però hai davvero voglia di fare qualcosa di grande, il top sarebbe lasciarmi un commento. Non perchè mi piaccia sentirmi dire "Bravo!"... ma perchè se quel commento è una tua riflessione su quello che hai letto, su un particolare che ti ha colpito, su qualcosa che secondo te andrebbe cambiato... le mie storie future faranno tesoro anche di questo e non potranno che dirti grazie.

Buona lettura e grazie comunque di essere passato.

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